Sandra Sassaroli Giovanni Maria Ruggiero
“Studi Cognitivi”
Scuola di psicoterapia cognitiva
Centro di ricerca via Montebello
27
20121 Milano
tel.: 02 6570350
fax: 02 29011569
e-mail: studi.cognitivi@tin.it
Indirizzo per la corrispondenza: Dott.ssa Sandra
Sassaroli, “Studi Cognitivi”, via
Montebello 27, 20121 Milano. e-mail:
sandras@tin.it
Abstract
Research and theoretical
speculation on worry during the past 20 years has grown considerably.
A great deal has been learned about its nature, function, and
origins. This paper reviews the amount of knowledge produced since
the early 1980s. Worry is a cognitive process, a negatively affect-laden
and relatively uncontrollable chain of thoughts and images. It
is in relation to anxiety and particularly to the generalized
anxiety disorder. Worry is a maintaining factor for anxiety, via
both psychosomatic and cognitive processes. The cognitive processes
are the negative and positive beliefs of the worrying subject
towards the worry itself (meta-worry). Many
studies have shown
the clinical importance
of worry.
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La ricerca e la speculazione teorica sul rimuginio è cresciuta considerevolmente
negli ultimi venti anni. Molto si è appreso sulla sua natura, funzioni
e origini. Questo lavoro passa in rassegna la letteratura scientifica
prodotta dai primi anni ’80. Il rimuginio
è un processo mentale caratterizzato da un catena
di pensieri negativi relativamente incontrollabili. Esso è fortemente
correlato con i disturbi d’ansia, e in particolare con il disturbo d’ansia
generalizzato. Il rimuginio costituisce un
fattore di mantenimento per l’ansia stessa, attraverso i suoi correlati
psicosomatici e cognitivi. I fattori cognitivi sono le convinzioni positive
e negative nutrite dal soggetto rimuginatore
sul rimuginio stesso (meta-rimuginio).
Molti studi sperimentali hanno confermato l’importanza clinica del rimuginio.
Key-words: worry, rumination, anxiety, phobia,
perfectionism
Caratteristiche del rimuginio
Il rimuginio
è stato introdotto nel campo della psicopatologia cognitiva dagli studi
di Borkovec (Borkovec e Inz, 1990; Borkovec, Lyonfields, Wiser e Diehl, 1993; Borkovec, Ray e Stöber, 1998) come fenomeno
mentale che si accompagna all’ansia e ne contribuisce al mantenimento
e all’aggravamento. In seguito ha attratto crescente interesse
ed attenzione, fino ad essere inserito come criterio diagnostico principale
del disturbo d’ansia generalizzato nel DSM-IV (APA, 1994). Infine è
stato oggetto di studio come componente clinica
importante anche di altri disturbi d’ansia (Barlow,
Blanchard, Vermylea,
Vermylea e DiNardo, 1986; Borkovec, 1994; Brown, Antony e Barlow, 1992).
Questo lavoro passa in rassegna la letteratura cognitiva
riguardante il rimuginio. Sono
stati usati motori di ricerca telematici (MED-LINE e PSYCHINFO) e sono
stati consultati alcuni autorevoli volumi sull'argomento (Clark
e Fairburn, 1997; Davey
e Tallis, 1994; Spielberger e Sarason, 1989; Wells, 1997, 2000;
Williams, Watts, MacLeod,
Mathews, 1997). Le parole chiave scelte sono state
inizialmente worry e rumination.
Esse in un secondo momento sono state incrociate con anxiety,
phobia e perfectionism.
Al di fuori del mondo scientifico di
lingua inglese, forse al rimuginio non è stata
ancora dedicata tutta l’attenzione che merita. Una possibile ragione
potrebbe essere che in inglese il rimuginio
viene reso il più delle volte con “worry”,
termine che in italiano letteralmente si traduce con “preoccupazione”
piuttosto che con “rimuginio”.
La predilezione per il termine “worry”
potrebbe aver contribuito a discostare l’attenzione dei clinici non
anglo-sassoni dalla novità del concetto. Mentre il termine italiano
“rimuginio” suggerisce espressivamente quella che è la caratteristica
fondamentale di questo fenomeno clinico, la sua ripetitività e la sua capacità pervasiva
di occupare lo spazio mentale, il termine “preoccupazione” è certamente
meno espressivo, un semplice sinonimo che sembra indicare un grado meno
severo di ansia. Ma il “worry”, almeno nella
concezione di Borkovec, non è semplicemente un corrispondente subclinico dell’ansia, quanto piuttosto un fenomeno clinico
a sé stante, sicuramente apparentato in maniera stretta con l’ansia
ma da non confondersi del tutto con essa.
La confusione ingenerata dalla traduzione inappropriata di
worry con preoccupazione si può toccare con mano leggendo
la traduzione italiana dei criteri diagnostici del disturbo d’ansia
generalizzato nel DSM-IV. Nella versione inglese il termine worry
sta ad indicare appunto il rimuginio come
componente centrale di questo disturbo. La versione italiana
banalizza la definizione rendendo worry appunto
con preoccupazione. Infatti leggiamo che “la
caratteristica essenziale del disturbo d’ansia generalizzato è la presenza
di ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano
per la maggior parte del tempo per almeno 6 mesi, nei riguardi di una
quantità di eventi o attività (Criterio A). L’individuo ha difficoltà
a controllare la preoccupazione (Criterio B)” (APA, 1994; trad. italiana, 2002). Salta all’occhio
che sostenere che il soggetto ansioso sia un individuo preoccupato è
tautologico.
Vediamo ora perché il termine “rimuginio”
è più appropriato per tradurre “worry”. Secondo
la più articolata delle definizioni date da Borkovec
(in Borkovec et al, 1998),
le caratteristiche peculiari del “worry”
sono tre: 1) la predominanza del pensiero verbale di valore negativo;
2) l’evitamento cognitivo; 3) l’inibizione
della processazione emotiva.
Il primo punto chiarifica che nel “worry”
predomina quantitativamente il tempo dedicato a predizioni, dal ricco
connotato emozionale ansioso, di possibili eventi negativi futuri. Questa
attività mentale sarebbe prevalentemente di tipo verbale, e coinvolgerebbe
poco l’immaginazione visiva (Freeston, Dugas
e Ladoucer, 1996; Molina,
Borkovec e Peasley, 1998). Borkovec e Inz (1990) avevano dimostrato
che sia soggetti normali sia soggetti affetti
da disturbo d’ansia generalizzato (DAG) mostravano, durante stati di
rimuginio indotto, quantità prevalenti di pensiero verbale
rispetto all’immaginazione visiva. Invece, durante stati di rilassamento,
i soggetti normali riportavano una prevalenza di immaginazione
visiva, mentre i soggetti DAG riportavano in ogni modo una pari quantità
di pensiero verbale ed immaginazione visiva.
Ora, secondo Borkovec sarebbe proprio
questa caratteristica, l’abbondanza di pensiero verbale, che farebbe
del “worry” qualcosa di più di un semplice
componente dell’ansia. Il “worry”
sarebbe piuttosto un vero e proprio processo potenzialmente psicopatogeno
dell'ansia e del DAG. Borkovec et
al. (1998) giustificano teoricamente questa ipotesi rimarcando come Vrana,
Cuthbert e Lang
(1986) abbiano dimostrato che il pensiero verbale che riguarda materiale
emozionalmente carico (come possono essere previsioni negative sul futuro)
stimola una risposta cardiovascolare molto meno forte dell’immaginazione
visiva vivida. Inoltre, le persone (anche non ansiose) tenderebbero
spontaneamente ad usare la verbalizzazione come una strategia di gestione
dell’ansia e di disimpegno da materiale emozionale troppo carico ed in grado
di evocare sgradevoli risposte del simpatico (Tucker
e Newman, 1981).
L’isolamento neurofisiologico del
sistema cognitivo-verbale permetterebbe quindi
la gestione razionale delle emozioni, poiché conferirebbe alle persone
la possibilità di considerare non impulsivamente qual è
la risposta più appropriata al pericolo incombente o al problema. Quindi
preoccuparsi, rimuginare, porsi in uno stato di semi-allerta che è differente
sia dalla rilassatezza propria dello stati
di tranquillità sia dalla tensione estrema dello stato di ansia acuto
è uno stato che si può definire adattativo,
almeno finché non si è presa una decisione operativa.
Tuttavia lo stato di “worry” può
determinare anche stati maladattativi in cui
l’inibizione protratta della processazione
emozionale determinerebbe, a lungo andare,
una persistenza delle stesse emozioni sgradevoli. Questo stato, che
è il rimuginio patologico propriamente detto,
sarebbe caratterizzato dalla ripetizione mentale persistente dei termini
del problema, unito a predizioni catastrofiche legate al problema che
preoccupa il soggetto ed a una incapacità di
scegliere con decisione un piano operativo di risposta al pericolo e
di soluzione al problema, in quanto che il soggetto tende a giudicare
ogni soluzione come insufficiente e non risolutiva.
È precisamente quanto accade nel DAG e nei disturbi d’ansia
in generale. Il soggetto più che preoccuparsi rimugina, ripete mentalmente
a se stesso che le cose stanno andando male o che qualcosa di brutto
potrebbe capitare da un momento all’altro, ma lo fa con una singolare
mancanza di modulazione e di dettaglio (Williams, Watts,
MacLeod e Mathews., 1997). L'agente minaccioso e temuto, interno o esterno che
sia, è immaginato dal soggetto ansioso e rimuginatore
in maniera statica e astratta al tempo stesso, come pietrificato in
una terrifica postura di attacco. Vi è quindi
una grave carenza di immaginazione e fantasia nella predizione di vari
scenari dinamici in cui l'agente minaccioso interagisca con il soggetto
ansioso, con varie strategie di attacco, difesa, ritirata, compromesso,
danno parziale, e così via. La minaccia è invece vissuta sempre o tendenzialmente
come in grado di portare un unico attacco irresistibile, definitivo,
catastrofico e sostanzialmente irreversibile e irreparabile. In che
misura e in che cosa consista precisamente questa
irreparabilità del danno, il soggetto in realtà non è poi probabilmente
in grado di rappresentarselo con chiarezza. Ma è proprio questa
indeterminatezza che attribuisce all'agente minaccioso tutta
la sua elevata carica ansiogena e terrifica.
Nella letteratura scientifica le evidenze a supporto di questa ipotesi sono varie. Per quanto riguarda
il pensiero rappresentazionale, Watts, Sharrock e Tresize (1986) hanno dimostrato come la variabile 'dettaglio'
del loro strumento di valutazione delle immaginazioni fobiche fosse
inversamente correlato con la gravità dello stato fobico. Coerentemente,
la vividità, cioè
la ricchezza di dettaglio, aumenterebbe durante i trattamenti di desensibilizzazione negli ansiosi (Borkovec
e Sides, 1979) e nelle persone in lutto quando
il loro grado di rimuginio sul defunto diminuisse
(Parkes, 1972). Anche per quanto riguarda
il pensiero verbale sono stati trovati risultati simili. Infatti i soggetti sofferenti di fobia canina sono in grado
di elencare un minor numero di razze canine dei non fobici (Landau,
1980) e gli ossessivi mostrano un vocabolario limitato nella descrizione
di temi ossessivi come la contaminazione o il timore di sbagliare (Persons
e Foa, 1984; Reed
1969a, 1969b). Secondo Williams et al., (1997,
pp. 180-181) anche i risultati delle ricerche sui costrutti personali
presenti in varie patologie ansiose o a elevata componente ansiosa (per
una rassegna esaustiva vedi Button, 1983)
dimostrano che nell'ansia vi è una peculiare indifferenziazione e mancanza
di precisione nella processazione cognitiva.
Inoltre altri studi hanno mostrato come gli ansiosi soffrano di un restringimento
dell'attenzione e del pensiero verso le conseguenze più negative immaginabili,
senza mai uno spostamento verso stimoli positivi
o verso valutazioni meno minacciose degli eventi temuti (Williams et
al., 1997; Mathews, 1990; 1993). Questo modello
è applicabile sia al DAG (Eysenck, 1992) che
alle fobie (Öhman, 1993; Öhman e Soares, 1993, 1994). Anche il modello dei sottosistemi cognitivi
interattivi di Teasdale (1993; 1996; 1997)
assume che nell'ansia entri in azione uno stile cognitivo differente
da quello analitico tipico degli stati di calma. Questo stile
sarebbe di minore contenuto cognitivo e di maggiore espressività emotiva.
In altre parole, l'ansioso pensa che qualcosa andrà male e soprattutto
teme fortemente di non farcela, ma non si rappresenta esattamente il
danno.
Dunque il “worry” è lo stile di pensiero
tipico dei soggetti ansiosi, ed è caratterizzato da una forte predominanza
di pensieri ripetitivi negativi, se non catastrofici (Borkovec et al., 1998). Il rimuginio è caratterizzato proprio da uno scarso livello di
concretezza (Eysenck, 1992; Stöber
e Borkovec, 2002) e dalla mancata elaborazione
di piani di coping efficaci (Schönpflug,
1989). In esso prevalgono valutazioni di tipo
verbale astratto, mentre l'immaginazione visiva di scenari dinamici
è quantitativamente meno presente (Borkovec
e Inz, 1990; Freeston
et al., 1996; Molina et al, 1998). Perfino
quando è presente si tratta di una immaginazione
poco vivida (Borkovec e Inz, 1990; Stöber, 1997). Clinicamente,
il rimuginio è la autoripetizione continua e ossessiva del timore del danno
irreparabile con scarsa rappresentazione di scenari concreti. In breve,
il soggetto ansioso e rimuginatore ha sempre
paura che le cose potrebbero andare male, ritiene di dover tenere tutto
sotto controllo al fine di evitare che le cose vadano male, ma non sa
mai esattamente che cosa accadrebbe se le cose effettivamente andassero
male.
Il “worry” è dunque un fenomeno cognitivo
e completamente mentale, senza alcun correlato fisiologico. Questo punto
discrimina tra “worry” e ansia in maniera
operativa e non semplicemente terminologica poiché, come sopra riportato,
per “worry” patologico si intende uno
stato in cui l’arousal fisiologico dell’ansia
addirittura si raffredda. In definitiva, il termine “rimuginio”
è da preferirsi a “preoccupazione” per rendere “worry”,
poiché riesce sia ad esprimere sia la natura cognitiva del “worry”,
sia a rimarcare la differenza tra “worry”
e “anxiety”, e verrà quindi da questo momento adottato senza
virgolette.
In questo lavoro passiamo in rassegna la letteratura
psicopatologica cognitiva riguardante il rimuginio
ansioso, focalizzandoci sui fattori antecedenti e predisponenti del
rimuginio, sugli scopi consapevoli attribuiti dal soggetto
rimuginante al proprio rimuginio, sui rapporti
tra rimuginio e ansia e tra rimuginio
e perfezionismo, e sui più diffusi ed affidabili strumenti di misurazione
del rimuginio.
Fattori
predisponenti e scopi del rimuginio
Il rimuginio è facilitato da stati
di eccessiva vigilanza, di attenzione selettiva
verso gli stimoli sia esterni che interni (percettivi ed emozionali)
minacciosi, di maggiore presenza nella memoria a lungo termine di informazioni
negative e/o minacciose (Mathews, 1990). È
difficile stabilire se questi fenomeni siano
effettivamente degli antecedenti del rimuginio,
o semplicemente accompagnino l’insorgere del rimuginio
e ne siano quindi semplicemente un aspetto. MacLeod
e Mathews (1988) hanno mostrato che la vigilanza intensa è una
caratteristica tipica dei soggetti ansiosi e rimuginatori
anche quando il loro stato mentale non sia ansioso. Questo risultato
pesa a favore dell’ipotesi dell’ipervigilanza
come antecedente.
Il rimuginio è stimolato non solo
dagli stati mentali che lo precedono, ma anche dagli scopi positivi
ad esso consapevolmente attribuiti dal soggetto rimuginatore
stesso (Borkovec et al., 1998). In altre parole,
il soggetto tenderebbe ad attribuire al rimuginare delle funzioni positive, degli scopi vantaggiosi, ed in tal modo rafforzerbbe il rimuginio e spiegherebbe
a se stesso la sua tendenza a rimuginare.
Il primo scopo positivo attribuito
al rimuginio è l’attenuazione di uno stato
d’animo immediatamente sgradevole, e cioè l’ansia somatica, l'arousal
neuropsichico delle emozioni negative. Borkovec et al.
(1993) sono riusciti a mostrare una correlazione tra l’ammontare di
pensiero verbale astratto e il grado di soppressione fisiologica. Anche
le immagini evocate nel rimuginio sono comunque
meno vivide e concrete di quelle che si generano nell’attività mentale
non rimuginativa (Borkovec e Inz, 1990; Stöber, 1997). Anche altri studi hanno mostrato questa correlazione tra attività
rimuginativa e controllo e raffreddamento degli aspetti cardiovascolari
e somatici dell’ansia (Mathews, 1990; Parkinson
e Rachman, 1981; Smith, 1984; Gray, 1982)
In secondo luogo, il rimuginio può
essere scambiato per una strategia efficace di soluzione dei problemi.
Infatti il rimuginio è comunque una
attività mentale, sia pure povera e ripetitiva, e come tale può essere
confusa con il pensiero produttivo. Molti ansiosi, quando rimuginano,
ritengono di stare affrontando il problema. In realtà si tratta di una
strategia fallace e vuota. Secondo Eysenck
(1992), nel rimuginio ad una fase di “alarm”,
in cui la minaccia è avvertita, ed ad una fase di “prompt” in cui essa
è individuata e definita, succederebbe una fase di
elaborazione di piani di gestione del pericolo (“internal
task models”). Tuttavia, affinché la terza fase sia efficace, sarebbe
necessario che il soggetto preoccupato cessi almeno parzialmente di
rimuginare, poiché un buon grado di concretezza nella
elaborazione mentale delle informazioni è cruciale nella formulazione
di piani efficaci (Schöpflung, 1989). Nel rimuginio
patologico, mancando questo aspetto, si determinerebbe
proprio la mancata elaborazione di piani efficaci. Di conseguenza, la
minaccia non sparisce, ed il rimuginio permane,
riducendo il pensiero alla funzione di soppressione dell’ansia. Tuttavia,
nel soggetto permarrebbe la sensazione, fallace ed errata, di pensare
e quindi di risolvere e di affrontare il problema.
In altri casi, invece, c’è l’ipotesi del cosiddetto “scudo
emozionale” (emotional shield).
In questo caso il soggetto ansioso giustifica il proprio rimuginio
in maniera differente. Egli è ben consapevole dello scarso valore concreto
delle sue preoccupazioni per la concreta soluzione dei suoi timori.
Tuttavia egli ritiene che preoccuparsi sia comunque
giusto, poiché è pur sempre meglio non farsi sorprendere dai guai, soprattutto
se li ritiene inevitabili. Si parla di “scudo emozionale”, quindi, perché
il soggetto ansioso sembra ritenere che, mantenendosi in uno stato di
semi-allerta (appunto lo stato di preoccupazione rimuginante), egli
soffrirà di meno e/o si spaventerà di meno quando poi l’oggetto delle
sue preoccupazioni finalmente si realizzerà. Insomma in terapia i clienti
affetti da un problema di rimuginio
potrebbero riferire che “anche se rimuginare non serve a risolvere i
problemi, esso può servire a sopportarli meglio quando arrivano!”
In terzo luogo, il rimuginio può essere ritenuto una strategia di distrazione da preoccupazioni
ancora peggiori. I soggetti rimuginatori mostrano
una rete di associazioni di eventi previsti
negativi molto più ricca dei non rimuginatori
(Vasey e Borkovec, 1992). Essi “vedono”
molti più possibili guai e disgrazie nell’ambiente circostante dei non
rimuginatori e inoltre prevedono strati successivi
di guai e catastrofi gerarchicamente ordinate. In altre parole, ad esempio
dietro il timore di avere incertezze durante una prestazione sociale
si celano i timori ben più catastrofici di fallire l’intera prestazione,
di essere considerato socialmente incapace in generale, di subire emarginazione
o ostracismo sociale, di subire danni materiali (ad esempio mancate
promozioni lavorative, mancati avanzamenti di stipendio, essere accantonati
in posti di scarsa soddisfazione o responsabilità o addirittura perdita
del posto di lavoro) e affettivi (perdita della stima del partner, crisi
del rapporto, fine del rapporto, ecc.) Secondo Borkovec
et al. (1998), i soggetti rimuginatori si
concentrano ripetitivamente sui primi anelli della catena catastrofica
anche per distogliere l’attenzione dai timori più catastrofici e ben
più carichi emotivamente. Questo costrutto po’ essere cosciente, e i
rimuginatori durante il trattamento cognitivo
potrebbero quindi riferire che “rimugino per distrarmi da preoccupazioni
ancora peggiori, o da ricordi dolorosi”. A onor del vero, non vi sono dimostrazioni conclusive di questa
ipotesi, se non l’esperienza clinica. Tuttavia, vi sono indizi a favore
di questa ipotesi. Ad esempio i soggetti DAG
sono dei soggetti con una storia anamnestica
più ricca di eventi traumatici (morte e malattie di persone care) e difficoltà
interpersonali, e tuttavia nel loro rimuginio
tenderebbero a preoccuparsi piuttosto per eventi meno catastrofici e
definitivi (Roemer, Molina
e Borkovec, 1997; Roemer, Molina, Litz e Borkovec, 1997).
Un’altra possibilità, proveniente dalla nostra personale
esperienza clinica, è quella che abbiamo denominato rimuginio
ascopico. Esso si verifica
laddove il soggetto in terapia riferisce di non avere idea del perché
egli rimugini sempre. Il rimuginio ascopico
è una teoria naif che considera il rimuginio
come una sorta di impulso. Per la nostra esperienza
clinica, il rimuginio ascopico
è particolarmente presente in soggetti con lunga storia di malattia
ed è quindi un riflesso di un impoverimento cognitivo. Sebbene a nostra
conoscenza non ci sia letteratura su questo argomento,
osserviamo che questa possibilità è teoricamente implicata nella ipotesi
della intrinseca povertà cognitiva dei rimuginatori,
e in particolare dei rimuginatori di tipo
ansioso. Per definizione, il soggetto rimuginatore
ideale elabora poco o niente le informazioni sia interne che esterne.
Nessuna meraviglia, quindi, che esistano soggetti
che riferiscano di non sapere perché rimuginino.
Riassumendo, gli scopi e le ragioni, sia positivi
che negativi esplicitamente attribuiti dal soggetto ansioso al proprio
rimuginare potrebbero essere:
- tranquillizzazione, raffreddamento dell’ansia somatica (“ci
penso tanto, ma sono meno agitato”)
- soluzione dei problemi (“ci penso tanto per risolvere
la causa delle mie preoccupazioni”)
- distrazione da guai ancora peggiori (“Mi serve a non
pensare a cose ancora peggiori”)
- scudo emozionale, preparazione al peggio (“Così
i guai non arriveranno senza che me lo aspetti, e mi spaventerò e/o
soffrirò di meno”)
- rimuginio ascopico (“non
serve a niente, ma non riesco a non farlo”)
Meta-rimuginio, ovvero convinzioni negative sul rimuginio
Gli scopi del rimuginio non esauriscono
tutte le possibili convinzioni consapevoli che il soggetto ansioso può
nutrire nei confronti del rimuginio stesso.
Wells (2000) ha esaminato un secondo gruppo di convinzioni,
che solo parzialmente coincidono con quelle finora passate in rassegna.
Questo autore le ha raggruppate in due categorie principali, la categoria
delle convinzioni positive e la categoria delle
convinzioni negative sul rimuginio. Sulle
convinzioni positive Wells ha aggiunto poco a
quanto sostenuto da altri autori. Le convinzioni positive
infatti coincidono largamente con la convinzione del rimuginio
come strumento di soluzione dei problemi o di gestione delle situazioni.
Tuttavia, sebbene Wells non ne faccia cenno,
anche gli altri scopi consapevoli del rimuginio
elencati nella sezione precedente possono entrare a far parte delle
convinzioni positive sul rimuginio. Di suo, Wells ha aggiunto l’importante osservazione clinica che, quando
il soggetto ansioso attribuisce al rimuginio
una funzione positiva, questa credenza può
contribuire a mantenere e rinforzare il rimuginio.
Accanto alle positive, Wells elenca anche le convinzioni negative sul rimuginio. Queste convinzioni sono denominate da Wells anche meta-worry (metarimuginio), poiché queste convinzioni negative dei soggetti
ansiosi sulla natura e sulle funzioni della loro attività mentale rimuginativi
possono diventare a loro volta oggetto di rimuginio.
Nel metarimuginio il soggetto sostanzialmente
si preoccupa pervasivamente
sulle ragioni del suo rimuginare, rimugina sul rimuginio.
Wells suddivide le convinzioni negative sul rimuginio
in due categorie principali. Nella prima rientrano le convinzioni di
pericolosità e incontrollabilità del rimuginio.
Il soggetto ansioso si concepisce come una persona non più in grado
di controllare la propria attività mentale rimuginativa
e ritiene di essere un soggetto ad alto rischio di
impazzimento. Nella seconda rientrano sia convinzioni di tipo
autosvalutativo, in cui la tendenza a preoccuparsi
in maniera esagerata ed inappropriata viene
interpretata come segno di debolezza e mancanza di carattere, sia convinzioni
di colpa e aspettative di punizione, in cui la tendenza a rimuginare
viene vissuta come possibile causa di eventi negativi per sé e/o per
gli altri, e quindi si accompagna a sentimenti di colpa. Il rimuginio
può essere concepito dal soggetto sia come possibile causa concreta
di pericoli e danni per sé e/o per gli altri (danni creati dalla perdita
di efficienza e/o di sanità mentale determinata
dal rimuginio stesso), sia come causa magica
e superstiziosa (pensare ai guai può determinarne la realizzazione).
È evidente la somiglianza tra il metarimuginio negativo di Wells
e il nostro concetto di rimuginio ascopico.
Ma vi sono anche differenze. Nel metarimuginio
negativo l’accento è posto soprattutto sulle possibili conseguenze negative
del rimuginiare, mentre nel rimuginio
ascopico l’accento è posto soprattutto sulla
tendenza a vivere il rimuginio come un agente
subito, estraneo e pervasivo e quindi di
insensato.
Rimuginio, ansia e perfezionismo
Riconsiderando il rimuginio secondo
il modello teorico cognitivo dell’ansia (Sassaroli
e Ruggiero, 2002), possiamo osservare che i suoi scopi terminali siano riconducibili ad alcuni costrutti cognitivi tipici dell’ansia
(Davey, 1994; Zebb
e Beck, 1998). Come nell'ansia, nel rimuginio predominano soprattutto le previsioni negative di
possibili eventi futuri o le valutazioni negative di
eventi passati. Sia i soggetti ansiosi che i rimuginatori
restringono la loro attenzione verso le possibili conseguenze negative
degli eventi (Williams et al., 1997; Mathews,
1990; 1993; 1997). Come i soggetti ansiosi, anche i rimuginatori
posseggono una rete di associazioni di eventi
previsti negativi molto più ampia e più ricca dei non rimuginatori
(Vasey e Borkovec,
1992). Sia l’ansia che il rimuginio condividono
una tendenza al pensiero astratto e povero di dettagli concreti. La
variabile ‘dettaglio’ è inversamente correlata con la severità dell’ansia
(Watts, McKenna,
Sharrock e Tresize,
1986). La vividità della rappresentazione
mentale e la ricchezza di dettaglio aumentano dopo il trattamento dell’ansia
e del rimuginio (Borkovec e Sides, 1979).
Nel rimuginio si trova
una elevata intolleranza verso l'incertezza e un orientamento
emozionale verso i problemi (Dugas et al.,
1997). E' anche vero che altri studi hanno mostrato che nell'ansia vi
è una maggiore tendenza alla confusione e alla depressione emotiva rispetto
al rimuginio, e una minore attitudine al problem
solving (Zebb e
Beck, 1998). Tuttavia, è possibile che questa differenza sia
attribuibile all'aspetto compensativo del rimuginio
nei confronti dell'ansia. Inoltre, abbiamo visto che il problem
solving del rimuginatore
è in realtà poco produttivo e tende all'astratto. Quindi il rimuginio e le distorsioni
cognitive dell'ansia sembrano indicare lo stesso fenomeno però esplorato
da due differenti vertici osservativi, fenomenologico nel primo caso
e cognitivo nel secondo. Ancora, Borkovec
et al. (1998) notano come il rimuginio sia
al tempo stesso ruminazione di valutazioni e previsioni negative, ma
anche strategia di evitamento di previsioni e valutazioni
ancora peggiori, per la sua natura di evento mentale non acuto. Anche questa caratteristica conferma che il rimuginatore è un soggetto con una particolare tendenza alla
valutazione negativa degli eventi, ed è quindi affetto dalle distorsioni
cognitive tipiche dell'ansia. Il rimuginare appare essere sia l’espressione
fenomenologica delle distorsioni cognitive dell'ansia che
una strategia di gestione dell'ansia, sia pure parziale poiché il soggetto
non riesce ad uscire fuori dalle sue distorsioni
cognitive ansiogene. Anzi, al tempo stesso il rimuginio
è anche un fattore di rafforzamento e di mantenimento delle distorsioni
cognitive ansiose. Esso non è una struttura cognitiva formale, ma un
comportamento mentale reale, un impegno concreto del soggetto che si
autorafforza e si autorigenera
continuamente.
Troviamo il rimuginio anche nelle
formulazioni del DSM-IV dei disturbi d’ansia o nelle analisi cognitive
dei disturbi d’ansia del DSM-IV. Il rimuginio
è l’aspetto centrale della definizione del DSM-IV del DAG, ma anche
dell’analisi cognitiva del DAG delineata da Wells
(1995; 1997; 2001). Dal punto di vista empirico, i soggetti DAG
riportano più convinzioni positive sul rimuginio dei controlli (Borkovec
e Roemer, 1995). Il rimuginio
inoltre gioca un ruolo nel modello cognitivo del disturbo da attacchi
di panico di Wells
(2001) e nella fobia sociale secondo Clark
e Wells (2000) e nell’analisi cognitiva della
vergogna e dell’imbarazzo di Miller (2001). Ma il rimuginio non rimane sempre e del tutto identico a se stesso
nei vari disturbi. Infatti i soggetti affetti
da DAG appaiono più propensi a nutrire convinzioni negative sul rimuginio rispetto a quelli affettiva fobia sociale o da disturbo
da attacchi di panico, mentre non vi sono differenze significative sulle
convinzioni positive (Wells e Carter, 2001).
Il metarimuginio negativo sembra essere quindi
specifico del DAG.
Il rimugino è connesso anche con un
altro costrutto ansioso, il perfezionismo. Il perfezionismo è stato
definito da Frost, Marten,
Lahart e Rosenblate (1990) come
la tendenza a porsi obiettivi eccessivamente elevati e soprattutto il
timore dell’errore, cioè l’incapacità di ammettere
imperfezioni ed incertezze la tendenza ad interpretare ogni minima discrepanza
dall’obiettivo iniziale come segno di fallimento globale. Anche il soggetto
patologicamente perfezionista, quando si trova in uno stato di
ansia elevata a casa della sua eccessiva paura di sbagliare,
mostra un grado elevato di perfezionismo (Stöber e Joorman, 2001).
Rimuginio
patologico e rimuginio normale
Naturalmente, anche i soggetti non affetti
da disturbi ansiosi rimuginano. Tuttavia, in anni recenti, gli studi
sul rimuginio hanno per lo più sottolineato
le differenze tra rimuginio patologico e rimuginio normale. I rimuginatori
patologici (che sarebbero poi quelli provvisti di una diagnosi di disturbo
d’ansia generalizzato) differirebbero dai rimuginatori
normali (senza diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato) per le seguenti
caratteristiche: rimuginano su un maggior numero di problemi (Roemer, Molina e Borkovec, 1997), banalmente ma significativamente passano
più tempo a rimuginare (Craske, Rapee,
Jackel e Barlow,
1989), tendono a rimuginare su problemi oggettivamente meno gravi e
meno evidentemente pericolosi (Roemer et al.,
1997) e sono meno pronti a collegare il loro rimuginio
ad un evento esterno scatenante (Craske et
al., 1989). Inoltre i rimuginatori patologici
hanno una distorsione patologica verso i possibili problemi scatenanti
un rimuginio (MacLeod, Mathews e Tata, 1986), una tendenza a rimuginare anche su
argomenti neutri e/o ambigui, cioè non immediatamente
ansiogeni (Eysenck, Mogg,
May, Richards e Mathews, 1991) e mostrano una minore variabilità della frequenza
cardiaca (Thayer, Friedman
e Borkovec, 1996).
Tuttavia,
altri dati vanno invece nella direzione opposta: vi sono anche delle
continuità tra rimuginio patologico e rimuginio
normale. Secondo Ruscio, Borkovec
e Ruscio (2001) solo un quinto dei soggetti
che riportano alti livelli di rimuginio
mostrano anche una diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato, e manca
ancora un studio che dimostri definitivamente se il rimuginio
sia una variabile dimensionale (e quindi tra rimuginio
patologico e normale ci sarebbe un continuum) o categoriale
(e quindi rimugino patologico e normale costituirebbero due caselle
concettuali distinte e separate). Questi autori hanno anche notato che
il 28% circa di un largo campione di studenti riportavano valori di
gravità del rimuginio paragonabili a soggetti affetti da disturbo d’ansia
generalizzato e il 6% di loro addirittura mostravano la diagnosi conclamata
(di qui l’ipotesi che nei campioni di controllo degli studi sul rimuginio vi sia una percentuale di rimuginatori patologici oscillante tra 6% e 28%). Inoltre,
il 31% dei soggetti normali del loro campione aveva
un punteggio maggiore del valore cut-off di 56 del Penn
State Worry Questionnaire,
il golden standard dei questionari sul rimuginio.
Lo studio di Ruscio et al. (2001) finiva per
concludere che il rimuginio è un
fenomeno dimensionale e che la differenza tra rimuginio
normale patologico è solo quantitativa e non qualitativa. Secondo un
altro recente studio (Szabo e Lovibond,
2002) nei soggetti normali gli episodi rimuginativi sarebbero per lo
più costituiti da problem solving,
e quindi da pensiero produttivo e non a rigore da rimuginio.
Tuttavia, nel 17% dei casi risarebbero predizioni ripetitive sul futuro
(quindi vero e proprio rimuginio ansioso)
e nell’11% dei casi ruminazioni pessimistiche sul passato o il
presente (rimuginio depressivo).
Rimuginio
ansioso (worry) e ruminazione depressiva (rumination)
Il rimuginio è presente non solo
nei disturbi d’ansia, ma anche nella depressione (Nolen-Hoeksema,
Parker e Larson,
1994; Starkevic, 1995). Il rimuginio depressivo
è in gran parte simile al rimuginio ansioso,
un fenomeno mentale caratterizzato da una forte prevalenza di pensiero
negativo. Tuttavia, vi sono delle differenze, che a volte queste differenze
sono state ritenute così importanti da giusrificare
perfiono una differente termine per
denominare il rimuginio depressivo. “rumination” piuttosto che “worry”
(Fresco, Frankel, Mennin,
Turk e Heimberg, 2002).
Le differenze tra “worry” e “rumination” riguardano sia il contenuto cognitivo che la
struttura formale. Il contenuto del rimuginio
depressivo è, naturalmente, più legato al ricordo e l’interpretazione
negativa di fatti passati piuttosto che a previsioni negative di possibili
disgrazie future. Anche i soggetti ansiosi
possono rievocare fatti passati negativi, ma non si tratta di lunghe
e dolorose ruminazioni. Nei soggetti ansiosi le informazioni minacciose
e negative depositate nella memoria a lungo termine tenderebbero a presentarsi
alla coscienza sotto forma di pensieri improvvisi ed intrusivi piuttosto
che di rievocazione volontaria, come pare accada nei depressi (Mathews, 1990). Questa ipotesi è confermata
da confronti tra soggetti ansiosi e controlli hanno mostrato come i
due gruppi non differiscano in esprimenti di rievocazione di memorie
minacciose e negative (Watts, Trezise
e Sharrock, 1986; Christianson
e Loftus, 1987; Pikles
e van den Broek,
1988; Mogg, Mathews
e Weinman, 1987). Il soggetto ansioso, quindi, a differenza
del depresso, tenderebbe a non elaborare in maniera complessa le informazioni
negative riguardanti il passato (Williams et al.,
1988) e tenderebbe verso uno stile di pensiero particolarmente povero
e realmente ripetitivo, nel senso che il soggetto tenderebbe a non argomentare
il suo pessimismo e a non ancorarlo ad esperienze passate, ma semplicemente
a dichiararlo a se stesso in maniera ripetitiva. L’analogia con la povertà
di contenuto informativo del rimuginio ansioso
ipotizzata da Borkovec è fortissima. In base
ai risultati della ricerca, invece, nel rimuginio
depressivo ci sarebbe un maggiore contenuto informativo ed argomentativo.
In altre parole, a differenza dell’ansioso il depresso quando rimugina
tenderebbe a sostenere con argomenti articolati e complessi il proprio
pessimismo. Questo dato è stato confermato anche da Nolen-Hoeksema
(1998) e da Fresco, Frankel, Mennin,
Turk e Heimberg
(2002). Tuttavia segnaliamo che è stato smentito da Blagden e Craske (1996) e da Segerstrom, Tsao, Alden e Craske (2000) che invece
non hanno riscontrato questa ricchezza di pensiero nella ruminazione
depressiva.
Strumenti di misurazione
del rimuginio
Il rimuginio viene
studiato e misurato soprattutto utilizzando questionari autosomministrati.
I principali strumenti di misurazione del rimuginio sono i seguenti.
Penn State Worry Questionnaire (PSWQ, Meyer et al.,
1990). Un questionario con 16 item che misura
la semplice tendenza a rimuginare. I soggetti devono rispondere
su una scala Likert a 5 punti. I punteggi
più elevati indicano una maggiore tendenza a rimuginare. E’ una scala
che possiede buona stabilità misurata con tecnica test-retest
e affidabilità (buona coerenza interna). Discrimina efficacemente soggetti
normali da soggetti affetti da GAD, mentre non correla con altri strumenti
che misurano l’ansia. Quest’ultimo dato potrebbe essere spiegato considerando
che il rimuginio non è
riconducibile all’ansia (Beck, Stanley
e Zebb, 1995; Brown,
Antony e Barlow, 1992; Fresco, Heimberg, Mennin e Turk, 2002; Meyer et al., 1990).
Worry Domain Questionnaire
(WDQ, Tallis, Eysenck
e Mathews, 1992). Un questionario con 30 item
che fornisce i punteggi di 7 scale. Ogni scala
misura altrettanti possibili temi del rimuginio:
1) relazioni interpersonali, 2) carenza di
fiducia, 3) mancanza di scopi futuri, 4) incompetenza sul lavoro, 5)
preoccupazioni finanziarie, 6) preoccupazioni di salute e 7) preoccupazioni
sociopolitiche. I soggetti devono riportare, su una scala
Likert a 5 punti. I punteggi più elevati indicano una maggiore
tendenza a rimuginare su un certo tema. Affidabilità e stabilità sono
risultate soddisfacenti. Anche questo
test discriminava particolarmente i soggetti affetti da GAD daui controlli. Le preoccupazioni riportate dai soggetti GAD
riguardavano le prime 6 scale, senza che nessuna spiccasse sulle altre.
I soggetti di controllo, invece, tendevano a riportare punteggi più
elevati sulla settima scala, il rimuginio
sociopolitico (Tallis,
Eysenck e Mathews, 1991, 1992). Il risultato potrebbe essere plausibile.
È ragionevole ritenere che soggetti non affetti
da un disturbo di ansia tendano a rimuginare su problemi di tipo sociale
o politico. Eysenck (1992, p. 103), invece,
in maniera più disincatata ha supposto una
distorsione in questa risposta del campione di controllo, determinata
da uno scopo di desiderabilità sociale. I soggetti di controlli avrebbero
voluto fare una “bella figura” mostrando che la loro preoccupazione
peggiore fosse la situazione sociopolitica del mondo piuttosto che eventuali preoccupazioni
finanziare (arriverò a fine mese con questo
stipendio?), interpersonali o di salute.
Metacognitions Questionnaire (MQ, Cartwright-Hatton e Wells, 1997).
Un questionario con 65 item che fornisce
i punteggi di 5 scale. Ogni scala misura altrettanti possibili temi
metacognitivi riguardanti credenze positive
o negative su varie modalità di pensiero, tra le quali il rimuginio.
Le scale sono: 1) credenze positive sul rimuginio; 2) credenze negative sul rimuginio
di incontrollabilità e pericolo; 3) mancanza di fiducia nelle proprie
capacità cognitive; 4) credenze negative sul rimuginio,
includenti credenze di punizione, colpa e responsabilità; 5) tendenza
alla consapevolezza cognitiva, inclusa la tendenza a metarimuginare.
Le scale 1, 2, 4 e 5 sono tutte, direttamente o indirettamente, misure
del rimuginio. Le caratteristiche psicometriche
sono adeguate (Wells, 2000). Anche
questa scala, come le altre, è particoarmente
efficace nel discriminare soggetti affetti da GAD. Ha un forte valore
clinico, poiché valuta le convinzioni del soggetto verso il rimuginio.
Lo psicoterapeuta ha un concreto vantaggio ad usarla, potendo appoggiare
su di essa un intervento cognitivo mirato sulle credenze del soggetto
verso il rimuginare.
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