La psicopatologia cognitiva del rimuginio


Cerca nel web, nel sito, nei siti amicicerca

Google
 

La psicopatologia cognitiva del rimuginio (worry)

Sandra Sassaroli Giovanni Maria Ruggiero

Studi Cognitivi

Scuola di psicoterapia cognitiva

Centro di ricerca via Montebello 27 20121 Milano

tel.: 02 6570350 fax: 02 29011569

e-mail: studi.cognitivi@tin.it

Indirizzo per la corrispondenza: Dott.ssa Sandra Sassaroli, “Studi Cognitivi”, via Montebello 27, 20121 Milano. e-mail: sandras@tin.it


Abstract

Research and theoretical speculation on worry during the past 20 years has grown considerably. A great deal has been learned about its nature, function, and origins. This paper reviews the amount of knowledge produced since the early 1980s. Worry is a cognitive process, a negatively affect-laden and relatively uncontrollable chain of thoughts and images. It is in relation to anxiety and particularly to the generalized anxiety disorder. Worry is a maintaining factor for anxiety, via both psychosomatic and cognitive processes. The cognitive processes are the negative and positive beliefs of the worrying subject towards the worry itself (meta-worry). Many studies have shown the clinical importance of worry.

 

La ricerca e la speculazione teorica sul rimuginio è cresciuta considerevolmente negli ultimi venti anni. Molto si è appreso sulla sua natura, funzioni e origini. Questo lavoro passa in rassegna la letteratura scientifica prodotta dai primi anni ’80. Il rimuginio è un processo mentale caratterizzato da un catena di pensieri negativi relativamente incontrollabili. Esso è fortemente correlato con i disturbi d’ansia, e in particolare con il disturbo d’ansia generalizzato. Il rimuginio costituisce un fattore di mantenimento per l’ansia stessa, attraverso i suoi correlati psicosomatici e cognitivi. I fattori cognitivi sono le convinzioni positive e negative nutrite dal soggetto rimuginatore sul rimuginio stesso (meta-rimuginio). Molti studi sperimentali hanno confermato l’importanza clinica del rimuginio.

Key-words: worry, rumination, anxiety, phobia, perfectionism


Caratteristiche del rimuginio

Il rimuginio è stato introdotto nel campo della psicopatologia cognitiva dagli studi di Borkovec (Borkovec e Inz, 1990; Borkovec, Lyonfields, Wiser e Diehl, 1993; Borkovec, Ray e Stöber, 1998) come fenomeno mentale che si accompagna all’ansia e ne contribuisce al mantenimento e all’aggravamento. In seguito ha attratto crescente interesse ed attenzione, fino ad essere inserito come criterio diagnostico principale del disturbo d’ansia generalizzato nel DSM-IV (APA, 1994). Infine è stato oggetto di studio come componente clinica importante anche di altri disturbi d’ansia (Barlow, Blanchard, Vermylea, Vermylea e DiNardo, 1986; Borkovec, 1994; Brown, Antony e Barlow, 1992).

Questo lavoro passa in rassegna la letteratura cognitiva riguardante il rimuginio. Sono stati usati motori di ricerca telematici (MED-LINE e PSYCHINFO) e sono stati consultati alcuni autorevoli volumi sull'argomento (Clark e Fairburn, 1997; Davey e Tallis, 1994; Spielberger e Sarason, 1989; Wells, 1997, 2000; Williams, Watts, MacLeod, Mathews, 1997). Le parole chiave scelte sono state inizialmente worry e rumination. Esse in un secondo momento sono state incrociate con anxiety, phobia e perfectionism.

Al di fuori del mondo scientifico di lingua inglese, forse al rimuginio non è stata ancora dedicata tutta l’attenzione che merita. Una possibile ragione potrebbe essere che in inglese il rimuginio viene reso il più delle volte con “worry”, termine che in italiano letteralmente si traduce con “preoccupazione” piuttosto che con “rimuginio”.

La predilezione per il termine “worry” potrebbe aver contribuito a discostare l’attenzione dei clinici non anglo-sassoni dalla novità del concetto. Mentre il termine italiano “rimuginio” suggerisce espressivamente quella che è la caratteristica fondamentale di questo fenomeno clinico, la sua ripetitività e la sua capacità pervasiva di occupare lo spazio mentale, il termine “preoccupazione” è certamente meno espressivo, un semplice sinonimo che sembra indicare un grado meno severo di ansia. Ma il “worry”, almeno nella concezione di Borkovec, non è semplicemente un corrispondente subclinico dell’ansia, quanto piuttosto un fenomeno clinico a sé stante, sicuramente apparentato in maniera stretta con l’ansia ma da non confondersi del tutto con essa.

La confusione ingenerata dalla traduzione inappropriata di worry con preoccupazione si può toccare con mano leggendo la traduzione italiana dei criteri diagnostici del disturbo d’ansia generalizzato nel DSM-IV. Nella versione inglese il termine worry sta ad indicare appunto il rimuginio come componente centrale di questo disturbo. La versione italiana banalizza la definizione rendendo worry appunto con preoccupazione. Infatti leggiamo che  “la caratteristica essenziale del disturbo d’ansia generalizzato è la presenza di ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano per la maggior parte del tempo per almeno 6 mesi, nei riguardi di una quantità di eventi o attività (Criterio A). L’individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione (Criterio B)” (APA, 1994; trad. italiana, 2002). Salta all’occhio che sostenere che il soggetto ansioso sia un individuo preoccupato è tautologico.

Vediamo ora perché il termine “rimuginio” è più appropriato per tradurre “worry”. Secondo la più articolata delle definizioni date da Borkovec (in Borkovec et al, 1998), le caratteristiche peculiari del “worry”  sono tre: 1) la predominanza del pensiero verbale di valore negativo; 2) l’evitamento cognitivo; 3) l’inibizione della processazione emotiva.

Il primo punto chiarifica che nel “worry” predomina quantitativamente il tempo dedicato a predizioni, dal ricco connotato emozionale ansioso, di possibili eventi negativi futuri. Questa attività mentale sarebbe prevalentemente di tipo verbale, e coinvolgerebbe poco l’immaginazione visiva (Freeston, Dugas e Ladoucer, 1996; Molina, Borkovec e Peasley, 1998). Borkovec e Inz (1990) avevano dimostrato che sia soggetti normali sia soggetti affetti da disturbo d’ansia generalizzato (DAG) mostravano, durante stati di rimuginio indotto, quantità prevalenti di pensiero verbale rispetto all’immaginazione visiva. Invece, durante stati di rilassamento, i soggetti normali riportavano una prevalenza di immaginazione visiva, mentre i soggetti DAG riportavano in ogni modo una pari quantità di pensiero verbale ed immaginazione visiva.

Ora, secondo Borkovec sarebbe proprio questa caratteristica, l’abbondanza di pensiero verbale, che farebbe del “worry” qualcosa di più di un semplice componente dell’ansia. Il “worry” sarebbe piuttosto un vero e proprio processo potenzialmente psicopatogeno dell'ansia e del DAG. Borkovec et al. (1998) giustificano teoricamente questa ipotesi rimarcando come Vrana, Cuthbert e Lang (1986) abbiano dimostrato che il pensiero verbale che riguarda materiale emozionalmente carico (come possono essere previsioni negative sul futuro) stimola una risposta cardiovascolare molto meno forte dell’immaginazione visiva vivida. Inoltre, le persone (anche non ansiose) tenderebbero spontaneamente ad usare la verbalizzazione come una strategia di gestione dell’ansia e di disimpegno da materiale emozionale troppo carico ed in grado di evocare sgradevoli risposte del simpatico (Tucker e Newman, 1981).

L’isolamento neurofisiologico del sistema cognitivo-verbale permetterebbe quindi la gestione razionale delle emozioni, poiché conferirebbe alle persone la possibilità di considerare non impulsivamente qual è la risposta più appropriata al pericolo incombente o al problema. Quindi preoccuparsi, rimuginare, porsi in uno stato di semi-allerta che è differente sia dalla rilassatezza propria dello stati di tranquillità sia dalla tensione estrema dello stato di ansia acuto è uno stato che si può definire adattativo, almeno finché non si è presa una decisione operativa.

Tuttavia lo stato di “worry” può determinare anche stati maladattativi in cui l’inibizione protratta della processazione emozionale determinerebbe, a lungo andare, una persistenza delle stesse emozioni sgradevoli. Questo stato, che è il rimuginio patologico propriamente detto, sarebbe caratterizzato dalla ripetizione mentale persistente dei termini del problema, unito a predizioni catastrofiche legate al problema che preoccupa il soggetto ed a una incapacità di scegliere con decisione un piano operativo di risposta al pericolo e di soluzione al problema, in quanto che il soggetto tende a giudicare ogni soluzione come insufficiente e non risolutiva.

È precisamente quanto accade nel DAG e nei disturbi d’ansia in generale. Il soggetto più che preoccuparsi rimugina, ripete mentalmente a se stesso che le cose stanno andando male o che qualcosa di brutto potrebbe capitare da un momento all’altro, ma lo fa con una singolare mancanza di modulazione e di dettaglio (Williams, Watts, MacLeod e Mathews., 1997). L'agente minaccioso e temuto, interno o esterno che sia, è immaginato dal soggetto ansioso e rimuginatore in maniera statica e astratta al tempo stesso, come pietrificato in una terrifica postura di attacco. Vi è quindi una grave carenza di immaginazione e fantasia nella predizione di vari scenari dinamici in cui l'agente minaccioso interagisca con il soggetto ansioso, con varie strategie di attacco, difesa, ritirata, compromesso, danno parziale, e così via. La minaccia è invece vissuta sempre o tendenzialmente come in grado di portare un unico attacco irresistibile, definitivo, catastrofico e sostanzialmente irreversibile e irreparabile. In che misura e in che cosa consista precisamente questa irreparabilità del danno, il soggetto in realtà non è poi probabilmente in grado di rappresentarselo con chiarezza. Ma è proprio questa indeterminatezza che attribuisce all'agente minaccioso tutta la sua elevata carica ansiogena e terrifica.

Nella letteratura scientifica le evidenze a supporto di questa ipotesi sono varie. Per quanto riguarda il pensiero rappresentazionale, Watts, Sharrock e Tresize (1986) hanno dimostrato come la variabile 'dettaglio' del loro strumento di valutazione delle immaginazioni fobiche fosse inversamente correlato con la gravità dello stato fobico. Coerentemente, la vividità, cioè la ricchezza di dettaglio, aumenterebbe durante i trattamenti di desensibilizzazione negli ansiosi (Borkovec e Sides, 1979) e nelle persone in lutto quando il loro grado di rimuginio sul defunto diminuisse (Parkes, 1972). Anche per quanto riguarda il pensiero verbale sono stati trovati risultati simili. Infatti i soggetti sofferenti di fobia canina sono in grado di elencare un minor numero di razze canine dei non fobici (Landau, 1980) e gli ossessivi mostrano un vocabolario limitato nella descrizione di temi ossessivi come la contaminazione o il timore di sbagliare (Persons e Foa, 1984; Reed 1969a, 1969b). Secondo Williams et al., (1997, pp. 180-181) anche i risultati delle ricerche sui costrutti personali presenti in varie patologie ansiose o a elevata componente ansiosa (per una rassegna esaustiva vedi Button, 1983) dimostrano che nell'ansia vi è una peculiare indifferenziazione e mancanza di precisione nella processazione cognitiva. Inoltre altri studi hanno mostrato come gli ansiosi soffrano di un restringimento dell'attenzione e del pensiero verso le conseguenze più negative immaginabili, senza mai uno spostamento verso stimoli positivi o verso valutazioni meno minacciose degli eventi temuti (Williams et al., 1997; Mathews, 1990; 1993). Questo modello è applicabile sia al DAG (Eysenck, 1992) che alle fobie (Öhman, 1993; Öhman e Soares, 1993, 1994). Anche il modello dei sottosistemi cognitivi interattivi di Teasdale (1993; 1996; 1997) assume che nell'ansia entri in azione uno stile cognitivo differente da quello analitico tipico degli stati di calma. Questo stile sarebbe di minore contenuto cognitivo e di maggiore espressività emotiva. In altre parole, l'ansioso pensa che qualcosa andrà male e soprattutto teme fortemente di non farcela, ma non si rappresenta esattamente il danno.

Dunque il “worry” è lo stile di pensiero tipico dei soggetti ansiosi, ed è caratterizzato da una forte predominanza di pensieri ripetitivi negativi, se non catastrofici (Borkovec et al., 1998). Il rimuginio è caratterizzato proprio da uno scarso livello di concretezza (Eysenck, 1992; Stöber e Borkovec, 2002) e dalla mancata elaborazione di piani di coping efficaci (Schönpflug, 1989). In esso prevalgono valutazioni di tipo verbale astratto, mentre l'immaginazione visiva di scenari dinamici è quantitativamente meno presente (Borkovec e Inz, 1990; Freeston et al., 1996; Molina et al, 1998). Perfino quando è presente si tratta di una immaginazione poco vivida (Borkovec e Inz, 1990; Stöber, 1997). Clinicamente, il rimuginio è la autoripetizione continua e ossessiva del timore del danno irreparabile con scarsa rappresentazione di scenari concreti. In breve, il soggetto ansioso e rimuginatore ha sempre paura che le cose potrebbero andare male, ritiene di dover tenere tutto sotto controllo al fine di evitare che le cose vadano male, ma non sa mai esattamente che cosa accadrebbe se le cose effettivamente andassero male.

Il “worry” è dunque un fenomeno cognitivo e completamente mentale, senza alcun correlato fisiologico. Questo punto discrimina tra “worry” e ansia in maniera operativa e non semplicemente terminologica poiché, come sopra riportato, per “worry” patologico si intende uno stato in cui l’arousal fisiologico dell’ansia addirittura si raffredda. In definitiva, il termine “rimuginio” è da preferirsi a “preoccupazione” per rendere “worry”, poiché riesce sia ad esprimere sia la natura cognitiva del “worry”, sia a rimarcare la differenza tra “worry” e “anxiety”, e verrà quindi da questo momento adottato senza virgolette.

In questo lavoro passiamo in rassegna la letteratura psicopatologica cognitiva riguardante il rimuginio ansioso, focalizzandoci sui fattori antecedenti e predisponenti del rimuginio, sugli scopi consapevoli attribuiti dal soggetto rimuginante al proprio rimuginio, sui rapporti tra rimuginio e ansia e tra rimuginio e perfezionismo, e sui più diffusi ed affidabili strumenti di misurazione del rimuginio.

Fattori predisponenti e scopi del rimuginio

Il rimuginio è facilitato da stati di eccessiva vigilanza, di attenzione selettiva verso gli stimoli sia esterni che interni (percettivi ed emozionali) minacciosi, di maggiore presenza nella memoria a lungo termine di informazioni negative e/o minacciose (Mathews, 1990). È difficile stabilire se questi fenomeni siano effettivamente degli antecedenti del rimuginio, o semplicemente accompagnino l’insorgere del rimuginio e ne siano quindi semplicemente un aspetto. MacLeod e Mathews (1988) hanno mostrato che la vigilanza intensa è una caratteristica tipica dei soggetti ansiosi e rimuginatori anche quando il loro stato mentale non sia ansioso. Questo risultato pesa a favore dell’ipotesi dell’ipervigilanza come antecedente.

Il rimuginio è stimolato non solo dagli stati mentali che lo precedono, ma anche dagli scopi positivi ad esso consapevolmente attribuiti dal soggetto rimuginatore stesso (Borkovec et al., 1998). In altre parole, il soggetto tenderebbe ad attribuire al rimuginare delle funzioni positive, degli scopi vantaggiosi, ed in tal modo rafforzerbbe il rimuginio e spiegherebbe a se stesso la sua tendenza a rimuginare.

Il primo scopo positivo attribuito al rimuginio è l’attenuazione di uno stato d’animo immediatamente sgradevole, e cioè l’ansia somatica, l'arousal neuropsichico delle emozioni negative. Borkovec et al. (1993) sono riusciti a mostrare una correlazione tra l’ammontare di pensiero verbale astratto e il grado di soppressione fisiologica. Anche le immagini evocate nel rimuginio sono comunque meno vivide e concrete di quelle che si generano nell’attività mentale non rimuginativa (Borkovec e Inz, 1990; Stöber, 1997). Anche altri studi hanno mostrato questa correlazione tra attività rimuginativa e controllo e raffreddamento degli aspetti cardiovascolari e somatici dell’ansia (Mathews, 1990; Parkinson e Rachman, 1981; Smith, 1984; Gray, 1982)

In secondo luogo, il rimuginio può essere scambiato per una strategia efficace di soluzione dei problemi. Infatti il rimuginio è comunque una attività mentale, sia pure povera e ripetitiva, e come tale può essere confusa con il pensiero produttivo. Molti ansiosi, quando rimuginano, ritengono di stare affrontando il problema. In realtà si tratta di una strategia fallace e vuota. Secondo Eysenck (1992), nel rimuginio ad una fase di “alarm”, in cui la minaccia è avvertita, ed ad una fase di  “prompt” in cui essa è individuata e definita, succederebbe una fase di elaborazione di piani di gestione del pericolo (“internal task models”). Tuttavia, affinché la terza fase sia efficace, sarebbe necessario che il soggetto preoccupato cessi almeno parzialmente di rimuginare, poiché un buon grado di concretezza nella elaborazione mentale delle informazioni è cruciale nella formulazione di piani efficaci (Schöpflung, 1989). Nel rimuginio patologico, mancando questo aspetto, si determinerebbe proprio la mancata elaborazione di piani efficaci. Di conseguenza, la minaccia non sparisce, ed il rimuginio permane, riducendo il pensiero alla funzione di soppressione dell’ansia. Tuttavia, nel soggetto permarrebbe la sensazione, fallace ed errata, di pensare e quindi di risolvere e di affrontare il problema.

In altri casi, invece, c’è l’ipotesi del cosiddetto “scudo emozionale” (emotional shield). In questo caso il soggetto ansioso giustifica il proprio rimuginio in maniera differente. Egli è ben consapevole dello scarso valore concreto delle sue preoccupazioni per la concreta soluzione dei suoi timori. Tuttavia egli ritiene che preoccuparsi sia comunque giusto, poiché è pur sempre meglio non farsi sorprendere dai guai, soprattutto se li ritiene inevitabili. Si parla di “scudo emozionale”, quindi, perché il soggetto ansioso sembra ritenere che, mantenendosi in uno stato di semi-allerta (appunto lo stato di preoccupazione rimuginante), egli soffrirà di meno e/o si spaventerà di meno quando poi l’oggetto delle sue preoccupazioni finalmente si realizzerà. Insomma in terapia i clienti affetti da un problema di rimuginio potrebbero riferire che “anche se rimuginare non serve a risolvere i problemi, esso può servire a sopportarli meglio quando arrivano!”

In terzo luogo, il rimuginio può essere ritenuto una strategia di distrazione da preoccupazioni ancora peggiori. I soggetti rimuginatori mostrano una rete di associazioni di eventi previsti negativi molto più ricca dei non rimuginatori (Vasey e Borkovec, 1992). Essi “vedono” molti più possibili guai e disgrazie nell’ambiente circostante dei non rimuginatori e inoltre prevedono strati successivi di guai e catastrofi gerarchicamente ordinate. In altre parole, ad esempio dietro il timore di avere incertezze durante una prestazione sociale si celano i timori ben più catastrofici di fallire l’intera prestazione, di essere considerato socialmente incapace in generale, di subire emarginazione o ostracismo sociale, di subire danni materiali (ad esempio mancate promozioni lavorative, mancati avanzamenti di stipendio, essere accantonati in posti di scarsa soddisfazione o responsabilità o addirittura perdita del posto di lavoro) e affettivi (perdita della stima del partner, crisi del rapporto, fine del rapporto, ecc.) Secondo Borkovec et al. (1998), i soggetti rimuginatori si concentrano ripetitivamente sui primi anelli della catena catastrofica anche per distogliere l’attenzione dai timori più catastrofici e ben più carichi emotivamente. Questo costrutto po’ essere cosciente, e i rimuginatori durante il trattamento cognitivo potrebbero quindi riferire che “rimugino per distrarmi da preoccupazioni ancora peggiori, o da ricordi dolorosi”. A onor del vero, non vi sono dimostrazioni conclusive di questa ipotesi, se non l’esperienza clinica. Tuttavia, vi sono indizi a favore di questa ipotesi. Ad esempio i soggetti DAG sono dei soggetti con una storia anamnestica più ricca di eventi traumatici (morte e malattie di persone care) e difficoltà interpersonali, e tuttavia nel loro rimuginio tenderebbero a preoccuparsi piuttosto per eventi meno catastrofici e definitivi (Roemer, Molina e Borkovec, 1997; Roemer, Molina, Litz e Borkovec, 1997).

Un’altra possibilità, proveniente dalla nostra personale esperienza clinica, è quella che abbiamo denominato rimuginio ascopico. Esso si verifica laddove il soggetto in terapia riferisce di non avere idea del perché egli rimugini sempre. Il rimuginio ascopico è una teoria naif che considera il rimuginio come una sorta di impulso. Per la nostra esperienza clinica, il rimuginio ascopico è particolarmente presente in soggetti con lunga storia di malattia ed è quindi un riflesso di un impoverimento cognitivo. Sebbene a nostra conoscenza non ci sia letteratura su questo argomento, osserviamo che questa possibilità è teoricamente implicata nella ipotesi della intrinseca povertà cognitiva dei rimuginatori, e in particolare dei rimuginatori di tipo ansioso. Per definizione, il soggetto rimuginatore ideale elabora poco o niente le informazioni sia interne che esterne. Nessuna meraviglia, quindi, che esistano soggetti che riferiscano di non sapere perché rimuginino.

Riassumendo, gli scopi e le ragioni, sia positivi che negativi esplicitamente attribuiti dal soggetto ansioso al proprio rimuginare potrebbero essere:

  1. tranquillizzazione, raffreddamento dell’ansia somatica (“ci penso tanto, ma sono meno agitato”)
  2. soluzione dei problemi (“ci penso tanto per risolvere la causa delle mie preoccupazioni”)
  3. distrazione da guai ancora peggiori (“Mi serve a non pensare a cose ancora peggiori”)
  4. scudo emozionale, preparazione al peggio (“Così i guai non arriveranno senza che me lo aspetti, e mi spaventerò e/o soffrirò di meno”)
  5. rimuginio ascopico (“non serve a niente, ma non riesco a non farlo”)

Meta-rimuginio, ovvero convinzioni negative sul rimuginio

Gli scopi del rimuginio non esauriscono tutte le possibili convinzioni consapevoli che il soggetto ansioso può nutrire nei confronti del rimuginio stesso. Wells (2000) ha esaminato un secondo gruppo di convinzioni, che solo parzialmente coincidono con quelle finora passate in rassegna. Questo autore le ha raggruppate in due categorie principali, la categoria delle convinzioni positive e la categoria delle convinzioni negative sul rimuginio. Sulle convinzioni positive Wells ha aggiunto poco a quanto sostenuto da altri autori. Le convinzioni positive infatti coincidono largamente con la convinzione del rimuginio come strumento di soluzione dei problemi o di gestione delle situazioni. Tuttavia, sebbene Wells non ne faccia cenno, anche gli altri scopi consapevoli del rimuginio elencati nella sezione precedente possono entrare a far parte delle convinzioni positive sul rimuginio. Di suo, Wells ha aggiunto l’importante osservazione clinica che, quando il soggetto ansioso attribuisce al rimuginio una funzione positiva, questa credenza può contribuire a mantenere e rinforzare il rimuginio.

Accanto alle positive, Wells elenca anche le convinzioni negative sul rimuginio. Queste convinzioni sono denominate da Wells anche meta-worry (metarimuginio), poiché queste convinzioni negative dei soggetti ansiosi sulla natura e sulle funzioni della loro attività mentale rimuginativi possono diventare a loro volta oggetto di rimuginio. Nel metarimuginio il soggetto sostanzialmente si preoccupa pervasivamente sulle ragioni del suo rimuginare, rimugina sul rimuginio.

Wells suddivide le convinzioni negative sul rimuginio in due categorie principali. Nella prima rientrano le convinzioni di pericolosità e incontrollabilità del rimuginio. Il soggetto ansioso si concepisce come una persona non più in grado di controllare la propria attività mentale rimuginativa e ritiene di essere un soggetto ad alto rischio di impazzimento. Nella seconda rientrano sia convinzioni di tipo autosvalutativo, in cui la tendenza a preoccuparsi in maniera esagerata ed inappropriata viene interpretata come segno di debolezza e mancanza di carattere, sia convinzioni di colpa e aspettative di punizione, in cui la tendenza a rimuginare viene vissuta come possibile causa di eventi negativi per sé e/o per gli altri, e quindi si accompagna a sentimenti di colpa. Il rimuginio può essere concepito dal soggetto sia come possibile causa concreta di pericoli e danni per sé e/o per gli altri (danni creati dalla perdita di efficienza e/o di sanità mentale determinata dal rimuginio stesso), sia come causa magica e superstiziosa (pensare ai guai può determinarne la realizzazione). È evidente la somiglianza tra il metarimuginio negativo di Wells e il nostro concetto di rimuginio ascopico. Ma vi sono anche differenze. Nel metarimuginio negativo l’accento è posto soprattutto sulle possibili conseguenze negative del rimuginiare, mentre nel rimuginio ascopico l’accento è posto soprattutto sulla tendenza a vivere il rimuginio come un agente subito, estraneo e pervasivo e quindi di insensato.

Rimuginio, ansia e perfezionismo

Riconsiderando il rimuginio secondo il modello teorico cognitivo dell’ansia (Sassaroli e Ruggiero, 2002), possiamo osservare che i suoi scopi terminali siano riconducibili ad alcuni costrutti cognitivi tipici dell’ansia (Davey, 1994; Zebb e Beck, 1998). Come nell'ansia, nel rimuginio predominano soprattutto le previsioni negative di possibili eventi futuri o le valutazioni negative di eventi passati. Sia i soggetti ansiosi che i rimuginatori restringono la loro attenzione verso le possibili conseguenze negative degli eventi (Williams et al., 1997; Mathews, 1990; 1993; 1997). Come i soggetti ansiosi, anche i rimuginatori posseggono una rete di associazioni di eventi previsti negativi molto più ampia e più ricca dei non rimuginatori (Vasey e Borkovec, 1992). Sia l’ansia che il rimuginio condividono una tendenza al pensiero astratto e povero di dettagli concreti. La variabile ‘dettaglio’ è inversamente correlata con la severità dell’ansia (Watts, McKenna, Sharrock e Tresize, 1986). La vividità della rappresentazione mentale e la ricchezza di dettaglio aumentano dopo il trattamento dell’ansia e del rimuginio (Borkovec e Sides, 1979).

Nel rimuginio si trova una elevata intolleranza verso l'incertezza e un orientamento emozionale verso i problemi (Dugas et al., 1997). E' anche vero che altri studi hanno mostrato che nell'ansia vi è una maggiore tendenza alla confusione e alla depressione emotiva rispetto al rimuginio, e una minore attitudine al problem solving (Zebb e Beck, 1998). Tuttavia, è possibile che questa differenza sia attribuibile all'aspetto compensativo del rimuginio nei confronti dell'ansia. Inoltre, abbiamo visto che il problem solving del rimuginatore è in realtà poco produttivo e tende all'astratto. Quindi il rimuginio e le distorsioni cognitive dell'ansia sembrano indicare lo stesso fenomeno però esplorato da due differenti vertici osservativi, fenomenologico nel primo caso e cognitivo nel secondo. Ancora, Borkovec et al. (1998) notano come il rimuginio sia al tempo stesso ruminazione di valutazioni e previsioni negative, ma anche strategia di evitamento di previsioni e valutazioni ancora peggiori, per la sua natura di evento mentale non acuto. Anche questa caratteristica conferma che il rimuginatore è un soggetto con una particolare tendenza alla valutazione negativa degli eventi, ed è quindi affetto dalle distorsioni cognitive tipiche dell'ansia. Il rimuginare appare essere sia l’espressione fenomenologica delle distorsioni cognitive dell'ansia che una strategia di gestione dell'ansia, sia pure parziale poiché il soggetto non riesce ad uscire fuori dalle sue distorsioni cognitive ansiogene. Anzi, al tempo stesso il rimuginio è anche un fattore di rafforzamento e di mantenimento delle distorsioni cognitive ansiose. Esso non è una struttura cognitiva formale, ma un comportamento mentale reale, un impegno concreto del soggetto che si autorafforza e si autorigenera continuamente.

Troviamo il rimuginio anche nelle formulazioni del DSM-IV dei disturbi d’ansia o nelle analisi cognitive dei disturbi d’ansia del DSM-IV. Il rimuginio è l’aspetto centrale della definizione del DSM-IV del DAG, ma anche dell’analisi cognitiva del DAG delineata da Wells (1995; 1997; 2001). Dal punto di vista empirico, i soggetti DAG riportano più convinzioni positive sul rimuginio dei controlli (Borkovec e Roemer, 1995). Il rimuginio inoltre gioca un ruolo nel modello cognitivo del disturbo da attacchi di panico di Wells (2001) e nella fobia sociale secondo Clark e Wells (2000) e nell’analisi cognitiva della vergogna e dell’imbarazzo di Miller (2001). Ma il rimuginio non rimane sempre e del tutto identico a se stesso nei vari disturbi. Infatti i soggetti affetti da DAG appaiono più propensi a nutrire convinzioni negative sul rimuginio rispetto a quelli affettiva fobia sociale o da disturbo da attacchi di panico, mentre non vi sono differenze significative sulle convinzioni positive (Wells e Carter, 2001). Il metarimuginio negativo sembra essere quindi specifico del DAG.

Il rimugino è connesso anche con un altro costrutto ansioso, il perfezionismo. Il perfezionismo è stato definito da Frost, Marten, Lahart e Rosenblate  (1990) come la tendenza a porsi obiettivi eccessivamente elevati e soprattutto il timore dell’errore, cioè l’incapacità di ammettere imperfezioni ed incertezze la tendenza ad interpretare ogni minima discrepanza dall’obiettivo iniziale come segno di fallimento globale. Anche il soggetto patologicamente perfezionista, quando si trova in uno stato di ansia elevata a casa della sua eccessiva paura di sbagliare, mostra un grado elevato di perfezionismo (Stöber e Joorman, 2001).

Rimuginio patologico e rimuginio normale

Naturalmente, anche i soggetti non affetti da disturbi ansiosi rimuginano. Tuttavia, in anni recenti, gli studi sul rimuginio hanno per lo più sottolineato le differenze tra rimuginio patologico e rimuginio normale. I rimuginatori patologici (che sarebbero poi quelli provvisti di una diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato) differirebbero dai rimuginatori normali (senza diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato) per le seguenti caratteristiche: rimuginano su un maggior numero di problemi (Roemer, Molina e Borkovec, 1997), banalmente ma significativamente passano più tempo a rimuginare (Craske, Rapee, Jackel e Barlow, 1989), tendono a rimuginare su problemi oggettivamente meno gravi e meno evidentemente pericolosi (Roemer et al., 1997) e sono meno pronti a collegare il loro rimuginio ad un evento esterno scatenante (Craske et al., 1989). Inoltre i rimuginatori patologici hanno una distorsione patologica verso i possibili problemi scatenanti un rimuginio (MacLeod, Mathews e Tata, 1986), una tendenza a rimuginare anche su argomenti neutri e/o ambigui, cioè non immediatamente ansiogeni (Eysenck, Mogg, May, Richards e Mathews, 1991) e mostrano una minore variabilità della frequenza cardiaca (Thayer, Friedman e Borkovec, 1996).

Tuttavia, altri dati vanno invece nella direzione opposta: vi sono anche delle continuità tra rimuginio patologico e rimuginio normale. Secondo Ruscio, Borkovec e Ruscio (2001) solo un quinto dei soggetti che riportano alti livelli di rimuginio mostrano anche una diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato, e manca ancora un studio che dimostri definitivamente se il rimuginio sia una variabile dimensionale (e quindi tra rimuginio patologico e normale ci sarebbe un continuum) o categoriale (e quindi rimugino patologico e normale costituirebbero due caselle concettuali distinte e separate). Questi autori hanno anche notato che il 28% circa di un largo campione di studenti riportavano valori di gravità del rimuginio paragonabili a soggetti affetti da disturbo d’ansia generalizzato e il 6% di loro addirittura mostravano la diagnosi conclamata (di qui l’ipotesi che nei campioni di controllo degli studi sul rimuginio vi sia una percentuale di rimuginatori patologici oscillante tra 6% e 28%). Inoltre, il 31% dei soggetti normali del loro campione aveva un punteggio maggiore del valore cut-off di 56 del Penn State Worry Questionnaire, il golden standard dei questionari sul rimuginio. Lo studio di Ruscio et al. (2001) finiva per concludere che il rimuginio è un fenomeno dimensionale e che la differenza tra rimuginio normale patologico è solo quantitativa e non qualitativa. Secondo un altro recente studio (Szabo e Lovibond, 2002) nei soggetti normali gli episodi rimuginativi sarebbero per lo più costituiti da problem solving, e quindi da pensiero produttivo e non a rigore da rimuginio. Tuttavia, nel 17% dei casi risarebbero predizioni ripetitive sul futuro (quindi vero e proprio rimuginio ansioso) e nell’11% dei casi ruminazioni pessimistiche sul passato o il presente (rimuginio depressivo).

Rimuginio ansioso (worry) e ruminazione depressiva (rumination)

Il rimuginio è presente non solo nei disturbi d’ansia, ma anche nella depressione (Nolen-Hoeksema, Parker e Larson, 1994; Starkevic, 1995). Il rimuginio depressivo è in gran parte simile al rimuginio ansioso, un fenomeno mentale caratterizzato da una forte prevalenza di pensiero negativo. Tuttavia, vi sono delle differenze, che a volte queste differenze sono state ritenute così importanti da giusrificare perfiono una differente termine per denominare il rimuginio depressivo. “rumination” piuttosto che “worry” (Fresco, Frankel, Mennin, Turk e Heimberg, 2002).

Le differenze tra “worry” e “rumination”  riguardano sia il contenuto cognitivo che la struttura formale. Il contenuto del rimuginio depressivo è, naturalmente, più legato al ricordo e l’interpretazione negativa di fatti passati piuttosto che a previsioni negative di possibili disgrazie future. Anche i soggetti ansiosi possono rievocare fatti passati negativi, ma non si tratta di lunghe e dolorose ruminazioni. Nei soggetti ansiosi le informazioni minacciose e negative depositate nella memoria a lungo termine tenderebbero a presentarsi alla coscienza sotto forma di pensieri improvvisi ed intrusivi piuttosto che di rievocazione volontaria, come pare accada nei depressi (Mathews, 1990). Questa ipotesi è confermata da confronti tra soggetti ansiosi e controlli hanno mostrato come i due gruppi non differiscano in esprimenti di rievocazione di memorie minacciose e negative (Watts, Trezise e Sharrock, 1986; Christianson e Loftus, 1987; Pikles e van den Broek, 1988; Mogg, Mathews e Weinman, 1987). Il soggetto ansioso, quindi, a differenza del depresso, tenderebbe a non elaborare in maniera complessa le informazioni negative riguardanti il passato (Williams et al., 1988) e tenderebbe verso uno stile di pensiero particolarmente povero e realmente ripetitivo, nel senso che il soggetto tenderebbe a non argomentare il suo pessimismo e a non ancorarlo ad esperienze passate, ma semplicemente a dichiararlo a se stesso in maniera ripetitiva. L’analogia con la povertà di contenuto informativo del rimuginio ansioso ipotizzata da Borkovec è fortissima. In base ai risultati della ricerca, invece, nel rimuginio depressivo ci sarebbe un maggiore contenuto informativo ed argomentativo. In altre parole, a differenza dell’ansioso il depresso quando rimugina tenderebbe a sostenere con argomenti articolati e complessi il proprio pessimismo. Questo dato è stato confermato anche da Nolen-Hoeksema (1998) e da Fresco, Frankel, Mennin, Turk e Heimberg (2002). Tuttavia segnaliamo che è stato smentito da Blagden e Craske (1996) e da Segerstrom, Tsao, Alden e Craske (2000) che invece non hanno riscontrato questa ricchezza di pensiero nella ruminazione depressiva.

 

Strumenti di misurazione del rimuginio

Il rimuginio viene studiato e misurato soprattutto utilizzando questionari autosomministrati. I principali strumenti di misurazione del rimuginio sono i seguenti.

Penn State Worry Questionnaire (PSWQ, Meyer et al., 1990). Un questionario con 16 item che misura la semplice tendenza a rimuginare. I soggetti devono rispondere su una scala Likert a 5 punti. I punteggi più elevati indicano una maggiore tendenza a rimuginare. E’ una scala che possiede buona stabilità misurata con tecnica test-retest e affidabilità (buona coerenza interna). Discrimina efficacemente soggetti normali da soggetti affetti da GAD, mentre non correla con altri strumenti che misurano l’ansia. Quest’ultimo dato potrebbe essere spiegato considerando che il rimuginio non è riconducibile all’ansia (Beck, Stanley e Zebb, 1995; Brown, Antony e Barlow, 1992; Fresco, Heimberg, Mennin e Turk, 2002; Meyer et al., 1990).

Worry Domain Questionnaire (WDQ, Tallis, Eysenck e Mathews, 1992). Un questionario con 30 item che fornisce i punteggi di 7 scale. Ogni scala misura altrettanti possibili temi del rimuginio: 1) relazioni interpersonali, 2) carenza di fiducia, 3) mancanza di scopi futuri, 4) incompetenza sul lavoro, 5) preoccupazioni finanziarie, 6) preoccupazioni di salute e 7) preoccupazioni sociopolitiche. I soggetti devono riportare, su una scala Likert a 5 punti. I punteggi più elevati indicano una maggiore tendenza a rimuginare su un certo tema. Affidabilità e stabilità sono risultate soddisfacenti. Anche questo test discriminava particolarmente i soggetti affetti da GAD daui controlli. Le preoccupazioni riportate dai soggetti GAD riguardavano le prime 6 scale, senza che nessuna spiccasse sulle altre. I soggetti di controllo, invece, tendevano a riportare punteggi più elevati sulla settima scala, il rimuginio sociopolitico (Tallis, Eysenck e Mathews, 1991, 1992). Il risultato potrebbe essere plausibile. È ragionevole ritenere che soggetti non affetti da un disturbo di ansia tendano a rimuginare su problemi di tipo sociale o politico. Eysenck (1992, p. 103), invece, in maniera più disincatata ha supposto una distorsione in questa risposta del campione di controllo, determinata da uno scopo di desiderabilità sociale. I soggetti di controlli avrebbero voluto fare una “bella figura” mostrando che la loro preoccupazione peggiore fosse la situazione sociopolitica del mondo piuttosto che eventuali preoccupazioni finanziare (arriverò a fine mese con questo stipendio?), interpersonali o di salute.

Metacognitions Questionnaire (MQ, Cartwright-Hatton e Wells, 1997). Un questionario con 65 item che fornisce i punteggi di 5 scale. Ogni scala misura altrettanti possibili temi metacognitivi riguardanti credenze positive o negative su varie modalità di pensiero, tra le quali il rimuginio. Le scale sono: 1) credenze positive sul rimuginio; 2) credenze negative sul rimuginio di incontrollabilità e pericolo; 3) mancanza di fiducia nelle proprie capacità cognitive; 4) credenze negative sul rimuginio, includenti credenze di punizione, colpa e responsabilità; 5) tendenza alla consapevolezza cognitiva, inclusa la tendenza a metarimuginare. Le scale 1, 2, 4 e 5 sono tutte, direttamente o indirettamente, misure del rimuginio. Le caratteristiche psicometriche sono adeguate (Wells, 2000). Anche questa scala, come le altre, è particoarmente efficace nel discriminare soggetti affetti da GAD. Ha un forte valore clinico, poiché valuta le convinzioni del soggetto verso il rimuginio. Lo psicoterapeuta ha un concreto vantaggio ad usarla, potendo appoggiare su di essa un intervento cognitivo mirato sulle credenze del soggetto verso il rimuginare.

Bibliografia

American Psychiatric Association (1994). Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders (4th ed.). Washington, D.C.: Author. Traduzione italiana (2002), DSM-IV-TR con casi clinici (cd-rom). Milano: Masson.

Barlow, D.H. (1988). Anxiety and its Disorders: The Nature and the Treatment of Anxiety and Panic. New York: Guilford.

Blagden, J. C. e Craske, M. G. (1996). Effects of active and passive rumination and distraction: A pilot replication with anxious mood. Journal of Anxiety Disorders, 10,243-252.

Borkovec, T.D. (1994). The nature, functions, and origins of worry. In G. Davey e F. Tallis (Eds.), Worrying: Perspectives on theory, assessment and treatment (pp. 5-33). Chichester, England: Wiley.

Borkovec, T.D. e Roemer, L. (1995). Perceived function of worry among generalized anxiety disorder subjects: Distraction from more emotional topics? Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 26, 25-30.

Borkovec, T.D. e Sides, J.K. (1979). The contribution of relaxation and expectancy to fear reduction via graded imaginal exposure to feared stimuli. Behaviour Research and Therapy, 17, 529-540.

Borkovec, T.D., e Inz, J. (1990). The nature of worry in generalized anxiety disorder: A predominance of thought activity. Behaviour Research and Therapy, 28, 153-158.

Borkovec, T.D., Lyonfields, J.D., Wiser, S.L., e Diehl, L. (1993). The role of worrisome thinking in the suppression of cardiovascular response to phobic imagery. Behaviour Research and Therapy, 31, 321-324.

Borkovec, T.D., Ray, W.J., e Stöber, J. (1998). Worry: A cognitive phenomenon intimately linked to affective, physiological, and interpersonal behavioral processes. Cognitive Therapy and Research, 22, 561-576.

Brown, A. (1987). Metacognition, executive control, self-regulation and other more mysterious mechanisms. In F.E. Winter e Kluve (Eds.), Metacogniton, Motivation and Understanding. Hillsdale, NJ: Erlbaum.

Button, E. (1983). Personal construct theory and psychological well-being. British Journal of Medical Psychology, 56, 323-327.

Christianson, S.A. e Loftus, E.F. (1987). Remembering emotional events : The fate of detailed information. Cognition and Emotion, 2, 81-108.

Clark, D.M. e Fairburn, C.G. (Eds.) (1997). Science and Practice of Cognitive Behaviour Therapy. Oxford: Oxford University Press.

Clark, D.M. e Wells, A. (1995). A cognitive model of social phobia. In R. Heimberg, M. Liebowitz, D.A. Hope e F.R. Schneier). New York: Guilford Press.

Craske, M.G.Rapee, R.M., Jackel, L. e Barlow, D.H. (1989). Qualitative dimensions of worry in DSM-III-R generalized anxiety disorder subjects and nonanxious control. Behaviour Research and Therapy, 27, 397-402.

Davey, G.L. (1994). Pathological worry as exacerbated problem solving. In G.L. Davey e F. Tallis (Eds.) Worrying: Perspectives on Theory (pp. 35-60). Chichester: John Wiley.

Davey, G.L. e Tallis, F. (Eds.) (1994). Worrying: Perspectives on Theory. Chichester: John Wiley.

Eysenck, M.W. (1992). Anxiety. The Cognitive Perspective. Hove, UK: Lawrence Erlbaum Associates LTD.

Eysenck, M.W., Mogg, K.,  May, J., Richards, A. e Mathews, A. (1991). Bias in interpretation of ambiguous sentences related to threat in anxiety, Journal of Abnormal Psychology, 100, 144-150.

Freeston, M.H., Dugas, M.J., e Ladoucer, R. (1996). Thoughts, Images, Worry, and Anxiety.. Cognitive Therapy and Research, 20, 265-273.

Fresco, D. M., Heimberg, R. G., Mennin, D. S. e Turk, C. L. (2002). Confirmatory factor analysis of the Penn State Worry Questionnaire. Behaviour Research and Therapy, 40, 313-323.

Fresco, D.M., Frankel, A.N., Mennin, D.S., Turk, C.L. e Heimberg, R.G. (2002). Distinct and overlapping features of rumination and worry: the relationship of cognitive production to negative affective states. Cognitive Therapy and Research, 26, 179-188.

Frost, R.O., Marten, P., Lahart, C. e Rosenblate, R. (1990). The dimensions of perfectionism. Cognitive Therapy and Research, 14, 449-468.

Gotlib, I.H., McLachlan, A.L. e Katz, A.N. (1988). Biases in visual attention in depressed and nondepressed individuals. Cognition and Emotion, 2, 185-200.

Gray, J.A. (1982). Precis of “The neurophysiology of anxiety: An enquiry into the functions of the septo-hippocampal system. Behavioral and Brain Sciences, 5, 469-534.

Landau, R.J. (1908). The role of semantic schemata in phobic word interpretation. Cognitive Therapy and Research, 4, 427-434.

MacLeod, C. e Mathews, A. (1988). Anxiety and the allocation of attention in to threat. Quarterly Journal of Experiential Psychology: Humanistic and Experiential Psychology, 38, 610-659.

MacLeod, C., Mathews, A. e Tata, P. (1986). Attentional biases in emotional disorders, Journal of Abnormal Psychology, 95, 15-20.

Mathews, A. (1990). Why worry? The cognitive function of anxiety. Behaviour Research and Therapy, 28, 455-468.

Mathews, A. (1993). Biases in processing emotional information. The Psychologist, 6, 493-499-468.

Mathews, A. (1997). Information-processing biases in emotional disorders. In D.M. Clark e C.G. Fairburn (Eds.), Science and Practice of Cognitive Behaviour Therapy, pp. 47-66. Oxford: Oxford University Press.

Miller (2001). Shyness and embarassment compared: Siblings in the service of social evaluation. In W.R. Crozier e L.E. Alden (Eds.) International Handbook of Social Anxiety (pp. 281-300). Chichester: John Wiley.

Mogg, K., Mathews, A. M., e Weinman, J. (1987). Memory bias in clinical anxiety. Journal of Abnormal Psychology, 96, 94-98.

Molina, S., Borkovec, T.D., e Peasley, (1998). Content analysis of worrisome streams of counsciousness in anxious and dysphoric participants. Cognitive Therapy and Research, 22, 109-123.

Nolen-Hoeksema, S. (1996). Chewing the cud and other ruminations. In R.S. Wyer (ed.), Advances in Social Cognition (pp. 135-144). Hillsdale, NJ: Erlbaum.

Öhman, A. (1993). Fear and anxiety as emotional phenomena: clinical phenomenology, evolutionary perspectives, and information processing mechanisms. In M. Lewis and J.M. Havilland (Eds.), Handbook of Emotions. New York: Gulford.

Öhman, A. and Soares, J.J.M. (1993). On the automaticity of phobic fear: conditioned skin conductance to masked phobic stimuli. Journal of Abnormal Psychology, 102, 121-132.

Öhman, A. e Soares, J.J.M. (1994). "Unconscious anxiety": phobic responses to masked stimuli. Journal of Abnormal Psychology, 103, 231-240.

Parkes, C.M. (1972). Bereavement: Studies of grief in adult life. London: Tavistock.

Parkes, C.M., Stevenson-Hinde, J. e Marris, P. (Eds.), Attachment Accross the Life Cycle. New York: Routledge.

Parkinson, L. e Rachman, S. (1981). The nature of intrusive thoughts. Advances in Behaviour Research and Therapy, 3, 101-110. 

Persons, J.B. e Foa, E.B. (1984). Processiotion of fearful and neutral information by obsessive-compulsives. Behaviour Research and Therapy, 22, 260-265.

Pikles, A.J. e van den Broek, M.D. (1988). Failure to replicate evidence for phobic schemata in agoraphobic patients. British Journal of Clinical Psychology, 27, 271-272.

Reed, G.F. (1969a). Under-inclusion – a characteristic of obsessional personality: I. British Journal of Psychiatry, 115, 781-785. 

Reed, G.F. (1969b). Under-inclusion – a characteristic of obsessional personality: II. British Journal of Psychiatry, 115, 787-790. 

Roemer, L., Molina, S., e Borkovec, T.D. (1997). An investigation of worry content among generally anxious individuals. Journal of Nervous and Mental Disease, 185, 314-319.

Roemer, L., Molina, S., Litz, B.T. e Borkovec, T.D. (1997). A preliminary investigation of the role of potentially traumatizing events in generalized anxiety disorder. Depression and Anxiety, 4, 134-138.

Ruscio, A.M., Borkovec, T.D. e Ruscio, J. (2001). A taxometric investigation of the latent structure  of worry. Journal of Abnormal Psychology, 3, 413-422.

Sassaroli, S. e Ruggiero G.M. (2002). I costrutti dell’ansia: Obbligo di controllo, perfezionismo patologico, pensiero catastrofico, autovalutazione negativa e intolleranza dell’incertezza. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 8, 45-60.

Schönpflug, W. (1989). Anxiety, worry, prospective orientation, and prevention. In C.D. Spielberger e I.G. Sarason (Eds.), Stress and Anxiety (pp. 245-258). Washington, DC: Hemisphere.

Segerstrom, S. C., Tsao, J. C. I., Alden, L. E. e Craske, M. G. (2000). Worry and rumination: Repetitive thought as a concomitant and predictor of negative mood. Cognitive Therapy and Research, 24, 671-688.

Smith, L.C. (1984). Semantic satiation affects category membership decision time but not lexical priming. Memory and Cognition, 12, 483-488.

Spielberger, C.D. e Sarason, I.G. (Eds.) (1989). Stress and Anxiety. Washington, DC: Hemisphere.

Starkevic, V. (1995). Pathological worry in major depression: A preliminary report. Behaviour Research and Therapy, 33, 55-56.

Stöber, J. (1997, November). Worry and problem elaboration: Reduced concreteness and imagery for worrisome topics. Paper presented at the annual meeting of the Association for the Advancement of Behavior Therapy, Miami.

Stöber, J. e Borkovec, T.D. (2002). Reduced concreteness of worry in generalized anxiety disorder: Findings from a therapy study. Cognitive Therapy and Research, 26, 89-96.

Stöber, J. e Joorman, J. (2001). Worry, procrastination, and perfectionism: ifferentiating amount of worry, pathological worry, anxiety, and depression. Cognitive Research and Therapy, 25, 49-60.

Szabo, M. e Lovibond P.F. (2002). The Cognitive Content of Naturally Occurring Worry Episodes. Cognitive Research and Therapy, 26, 167-178.

Teasdale, J.D. (1993). Emotion and two kinds of meaning. Behaviour Research and Therapy, 31, 339-354.

Teasdale, J.D. (1996). Clinically relevant theory: integrating clinical insight with cognitive science. In P.M. Salkovskis (Ed.) Frontiers of Cognitive Therapy (pp. 26-47). New York: Guilford Press.

Teasdale, J.D. (1997). The relation between cognition and emotion: the mind-in-place in mood disorders. In D.M. Clark e C.G. Fairburn (Eds.) Science and Practice of Cognitive Behaviour Therapy (pp. 67-94). Oxford: Oxford University Press.

Thayer, J.F., Friedman, B.H. e Borkovec, T.D. (1996). Autonomic characteristics of generalized anxiety disorders and worry. Biological Psychiatry, 39, 255-266.

Tucker, D.M. e Newman,  J.P. (1981). Verbal versus imaginal cognitive cognitive strategies in the inhibition of emotional arousal. Cognitive Therapy and Research, 5, 197-202.

Vasey, M.W. e Borkovec, T.D., (1992). A catastrophizing assessment of worrisome thoughts. Cognitive Therapy and Research, 16, 1-16.

Vrana, S.R., Cuthbert, B.N., e Lang, P.J. (1986). Fear imagery and text processing. Psychophysiology, 23, 247-253.

Watts, F.N., Sharrock, R. e Tresize L. (1986). Detail and imagination in phobic imagery. Behavioural Psychotherapy, 14, 115-123.

Wells, A. (1995). Meta-cognition and worry: A cognitive model of generalized anxiety disorder. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 23, 301-320.

Wells, A. (1997). Cognitive Therapy of Anxiety Disorders: A Practice Manual and Conceptual Guide. Chichester: Wiley.

Wells, A. (2000). Emotional Disorders and Metacognition. Chichester: Wiley.

Wells, A. e Carter, K. (2001). Further Tests of a Cognitive Model of Generalized Anxiety Disorder: Metacognitions and Worry in GAD, Panic Disorder, Social Phobia, Depression, and Nonpatients, 32, 85-102.

Williams, J.M.G., Watts, F.N., MacLeod, C., e Mathews, A. (1997). Cognitive Psychology and Emotional Disorders, 2nd edn. Chichester: Wiley.

Zebb, B.J., e Beck, G.J. (1998). Worry versus anxiety. Is there really a difference? Behavior Modification, 22, 45-61.

 

Torna alla R      Torna all'alfabeto