Storiografia |
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Storiografia, il complesso degli scritti intenzionalmente storici, cioè delle opere composto allo scopo di raccogliere, esporre, spiegare, tramandare i fatti vicini o lontani nel tempo. Per secoli la s. fu concepita come opera anche (se non principalmente) letteraria; la preoccupazione formale ora fortissima, e sovente gli storici creavano vere pagine di poesia, ricche di drammaticità e dì pathos. Tra i grandi prosatori greci troviamo gli storici Erodoto, Tucidide e Senofonte; tra ì latini, Cesare, Sallustio, Livio, Tacito; e Cic., definiva la storiografia « opus oratorium maxime », cioè opera essenzialmente di eloquenza. Ancora nei primi secoli della letteratura italiana gli scrittori di cronache e di storie entravano di pieno diritto nella storia della letteratura: basterà citare Dino Compagni, i Villani, Machiavelli, Guicciardìni, Paolo Sarpì. Ala a partire dal sec. XVII si fece strada una concezione più scientifica della s., intesa come ricerca metodica dei documenti, come lavoro paziente di analisi al fine di accertare l'autenticità e 1' attendibilità delle testimonianze, come ricostruzione meditata del passato, così dìsseppellito e chiarificato, in base ad interessi mentali contemporanei. Lo storico moderno imparò a non più sacrificare la verità storica alla bella pagina. Più che il bello artistico, si volle il ripensamento originale. Inoltre nella a. fecero il loro ingresso settori prima trascurati. Infatti nell'antichità greco-romana, nel medioevo e nel rinascimento la storia era concepita e presentata come storia prammatica, nel duplice significato dell'agg. gr. pragmaticòs, «atto all'azione» e «politico»: a) come azione, cioè come mezzo per «agire» tra gli uomini, in sostegno di una tesi, o in difesa di una istituzione o di una religione, o per un fine morale; b) come storia essenzialmente politico-diplomatico-militare, cioè come racconto delle azioni dei grandi uomini che campeggiavano sulla scena, a detrimento dogli altri fattori storici. A partire dall'illuminismo, invece, la s. andò allargando i suoi interessi all'economia, alla finanza, alla demografia, ai problemi sociali, e (specie dal Romanticismo in poi) si preoccupò sempre più di chiarire il ruolo svolto nelle vicende storiche dalle classi inferiori. Così, ma per una crescente chiarificazione concettuale dei propri finì e metodi, sia per necessità pratiche, la s. venne acquistando la propria autonomia in seno alle altre attività dello spirito, e si liberò dai vincoli che sino a tutto il Rinascimento l'avevano legata e non di rado subordinata alla letteratura. Negli ultimi secoli infatti incontriamo sempre meno figure di storici nella storia della letteratura italiana, benché proprio negli ultimi duecento anni la ricerca storica abbia fatto in Italia un cammino grandioso. E coloro che vi incontriamo, o sono ricordati per il loro più generale influsso sulla cultura del loro tempo e dei tempi successivi (Muratori; Vico, benché questi interessi la teoria della s. più che la s. vera e propria; Cuoco), o sono degli storici-letterati (Botta, Colletta), fermi, nelle loro preoccupazioni formali, su posizioni di attardato umanesimo, e non certo rappresentanti degli indirizzi storiografici più aggiornati della loro epoca; o sono dei memorialisti, dei polemisti o dei politici in veste di storici (come sono tanti « storici » del periodo risorgimentale) i quali debbono il vigore letterario di non poche pagine alle loro « preoccupazioni pratiche », cioè alle loro passioni di parte; ciò che, per altro, rappresenta un dato negativo dal punto di vista storiografico. Così la s. è uscita dalla storia della letteratura: ma per costituire una storia che è ben sua, la storia della s., cioè la storia delle concezioni storiografiche, e della loro realizzazione negli scritti storici delle diverse epoche.
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