13. LA RESISTENZA DELLE FORZE ARMATE ALL'ESTERO 13.1. Per i tedeschi i soldati italiani sono "franchi tiratori" Il comportamento del governo Badoglio in occasione della firma dell'armistizio è tale da non lasciare scampo alle forze militari italiane. Secondo il generale Ambrosio "La preoccupazione principale di Badoglio fu quella di mantenere il segreto sulle trattative di armistizio presso gli enti periferici, anche a costo di inevitabili crisi e sacrifici (...). Il capo del governo metteva nelle previsioni la perdita di mezzo milione di uomini, facenti parte delle truppe di oltremare". Come vedremo la previsione sarà errata per difetto. Particolarmente significativa risulta, per la comprensione generale delle vicende, la collocazione ambigua in cui vengono a trovarsi le truppe italiane nei confronti dei tedeschi. I soldati italiani, in caso di resistenza, sarebbero stati trattati come "franchi tiratori", ovvero non avrebbero potuto contare sulle garanzie previste dalle convenzioni internazionali in caso di guerra. Tra l'8 settembre e il 16 ottobre, data della dichiarazione di guerra da parte del governo Badoglio alla Germania, esiste un vuoto formale che mette i soldati italiani alla mercé delle decisioni tedesche. Lo stesso generale Eisenhover è cosciente di questo rischio, tanto da farlo presente, nell'incontro di Malta del 29 settembre, al maresciallo Badoglio: "Desidero sapere se il governo italiano è a conoscenza delle condizioni fatte dai tedeschi ai prigionieri italiani in questo intervallo di tempo in cui l'Italia combatte la Germania senza averle dichiarato guerra" e che per questo erano passibili di fucilazione; alla risposta affermativa dell'interlocutore italiano, Eisenhover replica: "Dal punto di vista alleato la situazione può andare bene anche così, ma per difendere questi uomini, nel senso di farli divenire combattenti regolari, sarebbe assai più conveniente per l'Italia dichiarare guerra alla Germania...". Quando ciò avverrà, sarà ormai troppo tardi per la divisione Acqui e per migliaia di altri soldati italiani. Al processo di Norimberga, il punto di vista tedesco sarà esposto dall'avvocato Hans Laternser: "Con la resa del governo italiano, l'Italia cessò di essere un alleato del Reich tedesco. In quel momento non esisteva alcun stato di guerra fra Italia e Germania, quindi nessuna divisione italiana aveva il diritto di combattere contro le truppe tedesche, ed i soldati che lo fecero non potevano pretendere il riconoscimento dello stato giuridico di combattenti.... Il diritto di disarmare gli italiani derivava principalmente dal fatto che nel teatro di operazioni di un esercito, soltanto combattenti "legali" hanno il diritto, secondo le convenzioni internazionali, d'impugnare le armi. A tale riguardo le truppe italiane non possedevano più questo "status", dopo che il loro governo si era arreso agli anglo-americani". Da parte tedesca il trattamento dei soldati italiani era regolato da un ordine del 15 settembre firmato dal maresciallo Keitel, del Quartier generale tedesco, che al punto 3 prevede: "I soldati italiani che avessero resistito attivamente o passivamente, che o fossero alleati con il nemico o con le bande partigiane, o che avessero lasciato cadere le loro armi nelle mani degli insorti o che in qualsiasi modo avessero fatto causa comune con loro, dovevano ricevere il seguente trattamento: - Gli ufficiali devono essere fucilati dopo sommaria corte marziale. - I sottufficiali e gli uomini di truppa devono essere trasferiti all'Est per essere impiegati come lavoratori tramite il capo degli affari per i prigionieri di guerra presso il Comando supremo delle forze armate germaniche (...) Un ultimatum a breve scadenza deve essere inviato alle truppe italiane che oppongono ancora adesso resistenza.". 13.2. La reazione delle forze italiane all'estero all'annuncio dell'armistizio La notizia della firma dell'armistizio tra il governo italiano e il comando anglo-americano viene captata, come in Italia, alle ore 18 dell'8 settembre dai radiotelegrafisti dei reparti italiani di stanza fuori dei confini e comunicata rapidamente alle truppe e ai comandi. Le reazioni sono innanzitutto di sorpresa, perchè i soldati italiani, diversamente dai tedeschi, sono del tutto all'oscuro dell'evolversi della situazione italiana e del quadro generale del conflitto. A causa di una propaganda ottimistica le truppe restano disorientate, l'8 settembre, dalla genericità degli ordini pervenuti, di cessare le ostilità contro le forze anglo-americane e di reagire "ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza". Ovviamente prevalgono le reazioni di gioia per una guerra che sembra terminare, ma diversamente che in Italia, i reparti all'estero, che in genere hanno combattuto e operato fianco a fianco coi tedeschi, contro il comune nemico, in un territorio ostile, devono superare forti problemi di coscienza e scegliere se abbandonare (o "tradire") il più forte alleato o ribellarsi all'odiato tedesco, e porsi subito la questione del rimpatrio. Questo vale soprattutto per le truppe dislocate nei Balcani e nelle isole dell'Egeo, per le quali sarebbe stato necessario predisporre in tempo un piano per il rimpatrio, mettendo a disposizione gli indispensabili mezzi di trasporto ferroviario e navale. Alla Conferenza di Tarvisio del 7 agosto, il generale Ambrosio aveva proposto di far rientrare parte delle unità per rafforzare le difese sul territorio italiano, ma aveva ottenuto un netto rifiuto dai tedeschi. In molte situazioni, soprattutto dove i rapporti con gli abitanti sono più cordiali, la truppa si sbanda rapidamente, cercando ospitalità e protezione tra la popolazione locale e i comandi si trovano nell'impossibilità di assumere una qualsiasi iniziativa. Ma in genere i comandi sono costretti a rispondere alle rapide iniziative dei tedeschi, che sono invece da tempo preparati all'eventualità di un abbandono da parte dell'alleato. Così i tedeschi assumono il controllo della situazione dove vi è superiorità di forze, ritardando l'azione in attesa di rinforzi negli altri casi. Gli ufficiali italiani devono in pochissimo tempo prendere la decisione di accettare le promesse tedesche di rimpatrio in Italia oppure di resistere con le armi; le disposizioni operative impartite dal Comando supremo alle armate all'estero il 6 settembre, e successivamente dal governo italiano, riparato a Brindisi, per motivi legati soprattutto alle difficoltà di comunicazione, non vengono recepite dai comandi di settore, per cui la risposta alle iniziative tedesche sarà frutto di iniziative di singoli comandanti minori piuttosto che dei comandi stessi. Gli esempi di resistenza saranno numerosi e riveleranno un coraggio e uno spirito di sacrificio insospettabili per un esercito sconfitto e disperso come quello italiano. Certamente vi è in questa ribellione una risposta alle umiliazioni e alle prepotenze imposte dal più forte alleato nei mesi di guerra combattuti fianco a fianco; vi è la presa di distanza dai comportamenti tenuti dalle truppe di occupazione tedesche nei confronti delle popolazioni locali; vi è la volontà di riconquistare all'esercito italiano un onore militare perduto nelle recenti vicende italiane; oppure una ricerca di libertà e di protagonismo che anticipa di poco lo spirito della resistenza. 13.3. La situazione delle truppe italiane all'estero Tra il 1942 e il 1943 l'esercito italiano si è trovato impegnato su molteplici fronti, in seguito alle decisioni di Mussolini, con una notevole dispersione di forze. Anche dopo la fine della spedizione in Russia e il rimpatrio delle truppe combattenti in Nord-Africa, al momento dello sbarco degli alleati in Sicilia, nel luglio del '43, vi sono 49 divisioni in Francia e nei Balcani, di cui 33 di linea e 14 costiere, oltre a vari altri reparti, riunite in quattro comandi d'armata. Nelle settimane precedenti all'armistizio è iniziato il rimpatrio di alcune divisioni, in particolare del Comando d'armata di stanza in Francia, ma l'operazione è ancora in corso al momento dell'armistizio. In totale sono presenti circa 900.000 uomini tra i Balcani e la Francia, in particolare 230.000 in Provenza e in Corsica, 300.000 in Iugoslavia, 300.000 in Albania e in Grecia, 53.000 nell'Egeo. La dislocazione delle forze è, a grandi linee, la seguente: - la 4^ armata presiede la Francia meridionale, sorpresa dall'armistizio mentre è in corso il rientro in Italia attraverso i passi alpini, è attaccata dai tedeschi e si dissolve rapidamente, nonostante qualche tentativo di reazione; - la Corsica è occupata dal novembre del 1942 dal VII corpo d'armata; con l'armistizio giungono sull'isola reparti dell'armata francese; i soldati italiani, dopo aver subito l'iniziativa tedesca attorno a Bastia, riescono a liberare l'isola entro il 4 ottobre; - Venezia Giulia, Slovenia e parte della Dalmazia sono presidiate dalla 2^ armata, composta da otto divisioni e da due brigate costiere; - il Gruppo armate est, con sede di comando a Tirana, occupa parte dei Balcani: in particolare la 9^ armata con cinque divisioni è di stanza in Albania; in Dalmazia vi sono due divisioni e quattro in Montenegro, Croazia e Erzegovina; un'altra divisione assieme a truppe albanesi presidia il settore Scutari-Kossovo; si noti che il territorio albanese non era formalmente area di occupazione militare dell'Asse, per cui i movimenti effettuati dalle truppe tedesche subito dopo l'armistizio verso i porti albanesi, in Adriatico, diversamente dalla situazione greca, costituiva sicuramente atto ostile verso l'Italia, tuttavia essi non vennero contrastati dal comando italiano, nonostante il controllo delle installazioni portuali fosse vitale per un eventuale imbarco di truppe italiane verso i porti della Puglia, non solo per i reparti di stanza in Albania, ma per quelli dislocati in Montenegro e nella Grecia settentrionale; - la Grecia è occupata dall'11^ armata "mista" composta da 7 divisioni italiane e da 5 tedesche, con sede di comando ad Atene; essa dipendeva, fino al 28 luglio, dal Comando del Gruppo armate est con sede a Tirana, ma su richiesta tedesca venne resa autonoma; aveva uno stato maggiore operativo tedesco affiancato a quello italiano, ciò permetteva ai tedeschi di controllare tutte le iniziative dell'alleato, inoltre nelle settimane che precedono l'armistizio essi avevano avuto modo di infiltrare le vie di comunicazioni vitali, porti ed aeroporti soprattutto; al momento dell'armistizio le truppe italiane rimangono ferme e prive di iniziativa, mantenendo, tranne qualche eccezione, la distribuzione sparsa sul territorio, e quindi quasi sempre si ritrovano in condizione di inferiorità, mentre i tedeschi possono operare rapidamente con unità operative compatte e decise; - a Creta una divisione e una brigata italiana fanno parte del corpo d'armata tedesco; - il Dodecanneso e le Sporadi sono presidiate dal Comando superiore delle forze armate delle isole dell'Egeo, con sede a Rodi, composto da 2 divisioni italiane oltre ad una tedesca. Al momento dell'armistizio è in corso uno spostamento delle truppe verso le coste adriatiche e ioniche per facilitarne l'imbarco. Tuttavia le modalità in cui l'Italia giunge all'armistizio, ovvero senza aver diramato ai grandi reparti di stanza in Italia e all'estero, nei Balcani soprattutto, ordini precisi per predisporre le nostre truppe ad affrontare la scontata reazione dell'ormai ex alleato, fanno perdere quasi dappertutto l'iniziativa, anche dove i rapporti di forza sarebbero decisamente a nostro favore; inoltre i nostri comandi hanno l'obbligo di comunicare con due giorni di preavviso i movimenti di truppe ai tedeschi, che, da parte loro, si riservano sempre piena libertà di movimento. In questa situazione, bastano 48 ore ai tedeschi per disattivare la più importante struttura di comando italiano fuori del territorio nazionale, ovvero il Comando del Gruppo armate est di stanza in Albania. 13.4. Settori Venezia Giulia, Croazia e Dalmazia Per quanto riguarda il settore della 2^ armata, in Venezia Giulia, Croazia e Dalmazia, l'8 settembre le truppe italiane si trovano tra due fuochi: da una parte devono subire la reazione dei tedeschi, che sono appoggiati dagli ustascia croati di Ante Pavelic, dall'altra continuano gli attacchi dei partigiani di Tito. Il Comando di Lubiana viene immediatamente occupato dai tedeschi, mentre il generale Gambara, comandante dell'XI corpo di stanza a Lubiana, sorpreso dall'armistizio mentre è in viaggio da Roma, cerca di organizzare le truppe italiane nella zona di Fiume, ordinando alle divisioni Murge e Macerata di convergere sulla costa. Ricevuto l'ultimatum germanico, consegnare le armi in cambio del rimpatrio, il generale dà ordine di resistere agli attacchi dei partigiani di Tito, fino all'arrivo dei tedeschi e dei croati, che, a partire dall'11 settembre, assumono il controllo di Fiume, di parte dell'Istria e delle isole del Quarnero. La stessa situazione si ripete il giorno 10 a Sebenico e a Zara, dove le guarnigioni preferiscono arrendersi ai tedeschi, piuttosto che cedere le armi ai partigiani comunisti. Diverso è invece il comportamento della piazza di Spalato, comandata dal generale Cigala Fulgosi, dove la divisione Bergamo resiste agli attacchi dei tedeschi che hanno circondato la città, collaborando coi partigiani slavi; solo i bombardamenti aerei e l'intervento di una divisione corazzata, la Prinz Eugen, costringe gli assediati ad arrendersi il 27 settembre. Un tribunale militare tedesco, dopo un processo sommario, condanna a morte i generali Cigala Fulgosi, Pelligra e Policardi, oltre a 46 ufficiali. L'esecuzione avviene il 1° ottobre. In tutti questi casi i soldati italiani sono disarmati e deportati in Germania. Una parte dei soldati superstiti riesce a riunirsi e a formare il battaglione partigiano Garibaldi. In Venezia Giulia il rapido afflusso di truppe tedesche impedisce il rientro in patria delle divisioni di stanza oltre il confine. Nella zona di Gorizia, la divisione Torino si oppone all'aggressione tedesca tra il 9 e il 12 settembre; a Tarvisio il presidio italiano viene sopraffatto dopo aspri combattimenti. 13.5. Settori Albania, Dalmazia, Kossovo-Scutari A Tirana il generale Rosi, comandante del Gruppo armate est, inizia le trattative col capo dell'ufficio di collegamento tedesco, accettando la consegna delle armi pesanti intrasportabili e iniziando a riunire le truppe. L'11 settembre, però, i tedeschi incominciano una serie di operazioni coordinate, che portano alla cattura dei comandi di gruppo a Tirana, a Ragusa e a Podgorica, quindi iniziano a disarmare le truppe, con la promessa del ritorno "alla vita civile". In Dalmazia, a Ragusa, la divisione Marche oppone una certa resistenza, finchè non è costretta alla resa; il generale Amico, che ha guidato i combattimenti, viene ucciso dopo la cattura. Stessa sorte per il comandante della divisione Messina, il generale Spicacci, arrestato e scomparso in Germania, mentre le sue truppe si battono per quattro giorni contro i tedeschi nel tentativo di riunire i diversi distaccamenti. In Montenegro il generale Roncaglia, comandante del XIV corpo, prima di essere catturato riesce a trasmettere alle divisioni dipendenti l'ordine di radunarsi sulla costa, tra Cattaro e Podgorica, e di opporsi ai tedeschi. La divisione Emilia riesce a riconquistare il presidio delle Bocche di Cattaro, difendendosi con successo dall'attacco della divisione tedesca Prinz Eugen nei giorni 14 e 15 settembre, e ad imbarcarsi per l'Italia. Il 3° reggimento alpini, che ha contribuito alla difesa, si disperde sulle montagne, dove si nascondono anche le divisioni Venezia, del generale Oxilia, e Taurinense, del generale Vivaldi, e iniziano la lotta contro i tedeschi. Le truppe di Oxilia combattono dal 25 settembre al 5 ottobre sui capisaldi di Jeva, Rijeka e Matasevo; il 10 ottobre la divisione sarà riconosciuta unità combattente a fianco delle Nazioni Unite; quelle del generale Vivaldi si concentrano a Danilov Grad per dirigersi poi verso le Bocche di Cattaro, dopo aver respinto un durissimo attacco tedesco, il 16 si ritirano nella zona di Polje, dove entrano in contatto con i partigiani del comandante Peko Daprevic; il 20 novembre i sopravvissuti delle divisioni Venezia e Taurinense costituiscono il corpo d'armata del Montenegro, dal 2 dicembre divisione Garibaldi, su quattro brigate. La divisione raggiungerà una forza di oltre 18.000 uomini. Di questi solo 4.148 rientreranno in Italia. Successivamente la formazione si unirà al battaglione Matteotti, nato in Dalmazia, a costituire la divisione Italia, impegnata in Bosnia e in Serbia. Si tratta della più positiva collaborazione attuata tra i nostri soldati e forze degli eserciti di liberazione nei Balcani, in quanto la formazione italiana mantiene una propria identità, una relativa autonomia amministrativa e un collegamento col Comando italiano. In altri casi, come in Albania e in Grecia i risultati saranno assai deludenti. Nel settore Kossovo-Scutari lo sbandamento delle truppe è facilitato dalla decisione dei reparti albanesi di passare con i tedeschi. La divisione Arezzo, dopo aver preso accordi coi tedeschi per cedere le armi pesanti, è disarmata e deportata in Germania, mentre alcuni ufficiali vengono fucilati. La divisione Firenze, invece, si rifiuta di cedere le armi e dopo essersi radunata nella conca di Burrelli per puntare su Tirana, venuta a conoscenza della sua occupazione, decide di attaccare i tedeschi a Kruje. 300 ufficiali e 10.000 soldati, tutti volontari, impegnano il nemico per tre giorni. Il 24 settembre, la divisione, attaccata da ingenti forze tedesche, per evitare la disfatta, dopo aver preso accordi con la missione britannica e col comando dell'Esercito di liberazione albanese, inizia un'attività bellica per bande sulle montagne, nelle zone militari di Dibra, Peza, Elbasan, Berat, e rimarrà in Albania fino alla sua liberazione. Tuttavia vi sono grosse difficoltà a mantenere uniti i reparti italiani nel corso dell'inverno 1943-44, perché i tedeschi rafforzano il controllo sul territorio e la povertà delle risorse del paese rende difficoltosa la sopravvivenza; molti soldati finiscono così con l'entrare nelle formazioni albanesi, altri sono utilizzati come lavoratori nelle famiglie contadine o rimangono isolati sui monti, in condizioni di estrema indigenza. Diversa è la sorte delle divisioni che provenendo dalla Grecia rientrano in Albania, per imbarcarsi sulle coste albanesi, e che mantengono il controllo della fascia costiera albanese, ovvero parte del retroterra della divisione Acqui di stanza nelle isole di Corfù e Cefalonia: la Brennero, la Parma e la Perugia. I reparti, ancora in marcia e molto frazionati, sono catturati dai tedeschi dopo sporadiche azioni di resistenza e deportati in Germania. Poco chiara la fine della divisione di fanteria motorizzata Brennero, che presidiava un'importante zona come il retroterra di Durazzo: nel diario di guerra del XXII corpo d'armata tedesco da montagna risulta che sarebbe stato raggiunto un accordo tra il generale Lanz e il comandante italiano, generale Princivalle, circa il passaggio dell'unità italiana all'esercito tedesco come "reparto organico". L'episodio a tutt'oggi non è stato del tutto chiarito, comunque il disarmo della divisione comporta un grave danno per lo schieramento italiano. Particolarmente drammatica è la fine della divisione Perugia, di stanza nel sud dell'Albania, al confine greco: raccoltasi sulla costa tra Santi Quaranta e Valona, resiste all'attacco tedesco, riuscendo a far partire per l'Italia gli ammalati di malaria (un terzo degli effettivi), poi cade nel tranello dei tedeschi, che la convincono a concentrarsi a Porto Palermo, con la promessa di reimbarco; qui viene attaccata sia dalle forze albanesi sia dal presidio tedesco, perdendo un quarto degli uomini; i sopravvissuti alla data del 3 ottobre sono catturati quasi tutti, ma 140 tra ufficiali e sottufficiali vengono passati per le armi. Altri superstiti, imbarcatisi su un piroscafo a Valona dopo aspri combattimenti, muoiono nell'affondamento della nave, colpita da un siluro subito dopo la partenza. Circa 3.000 uomini riescono a raggiungere la zona del Pindo, in Grecia, dove stava costituendosi il raggruppamento "Truppe italiane della montagna" che avrebbe combattuto per qualche tempo a fianco dei partigiani greci. 13.6. Settore greco: ordini contraddittori e collaborazionismo del Comando italiano Benchè il comando dell'11^ armata, composta da truppe miste italo-tedesche, che occupa la Grecia sia italiano, i tedeschi hanno disposto, dopo il mese di luglio, i loro reparti in modo da controllare tutti i punti strategicamente importanti. Diversamente dalle altre situazioni, il comando italiano aveva ricevuto con un giorno di preavviso la notizia, generica, della possibilità di armistizio, attraverso il cosiddetto Promemoria n.2, portato ad Atene dal generale Cesare Gandini. Nel documento si invitava il comando a contattare i tedeschi per assicurarli che non vi sarebbero stati atti ostili contro di loro, che gli italiani non avrebbero fatto causa comune con i ribelli né con eventuali truppe anglo-americane sbarcate; in contrasto con le clausole di armistizio, si invitava a predisporre la sostituzione delle truppe impegnate nella difesa costiera con truppe tedesche, anche in deroga, eventualmente, agli ordini del governo centrale. Non si può dire, pertanto, che il generale Vecchiarelli, comandante d'armata, sia stato preso alla sprovvista dalla notizia dell'armistizio, ma le indicazioni pervenute sono tali che la loro applicazione determina la rapida disattivazione del dispositivo militare italiano. Vecchiarelli, infatti, dà l'ordine di non accordarsi con le formazioni partigiane e concorda con le autorità militari tedesche la consegna degli armamenti pesanti (in genere di provenienza germanica) e delle postazioni, man mano che vengono abbandonate dagli italiani. Alle ore 20.00 dell'8 settembre viene diramato il seguente messaggio: "Seguito conclusione armistizio truppe italiane 11^ armata seguiranno questa linea di condotta. Se i tedeschi non faranno atti di violenza, truppe italiane non rivolgeranno armi contro di loro. Truppe italiane non faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. reagiranno con la forza ad ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare. Comando tedesco informato quanto precede. Siano immediatamente impartiti ordini cui sopra a reparti dipendenti. Assicurare. Firmato generale Vecchiarelli". Poche ore dopo, alle 0.20 del 9 settembre, giunge ad Atene un altro messaggio dal comando italiano, un telescritto del generale Ambrosio che aumenta la confusione e giustifica lo stato d'inerzia: "Non deve essere presa iniziativa di atti ostili contro i germanici". Questa ulteriore disposizione pone forti limitazioni alla predisposizione di misure offensive contro i tedeschi che pure erano state previste in comunicazioni precedenti e facilita ulteriormente, dove è stato ricevuto, il disarmo italiano. Dove quest'ordine non può giungere sarà più facile per singoli comandanti assumere la decisione di opporsi al disarmo da parte tedesca. Successivamente, alle ore 11.45 del 9 settembre, il generale dirama un'ulteriore disposizione che impone la cessione dei presidi costieri entro le ore 10.00 del giorno successivo, la sostituzione graduale delle nostre grandi unità, la cessione ai reparti tedeschi delle armi collettive, di tutte le artiglierie con relativo munizionamento, mantenendo solo le armi individuali. "Seguito mio ordine dell'8 corrente. Presidi costieri devono rimanere attuali posizioni fino al cambio con reparti tedeschi non oltre ore 10 del giorno 10. In aderenza clausole armistiziali, truppe italiane non oppongano da questa sera resistenza ad eventuali azioni anglo-americane. Reagiscano invece ad eventuali azioni di forze ribelli. Truppe italiane rientreranno al più presto in Italia. Una volta sostituite, grandi unità si concentreranno in zone che mi riservo fissare unitamente a modalità di trasferimento. Siano lasciate a reparti subentranti armi collettive e tutte le artiglierie con relativo munizionamento. Siano portate al seguito armi individuali ufficiali e truppa con relativo munizionamento in misura adeguata ad eventuali esigenze belliche contro ribelli. Consegneranno parimenti armi collettive tutti altri reparti delle forze armate italiane in Grecia conservando solo armamento individuale. Consegna armi collettive per tutte le forze italiane in Grecia avrà inizio a richiesta comandi tedeschi, a partire da ore 12 di oggi". Il giorno 10 Vecchiarelli stipula con il comando tedesco un accordo di resa. In pochi giorni le forze italiane ancora in Grecia, 7.000 ufficiali e 165.000 sottufficiali e truppa, cessano di costituire una realtà organizzata militarmente efficiente. In cambio i tedeschi promettono di garantire il rimpatrio delle truppe italiane, ma non essendo dotate di propri mezzi di trasporto, l'imbarco sarebbe stato comunque improbabile. I reparti decidono pertanto di eseguire gli ordini del comando d'armata, per cui i comandi inferiori non danno vita, se non in rari casi, a forme di resistenza. Nel corso del giorno 10, numerosi ufficiali protestano contro la consegna delle armi, mentre in molti casi i soldati cedono i materiali a civili greci, per cui il Comando tedesco decide di chiedere la consegna delle armi individuali, con l'eccezione dei carabinieri. Sarà lo stesso Vecchiarelli a diramare quest'ultimo ordine alle ore 21.00 del 10 settembre. In Epiro e nel Peloponneso i soldati italiani sono caricati su treni e illusi di essere diretti verso l'Italia; saranno invece deportati in Germania, ad eccezione dei pochi che riusciranno a disperdersi sul territorio greco grazie all'aiuto della popolazione locale. In particolare, la resa della divisione Casale, a presidio del territorio di Agrinion-Missolungi e della costa a ridosso delle Isole Ionie, permette ai tedeschi di impossessarsi degli aeroporti di Prevesa, Patrasso e Agrinion che serviranno come basi per i bombardamenti aerei su Corfù e Cefalonia. A Creta le disperse truppe italiane della divisione Siena sono rapidamente sopraffatte, tranne alcuni reparti, col comandante della divisione, che sfuggono alla cattura e si uniscono ai partigiani attivi sulle montagne. In Tessaglia e nelle Isole Ionie, la risposta italiana sarà invece molto diversa, grazie al comportamento di due divisioni: la Pinerolo e la Acqui. In Tessaglia, nei pressi di Larissa, tra l'8 e il 9 settembre reparti della Pinerolo respingono il tentativo tedesco di conquistare l'aeroporto, nonostante l'ordine del Comando dell'11^ armata di cedere le artiglierie e le armi pesanti della fanteria. La divisione Pinerolo e il reggimento Lancieri d'Aosta, ritiratisi sul Pindo per iniziativa del generale Infante, l'11 settembre raggiungono un accordo coi partigiani comunisti dell'ELAS e con la missione inglese per combattere insieme contro i tedeschi. I reparti italiani mantengono le armi e sono riconosciuti quali "truppe alleate" agli ordini del generale Wilson, comandante in capo delle forze alleate del Medio Oriente. Per qualche settimana i soldati della Pinerolo partecipano ad azioni armate in collaborazione con la resistenza greca, ma questa, divisa tra le forze comuniste e quelle monarchiche, particolarmente interessata alle armi italiane e preoccupata che lo stato di "cobelligeranza" dell'Italia possa costituire un ostacolo alla loro acquisizione, mentre è poco interessata alla presenza di formazioni italiane organizzate, decide, il 14 ottobre, di ordinare il disarmo della divisione. I soldati italiani, ormai stanchi ed isolati, di fronte alla decisione dei partigiani comunisti decidono di cedere le armi, anche se vi sono eccezioni coraggiose che provocano diversi caduti. Tragica sarà la sorte di questi soldati: gli ufficiali sono concentrati nel monastero di Dusku, mentre i soldati sono trasferiti in campi di concentramento posti lungo i fianchi del Pindo, il principale è quello di Karpenisio, dove giungono 8.000 uomini, in condizioni inumane, umiliati e spogliati di ogni avere; in molti sopravviveranno in condizioni difficilissime fino al marzo del 1944, nonostante l'altissima mortalità per la fame e le malattie. Nel corso dell'inverno gli inglesi propongono di far lavorare i sopravvissuti presso le famiglie contadine della zona, in cambio di mezza sterlina d'oro al mese per il vitto e l'alloggio; in realtà molti soldati sono sfruttati come schiavi. Nell'agosto del 1944 i superstiti sono rimpatriati, ma dai greci saranno considerati solo prigionieri di guerra, invece che "liberi collaboratori", come era negli accordi sottoscritti nel settembre 1943. In totale, la divisione Pinerolo e i reparti aggregati hanno avuto 1.150 caduti, 1.500 dispersi, 2.500 feriti o inabili. 13.7. Comando superiore forze armate Egeo Il settore è considerato strategicamente importante dal Comando alleato del Medio Oriente ai fini della guerra aeronavale, tuttavia le preoccupazioni di Eisenhover per lo sbarco di Salerno fanno prevalere la scelta di abbandonare i presidi italiani alla loro sorte, con qualche parziale eccezione. Il comandante del presidio del Dodecanneso e delle Isole Sporadi, l'ammiraglio Campioni, alla notizia dell'armistizio prende contatto col comandante della divisione tedesca Rodhos, generale Kleemann. I tedeschi iniziano subito la sostituzione degli italiani nelle diverse postazioni, in particolare nell'isola di Rodi, e il giorno 10 attuano l'isolamento dei comandi italiani. Gli inglesi, contattati da Campioni, non possono fornire aiuti concreti e il 14 i tedeschi hanno la meglio sulle truppe italiane. Diversa è la reazione a Lero, base marittima attrezzata per i sommergibili. Il comandante, il capitano di vascello Mascherpa, riesce a mettersi in contatto col comando inglese del Medio Oriente e a ottenere l'invio di circa 1.000 uomini di rinforzo. Dopo alcuni violenti attacchi tedeschi, col bombardamento sistematico delle postazioni dell'isola, altri inglesi giungono di rinforzo sull'isola, che ora è presidiata da 1.500 soldati italiani superstiti, sui 12.000 originari, e da 2.000 inglesi. Il 12 novembre si verifica un massiccio sbarco tedesco e la guarnigione, il giorno 16, dopo due mesi di resistenza, è costretta a cedere, avendo inflitto all'attaccante almeno 3.000 perdite e aver abbattuto con la contraerea numerosi apparecchi nemici. L'ammiraglio Campioni e il capitano di vascello (poi contrammiraglio) Mascherpa sono consegnati alla repubblica di Salò e fucilati il 24 maggio del 1944. Il caso di Lero è eccezionale per la durata, oltre due mesi, della resistenza, periodo in cui le truppe mantengono fino all'ultimo l'inquadramento militare e dimostrano una fortissima combattività, fatto che contraddice i giudizi dati su queste truppe durante la guerra, secondo i quali essi erano dotati di un morale estremamente basso. Questa reazione sorprenderà sia i tedeschi che gli inglesi; per Eisenhover "la guarnigione italiana non era in grado di combattere contro nessuno". Una situazione analoga si sviluppa a Coo, seconda isola del Dodecanneso per estensione, dove il 2 ottobre giungono circa 1.000 soldati inglesi di rinforzo al presidio italiano. Il giorno successivo un massiccio sbarco tedesco riesce a ribaltare la situazione, costringendo gli assediati alla resa; metà degli ufficiali italiani saranno fucilati. Ancora resistenza di italiani e inglesi si ha nella piccola isola di Simi, dove i tedeschi riescono a imporsi solo il 2 novembre, dopo che gli ultimi difensori sono riusciti ad abbandonare l'isola. Dopo la perdita di Lero, dal 20 novembre si decide di interrompere la resistenza a Santorino, a Icaria e a Samo. 13.8. Un bilancio della resistenza italiana nei Balcani Complessivamente il comando tedesco dovrà spostare nei Balcani per garantirne l'occupazione e sostituire le forze italiane, circa 15 divisioni. Sono truppe che vengono sottratte ad altri settori del conflitto. In numerose occasioni i soldati italiani hanno impegnato quelli tedeschi, nonostante solo in qualche caso vi sia stato un aiuto concreto da parte inglese; le armate italiane si sono trovate senza indicazioni precise del comando supremo, e i comandi inferiori sono stati lasciati soli a decidere quale reazione contrapporre all'iniziativa tedesca. Sarebbe stato certamente possibile organizzare una diversa e più coordinata risposta da parte degli stati maggiore italiano e inglese. Si tratta perciò di una grossa occasione perduta. E' da notare, inoltre, che i comandi italiani hanno spesso preferito trattare coi comandi tedeschi piuttosto che con le organizzazioni partigiane o con gli stessi inglesi. Ben diverso sarebbe stato l'effetto di una risposta coordinata in precedenza tra il comando delle armate italiane nei Balcani e quello inglese del Medio Oriente. Invece è prevalsa l'improvvisazione e la disorganizzazione delle autorità militari italiane che hanno preferito salvare il ruolo di una casta militare compromessa col vecchio potere, piuttosto che rischiare la collaborazione con le forze che si opponevano al nazifascismo. Da parte loro, gli alleati, gli inglesi soprattutto, hanno preferito la dissoluzione dell'Esercito italiano, ridimensionando così la forza militare di un temibile concorrente nel Mediterraneo. Vi è inoltre la volontà di punire un paese, l'Italia, che con la dichiarazione di guerra del 1940 ha sfidato la potenza inglese in un settore considerato strategico. |
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