IL MERCATO DELLA STORIA AL TEMPO DEL CAVALIERE Giorgio Bocca Articolo pubblicato su "la Repubblica" del 19/07/2002 Secondo lo stile berlusconiano del dire e disdire, il presidente della Rai Antonio Baldassarre ha smentito il suo progetto revisionista di riscrivere la storia italiana, purgandola delle favolette ideologiche e riportandola a una oggettività che nella storia non esiste. La quale non sarà il vaniloquio di un idiota, come dice Shakespeare , ma non è e non sarà mai una scienza esatta: sarà sempre un confronto di idee e di interpretazioni. La nostra storia, piaccia o non piaccia al dottor Baldassarre, non è una storia senza padre nè madre. E' una storia che ha una sua ideologia, sissignori, democratica e antifascista, come ha ricordato il presidente Ciampi. E' la storia della secolare fatica risorgimentale e resistenziale per costruire una nazione unita e libera, è la storia che ha per riferimento la carta costituzionale. Per le favolette di cui parla Baldassarre sono morte milioni di persone. Il progetto revisionista presentato ad una assemblea di ex fascisti aveva probabilmente uno scopo opportunista: ingraziarsi la destra erede del fascismo che il cavaliere Berlusconi ha sdoganato e portato al governo. Una destra composita e contraddittoria che non sa neppure lei cosa voglia, soltanto forse prendersi delle rivincite e occupare dei posti. Silvio Berlusconi non è un fascista, ma un affarista milanese cui interessa soprattutto la fabbrica dei soldi. Il suo appoggio al revisionismo storico è opportunistico ma non casuale, la Resistenza e i suoi valori sono una frattura nella continuità dei privilegi della classe dominante: ieri la borghesia liberale, oggi la società del denaro. Ciò che vuole, e lo domostra ogni giorno con una tenacia fortissima, è che l'Italia continui ad essere il paese in cui dal Regno al fascismo la giustizia era subalterna all'esecutivo, in cui le classi dominanati facevano e disfacevano a loro arbitrio. A Berlusconi la Resistenza non piace non perché ha combattuto contro i tedeschi occupanti i contro i collaborazionisti di Salò, ma perché superava, cercava di superare, i limiti del liberalismo borghese, perché faceva degli italiani dei cittadini a parità di diritti. C'è stato un grande malinteso alla caduta del muro di Berlino: molti di noi hanno pensato che avesse vinto la democrazia sull'autoritarismo e invece a vincere era stato il mercato. Un mercato che in questi ultimi anni si è mostrato sempre più insofferente dei controlli dello Stato, sempre più socialmente irresponsabile. Berlusconi è l'uomo di quetso mercato: si presenta come modernizzatore dello Stato quando, invece, ogni giorno lo piccona. Culturalmente, il revisionismo storico è povera cosa: non ha il coraggio di rabilitare la dittatura fascista e insegna a negare il cammino democratico del paese, ricorre ad argomenti ridicoli come quello della Resistenza come "morte della patria" e inizio di una perdurante guerra civile, inventa dittature culturali comuniste che non ci furono in un paese dove la DC aveva tutti gli strumenti del potere. Ma ha un grande peso politico, ha aperto la strada alla crisi della democrazia, ha corroso il fondamento morale dello Stato, confuso i suoi valori, favorito il qualunquismo dilagante nel "paese dei balocchi", la sua ricerca edonistica, la miseria di quella fabbrica culturale che è la televisione. Politicamente il revisionismo, cioè il rimettere in discussione i valori civili e morali della Costituzione, è servito in questa operazione perversa ma chiara: se i valori repubblicani sono come lascia capire Baldassarre, delle favolette, dei discorsi a vuoto di fronte alla concretezza del denaro e degli affari, perché mai difendere le leggi e le regole della democrazia? Perché non lasciare libero corso alle forze dello sviluppo? Il guaio è che questo sviluppo se ne è andato per conto suo, irresponsabile e predone. Il risultato di questo revisionismo diretto contro le "favolette" - che sono la memoria storica di un paese, le sue strutture anche letterarie, anche parte di una storia sacra, ma senza le quali una nazione non regge - è l'Italia di oggi, priva di un governo accettabile, priva di una nuova storia, una corsa affannosa a chi ruba di più e più in fretta e aaseta il Meridione ma progetta ponti sullo stretto di Messina, lo storico congiungimento di due vuoti. |