INDICAZIONI CURRICOLARI PER LA SCUOLA MEDIA Un primo
commento a cura di Giancarlo Cerini (*) Sono state pubblicate sul sito del MIUR le “Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati della scuola secondaria di 1° grado (scuola media). In verità, l’evento era nell’aria, sia per le indiscrezioni estive che davano per pronti, dopo gli indirizzi curricolari per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria (elementare), anche i documenti per la scuola media sia per la già avvenuta pubblicazione del “Profilo educativo, culturale professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni), atto che implicava il completamento del trittico di programmi per scuola materna-elementare-media, a suggello del costruendo nuovo “primo ciclo” di istruzione fino al termine della scuola media. Alcuni siti internet avevano già fatto filtrare le bozze iniziali delle
elaborazioni predisposte dall’Amministrazione scolastica, sulla scia
dei primi lavori del Gruppo di Studio coordinato
dal prof. Bertagna (settembre-dicembre 2001). Ora, la pubblicazione
sul sito del MIUR offre una qualche veste di ufficialità
all’elaborazione culturale compiuta per “linee interne”, anche se va
precisato che si tratta ancora di semplici documenti culturali che non
hanno un valore “cogente” per la scuola. Il valore di legge alle Indicazioni nazionali, infatti, dovrà essere conferito
dalla firma, ad opera del Ministro pro-tempore, ai sensi della delega contenuta nell’art. 8 del
Dpr 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento dell’autonomia).
È infatti tale fonte normativa, piuttosto che
il disegno di legge di riforma della scuola (ora in discussione alla
Camera dei Deputati, dopo l’approvazione intervenuta al Senato il 13
novembre 2002), a richiedere l’emanazione di documenti nazionali contenenti
“finalità generali, obiettivi specifici di apprendimento, standard di
funzionamento”. rispetto ai quali le scuole potranno esercitare le prerogative
ad esse spettanti in materia di autonomia organizzativa, didattica,
di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Non è facile prevedere quando e se il testo delle Indicazioni ora disponibile sarà reso definitivo e “ufficiale”. In genere è stata prassi, negli ultimi 25 anni, che l’elaborazione di nuovi programmi fosse il frutto di un complesso intreccio di lavori preparatori, affidati a commissioni di esperti di varia dimensione e composizione (a seconda dei periodi considerati, ma di regola abbastanza numerose e di taglio “pluralistico”), ad un parere del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, ed alla firma definitiva del Ministro, magari con qualche ulteriore “ritocco” (a volte anche sostanziale, come avvenne con i programmi della scuola elementare Laeng-Falcucci del 1985). Niente di tutto questo è oggi in vista. È probabile che si pensi ad un
percorso diverso, che offra diritto di parola e di
interlocuzione alle scuole, e forse solo a quelle che si impegneranno
nella sperimentazione concreta delle nuove indicazioni curricolari.
È prevedibile, infatti, che anche per la scuola media sia prossimamente
offerta la possibilità di “sperimentare” nuovi modelli organizzativi
e nuovi modelli curricolari, come è avvenuto
per la scuola primaria con il D.M. 18 settembre 2002, n. 100, che trova
attualmente applicazione in circa 250 istituzioni scolastiche,statali
e paritarie distribuite in tutto il territorio nazionale (l’elenco è
stato pubblicato su “Notizie della Scuola” n. 7, 1-15 dicembre 2002). Quella della sperimentazione è una facoltà prevista dal Regolamento per
l’autonomia (precisamente all’art. 11) che consente all’Amministrazione
di saggiare la fattibilità delle proposte di
riforma degli ordinamenti in fase di discussione parlamentare. Non si
tratta di utilizzare le scuole per validare
o meno le ipotesi di legge che il Parlamento legittimamente è tenuto
a deliberare, semmai di offrire ai decisori politici elementi utili
alla successiva fase di attuazione della legge-delega. Come è noto, il meccanismo prescelto all’interno del disegno di legge n. 1306/2002 è quello di definire solo alcune cornici di riferimento molto generali e di demandare a successivi decreti dell’esecutivo (da emanarsi nel giro di due anni) la strutturazione concreta ed operativa del nuovo impianto ordinamentale della scuola, ivi compresi i nuovi piani di studio nazionali. La sperimentazione nella scuola elementare (e l’eventuale sperimentazione nella scuola media) dovrebbe proprio servire a preparare il terreno ai decreti applicativi che dovranno dare consistenza ai nuovi (o vecchi, a seconda dai punti di vista) cicli scolastici. Diventa, dunque, importante per gli operatori scolastici conoscere ed analizzare il testo dei nuovi indirizzi per la scuola secondaria di 1° grado, articolazione terminale del “primo” ciclo (anche l’uso del lessico ha la sua importanza), sia per coglierne l’ispirazione ideale, culturale e pedagogica, sia per recuperare qualche “indizio” sulle possibili conseguenze operative ed organizzative del nuovo assetto della scuola. Dietro un programma “nazionale” di studi c’è sempre una “certa” idea di cultura, di conoscenza, di apprendimento, quindi una vera e propria piattaforma “valoriale” per la società che si intende costruire anche attraverso il ruolo intenzionale della scuola, specie di quella che si rivolge a tutti i futuri cittadini. Alcuni interrogativi Ad una prima lettura del nuovo testo sono tanti gli interrogativi che sorgono: - nel documento proposto all’attenzione delle scuole si intravedono valori educativi alternativi a quelli che hanno “regolato” la scuola media degli ultimi 25 anni? - emerge un ruolo diverso attribuito alla formazione di base? Ma, esiste ancora un ciclo unitario di base? ci sono significati nuovi delle discipline e dei saperi organizzati nelle materie di studio? - qual è la consistenza “disciplinare” delle educazioni? - è condivisibile il nuovo impianto pedagogico e metodologico che si compendia nella formula della personalizzazione, nel piano di studi personalizzato, nella figura del docente-tutor, nel portfolio delle competenze? Sono domande impegnative, che non possono essere affrontate con superficialità e disinvoltura, magari pensando che le questioni di sostanza siano altre e riguardino piuttosto gli orari della scuola (e la loro eventuale riduzione), la composizione delle cattedre (ed il loro eventuale accorpamento o assorbimento), le attività curricolari e quelle di laboratorio (con l’apparire di nuove figure “esterne”). Le risposte agli interrogativi più immediati e “corposi” sul futuro di questa o quella cattedra di insegnamento, sull’orario attribuito ad una determinata materia, sulla possibile estinzione di modelli organizzativi (come il tempo prolungato), che hanno oltre 20 anni di storia, si trovano non tanto nelle scarne annotazioni presentate nel paragrafo sui “Vincoli organizzativi” contenuto nel nuovo documento né tanto meno nel disegno di legge parlamentare (che nulla dice sul curricolo orario e sulla tipologia degli insegnamenti), quanto piuttosto in tutti i documenti preparatori che hanno anticipato nel secondo semestre del 2002 le proposte di riforma. Di questi testi è stata pubblicata una sintesi nell’inserto giallo allegato al n. 7 di “Notizie della Scuola” del 1°-15 dicembre 2001. Ed analisi e dati sono stati riportati anche in due numeri monografici degli “Annali dell’istruzione” del 2001 (nn. 1-2 e 3-4), che illustrano gli esiti degli Stati Generali della scuola tenutisi a Roma nel dicembre 2001. È in tutti questi testi che si trova la chiave interpretativa del nuovo “curricolo”. Uno sguardo di insieme Tornando al documento ministeriale, appare che il termine
utilizzato propone il superamento del concetto di programma nazionale
in favore del termine Indicazioni nazionali (e non di
indirizzi curricolari) per lasciare una maggiore responsabilità
alle istituzioni scolastiche autonome nella definizione del curricolo
di scuola (un concetto che resta però in ombra) e soprattutto nella
predisposizione di obiettivi formativi, unità di apprendimento e piani di studio personalizzati per ogni
singolo allievo. Così, la scuola media riprende uno dei profili portanti
della sua storia, quella cioè di una scuola
che orienta e accompagna le scelte “personali” di ogni allievo in un
periodo “critico” della sua esistenza, anche se resta qualche interrogativo
circa il significato della nuova scansione “verticale” che è stata introdotta
nell’organizzazione curricolare. Infatti, rispetto all’ipotesi iniziale di bienni a scavalco
tra scuola elementare e media (1a-2a elementare,
3a-4a elementare, 5a el.-1a
media, 2a-3a media) che avrebbe rafforzato notevolmente
il concetto di curricolo di base (6-14 anni) e offerto respiro concettuale
alle pratiche di continuità degli istituti comprensivi, il nuovo schema
del biennio iniziale (1a-2a media) e del “monoennio”
finale (3a media) sembra voler sottolineare
una diversa identità (e funzione) della scuola media. Da un lato si enfatizza il momento della “rottura” (epistemica, curricolare, organizzativa) tra scuola elementare (pervasa dall’approccio “primario” all’esperienza conoscitiva) e scuola media (caratterizzata dall’organizzazione “secondaria” e modellizzata della conoscenza), quasi per sancire il definitivo superamento dell’ipotesi di scuola di base istituita dalla legge 30/2000; dall’altro si definisce un ultimo anno “orientativo” che potrebbe prefigurare anche il ripristino di una precoce canalizzazione degli allievi verso le diverse e successive filiere formative (vuoi i licei, vuoi gli indirizzi professionali, vuoi lo studio “in alternanza” con il lavoro). Sono due scelte “forti” che pongono in discussione le pratiche e le esperienze
di questi ultimi anni, molto più intonati all’elogio della “continuità
educativa”. L’obiettivo dichiarato è di favorire il massimo profitto
personale per ogni allievo (la cosiddetta personalizzazione),
che è senz’altro principio pedagogico di primo ordine, ma che rischia
di essere interpretato in termini di differenziazione non solo dei percorsi,
ma anche degli esiti formativi. Insomma, una “scuola su misura” che
potrebbe tramutarsi in una organizzazione didattica
per gruppi distinti, in un paesaggio scolastico intitolato alla flessibilità
“totale”: la classe si destruttura e compaiono gruppi di interesse, di livello, di
recupero, di potenziamento. Paradossalmente, dopo aver annunciato il principio di una rassicurante continuità e stabilità della scuola media (per tenerla al riparo dai potenziali rischi di “elementarizzazione”), gli autori della nuova proposta proiettano la scuola secondaria di 1° grado (solo il nome conferma la tradizionale identità), verso orizzonti organizzativi radicalmente innovativi. Basti pensare al nuovo modello di tempo scuola, imperniato su una soglia-base di 900 ore annue (circa 27 ore settimanali) dedicata al core curriculum, cioè alle discipline fondamentali, ulteriormente variabile nel limite del 15 %. Una quota aggiuntiva di 200 ore (circa 6 ore settimanali) dedicata all’“arricchimento” o “ampliamento” del curricolo viene demandata alla negoziazione con gli alunni, le famiglie e il territorio. C’è da dire, ad onor del vero, che a questa offerta formativa aggiuntiva di 200 ore viene garantita una corrispondente copertura di organico di personale docente. Resta però la curiosità (e il dubbio) di capire se un paniere così ricco di discipline formative (cui si aggiungono 6 educazioni trasversali), come quello che emerge dalle Indicazioni nazionali, sia compatibile con un complessivo contenimento del tempo-scuola, visto che si introduce poi l’ulteriore soglia minima di 825 ore di obbligo di frequenza per ogni alunno, che potrebbe ridurre ulteriormente il tempo dell’istruzione. Come si nota, non siamo molto lontani dalla teorizzazione di un curricolo minimo di 25 ore settimanali, già contenuta nel documento del Gruppo Ristretto di Lavoro (GRL) del dicembre 2001. Aspettando i prossimi eventi (approvazione della legge? ampliamento della sperimentazione? ufficializzazione dei nuovi curricoli?), sembra riaffiorare l’anomalia della scuola italiana: fiere intenzioni riformatrici, documenti programmatici di rilievo (in quest’ultimo caso con qualche concessione al “gergo” pedagogico), ma persistente difficoltà del sistema formativo “reale” (le scuole, gli insegnanti, l’amministrazione) a tradurre questi messaggi in consapevoli pratiche innovative. Vedremo se, anche questa volta, una scuola ormai assuefatta alle “promesse” di innovazione, sarà tentata di fagocitare e neutralizzare gli stimoli di questa nuova stagione di riforme annunciate. (*) Il contributo è in corso di stampa all’interno dell’inserto monografico (curato da G.Cerini-M.Tiriticco) di NOTIZIE DELLA SCUOLA n. 9 dell’1-15 gennaio 2003, Tecnodid, Napoli. L’inserto conitiene il testo integrale dei nuovi indirizzi per la scuola media. |