Sul curricolo di Storia: perché non si riparte da zero di Carlo Palumbo Una riflessione sull’insegnamento della Storia in relazione alla mutata funzione sociale della scuola, al ruolo formativo di alcune materie e alle nuove modalità di percezione della realtà da parte dei giovani. Un percorso tra modelli didattici, nuovi curricoli ed esperienze in atto. 1. Tra disciplinaristi e tradizionalisti: una possibile terza scelta 2. La questione del bicchiere mezzo pieno, ovvero, una scuola che non ha mai contato tanto come oggi 3. Quali sono le materie formative? 4. Nuove modalità di comunicazione 5. I modelli didattici diversi possono (devono) convivere 6. Insegnamento della Storia: il modello “tradizionale” 7. Insegnamento della Storia: il modello “Brocca” 8. Insegnamento della Storia: gli Istituti professionali 9. Ricostruire un terreno comune tra gli insegnanti di Storia 1. Tra disciplinaristi e tradizionalisti: una possibile terza scelta La discussione sul curricolo di Storia, che si era sviluppata lo scorso anno nella Commissione presieduta dal ministro De Mauro, aveva visto impegnati, in specie sui grandi mezzi di comunicazione di massa, da una parte i disciplinaristi che, portando l'esperienza della ricerca e dell'accademia, rischiano però di chiudersi in uno specialismo autoreferenziale, indifferente alla realtà che in questi ultimi anni (o decenni) è cresciuta nella scuola reale; dall'altra i rappresentanti del "mondo della cultura" o opinion leader mediatici, che confrontano i risultati dell'attuale scuola di massa con la memoria personale di una rimpianta scuola di élite di mezzo secolo fa, in genere il Liceo classico, che costituirebbe la pietra di paragone (più ideologica che reale) di qualsiasi progetto futuro. Di fronte a quel presunto modello, che comporta una rivalutazione della tradizione scolastica italiana di matrice crociana e gentiliana (che meriti poteva anche averne, ma all'interno di una scuola fortemente classista e di una società solo parzialmente modernizzata), l'insieme dei provvedimenti legislativi dei governi di centro-sinistra appariva la causa di una futura catastrofe della scuola italiana. Ma le cose stanno proprio così? Io credo di no. 2. La questione del bicchiere mezzo pieno ovvero, una scuola che non ha mai contato tanto come oggi Nel 1951 la scuola secondaria superiore era frequentata da 400.000 studenti. Nel 1992, l'anno di massimo sviluppo, gli iscritti sono stati 2.900.000, ovvero sono cresciuti più di sette volte. Negli ultimi anni vi è stato un calo nelle iscrizioni, corrispondente al riflusso demografico, ma i diplomati nella fascia di età 18-20 anni sono ormai il 70% e continuano a crescere. Nel 1951 solo il 4,3% della popolazione aveva almeno un titolo di scuola media superiore, soprattutto liceale, ovvero una persona su 23. Oggi i Licei rappresentano solo il 25 % del totale. In mezzo secolo i Licei hanno avuto un incremento di iscritti di 4,5 volte, gli Istituti tecnici di 8,5, gli Istituti professionali di 13,5. I numeri saranno noiosi, ma chiariscono le cose. La scuola italiana non ha mai avuto una funzione sociale così importante come oggi. L'istruzione e la cultura non hanno mai avuto tanta diffusione. I livelli si sono abbassati? L'insegnamento non ha la qualità di una volta? Gli studenti di oggi non hanno le conoscenze di quelli di allora? La risposta dovrebbe essere più articolata. Che senso ha confrontare i risultati di un'élite sociale e culturale che si contrappone alla stragrande maggioranza della popolazione, in prevalenza contadini, spesso non alfabetizzati e incapaci di comunicare con la lingua nazionale, con quelli di una massa di giovani interclassista e consumista che utilizza la lingua nazionale e conoscenze che permettono di rapportarsi a una società tecnologica e in rapida evoluzione? Perché nel confronto non entrano i 90 italiani su 100 che, ieri, avevano poca o nessuna cognizione di Storia? Nella scuola di massa i "livelli medi" di preparazione non reggono a confronto con la preparazione tipo di un liceale degli anni cinquanta (ma sarà poi "mediamente" vero, o chi scrive oggi sui giornali ieri era, presumibilmente, uno degli studenti più bravi della sua classe?); questo non significa che oggi non esista un'élite di giovani che raggiunge elevati standard di preparazione, come può verificare chiunque partecipi agli esami di diploma, non solo nei Licei, ma anche negli Istituti tecnici e professionali. In questa scuola, quella di oggi, non si può pensare di insegnare la Storia come facevano i nostri professori di Liceo. Intanto perché la scuola non ha la stessa funzione sociale che aveva ieri (e la storia come disciplina non può non tenerne conto); e poi perché la Storia come disciplina deve parlare ai giovani di oggi, che si confrontano e devono capire un mondo nuovo, dove la scuola è solo una delle fonti di informazione e dei luoghi di socializzazione. 3. Quali sono le materie "formative"? Altri due temi sono stati richiamati nel dibattito per la definizione del curricolo di Storia. Il primo tratta della capacità della Storia di svolgere una funzione formativa nei confronti dei giovani. Non entro nel merito di che cosa oggi debba significare ciò. Non voglio mettere certamente in dubbio questa funzione. La mia perplessità riguarda altro. Questa capacità formativa è una dote intrinseca di questa disciplina? E, d'altra parte, esistono percorsi formativi e scolastici intrinsecamente dotati di questa capacità? Perché, in definitiva, è questo che affermano i sostenitori del mantenimento del vecchio Liceo, unico percorso considerato - nella sua essenza - "formativo", nell’accezione alta che abbiamo di questa parola (riferito alla personalità, alla cittadinanza ecc.). Ho dubbi sull'esistenza di percorsi scolastici o disciplinari "intrinsecamente" o per "natura" più formativi di altri, indipendentemente dal contesto di insegnamento-apprendimento e dalle capacità e dallo stile dell'insegnante. Filosofia e Storia, piuttosto che Letteratura italiana o latina, non sono necessariamente più formative di qualsiasi altra materia, comprese quelle professionali, se non sono garantiti certi presupposti che determinano il senso della comunicazione didattica. Di per sé i contenuti sono muti. Ho assistito a lezioni di Filosofia o di Storia noiose, prive di senso per l'ascoltatore, senza alcun effetto "formativo". E, dall'altra, ho partecipato a esperienze con ragazzi degli Istituti professionali, assieme a colleghi di materie "professionali" (quasi per definizione considerate "non formative") che realizzavano progetti didattici che facevano crescere i partecipanti (insegnanti e studenti) sul piano cognitivo e su quello, perché no, etico. Questo vuol dire che parlare di curricoli è importante, ma ugualmente lo è parlare di reclutamento, di formazione e di funzioni degli insegnanti, come pure dei metodi di insegnamento e di comunicazione. D'altra parte - e questo va ribadito a favore dell'insegnamento di materie ricche di contenuti come Storia - non c'è metodo efficace che possa ottenere risultati quando non ci sono contenuti seri, impegnativi, significativi. Ma questi contenuti, e le modalità di comunicarli, risultano privi di credibilità se non è l'insegnante ad avere una sua credibilità, come essere umano, come cittadino, nei confronti dei propri allievi. 4. Nuove modalità di comunicazioneIl secondo argomento è più moderno e, apparentemente, più sofisticato. Si parla, anche nella presentazione di alcuni recenti libri di testo di storia, dell'effetto che le nuove forme di comunicazione multimediali, di Internet o dei giochi elettronici soprattutto, stanno avendo sulle modalità di percezione della realtà nei giovani di oggi, che sarebbero entrati nell'era dell'intelligenza audiovisiva, che starebbe sostituendo quella lineare, astratta, alfabetizzata del libro. Ciò comporterebbe l'incapacità dei nostri studenti di rapportarsi alle caratteristiche della comunicazione e della trasmissione del sapere tradizionali e la necessità, da parte dei soggetti preposti all'istruzione e alla formazione, di rincorrere le nuove generazioni su questo terreno, pena l'incomunicabilità e l'inefficacia. Mi sembra che si assista all'estensione, rigida, deterministica, piattamente materialistica - sarei tentato di dire "pavloviana" - di osservazioni reali, empiriche, ma impressionistiche, ai meccanismi cognitivi profondi. Non sarebbe meglio pensare a una compresenza e compenetrazione dei vari tipi di intelligenze nello stesso soggetto? Non sarebbe, questa nuova possibilità di esperienza della realtà, un'occasione in più da cogliere? Del resto, il libro e la scrittura non hanno sostituito (se non in casi patologici) il rapporto diretto con la realtà, ma l'hanno potenziato, mostrando, attraverso la persistenza dei caratteri, le molteplici possibilità di lettura e di (re)interpretazione; così le nuove modalità di comunicazione aggiungono ulteriori livelli di esperienza, arricchendo e non riducendo il rapporto con il mondo, materiale e immaginario. Alla scuola spetta un approccio lento e meditato a questa (queste) realtà, anche entrando in conflitto con tendenze o mode che nella società sembrano dominanti; non si tratta, in linea di principio, né di "rincorrere", né di "contrastare" le richieste e le spinte che provengono dai giovani e dalla società, ma di utilizzarle e ricomporle all'interno di un processo che è autonomo e specifico. 5. I modelli didattici diversi possono (devono) convivere Una caratteristica di questo dibattito è che non sempre si capisce di quale insegnamento della Storia (e in quale scuola) si stia parlando. C'è una scarsa conoscenza delle esperienze reali della scuola attuale, in tutte le sue varianti di ordine e tipo, esperienze che non si possono cogliere con la semplice analisi dei programmi e delle indicazioni ministeriali, che non rendono la realtà che si vive nei singoli Istituti o nelle classi. Anche tra gli insegnanti e gli addetti ai lavori si tende, poi, ad assolutizzare il proprio punto di vista particolare, con la conseguenza di un'incomunicabilità tra le esperienze dei vari tipi di scuola, Licei, Istituti tecnici e professionali, mentre sarebbe bene confrontarsi con la ricchezza di attività e di concezioni didattiche che si sono diffuse negli ultimi due decenni. Distinguerei tra 1) modelli di esperienza didattica della Storia, che possono essere inglobati in un curricolo anche se differenti tra loro e 2) modelli curricolari, in qualche modo tra loro alternativi (ma qualche sincretismo non sarebbe un dramma). Nel primo caso emergono modalità diversissime di integrazione delle differenti esperienze didattiche nell'insegnamento della Storia: dal "laboratorio di Storia", alla ricerca d'archivio, alla storia orale, alle storie locali e alle microstorie, alle storie di genere, alle simulazioni, anche con l'uso del computer, alla drammatizzazione di ricostruzioni storiche, anche con documenti d'archivio, alla costruzione di percorsi storici all'interno di spazi reali, all'uso di cd-rom e di Internet, all'uso e alla produzione di documenti audiovisivi… Ciascuna di queste modalità ha pregi e limiti e propone una differente declinazione dei rapporti tra insegnanti, allievi, disciplina e attività che si intendono promuovere. Una didattica viva e aggiornata dovrebbe essere in grado di inserire, ordinatamente e sensatamente, tutte queste esperienze nel corso di un intero curricolo di Storia, dal primo anno del ciclo di base all'ultimo della secondaria. La scuola torinese ha offerto, in questi anni, un altissimo numero di esperienze, anche grazie ai rapporti tra singoli istituti scolastici, enti locali, associazioni, il Cidi in particolare, e istituzioni storiche. Ne ricorderò alcune, che conosco direttamente, solo a titolo di esempio. · Da alcuni anni, un gruppo di insegnanti di Istituti differenti realizza, in collaborazione con Libera e con gli Enti locali, percorsi didattici con l'intervento di esperti e testimoni, integrati con la drammatizzazione (che richiede l'intervento di registi e attori) di eventi e documenti relativi a temi come la mafia, il terrorismo, lo stragismo, il disagio giovanile, connessi sia alla conoscenza della Storia dell'Italia repubblicana, sia all'educazione alla legalità. In particolare sono stati realizzati due spettacoli, Rita Atria: il coraggio di parlare, sul tema della mafia, e Nemico di classe di Nigel Williams, sul disagio giovanile; oltre a due letture drammatizzate: Il mio sangue ricadrà su di loro, sulla strage di via Fani e il sequestro Moro, e Storie vecchie, vecchie storie: la guerra segreta, su stragi e golpismo negli anni settanta. Sempre sul tema della mafia sono state realizzate letture interpretative e messe in scena su testi di De Filippo, Verga, Pirandello, Sciascia, Tomasi di Lampedusa e Perriera, con un intreccio tra discipline storiche e letterarie. · Nello scorso anno scolastico, l'Istituto “Albe Steiner”, un professionale per grafici, e l'Itis “Majorana”, hanno collaborato con l'amministrazione del carcere "Le Nuove" per realizzare una mostra e un percorso di visita della sezione utilizzata per internare gli antifascisti negli anni della Repubblica di Salò. Il carcere è stato aperto alle scuole e ai cittadini in occasione delle celebrazioni del 25 Aprile e la mostra è stata visitata da oltre 2000 persone, tra queste alcune decine di ex internati, richiamati da un'occasione così eccezionale, quella di ritrovarsi negli stessi luoghi del dramma vissuto dal 1943 al 1945. Molti di loro sono stati disponibili a guidare i visitatori e a presentare la propria testimonianza. Il progetto dovrebbe avere un seguito: la registrazione delle testimonianze e la realizzazione di un Museo della memoria presso il carcere, a opera degli studenti delle classi coinvolte. È interessante notare che un ruolo centrale lo hanno avuto insegnanti e allievi di un Istituto professionale per grafici, dove le competenze storiche si sono intrecciate con quelle specialistiche degli insegnanti di grafica e fotografia, che hanno permesso di sviluppare prodotti non dilettantistici, ma evoluti nella presentazione e nei processi di realizzazione, superando un limite cronico delle attività scolastiche di questo tipo. · All'Istituto “Sella”, il tecnico commerciale più antico della città, un gruppo di docenti ha sviluppato una ricerca sull'archivio della scuola, selezionando e riordinando documenti relativi alle leggi razziali del 1938 e alla vicenda che ha coinvolto uno studente e il Provveditorato di quegli anni. I documenti sono stati trattati in forma drammaturgica e allievi di differenti classi sono stati coinvolti nella messa in scena attraverso un laboratorio teatrale. Ne è nato uno spettacolo di grande forza espressiva e particolarmente coinvolgente, rappresentato più volte, anche fuori Torino, con grande successo: Credere, obbedire..., di cui si parla nel n.11/2001 di “Insegnare” a pag.44. Da questi esempi appare evidente che le forme e le modalità di approccio alla disciplina storica possono essere differenti e anche compresenti in ciascuna esperienza, superando le barriere imposte da una didattica e da insegnamenti disciplinari tradizionali, basati in prevalenza sulla lezione frontale, che non va certamente abolita, ma che dovrà svolgere un ruolo diverso e meno invadente. Inoltre si è fatto uso di mezzi di comunicazione molto vari, da quelli tradizionali basati sulla scrittura, a quelli iconici e fotografici, alla performance e allo spettacolo, all'elaborazione grafica e al montaggio multimediale, anche con programmi informatici molto evoluti. 6. Insegnamento della Storia: il modello “tradizionale” C’è poi un discorso differente per quanto riguarda i modelli curricolari di insegnamento della Storia. In questo caso non avrebbe senso parlare di specifiche esperienze, ma è necessario il riconoscimento istituzionale attraverso i programmi ministeriali perché abbiano efficacia. Quelli che oggi hanno questo riconoscimento "ufficiale" sono ben tre. Vediamo quali. Innanzitutto c'è il modello "tradizionale", presente nei vecchi programmi dei Licei e degli Istituti tecnici, risalenti nell'ultima stesura agli anni sessanta, a parte l'integrazione della storia del Novecento, avvenuta con decreto ministeriale nel 1997; esso è ordinato cronologicamente, con un'attenzione prevalente allo sviluppo delle civiltà, con un taglio prevalentemente politico istituzionale, fortemente imperniato sulla nostra tradizione culturale umanistica che dal mondo greco-romano, attraverso il mondo feudale cristiano, si avvia alla modernità con l'Umanesimo, il Rinascimento, l'Illuminismo, per giungere all'Età contemporanea che si identifica(va) soprattutto col nostro Risorgimento. In questo modello, almento fino a qualche anno fa, la trattazione del Novecento è poco presente, sulla scorta di vari pregiudizi sulla sua insegnabilità, ma anche di una scarsa conoscenza da parte della generalità degli insegnanti. Il modello didattico è prevalentemente o esclusivamente trasmissivo e basato sulla lezione frontale, anche se con il tempo sono state integrate esperienze didattiche più articolate e complesse. Si tratta di un'impostazione trasmessa in maniera omogenea nel corso delle generazioni, attraverso scuola e università, agli insegnanti, che si sono fatti portatori di una semplificata filosofia della storia, che ha (o aveva) in Croce e in Gramsci i padri nobili, ma che si è evoluta negli anni più recenti, almeno per la massa degli insegnanti di Storia meno specializzati, verso impostazioni eclettiche o agnostiche, quanto all'idea generale di Storia insegnata. Questo modello ha vissuto una seconda giovinezza negli anni sessanta-settanta, tra gli insegnanti di Storia più attenti e impegnati, con l'incontro dello storicismo idealistico e di quello marxista, per poi assimilare progressivamente il dibattito storiografico e i risultati delle scienze storiche e sociali degli ultimi trent'anni: storia quantitativa, Annales, antropologia, sociologia, economia, elaborazione sui modelli ecc. Il pregio di questo modello, nella versione aggiornata, è di rimanere molto vicino all'evoluzione della Storia disciplinare, in particolare della ricerca istituzionale. I principali difetti, invece, sono soprattutto nel tenere in scarsa considerazione le mediazioni didattiche e comunicative necessarie e le modalità di apprendimento degli allievi. Nella pratica didattica tende a confermare i risultati attesi tra gli studenti di buon livello di partenza (culturale, sociale…), ma si trova in difficoltà negli altri casi. È poco attenta a una didattica attiva, con un rapporto docente-allievo differente da quello tradizionale. 7. Insegnamento della Storia: il modello “Brocca”Il secondo modello è quello proposto dalla Commissione Brocca, a partire dai programmi per i bienni del 1991 e per i trienni del 1992. In questo caso si è assistito a un aggiornamento dei programmi sia nel linguaggio che nei contenuti, la cui ripartizione nei diversi anni è stata rivista, ampliando la trattazione della Storia più recente; vi è stata una maggiore attenzione per la programmazione didattica, con l'esplicitazione di finalità, obiettivi, strumenti. Sono state inserite ampie indicazioni metodologiche basate soprattutto sulle esperienze di sperimentazione degli anni ottanta. Per quanto riguarda i contenuti, vengono individuate nel complesso 17 ampie contestualizzazioni (tutte obbligatorie), ognuna organizzata in tre-quattro articolazioni, di queste tre all'anno sono obbligatorie. Il programma "Brocca" tiene presente la necessità di costruire una mappa cognitiva completa, anche se sono possibili diverse articolazioni del programma e differenti gradi di approfondimento; in linea di massima rende possibile una varietà di approcci all'insegnamento storico. L'impianto cronologico, pur previsto nelle grandi contestualizzazioni, si intreccia con quello tematico, che può prevedere una propria autonoma scala temporale. In concreto, si tratta di una mediazione tra la Storia intesa come disciplina istituzionale e la didattica degli obiettivi nella formulazione in voga dieci anni fa. Ha comportato, dov' è stata supportata dall'aggiornamento degli insegnanti, una maggiore attenzione non solo ai contenuti dell'insegnamento, ma anche alle modalità di trasmissione del sapere e ai processi di apprendimento degli studenti. Senza rivoluzionare l'insegnamento della Storia rispetto all'impostazione tradizionale, ha costituito nel decennio passato una modernizzazione della didattica, soprattutto nell'Istruzione tecnica, marginalmente, forse, in quella liceale. 8. Insegnamento della Storia: gli Istituti professionaliIl terzo modello è quello presente nei nuovi programmi degli Istituti professionali introdotti nel 1997; esso rompe drasticamente con i due precedenti, definendo innanzitutto finalità e obiettivi, a cui i contenuti sono quasi completamente subordinati. Nel triennio iniziale lo studio sequenziale e sistematico del vecchio programma è sostituito da grandi quadri tematici, nella logica della Storia di lungo periodo; la Storia generale del biennio postqualifica è sostituita dalla Storia settoriale, scelta in base all'indirizzo dell'Istituto. Il metodo didattico proposto è quello della didattica modulare, elaborata nell'ultimo decennio a partire da esperienze della formazione professionale, teorizzata da Domenici e da altri esperti e inserita per la prima volta nei programmi degli Istituti professionali (solo quelli di Italiano e Storia), anche se il termine 'modulo', con altra accezione, era già stato utilizzato nella riforma della scuola elementare. Il rischio maggiore di questo modello è quello di una troppo ampia autonomia e autoreferenzialità di ogni modulo didattico, mentre perde significato l'ordine curricolare dei contenuti, che non sono più centrali all'interno della programmazione. L'impianto disciplinare come è stato trasmesso dalla ricerca accademica e dalla tradizione viene così dissolto. A prima vista può sembrare la fine della dittatura dei contenuti sull'insegnante e sulla lezione. Tutti ricordiamo l'ansia di chi deve "finire" il programma. Ora viene riconosciuta un'ampia responsabilità alle scelte del docente sui contenuti. Ma vediamo i problemi. C'è innanzitutto un'ambivalenza nel dibattito sul modello, in quanto la riflessione metodologica, di interesse più generale, suIla didattica modulare, che potrebbe trovare ampia applicazione indipendentemente dal tipo di scuola, si intreccia con l'attivazione dei nuovi programmi dell'Istruzione professionale, che è l'ordine scolastico che si è sviluppato più autonomamente, sperimentando soluzioni organizzative e didattiche più radicali rispetto al resto della scuola secondaria. Per una conoscenza più precisa del concetto di didattica modulare, rinvio il lettore alla formulazione presente nel testo del Dm 31/97, che è particolarmente interessante per le implicazioni che esso contiene e perché è la più sofisticata e articolata tra quelle in circolazione. In particolare, nel testo si opera un vero e proprio rovesciamento rispetto alla tradizione a cui sono abituati gli insegnanti: programmi dai contenuti rigidi, ma libertà quanto a metodo di insegnamento. In effetti, nel decreto è usato, per quanto riguarda le indicazioni didattiche, un tono imperativo e dogmatico. L'organizzazione modulare è presentata come un processo definito, ovvero una sequenza di sei fasi; se i contenuti sono indicati per grandi aggregazioni, le finalità specificate sono ben 16 e 52 gli obiettivi, fornendo una sorta di supermarket della programmazione. In sostanza, vi è rigidità nell'impianto metodologico, negando così l'autonomia e la responsabilità didattica del docente; si passa da un controllo sui contenuti (il vecchio programma), al controllo sui metodi di insegnamento. Mi sono soffermato su questo terzo esempio, perché è sicuramente meno conosciuto tra gli insegnanti dei Licei e degli Istituti tecnici, e anche perché sembra anticipare alcune tendenze che potrebbero in futuro riguardare l'insegnamento della Storia nell'insieme dell'istruzione secondaria. 9. Ricostruire un terreno comune tra gli insegnanti di Storia Fino a ora vi è stata una pressoché totale separazione tra le esperienze dei vari tipi di scuola. Vi è invece la necessità di ricostruire un senso comune dell'insegnamento della Storia nell'istruzione superiore. È necessaria una contaminazione delle esperienze che eviti il nuovismo a ogni costo e la rincorsa delle mode didattiche, ma sappia integrare la tradizione della nostra scuola con le migliori elaborazioni di questi anni. Indico alcuni criteri di massima per ricostruire un possibile curricolo di Storia in situazione, più complesso è ricostruire un curricolo formale. a) Selezione drastica degli argomenti trattati sulla base di un criterio di rilevanza chiaramente esplicitato dall'insegnante; questo criterio sarà necessariamente mutevole, perché legato all'intenzionalità del docente e all'artigianalità del suo lavoro, ma è importante che esso venga razionalizzato e reso pubblico. b) Costruzione di un curricolo compiuto e coerente in cui gli argomenti selezionati non devono essere necessariamente ordinati secondo una cronologia, ma tematizzati, quindi raccolti in moduli didattici relativamente compatti (non necessariamente monografici) secondo il criterio a). c) Recupero di un impianto di nozioni (informazioni su termini, concetti, date, nomi) in grado di costituire l'ossatura solida, essenziale e significativa, della conoscenza, rifiutando, con il vecchio nozionismo, anche la genericità e il pressapochismo che l'ha sostituito negli ultimi decenni. d) Varietà di approccio alla materia storica nei moduli tematizzati: secondo la scala di indagine (globale, continentale o nazionale, locale), il livello dell'analisi (demografica, economica, sociale, politica, culturale…), il punto di vista (di genere, di classe, geografico…), il livello del linguaggio o metalinguaggio (termini, concetti, problemi, interpretazioni). e) La varietà deve riguardare non solo i contenuti storici, ma le modalità di esperienza didattica attivate nel rapporto insegnamento-apprendimento (lezione frontale, laboratorio, ricerca d'archivio, simulazione, animazione teatrale, realizzazione di percorsi sulla base di un progetto, uscite didattiche, interviste…). f) La didattica deve essere "costruttiva", ovvero integrare le nuove esperienze nelle acquisizioni preesistenti dello studente, e "progettuale", quindi consapevole; deve prevedere un rapporto interattivo tra disciplina, docente e studente, superando un insegnamento meramente trasmissivo; deve essere collocata in un contesto determinato che contenga il punto di vista dell'allievo concreto, ma permetta anche il decentramento dell'osservazione, rifiutando la dissoluzione della trattazione dei contenuti in una falsa globalizzazione. |