… dove va la scuola media?

salvaguardare l’unitarietà e la coerenza del progetto educativo

(Materiali di riflessione a cura dei gruppi nazionali scuola dell’infanzia, scuola elementare, scuola media, del CIDI )

 

 

I genitori? la sanno lunga…

Il decreto legislativo introduce operativamente nella scuola media alcuni principi enunciati nei numerosi documenti “ufficiosi” di corredo delle proposte di riforma (ma mai esplicitati nella legge 53/2003):

-          la garanzia per ogni cittadino di poter fruire del diritto dovere all’istruzione, ma per un tempo scolastico di 27 ore (inferiore di almeno 3 ore rispetto alla scuola che c’è);

-          l’opzionalità per le famiglie di scegliere tra le diverse opportunità (attività e discipline fino ad un massimo di 6 ore) che la scuola deve mettere a disposizione;

-          l’obbligatorietà della scuola ad offrire il massimo delle possibilità previste (6 ore diversamente articolate) e realizzarle sulla base delle richieste;

-          la facoltatività per i genitori di avvalersi o meno delle offerte opzionali messe a disposizione della scuola.

Rimanendo sul piano dei principi, quello di riconoscere alle famiglie una così ampia responsabilità appare in sintonia con un sistema di valori attraverso i quali sono le famiglie, prima ancora delle istituzioni pubbliche (le scuole, lo Stato, gli enti locali, ecc.), a farsi carico dell’istruzione dei ragazzi. Assecondando questa filosofia “familista” dovremmo consentire ai genitori di scegliersi gli insegnanti, disporre di orari scolastici a propria misura, decidere sulle attività scolastiche, privilegiare la lingua inglese, strizzare l’occhiolino all’informatica, disporre del “tutor” preferito…

 Il decreto legislativo è sensibile a tutto ciò. Ma la scuola, come istituzione formativa pubblica, ha  regole e finalità che non possono dipendere in maniera diretta ed unilaterale dalla domanda “individuale” di ogni famiglia. Scorriamo allora gli articoli del decreto per capire quali sono i pericoli e come (e se) è possibile arginarli.

Gli articoli del decreto che riguardano direttamente la scuola secondaria di primo grado sono i seguenti:

-          Articolo 9, sulle finalità educative.

-         Articolo 10, che regola l’orario obbligatorio delle attività opzionali facoltative, dell’assistenza educativa alla mensa e al dopomensa e prevede un docente con funzioni di orientamento, tutorato, coordinamento, ecc.

-         Articolo 11, che oltre alla valutazione periodica e finale, all’eventuale bocciatura, ridefinisce le regole fondamentali dell’esame di stato e stabilisce il criterio della permanenza in sede per gli insegnanti.

-     Articolo 14, che definisce la tempistica per l’attuazione del nuovo ordinamento, entra nel merito dei criteri per la determinazione degli organici, prevede una configurazione transitoria delle cattedre e dell’utilizzo dei docenti con orario eccedente. Annuncia altresì una nuova definizione delle classi di abilitazione.

Estrapoliamo alcuni concetti fondamentali individuando in ognuno i punti di criticità.

 

 

Quali finalità per il primo ciclo? Le lingue e l’informatica al primo posto?

    

     Le finalità della scuola media sono le stesse indicate nella legge 53/2003 (art. 2, comma 1, lettera f), ma declinate in conoscenze ed abilità dal documento Allegato C (Indicazioni nazionali) che in via transitoria determina l’assetto pedagogico, didattico e organizzativo della scuola media. Resta lo sconcerto, già segnalato in occasione dell’approvazione della legge di riforma, circa l’assenza di ogni richiamo ai valori costituzionali (a quella “formazione dell’uomo e del cittadino” ben presente nei programmi del 1979). 

Una questione problematica è quella relativa alle tecnologie informatiche e alla seconda lingua dell’unione europea, che sono presentati come gli aspetti più innovativi del corso di studi. L’alfabetizzazione informatica viene configurata come un’attività trasversale a tutte le discipline, quindi non assegnata ad alcun docente. Ma rimane il problema di chi si assume la responsabilità degli obiettivi formativi che appaiono, nelle “Indicazioni nazionali”, autonomi, rispetto alle altre discipline.

L’introduzione dello studio della seconda lingua europea nel curricolo obbligatorio, se in linea di principio costituisce un elemento di pregio, apre una serie di problemi non solo organizzativi. Nei programmi attualmente vigenti la lingua straniera ha 3 ore di insegnamento settimanale, con l’introduzione della seconda lingua si verrebbe a diminuire la quota complessiva annuale quasi della metà (da 99 ore a 54 ore) con rischi evidenti sul piano degli esiti formativi. E il tempo per la seconda lingua non sarebbe comunque superiore alle due ore settimanali. Di fatto, l’introduzione della seconda lingua comporterebbe per lo Stato un aumento complessivo di pochi minuti di insegnamento alla settimana: si tratta di appena 21 ore annue (dalle 99 per la 1a lingua dei programmi del 1979 alle attuali 120). Inoltre, si tace clamorosamente sul problema delle competenze necessarie e dell’organico docente conseguente…

 

 

Un orario obbligatorio asciugato… quasi secco?

 

In realtà nel decreto non si  parla di orario “obbligatorio” ma di un tempo che garantisce l’esercizio del diritto dovere. Come per la scuola primaria, è di 27 ore settimanali (se si opta per una distribuzione uniforme della quota annuale di 891 ore), cioè di 99 ore in meno rispetto a quella prevista dai Programmi del 1979.

Nelle 27 ore sono comprese: la quota regionale (non ancora specificata); quella riservata all’autonomia scolastica (ancora del 15%, come nel DM 340/2000?); l’ora di religione cattolica; ma anche l’informatica e la seconda lingua comunitaria. Ci sono, cioè 11 insegnamenti e due attività assai complesse (come l’educazione alla convivenza civile e l’informatica), rispetto ai quali risulta difficile far fronte con qualche lifting di superficie (togliamo qualche minuto alla matematica che regaliamo alle scienze, qualche ora in meno di palestra, qualche ora in più per la musica…). Nello schema che segue sono riportate oltre le quote di oscillazione annuali e settimanali anche i tempi del vecchio ordinamento con le relative differenze, sia rispetto alla quota annuale sia a quella settimanale.

 

Discipline/orari

Quota

minimo

Quota

Medio

Quota

massimo

Quota di oscillazione

min. media massima

settimanale

Monte ore 1979

Media settimanale 1979

Diff. rispetto alla quota media annua

Italiano

 

Storia

Geografia

 

(307)

203

       (313)

60

50

(319)

6,1

(9,3-9,4- 9,6)

1.6

1,5

231

(363)

132

7

(11)

4

(- 50)

Matematica

 

Scienze e Tecnologia

 

(239)

127

       (245)

118 *

 

(251)

(7,2-7,4-7-6)

198

(297)

99

6

3

    (-52)

Inglese

 

2a lingua comunitaria

 

(114)

54

       (120)

66

 

(126)

1,6

(3,4-3,6-3,8)

2

(99)

3

(+ 21)

Arte e immagine

54

60

66

1,6-1,8-2

66

2

-  6

Musica

54

60

66

1,6-1,8-2

66

2

-  6

Scienze motorie e sportive

54

60

66

1,6-1,8-2

66

2

-  6

Religione

33

33

33

1

33

1

-

 

 

891

 

 

990

 

-  99

* di cui 33 ore da destinare alla Tecnologia

 

NB: I dati in parentesi si riferiscono alle aggregazioni disciplinari

 

 

L’opzionalità e la facoltatività… per una scuola su misura… di chi?

 

Il modello di tempo scuola sembra seguire una sua logica: c’è una prima quota “obbligatoria” e c’è una seconda quota “opzionale-facoltativa”. Confrontiamolo con la situazione attuale: le ore opzionali-facoltative, se distribuite uniformemente nella settimana, diventano 6 ore, che aggiunte alla quota obbligatoria permette di ricomporre un tempo scuola di 33 ore (3 in più rispetto al modello “base” precedente, ma tre in meno rispetto al modello del tempo prolungato).

Il problema risiede proprio nella “facoltatività” il cui principio consegna al genitore anche la possibilità di non scegliere, sia per optare per altri servizi nel territorio sia anche (nelle fasce più marginali e a rischio) per superficialità, incapacità o anche noncuranza.

Molto dipenderà da come le scuole sapranno progettare l’offerta formativa. Si possono prevedere due diverse strategie:

a. Una proposta organica della scuola, su cui si opera la successiva scelta dei genitori;

b. Una scelta preventiva dei genitori su un ventaglio di insegnamenti e di attività.

Naturalmente la prima modalità è quella che garantisce maggiormente l’unitarietà del modello formativo e la stabilità degli organici (assicurando una necessaria continuità per gli studenti). Si tratta, infatti, di “contenere” le eventuali particolarissime richieste dei singoli genitori, magari tagliate su esigenze familiari piuttosto che su quelle dei bisogni formativi dei ragazzi. La domanda di un genitore per un certo tipo di servizio non può essere scambiata per un diritto soggettivo perfetto…. La scuola dovrà certamente “negoziare” e “mediare” tra le diverse istanze, ma il criterio sarà quello di decidere (in termini professionali) ciò che è più utile per una comunità e non solo per un singolo soggetto.

Occorre evitare che la scuola diventi una specie di supermercato dove ognuno possa prendere quello che al momento piace di più, magari perché attratto da qualche piccolo effetto speciale. Bisogna in ogni modo evitare che sul principio dell’opzionalità (diritto di scegliere) prevalga il principio della facoltatività (che è anche diritto a non scegliere), facendo in modo che gli allievi più bisognosi di cure educative non siano proprio quelli che si accontentano solo della quota garantita.

Un altro rischio è quello della precarietà dell’organico essendo soggetto ogni anno (?) alle scelte dell’utenza. Una modifica apportata nel testo definitivo che “obbliga” gli allievi alla frequenza delle attività facoltative scelte elimina il pericolo di una precarietà anche in corso d’anno, ma non scongiura quello della precarietà per periodi più lunghi. Questa incertezza può costituire un freno per la scuola ad utilizzare ampiamente l’autonomia organizzativa, prevista del Regolamento del 1999: cosa potrebbe succedere, infatti, se si organizzano le attività opzionali e facoltative concentrandole in determinati periodi, anziché spalmarle uniformemente nell’intero anno scolastico?

 

 

Il giallo del tempo prolungato… c’è e non c’è!

 

Grazie agli interventi dell’Anci e della Conferenza unificata Stato Regioni, tra le garanzie a livello nazionale (ma su richiesta delle famiglie) c’è ora anche quella del tempo riservato alla mensa e al dopo mensa. Il decreto prevede fino ad un tempo massimo di 231 ore che al livello settimanali può significare anche 7 ore. Paradossalmente, ne deriva che sommando questo tempo aggiuntivo alla quota obbligatoria e a quella opzionale-facoltativa tutto il servizio per la scuola secondaria di primo grado potrà estendersi fino a 40 ore settimanali, quindi per un tempo maggiore rispetto al modello più diffuso di tempo prolungato.

Permane, quindi, nella vulgata, che lo stesso decreto veicola (vedi art. 15, attività di tempo pieno e di tempo prolungato) il termine “tempo prolungato”. In realtà non si tratta di una riproposta di quello già esistente: formalmente, perché vengono eliminate le norme di riferimento (art. 19, commi 3 e 4); sostanzialmente, perché il modello della legge di riforma (leggasi Decreto) è fondato su altri presupposti.

Le scuole a tempo prolungato si trovano, ora, a dover ridurre di tre ore le attività e le discipline (vedi sopra), ma possono comunque prolungare l’azione educativa durante la mensa e nel dopomensa, essendo tali ore garantite dall’organico. I docenti, quindi, sulla base delle rispettive professionalità, ma anche degli aspetti vocazionali di varia natura, possono sicuramente utilizzare parte dell’orario aggiuntivo per azioni educative di carattere educativo (attività sociali, piccoli gruppi, relax intelligente, ascolto, lettura, ecc.). 

Resta aperto il problema del fabbisogno aggiuntivo di personale per i tempi aggiuntivi promessi agli utenti (offerta fino a 33 ore, tempo della mensa, ecc.), se ad ogni scuola media viene data la possibilità di conservare per un triennio il proprio organico. Insomma, non è chiaro il rapporto tra congelamento dei posti di tempo prolungato, salvaguardia degli organici di istituto, risposta alla eventuale domanda “aggiuntiva” dei genitori, riduzione di 12.000 cattedre previste – per altre vie – dalle leggi finanziarie.

 

 

Arriva il tutor… ma è un coordinatore (!?)

 

In tutor non esiste… se dobbiamo attenerci alla termine specifico, ma viene previsto un docente con una serie di funzioni tutoriali:

- di orientamento (per le scelte delle attività opzionali facoltative);

- di tutorato degli allievi;

- di coordinamento delle attività educative didattiche;

- di cura delle relazioni con le famiglie;

- di cura della documentazione del percorso formativo

 

Esse dovrebbero essere svolte all’interno del tempo già definito. Non si fa riferimento né ad una tempo minimo di insegnamento garantito per ogni classe o gruppo di alunni, né ad un tempo aggiuntiva di esonero dall’insegnamento per l’espletamento delle funzioni tutoriali.

In realtà buona parte di tali funzioni non sono nuove e spesso vengono assegnate al docente (es.: lettere) che garantisce una presenza più continua nella classe di riferimento. Dal momento che l’organizzazione delle attività educative e didattiche rientra tra le responsabilità della scuola autonoma (concetto ribadito anche nel decreto) si presuppone che anche la distribuzione di tali incarichi sia compito della scuola, dovendo essa assicurare la funzione di tutorato per tutta la durata del corso. Non può essere certamente il docente a garantirla dal momento che (nella migliore delle ipotesi) esso può essere vincolato per solo un periodo didattico (norma che tra l’altro stride con la facoltà di chiedere annualmente il trasferimento in altra sede).

Nel decreto, però, si fa riferimento ad un docente “al singolare” in più dotato di specifica formazione. Ci troviamo quindi di fronte ad un’altra contraddizione: non è possibile un docente al “singolare” per i motivi sopra esposti, come non è neanche possibile che un insegnante abbia già una formazione ad hoc non essendo state, tali funzioni, mai definite per norma. Non va inoltre ignorato che la maggior parte di tali funzioni rientrano tra quelle di una normale professionalità d’aula (tutorato degli allievi, orientamento, cura della relazione con la famiglia) o di una professionalità arricchita a seguito della realizzazione dell’autonomia scolastica (cura della documentazione, coordinamento delle attività educative e didattiche).

Se valgono tali riferimenti, come e chi decide i criteri per validare le esperienze formativi realizzate, ma sicuramente mai certificate? Inoltre, secondo la legge 53/2003  (comma g, art 5) la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell’attività educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative dovrà essere curata solo da apposite strutture di Ateneo che, al momento non solo non esistono, ma devono ancora essere definite con un apposito decreto legislativo.

A supportare la tesi che è la scuola a dover garantire la funzione tutoriale (e non il singolo docente tutor) c’è anche la stessa legge di riforma che nel suo articolato si era limitata a indicare una serie di funzioni educative da potenziare, ma non aveva preordinato alcuna figura professionale di questo tipo