OSSERVAZIONI SULLE INDICAZIONI NAZIONALI PER I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI - SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO. (Giovanni Campana) Premessa. Le osservazioni che seguono non mirano a tentare una valutazione complessiva delle Indicazioni Nazionali per la secondaria di 1° grado, né sarebbero sufficienti ad uno scopo così impegnativo. E’ difficile, infatti, valutare, cioè soppesare quelli che sembrano essere gli aspetti positivi e quelli che sembrano essere gli aspetti negativi e trarne conclusioni valutative sull’intero documento. In particolare può essere difficile che gli aspetti positivi si staglino così nettamente da meritare molte parole di commento, mentre è naturale concentrarsi sui punti critici, laddove si ritiene di imbattersi in posizioni rischiose che si vorrebbero rimosse o superate finché il testo non sia approvato in via definitiva. É il ruolo dell’ “avvocato del diavolo”, cui vien chiesto di tirar fuori le magagne dei santi prima che finiscano sugli altari e senza il quale nessuna canonizzazione potrebbe essere presa sul serio. 1.
Non era meglio un criterio di essenzialità? Un’osservazione preliminare: siamo proprio sicuri che la Costituzione non basti come garanzia valoriale per orientare gli educatori nella loro azione pedagogica e che sia perciò necessario inquadrare gli obiettivi formativi in un discorso pedagogico-filosofico complesso (e a tratti sfuggente)? Non sarebbe meglio che lo Stato si limitasse a fissare il profilo finale (e intermedio: scuole d’infanzia, elementare e secondaria di 1° grado) - e lasciasse tutto il resto, sia pure con alcuni paletti di garanzia (sulla trasparenza, ecc.), alle scuole autonome e (soprattutto i presupposti pedagogico-filosofici) all’autonomia professionale e alla libertà di insegnamento dei docenti? 2.
Profilo…professionale? Che il Profilo del nostro quattordicenne sia non solo “educativo” e “culturale”, ma “professionale” suscita sorpresa (e – onestamente - stringe un po’ il cuore). In ogni caso, se la secondaria di 1° grado – foss’anche solo la terza media - deve non solo orientare, ma anche realizzare nei nostri alunni un profilo professionale, questo dovrebbe saltar fuori dai contenuti, oltre che dal titolo. Ma dal quadro delle conoscenze e competenze del Profilo questa dimensione o valenza professionale non risulta affatto in modo specifico. A quale scopo, allora, il profilo è definito anche professionale? 3.
Continuità-rottura. Costituisce una significativa novità il fatto che l’accento sia posto sul “valore simbolico di rottura” del passaggio dall’istruzione primaria a quella secondaria. Al carattere di secondarietà della scuola secondaria di 1° grado, infatti, le Indicazioni dedicano un ampio e complesso approfondimento. La discontinuità esce così dal suo ingiusto statuto di male minore ed è posta positivamente, forse anche con l’intento di rompere con una specie di iperprotettività pedagogica, che tende al contrario a vedere soltanto il valore della continuità e quasi a temere la discontinuità. La questione della continuità, invece, è posta senza alcun approfondimento: il processo educativo deve svolgersi “secondo spontaneità (ma il concetto, estremamente problematico, risulta proposto in modo troppo generico e suggerisce qualche più che legittima cautela), e rispetto dei tempi individuali di maturazione della persona”. Quello che fa problema è che in tal modo la discontinuità risulta svincolata dalla sua tensione problematica con la continuità. Infatti, che la scuola media sia, contemporaneamente, da un lato - insieme alla scuola elementare (cioè alla primaria) - parte del primo ciclo e dall’altro - insieme alla scuola secondaria di 2° grado - parte della secondaria rappresenta necessariamente una tensione interna tra continuità e discontinuità. Questa tensione tra continuità e discontinuità costituisce precisamente il carattere specifico ineliminabile della scuola media Non si può né infantilizzare o “primarizzare” la scuola media, né abbandonare fittiziamente tale tensione tra continuità e discontinuità. La scommessa sulla capacità di combinare continuità e discontinuità nella scuola media (ma l’impegno a tener conto di tale tensione deve oggi estendersi anche all’anno o ai due anni successivi, se non altro per la frequenza comunque di massa della secondaria di 2° grado) è uno dei nodi fondamentali di ogni riforma del sistema formativo ed è la scommessa decisiva di ogni società avanzata: combinare il massimo di inclusione sociale – il che richiede un grande sforzo di continuità - con il massimo di innalzamento dei livelli – il che richiede di non eludere o annacquare le discontinuità essenziali di un serio processo di secondarizzazione). E’ vero tuttavia che, poi, sul piano pratico, se non su quello dell’inquadramento pedagogico, nelle Indicazioni la continuità risulta una preoccupazione molto importante ai fini della costruzione del portfolio dell’alunno, a proposito del quale si impone ai docenti dei due gradi di scuola – elementare e media - di collaborare nell’anno precedente e in quello successivo al passaggio (cosa che richiederà di intervenire sul contratto nazionale dei docenti e perciò piuttosto problematica...). 4.
La secondarietà: la modellizzazione matematico-scientifica. Il carattere secondario di questo grado di scuola, che viene posto in modo così impegnativo, è identificato nella modellizzazione come conquista, ancora iniziale, della distinzione tra i modelli della realtà e la realtà stessa, vale a dire 1) la maturazione di un più avanzato grado di astrazione e 2) la coscienza stessa del senso e del valore dell’astrazione (la consapevolezza – ancora iniziale - della distanza tra il pensiero e le cose stesse): attraverso la consapevolezza della distanza tra il modello e la realtà, il ragazzino deve pervenire ad assumere “la responsabilità di una vita sempre vigile e tesa - attraverso il confronto – alla ricerca della verità”.
Stupisce che a introdurre la prospettiva di una vita tesa alla
ricerca della verità sia stata scelta la modellizzazione matematico-scientifica. 5.
Le altre forme di modellizzazione. Ugualmente singolare il porre subito dopo una specie di confronto tra il modello matematico-scientifico di “rappresentazione degli oggetti, del mondo e della vita” e i “modelli di natura linguistico-letteraria, artistico-estetica, tecnologica, storico-sociale, etica e religiosa”, che “hanno contribuito … con pari (quando non, in alcuni momenti storici, maggiore) dignità a ricercare la verità”: una specie di graduatoria, insomma, alquanto problematica, e per di più in tema di ricerca della verità. 6.
La parte e il tutto. La secondarietà – in quanto capacità di formulare modelli - consiste anche nel maturare la necessità di “rinviare la parte al tutto e il tutto alla parte”, ovvero di “collegare sempre le prospettive parziali…in un sistema unitario e integrato di significati personali”. È un’indicazione importante e impostata qui in modo chiaro. Lascia invece perplessi, più avanti, - in tema di interdiscplinarità e transdisciplinarità (connesse all’educazione civile) – l’affermazione che non solo “la parte si lega al tutto”, ma che”il tutto non si dà se non come parte”. È il principio dell’ “ologramma”, come si precisa successivamente. Comunque sia, tale affermazione ha un sapore ermetico e misticheggiante (gnostico, neoplatonico… e comunque filosofico o teologico-religioso…) che produce una giustificata reazione di diffidenza. Insomma, non sono discorsi astrusi? a cosa servono – a quale funzione pedagogica mirano - in un testo di Indicazioni “prescrittive” che lo Stato dà per la formazione dei cittadini? un docente non potrà porsi risolutamente al di fuori di una visione mistica e sostenere che, almeno al di fuori di essa, il tutto (il Tutto) non si dà affatto, tanto meno solo come parte? 7.
Il “salto transdisciplinare”. Lo stesso senso quasi di reductio ad unum, è assegnato alla transdisciplinarità, che cessa di essere concretamente quello per cui Piaget aveva escogitato il termine, cioè quell’ ulteriore livello di penetrazione concettuale (dopo l’intra- e l’inter-disciplinarità) in cui più scienze scoprono dimensioni comuni – ad esempio la fisica e la biologia trapassano in biofisica – per diventare nelle Indicazioni un “salto transdisciplinare, ovvero il confronto con una ‘visione personale unitaria’ di sé, degli altri, della cultura e del mondo”. Che l’esito del processo maturativi ed educativo debba essere orientato alla costruzione di una “visione personale unitaria” non c’è dubbio. Ma non sarebbe un miglior servizio orientare gli insegnanti a perseguire semplicemente la transdisciplinarità come un determinato livello di concettualizzazione scientifica? 8.
La secondarietà. Conclusione. In sintesi, si può dire, dunque, che – astraendo da possibili suggestioni ermetico-misticheggianti - l’indicazione, pedagogicamente piuttosto nuova, è: la secondarietà della scuola secondaria di 1°grado consiste nella progressiva capacità di modellizzazione intesa come progressiva consapevolezza della distanza tra modello e realtà, perseguita in ambito matematico-scientifico e negli altri campi, tale da orientare alla ricerca – critica - della verità e, anche mediante un salto transdisciplinare, ad un “sistema unitario e integrato di significati personali”. 9.
Gli Obiettivi generali del processo formativo. Definita la secondarietà, vengono posti gli “Obiettivi generali del processo formativo”. In realtà, più che di qualità da perseguire nella formazione degli alunni, si tratta di condizioni dell’azione pedagogica che la vincolano a finalità e dimensioni della crescita educativa degli alunni. Qui, insomma, le Indicazioni dicono come dev’essere la scuola. Il quadro si articola in sette punti. La scuola secondaria di 1°grado deve: 1) perseguire l’educazione integrale della persona; 2) collocare nel mondo; 3) essere orientativa; 4) accompagnare il preadolescente nella maturazione della propria identità; 5) utilizzare modalità motivanti e ricche di senso; 6) operare per la prevenzione dei disagi e il recupero degli svantaggi; 7) realizzare un’autentica relazione educativa. 10.
Educazione integrale e laicità della scuola. A proposito dell’educazione integrale della persona si dice che “la Scuola Secondaria di 1° grado, … si preoccupa di adoperare il sapere (le conoscenze) e il fare (abilità) che è tenuta ad insegnare come occasioni per sviluppare armonicamente la personalità degli allievi in tutte le direzioni (etiche, religiose, sociali, intellettuali, affettive, operative, creative, ecc…)”. Dev’essere chiaro che, quanto alla direzione religiosa, si tratta di fare del sapere e del fare una “occasione”, non di orientare ad essa. Ma che questa occasione sia data costituirebbe un compito cui la scuola è tenuta. Potrebbero qui essere in gioco, evidentemente, la stessa libertà di insegnamento (che è in primo luogo libertà da vincoli di pensiero che siano posti da una qualunque autorità) e la libertà educativa dei genitori. Si può pensare la complessa formulazione con cui le Indicazioni si esprimono su questo punto voglia proprio salvaguardare queste due condizioni. Ma la distinzione tra occasione e orientamento è davvero molto sottile, se è prescrittivamente stabilito che l’occasione deve essere data. 11.
La promozione della “formazione spirituale”.
Stesso genere di riflessione si impone in più punti a proposito dell’uso
dell’aggettivo spirituale. Il compito di promuovere la formazione
morale e spirituale, assegnato dall’art. 2 della legge di riforma,
va inteso infatti – come precisa il ministero stesso (“Ragioni e sfide
del cambiamento”, pag. 23) - alla luce dell’art 4 della Costituzione
e non, ovviamente, come opzione religiosa: la scuola, insomma,
promuove il concorso dei futuri cittadini “al progresso materiale
e spirituale della società”.
Tra i diversi di punti su cui meriterebbe di fare chiarezza, si può
segnalare il seguente: nella Sintesi del Profilo si pone,
tra gli altri, come traguardo per il quattordicenne, quello di saper “valutare…i
fatti e i comportamenti individuali, umani e sociali… alla luce di parametri
derivati dai grandi valori spirituali che ispirano la convivenza civile”.
Ci si chiede se valori come, ad esempio, l’uguaglianza, la libertà
e la giustizia abbiano bisogno di essere battezzati come spirituali
e se come parametri di tali valori non debbano essere
assunti quei testimoni che – laici, cattolici, ecc. - hanno speso (e spesso
dato) la vita per essi senza che si formasse una tradizione che qualificasse
quei valori come spirituali. Si usa piuttosto qualificarli semplicemente
come valori civili universali. Definirli ora come spirituali rappresenta
perciò una forzatura. 12.
La Relazione educativa come accettazione incondizionata.. Quanto alla relazione educativa, si intende rivendicarne una concezione alta, come di soggetti che “si mettono in gioco come persone” (e non in una relazione di puro interesse, fondata sullo “scambio” tra trasmissione di saperi da un lato e ricambio in termini di attenzione-impegno dall’altro, né in un rapporto fondato solo sul riconoscimento di “ruoli” - docente, studente. ecc. – formalizzati in statuti, ecc.). La relazione educativa è definita come “accettazione incondizionata l’uno dell’altro, così come si è, per chi si è”: è necessario ricorrere ad una visione così estrema ed assoluta per affermare che nella relazione educativa “ci si prende cura l’uno dell’altro come persone”? e in che senso “l’uno dell’altro”: non è il docente che si prende cura dell’alunno? Parlare di accettazione incondizionata dell’allievo da parte del docente e viceversa non aiuta l’insegnante ad entrare nella complessità professionale del rapporto educativo, ma sembra evocare una concezione dell’insegnamento come missione totale e totalizzante, basata appunto su qualcosa di assoluto (sembra qui evocata la visione pedagogica gentiliana. Se così fosse, si potrebbe verificare se non vi sia in tutte le Indicazioni il tentativo – molto ambizioso - di passare dall’asse della tradizione critica crociano-gramsciana - che, semplificando, ha caratterizzato fortemente la storia culturale italiana della seconda metà del ‘900 - all’altra possibile matrice, quella, estremamente autorevole – nonostante la cupa ombra del fascismo - dell’attualismo gentiliano). 13.
Gli “Obiettivi specifici di apprendimento” e gli “Obiettivi formativi”. Da un lato è posta nelle Indicazioni – in termini molto forti - una fondamentale distinzione tra obiettivi specifici di apprendimento, che sono i traguardi stabiliti per un determinato grado di scuola e obiettivi formativi, che sono l’adattamento di quelle indicazioni al singolo alunno. Si tratta di una visione formativa 1) fortemente centrata sulle esigenze e caratteristiche di ogni singolo: “le tabelle degli obiettivi specifici di apprendimento…non hanno alcuna pretesa validità per i casi singoli”(!). La personalizzazione dell’azione educativo-didattica è dunque assunta in termini piuttosto radicali; 2) costantemente ispirata al principio di integrazione dell’individuo e di “integralità educativa”.
Strumenti di programmazione e di documentazione programmatica e sistematica
di tale personalizzazione e integrazione sono l’Unità
di apprendimento, il “Piano di Studio Personalizzato” e
il “Portfolio”. 14.
Sviluppo armonico? Dall’altro sembra introdotta - di fatto, anche se certamente non di principio - una differenziazione di statuto tra saperi intellettuali da un lato e ambito delle attività espressive, ecc. (insomma, le altre attività) dall’altro, la quale sembra inevitabilmente prefigurare - più che una necessaria distinzione – una preoccupante separatezza. L’impressione è che si sia voluti passare dalla forzatura di una illuministica – e ambigua - affermazione di pari dignità di tutte discipline (spesso anche sul piano della valutazione finale, cioè della conta delle sufficienze e insufficienze in sede di scrutinio) al recupero di una improponibile scissione tra le attività intellettuali – nobili - da un lato e le altre dall’altro. Infatti:
1) una scuola in cui la gran quantità delle discipline e delle educazioni
(alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività)
si svolgono in 27 ore settimanali (la scuola deve garantirne 27, ma per
l’alunno l’obbligo può essere limitato a 25) non può che avere una
caratterizzazione intensiva, centrata essenzialmente sulle discipline
di impegno essenzialmente intellettuale a scapito delle altre
attività, che solo in minima parte saranno comprese nello zoccolo
obbligatorio, essendo per il resto confinate all’interno delle 200 ore
non obbligatorie. 2) se si considera la non obbligatorietà e la debolezza della struttura laboratoriale delle 200 ore, destinate sia alle varie operatività espressive – così importanti per lo sviluppo armonico della persona, oltre che per l’integrazione sociale (tema pochissimo presente nelle Indicazioni) - si delinea un quadro in cui le affermazioni a favore dell’integrazione dell’individuo e dello sviluppo armonico sembrano smentite dalla struttura dell’impianto reale;
Non solo il quadro generale – in preciso contrasto con l’affermato
principio di “integralità educativa” - risulterà meno
armonico o decisamente disarmonico, ma potrà esservi
una quota significativa di alunni provenienti da famiglie meno sensibili
o in difficoltà che non parteciperanno alle attività non obbligatorie,
mentre gli alunni provenienti da famiglie sensibili avranno probabilmente
la tendenza ad avvalersi maggiormente o con più oculatezza delle possibilità
offerte. In tal modo la scissione tra i saperi intellettuali e il sapere-fare
più legato alla corporeità e alla espressività corrisponderà tendenzialmente
ad una differenziazione sociale. Oltretutto le possibili iniziative di recupero per gli alunni con difficoltà saranno tra quelle non obbligatorie, sicché proprio gli alunni predestinati alla dispersione scolastica, avendo la tendenza a ritirarsi da ciò che non è obbligatorio, non saranno raggiunti dalle forme di aiuto che si cercherà di dare loro o lo saranno molto meno. 15. Il problema dell’impegno scolastico. Sembra, insomma, che le Indicazioni non riescano a decidersi tra una scelta fortemente inclusiva (qualcuno potrebbe dire “buonista”...), rappresentata dalla radicalità con cui è affrontato l’imperativo della personalizzazione e una scelta, per così dire, di rigore (si potrebbe dire “più selettiva”). Oltre alla scelta per il tempo-scuola intensivo, anche altre scelte o altri segnali sembrano far prevalere la linea di rigore/selezione a scapito di quella inclusiva/personalizzante. La personalizzazione dell’azione educativo-didattica, assunta come impegno da perseguire, per così dire, a oltranza e i principi di integrazione dell’individuo e di “integralità educativa”, che devono ispirare costantemente l’azione educativa e didattica, entrano in gioco soprattutto ove si ponga in modo specifico un problema di integrazione sociale e di riduzione del disagio, tanto da richiamare, in ultima istanza, l’art. 3 della Costituzione, correttamente citato nelle Indicazioni, che impegna precisamente alla rimozione degli ostacoli che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana”. Di altro tenore, però, il modo come lo stesso articolo è citato nel Profilo, dove, usando il verbo all’infinito come si usa per le performaces, agli alunni si chiede di “confrontarsi con i valori della Costituzione ed esser consapevoli che solo impegnandosi a viverli nella quotidianità si rimuovono ‘ gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. Sembra quasi che l’attuazione dell’art. 3 della Costituzione sia essenzialmente a carico del soggetto stesso che quegli ostacoli se li trova addosso! E infatti si cita subito di seguito l’art. 4, ricordando che nella “scuola aperta a tutti”, “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi degli studi”. In un tale contesto il richiamo ai capaci e meritevoli perde il forte valore inclusivo che nella Costituzione intende avere per ribaltarsi in un determinazione limitativa, un filtro stretto che semmai sarebbe giusto invocare solo in relazione all’università, dal momento che la Costituzione si riferisce a “i più alti gradi degli studi”, non al primo ciclo dell’istruzione obbligatoria o al passaggio dei quattordicenni al secondo ciclo nell’ambito del diritto-dovere a dodici anni di formazione. 16. Il problema della valutazione.
Sempre a proposito della scelta tra incusione e selezione, al
di là dell’affermazione che “le tabelle degli obiettivi specifici di
apprendimento…non hanno alcuna pretesa validità per i casi singoli”, al
momento della valutazione “si dispone la ripetenza del secondo anno
del biennio quando l’allievo mantenga due debiti negli obiettivi formativi
di due discipline (comportamento compreso) che siano già stati registrati
l’anno precedente”. Qui si impongono alcune osservazioni decisamente critiche: a) se questa disposizione dovesse essere onestamente rispettata, più di un terzo dei nostri alunni – in certe realtà più del cinquanta per cento - dovrebbe ripetere il biennio della secondaria di 1° grado; b) per la verità, le Indicazioni ribadiscono che le discipline devono essere e restare per ogni alunno”obiettivi formativi”, cioè tagliati sulle sue caratteristiche e capacità. Ma proprio questo criterio di sapiente regolazione dei docenti sulle caratteristiche del ragazzino fa risultare incongruo il vincolo dei due debiti formativi. L’annunciato rigore valutativo è dunque vanificato i partenza, poiché basta ritagliare gli obiettivi in modo utile in vista della futura valutazione. E’ il destino delle gride manzoniane (attualmente, quando si decida di promuovere il ragazzino nonostante le gravi inadeguatezze, si danno, generalmente, con tutta onestà delle sfilze di insufficiente, poi ci si premura di scrivere espressamente nel giudizio globale che l’alunno è una vera frana, ma che per il suo bene è meglio che non gli sia imposta una ripetenza, in modo che possa cogliere opportunità diverse);
c) in un simile contesto, anche uno strumento importante come il
portfolio, se da un lato permette una visione globale e una seria
attenzione al ragazzo nella sua storia e personalità, potrebbe favorire
la tendenza ad accontentarsi di ciò che i vari alunni con difficoltà
o in situazioni di disagio presentano nella loro diversità individuale
e ad esonerarli da un maggiore impegno nei saperi più di
studio; d) così pure il principio assolutamente nobile, propugnato nelle Indicazioni, dell’accettazione incondizionata dell’allievo da parte del docente (la quale, come sopra osservato, se è incondizionata da parte del docente, non deve importare se sia poi corrisposta dallo studente, altrimenti sarebbe condizionata: insomma, quella dell’incondizionatezza è una formula che non aiuta…) potrebbe esser funzionale ad una simile perdita di tensione formativa proprio là dove maggiormente si manifestano problemi; e) ma ciò che francamente sconcerta è che la ripetenza deve essere stabilita quando uno dei due debiti è il comportamento! Dopo il ribadito impegno all’educazione integrale della persona, i docenti si trovano dunque a dover applicare una norma singolarissima: - i debiti di Luigi sono, ad esempio, Storia e Comportamento, gli stessi dell’anno precedente: il ragazzo, perciò, sarà respinto; - a differenza di Marco, che l’anno scorso aveva Inglese e Comportamento e quest’anno ha Francese e Comportamento, perciò sarà promosso; - e a differenza di Giuseppe, che ha solo Comportamento!
- quanto a Jessica, avendo Italiano, Matematica e Francese,
non è chiaro se i docenti siano liberi di valutare quale sia l’interesse
educativo della ragazzina e decidere di conseguenza. Una contabilità poco onorevole per i docenti, che dovranno applicarla indipendentemente dalla conoscenza degli alunni e dalla previsione del loro interesse educativo. In particolare va rammentato agli estensori delle Indicazioni che il comportamento riguarda la persona intera, non è un pezzo, che, se aggiunto a Italiano o a Matematica, ecc. determina conseguenze, se non è aggiunto ad almeno una disciplina non le determina! Si dirà che le cose vanno considerate in modo meno fiscale e con più buon senso. Appunto. Meglio evitare che al momento della valutazione il contratto formativo dei docenti con l’alunno e la famiglia sia messo da parte e i docenti si trovino a dover applicare un contratto già firmato dal ministero…! 17. Conclusione. L’analisi dovrebbe proseguire per considerare soprattutto il sistema di conoscenze e competenze, che sono la parte delle Indicazioni destinata ad avere un effetto concreto nell’impostazione effettiva dell’azione didattica e dunque nella formazione degli alunni. Tuttavia, posto che lo Stato non si limita a stabilire le conoscenze e competenze e gli specifici vincoli essenziali di garanzia che il servizio scolastico deve istituzionalmente rispettare, ma entra molto a fondo – e intende farlo prescrittivamente - nei presupposti e negli orientamenti pedagogici e filosofico-pedagogici, sarebbe importante che su tutto questo si sviluppasse un ampio dibattito nell’ambito della scuola, cosa che, per la verità, non è solita verificarsi. I punti critici segnalati sono identificabili essenzialmente in due nodi fondamentali:
1) nel modo come la secondaria di 1° grado è posta davanti al dilemma
tra rottura e continuità – in cui la scelta sembra chiaramente
per la rottura - e a quello, ad esso strettamente correlato, tra
inclusione e selezione – in cui la scelta sembra, in definitiva,
per la selezione sociale; 2) nel rischio di perdita di laicità della scuola, a) sia per l’insistenza, a tratti ambigua, sui valori religiosi e spirituali – che dovrebbero, sì, essere presenti, ma intesi laicamente – b) sia perché, benché da molto tempo, ormai, l’educazione sia consapevole di dover orientare non alle risposte, ma alle domande - e non retoriche - quella stessa insistenza sul valore di una prospettiva di ulteriorità di senso mette in secondo piano quello ben più concreto e centrale – anch’esso perseguito nelle Indicazioni, ma, appunto, in secondo piano - dell’approccio critico al sapere e alla realtà. dal sito proteofaresapere.it |