Il quadro teorico della sperimentazione e il significato dei Documenti che l’accompagnano.

Guida alla lettura

 

 

 

Nell’ultimo decennio, e con un punto di non ritorno sanzionato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il nostro Paese ha scelto di trasformare la natura e la struttura del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione. Da un modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato si è passati ad un modello che fa interagire in maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato,  quella delle Regioni e degli enti territoriali e, infine, quella delle istituzioni scolastiche autonome.

Il passaggio da un impostazione unitariamente gerarchica ad un’impostazione poliarchica, che valorizza le autonomie territoriali e delle istituzioni scolastiche, non è una tendenza soltanto italiana, ma internazionale.

Proprio l’esperienza internazionale, tuttavia, avverte che tanto questa tendenza è irreversibile quanto, se mal governata, esposta a due rischi.

Il primo è quello della frammentazione del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione. Frammentazione significa accettare come naturali  forti dislivelli sia di quantità sia di qualità dell’offerta formativa a seconda delle persone e dei territori di riferimento.

Il secondo è quello della polarizzazione, ovvero della propensione a costituire all’interno di ogni diverso territorio nazionale l’esistenza di scuole di serie A e di serie B, con rinnovate forme di esclusione e di emarginazione che non sembrano accettabili prima sul piano educativo che sociale e democratico.

La sperimentazione che si conduce è inserita in un quadro generale, quello del disegno di legge delega n. 1306, che, mentre mira a dare compiutezza al disegno costituzionale  di valorizzare i ruoli e le funzioni dello Stato, delle Regioni e degli enti territoriali e delle istituzioni scolastiche, vuole allo stesso tempo verificare l’efficacia di alcune soluzioni organizzative e didattiche per evitare i due rischi appena ricordati.

 

Il ruolo dello Stato

 

La sperimentazione presuppone che lo Stato, tramite la responsabilità politica e tecnica del Ministero dell’Istruzione:

- governi unitariamente il sistema educativo di istruzione e di formazione della Repubblica;

- ne controlli la complessiva funzionalità, omogeneamente distribuita sull’intero nazionale;

- intervenga con provvedimenti perequativi (finanziari e/o tecnici) per sostenere l’azione delle scuole e dei docenti che ne avessero necessità e che, per quanto riguarda gli interventi tecnico-professionali, ne facessero richiesta.

Per assicurare il governo unitario del sistema educativo di istruzione e di formazione della Repubblica, il Ministero dell’Istruzione fa riferimento all’art. 8 del Dpr. 275/99 e ne dispone l’attuazione. Per questo, nella sperimentazione, ha predisposto il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente tracciato per la conclusione del Primo Ciclo di istruzione e  le Indicazioni Nazionali che le scuole e i docenti sono tenuti a seguire per la redazione dei Piani Personalizzati delle Attività Educative (nella Scuola dell’Infanzia) e dei Piani di Studio Personalizzati (nella Scuola Primaria). Si tratta, quindi, di documenti che hanno un valore prescrittivo.

Per controllare la complessiva funzionalità, omogeneamente distribuita sull’intero territorio nazionale, del sistema educativo di istruzione e di formazione, in attesa della riforma del Servizio Nazionale di Valutazione annunciata dalla riforma, la sperimentazione prevede che il Ministero si avvalga di  appositi e qualificati Osservatori (v. il Decreto).

Per intervenire con provvedimenti perequativi (finanziari e/o tecnici) a sostegno delle scuole che ne hanno bisogno o che lo richiedono, infine, la sperimentazione  mette in campo tutti i servizi di supporto, di formazione e di aggiornamento di cui dispone il Ministero: l’Indire, gli Irre, il corpo ispettivo, le Direzioni regionali. Inoltre, offre anche sia le Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni nazionali per le attività educative della Scuola dell’Infanzia, sia le Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria. Le Raccomandazioni, a differenza delle Indicazioni, hanno un valore soltanto orientativo e consiliare. Per sostenere le scuole e i docenti nella progettazione della sperimentazione, comunque, oltre alle Raccomandazioni, il Ministero aprirà un apposito Forum nel quale si potranno discutere modelli di lavoro, quadri orario, best practises.

 

Il ruolo degli enti territoriali

 

            Per combattere i rischi della frammentazione e della polarizzazione del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione, la sperimentazione, all’interno del quadro formativo unitario tracciato nel Profilo e nelle Indicazioni nazionali, presuppone e valorizza il ruolo programmatorio e di coordinamento gestionale degli enti territoriali. In questo senso, non solo considera i disposti degli articoli 138 e 139 del Dlgs. n. 112 del 31 marzo 1998, emanato in attuazione della legge n. 59/97, ma tiene conto anche del nuovo art. 117 della Costituzione. La ratio di questo articolo è, del resto, nota. Il Costituente desidera che, a regime, Stato e Regioni, da una parte, e Regioni ed enti territoriali, insieme alle 11.000 istituzioni scolastiche, dall’altra, collaborino insieme e, pur nel rispetto delle reciproche competenze specifiche, elaborino una politica formativa al servizio degli allievi e delle famiglie che sia sì radicata nel territorio, ma non per questo perda unitarietà e coordinamento.

            Proprio per esaltare questo proposito costituzionale, d’altronde, il disegno di legge-delega n. 1306, nel cui solco si muove la sperimentazione, ha previsto due importanti disposizioni. La prima è «l’intesa» tra Stato e Conferenza unificata delle Regioni (art. 1, co. 3). La seconda riguarda i Piani di Studio che «nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle Regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali» (art. 2, co. 1, lettera l). Piani di studio che riceveranno anch’essi, quindi, l’intesa con le Regioni, oltre che consolidare le attuali prerogative di autonomia riconosciute alle istituzioni scolastiche.

 

Il ruolo delle Istituzioni scolastiche

 

La sperimentazione avvalora, infine, in maniera peculiare e sistematica l’autonomia delle istituzioni scolastiche. In questo senso, per la prima volta nel nostro Paese, si pone come possibile paradigma applicativo non solo della normativa delegata scaturita dall’art. 21 della legge n. 59/97, ma anche della nuova normativa costituzionale così come appare declinata dal disegno di legge delega n. 1306 in discussione alle Camere. In questa prospettiva sembra opportuno sottolineare i seguenti aspetti.

 

1. Prescrittività e autonomia. La sperimentazione chiede, innanzitutto, alle scuole non solo di distinguere il ruolo e il peso delle Indicazioni nazionali e delle Raccomandazioni, le prime prescrittive negli obiettivi  che additano e le seconde soltanto orientative nei percorsi e nelle scelte metodologiche e culturali che suggeriscono, ma anche di non leggere le Indicazioni nazionali  con la logica dei tradizionali Orientamenti per la scuola materna e Programmi di insegnamento per la scuola elementare.

Gli Orientamenti e i Programmi di insegnamento finora vigenti, infatti, pur nell’ampiezza della discrezionalità che consentivano, dovevano ancora essere applicati e domandavano, perciò, ai docenti l’atteggiamento professionale predominante dell’esecutività.

Le Indicazioni nazionali sono invece una specie di materia prima a cui tutti i docenti e le scuole della  Repubblica coinvolte nella sperimentazione sono chiamate a dare la propria forma, in base alle esigenze delle famiglie e del territorio e, soprattutto, in base ai diversi ritmi di maturazione degli allievi. Per questo, le Indicazioni insistono nel richiamare i lettori a non confondere il piano epistemologico astratto e generale di cui sono espressione e che si configura come una determinazione dei livelli essenziali di prestazione a cui sono tenute tutte le scuole della Repubblica con il piano psicologico e didattico concreto e specifico nel quale si devono mediare, interpretare, ordinare, distribuire, combinare ed organizzare.

Inutile sottolineare quanto la circostanza esiga l’atteggiamento professionale predominante della progettazione, della creatività e dell’autonomia. E come, dunque, anche la stessa prescrittività degli obiettivi presenti nelle Indicazioni nazionali debba essere sempre intesa in maniera pedagogica: sono obbligatori se, quando e in quanto corrispondono alle esigenze di apprendimento dei singoli allievi, nella realtà scolastica e ambientale che vivono; e quindi, se e nella misura in cui sono trasformati in obiettivi formativi dai docenti. Non per nulla i Piani Personalizzati delle Attività Educative e i Piani Personalizzati degli Studi di cui la sperimentazione intende mettere a prova la plausibilità teorica e pratica si strutturano in Unità di Apprendimento proprio a partire da obiettivi formativi, non dalla meccanica trascrizione degli obiettivi specifici di apprendimento elencati nelle Indicazioni nazionali.  

 

2. Gruppo classe e Gruppi di Laboratorio. La sperimentazione, in secondo luogo, raccogliendo le suggestioni di numerose esperienze già realizzate in base all’art. 4 del Dpr. 275/99, chiede alle scuola di progettare in maniera molto innovativa la propria organizzazione. Finora, tale organizzazione ha perlopiù visto il suo elemento costitutivo nella «classe», intesa come unità amministrativa primaria verso cui far confluire tutte le attenzioni e i provvedimenti (dall’assegnazione dei docenti all’orario settimanale e annuale delle lezioni).

La sperimentazione, invece, suggerisce di verificare l’efficacia di un’altra impostazione.

Propone, infatti, di considerare elemento primario e costitutivo della nuova organizzazione della scuola le «persone», e, nel caso specifico, i singoli allievi.

Essi, in un numero corrispondente al massimo oggi necessario per formare una classe, sono, perciò, originariamente affidati alle cure e alle responsabilità di un docente Tutor. Costituiscono il cosiddetto Gruppo classe.

Il docente Tutor, insieme ai colleghi, nell’ambito del Pof e tenendo conto dei vincoli e delle risorse presenti nelle Indicazioni nazionali, progetta, a questo punto, un’organizzazione del percorso formativo degli allievi che gli sono stati affidati, fondato su due modalità.

La prima è quella che impiega il Gruppo classe, cioè un Gruppo numeroso di allievi chiamato a svolgere insieme attività prevalentemente omogenee ed unitarie.

La seconda è quella centrata sui Laboratori, nella quale i bambini lavorano, invece, in Gruppi di livello, di compito ed elettivi che possono coinvolgere non solo il Gruppo di allievi affidato ad un Tutor, ma anche quello affidato ad altri Tutor. Inoltre, che sono anche a numero variabile.

Come sottolineano, del resto, le Raccomandazioni della Scuola dell’Infanzia e della Scuola Primaria sull’onda di precise sollecitazioni internazionali (OCSE), non si tratta di mettere in discussione l’importanza e, per certi aspetti, l’insostituibilità del lavoro educativo e didattico che si svolge in un Gruppo classe, ma di riconoscere che sia per il miglior apprendimento di alcune conoscenze ed abilità (si pensi, ad esempio all’inglese o a determinate attività espressive, motorie, informatiche, operative o alle attività di recupero e sviluppo di singoli apprendimenti), sia per la miglior crescita di alcune dimensioni relazionali e sociali sono altrettanto indispensabili momenti di lavoro per Gruppi di livello, di compito ed elettivi, tutti a composizione numerica variabile.

Ora, l’alternanza di questi diversi momenti di lavoro non può, da un lato, prescindere dall’età degli allievi, con il rischio di disorientarli, e, dall’altro lato, non può nemmeno essere improvvisata od obbedire più alle esigenze dell’organizzazione scolastica che del bambino.

Per il primo aspetto, dunque, la sperimentazione ritiene di dover assicurare ai bambini, fino al primo biennio, la possibilità di lavorare in un Gruppo classe, con la presenza del docente Tutor, per un numero di ore annuali che oscillano da 594 a 693 su 891 o 990 annuali. Ciò anche per integrare il Gruppo e dare l’occasione di consolidare abitudini relazionali e dimensioni affettive.

Per il secondo aspetto,  inoltre, la sperimentazione domanda ai docenti Tutor e ai docenti responsabili dei diversi Laboratori la progettazione di una successione organica e ordinata dei momenti di lavoro differenziati tra Gruppi classe, di livello, di compito o progetto ed elettivi. Successione che non va condotta una volta per tutte all’inizio dell’anno, ma che è opportuno subisca adattamenti in itinere sia di intensificazione sia di rallentamento.

Proprio per garantire l’organicità e l’ordine, al servizio degli allievi, della successione delle modalità di lavoro di Gruppo appena ricordate, la sperimentazione ha previsto di estendere i compiti del docente Tutor che coordina i percorsi formativi per gli alunni anche al conseguente  coordinamento della propria attività con quella dei colleghi responsabili dei Laboratori, organizzati in orizzontale e/o in verticale.

Va anche annotato, però, che questo non significa immaginare i Laboratori rivolti soltanto a Gruppi di livello, di compito o progetto ed elettivi. Essi, infatti, possano benissimo prevedere il coinvolgimento anche del Gruppo classe, almeno in due sensi. Perché niente impedisce che il docente Tutor per l’intero anno o per alcuni periodi dell’anno, si assuma la responsabilità di condurre moduli di lavoro all’interno di uno dei Laboratori appositamente costituiti nell’organizzazione della scuola e affidati ad un collega che ne è responsabile, mantenendo l’unità del suo Gruppo classe e così obbedendo anche al vincolo di svolgere con esso, fino alla terza Primaria, da 594 a 693 ore su 891 o 990 annuali di presenza. Perché qualsiasi insegnamento, anche quello condotto nel Gruppo classe, si può svolgere in maniera laboratoriale.

 

3. Personalizzazione. Per confermare la centralità dell’allievo non solo sul piano organizzativo, ma anche su quello relazione e didattico, la sperimentazione chiede, infine, ai docenti di predisporre, in sostituzione degli attuali documenti di programmazione didattica, due nuovi documenti:

- i  Piani Personalizzati delle Attività Educative (nella Scuola dell’Infanzia) o i Piani di Studio Personalizzati (nella Scuola Primaria);

- il Portfolio delle competenze individuali.

I primi sono il risultato delle Unità di Apprendimento a volta a volta predisposte dai docenti per gli  allievi. Ogni Unità di Apprendimento si compone degli obiettivi formativi, delle attività, dei metodi e  delle soluzioni organizzative necessarie per trasformare gli obiettivi in competenze individuali; contiene, infine, le modalità con cui si sono verificate e valutate tali competenze.

Il secondo non è un mero contenitore, ma costituisce una collezione strutturata, selezionata e commentata/valutata di materiali particolarmente paradigmatici prodotti dal bambino, che consentono di conoscere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, allo stesso tempo, della maggiore o minore pertinenza degli interventi didattici adottati. Seguirà poi lo studente per tutta la durata del suo percorso scolastico. Con gli opportuni adattamenti, potrà, inoltre, rimanere un documento che accompagna i cittadini anche dopo i 12 anni di istruzione e formazione obbligatoria, come strumento da utilizzare per la ricerca del lavoro, la riconversione professionale e la formazione continua. Esso comprende una sezione dedicata alla valutazione e una dedicata all’orientamento di ogni singolo allievo. È compilato dal docente Tutor , in collaborazione con i colleghi dei Laboratori, ma è aperto anche alla collaborazione dei genitori e degli stessi fanciulli. La riflessione critica sul Portfolio e sulla sua compilazione costituisce un’occasione per migliorare e comparare le pratiche di insegnamento e per attivare processi di autonomia di ricerca e di sviluppo professionale.