Affermare
che il 23 marzo a Roma, con la storica manifestazione della CGIL contro
il terrorismo e per proteggere i diritti di tutti, hanno vinto Cofferati,
Bertinotti e Agnoletto contro Fassino, D'Alema e Rutelli equivale a dire
che milioni di persone sono rimaste vittime di un immondo raggiro e sono
state demagogicamente strumentalizzate da qualcuno che trama nell'ombra,
chissà per quali secondi fini.
Questo sarebbe accaduto, non solo ai milioni di persone presenti nella
sterminata agorà, ma anche agli altri milioni che non hanno potuto
partecipare fisicamente al grande appuntamento e sono rimasti a casa con
gli occhi e le orecchie rivolti al teleschermo per sapere come stava andando.
Tra queste persone si comprendono anche quelle tante che, al passaggio
degli imponenti cortei che hanno percorso, con civile compostezza, le
strade di Roma fino al Circo Massimo, hanno esposto da finestre e balconi
delle proprie abitazioni quanto di panni e drappi rossi sono riusciti
a rimediare in casa.
Affermare che la manifestazione di Roma segna una svolta antidemocratica
equivale a dire che gran parte delle forze politiche e sociali italiane,
fortemente rappresentate nella manifestazione di Roma, hanno lavorato
in questi anni non per creare uno Stato civile e moderno, ma per abbattere
il sistema democratico che di Esso è la linfa vitale.
Chi pensa queste cose riesce a pensare anche che è possibile creare
maggiore sviluppo e nuova occupazione per i giovani tagliando i diritti
ai padri e, comunque, che è sempre conveniente scommettere e verificare
tra qualche mese qual è il rapporto tra licenziati e assunti al
fine di fare una valutazione concreta delle misure che sono in discussione
sull'articolo 18 della legge n° 300 del 20 maggio 1970, come se fosse
possibile governare l'Italia con lo stesso spirito che anima chi è
abituato a frequentare i casinò sparsi nei numerosi paradisi terrestri
del mondo.
Chi scrive queste righe era presente a Roma il 23 marzo e con lui erano
presenti milioni di pensionati, di padri e di figli e tutti insieme abbiamo
respirato, in quella mattina di sole tagliata dal vento, un'aria tersa
di civiltà; quest'aria tersa è stata liberata con le parole
del discorso di Cofferati, discorso dal raro spessore culturale e dall'altrettanto
rara genuinità delle idee, rivolto non solo al popolo della CGIL,
ma a tutti i cittadini italiani.
Coloro che non riescono a comprendere ciò sono gli stessi che hanno
una visione della modernizzazione fuorviante. Per essi modernizzare il
Paese significa cambiare i principi fondamentali che sono alla base della
nostra Carta costituzionale, significa rimettere in discussione i diritti
dell'uomo e del cittadino, sanciti anch'essi nella prima parte della stessa
Carta, conquistati lentamente e con costante progressione interrotta solo
da qualche pausa che anche la storia del nostro Paese ha registrato, dalle
lotte politiche iniziate con la fondazione dello Stato moderno, nato dalla
dissoluzione della società medievale. Tali lotte hanno gradualmente
liberato l'uomo dai pericoli dello sfruttamento e dell'assoggettamento
conferendo all'individuo una sfera di libertà dallo Stato con i
diritti civili, una sfera di libertà nello Stato con i diritti
politici e una sfera di libertà mediante lo Stato con i diritti
sociali.
Modernizzare il Paese significa spingere in avanti il processo descritto
dianzi, che dura da oltre due secoli di storia; significa che gli uomini
non avvezzi ad abusare del termine libertà, ma che in concreto
vivono con l'idea di difenderla, devono battersi per affermare con forza
nuovi diritti e per riaffermare quelli già sanciti e ancora non
pienamente esercitati.
Modernizzare il Paese significa dunque, innanzitutto, non stracciare i
diritti inalienabili faticosamente conquistati. Ciò non può
essere liquidato per nuovo conservatorismo.
Nelle quattro deleghe sul lavoro, sul fisco, sulla previdenza e sulla
scuola traspare la maldestra idea di modernizzazione del Paese nel senso
sopra descritto comprimendo i diritti e criminalizzando, peraltro, coloro
i quali, con autentico spirito democratico, continuano a battersi per
la libertà dell'individuo dai bisogni, dai condizionamenti sociali,
dallo sfruttamento e dall'annichilimento della persona di fronte ai poteri
forti e per salvare la democrazia.
La libertà (!) di licenziamento senza giustificato motivo, l'attacco
alla contrattazione collettiva per ridimensionare il potere del Sindacato
e lasciare più soli i lavoratori, la precarizzazione dei rapporti
di lavoro in nome di una flessibilità senza tutele, l'eliminazione
della progressività in materia di imposizione fiscale con la previsione
di due sole aliquote, una del 23% per chi ha un reddito al disotto di
100.000 euro e una del 33% per chi è al disopra, la decontribuzione
per i neo assunti per far saltare l'attuale sistema previdenziale pubblico
e per indurre il forzato ricorso alla previdenza complementare, la canalizzazione
precoce dei ragazzi di tredici anni che devono scegliere se proseguire
gli studi nei licei o nell'istruzione e nella formazione professionale
per affossare il principio delle pari opportunità che vanno garantite
a tutti e per avviarli al lavoro senza tutele, l'accentuata discontinuità
del sistema scolastico, principale causa della dispersione scolastica
e della bassa qualificazione professionale, il massiccio trasferimento
delle risorse destinate alla scuola pubblica alla scuola privata e la
serie di disposizioni normative, comprese quelle sull'esame di Stato,
che finiscono con il favorire la scuola privata, tutte queste questioni,
insieme ad altre riguardanti i diritti negati agli immigrati, ai cittadini
del Mezzogiorno, ai lavoratori della sanità e della pubblica amministrazione,
danno bene l'idea di cosa si vuole fare per modernizzare il Paese.
Chiunque intende la modernizzazione nella sua più autentica semantica
non può non ravvedere nelle quattro deleghe, oltre alla espropriazione
del Parlamento della Sua alta funzione che è quella di fare le
leggi su materie destinate a scrivere la vita dei cittadini e delle future
generazioni, anche la rimessa in discussione della prima parte della nostra
Carta costituzionale che porterebbe la nostra Repubblica ad un'altra forma,
dal basso profilo, capace di riportare indietro nel tempo il civile sistema
sociale e di tutele del lavoro che nel secolo della sua storia la CGIL
ha contribuito in maniera determinante a costruire.
Per questo a Roma il 23 marzo eravamo in tanti ed oggi chiediamo chiarezza.
Brindisi
lì 25/03/2002
MARIO CAROLLA
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