La posizione della Cgil Scuola sul documento Bertagna
La scuola che vogliamo.
Un’educazione
di qualità per tutti, in grado di garantire alle giovani generazioni
l’acquisizione del sapere e delle competenze indispensabili per esercitare un
ruolo attivo in quanto cittadini in una società democratica.
La
CGIL scuola ritiene che questo sia l’obiettivo fondamentale del nostro sistema
educativo nella società della conoscenza.
La
conoscenza di sé e degli altri, la capacità d’analisi e critica, il saper
interpretare ed orientarsi in un mondo sempre più complesso devono essere un
patrimonio comune di tutti, se vogliamo costruire una società basata sul
rispetto dei diritti, sulla giustizia, sulla solidarietà.
L’Europa.
L’impegno
comune dei paesi europei nei prossimi anni è quello di aumentare la qualità e
l’efficacia del sistema d’istruzione e di formazione, di garantire a tutti il
diritto all’educazione e alla formazione per tutta la vita, di ripensare saperi
e curricoli alla luce delle nuove conoscenze e dei nuovi mezzi di
comunicazione.
Fare
altre scelte, significa allontanare il nostro Paese dall’Europa e dall’obiettivo
di costruire lo spazio europeo della cultura, del sapere e dei diritti.
Il nostro obiettivo.
Per queste
ragioni la CGIL scuola ritiene che solo attraverso la difesa, la riforma e lo
sviluppo qualitativo della scuola pubblica e laica si possano garantire il
diritto all’istruzione e il dovere d’ogni stato ad assicurarlo ai propri
cittadini, indipendentemente dal reddito o dall’estrazione sociale.
Alcune discriminanti.
La
CGIL scuola ritiene che un percorso formativo in grado di soddisfare il diritto
universale e individuale all’istruzione, alla formazione e al continuo
aggiornamento delle proprie conoscenze sia realizzabile se si garantisce un
ambiente scuola in grado di:
ü
farsi
carico, e rispondere, ai bisogni di ciascuno sviluppando il più possibile le
capacità di tutti. Ciò
significa tempi e modelli flessibili di organizzazione del lavoro, presenza di
laboratori e strumentazioni adeguata, organici non determinati esclusivamente
sul numero delle classi o delle tipologie d'insegnamento, risorse adeguate,
formazione del personale e valorizzazione delle professionalità.
ü
realizzare
tempi di apprendimento distesi, rispettosi dei ritmi individuali e ricchi di
esperienze diversificate.
ü
sviluppare
l’acquisizione di cognizioni essenziali che durino nel tempo.
Il sapere deve interpretare, in una
visione globale dello sviluppo della persona, ogni dimensione della
riflessività, creatività ed espressività umana, attraverso l’acquisizione e lo
sviluppo di tutti i linguaggi verbali e non.
ü
sviluppare
la conoscenza di sé e l’autostima per la maturazione di scelte consapevoli.
Ciò
significa evitare scelte precoci, che interrompano l’esperienza scolastica
nell’età in cui il consolidamento culturale non è ancora pienamente realizzato.
ü
realizzare
la conoscenza degli altri e il rispetto dei diritti e della
democrazia.
Ciò significa una scuola in cui non si discrimina per censo, per religione o
etnia, ma nella quale si considerano la diversità e le diverse capacità come una
forma di arricchimento per tutti.
Il nostro giudizio sul documento
Bertagna.
Forte
di queste convinzioni, che hanno informato il nostro agire in questi anni e che
hanno rappresentato il punto di osservazione per valutare anche i processi
riformatori dei precedenti governi, la CGIL scuola dà un giudizio del tutto
negativo sulla proposta di riforma del sistema d’istruzione e formazione
predisposta dalla Commissione Bertagna.
Siamo
di fronte ad una proposta che si caratterizza come una vera e propria
controriforma, realizzata mediante una descolarizzazione di massa, destinata ad
incidere profondamente, se passasse, sulla nostra stessa democrazia.
La
forte pressione contraria al testo proposto, messa in campo da diversi soggetti
sociali, determinerà sicuramente cambiamenti nella proposta.
Per
quanto ci riguarda è necessario che questi cambiamenti si coniughino con una
radicale revisione delle scelte di fondo senza la quale l’asse rimarrà estraneo
ad una cultura dei diritti delle persone.
Il mandato e la
consultazione.
L’incarico
della Commissione era quello di “…fornire
concreti riscontri per un nuovo piano di attuazione della riforma degli
ordinamenti scolastici, ovvero per le eventuali modifiche da apportare alla
legge 30…”.
In
realtà è stata definita un’altra riforma, con il risultato di lasciare la scuola
pubblica in uno stato confusionale e di incertezza fra processi avviati,
interrotti e nuove opzioni.
Inoltre,
tale proposta tutto fa tranne ciò
che il Ministro aveva dichiarato solennemente: ascoltare i protagonisti,
rimuovere gli elementi di tensione e di ansia.
Sono stati ascoltati solo alcuni testimoni privilegiati, i questionari diffusi sono risultati tecnicamente discutibili, il tempo a disposizione prima degli “Stati Generali” è stato brevissimo.
Le
scelte di sistema.
L’obbligo
scolastico è ridotto di un anno: a 14 anni avviene la scelta tra il canale
dell’istruzione liceale e quello della formazione.
Si
abbassa il percorso scolastico comune e si realizza una canalizzazione precoce
che aumenta il condizionamento dei
fattori socio-ambientali nella scelta dei percorsi formativi
successivi.
Nella proposta prevale la logica della separazione rispetto a quella dell’integrazione tra scuola e formazione.
L’assenza di un biennio orientativo
nella secondaria superiore rende sostanzialmente separati i percorsi ed astratte
le possibilità di passaggio: le passerelle tra i due canali della secondaria non
possono che funzionare in senso univoco, dai licei alla formazione, se ad una
parte degli alunni si negano conoscenze e competenze basilari.
L’apprendimento
attraverso l’operatività, l’attività pratica, il rapporto con il lavoro è
relegato al settore della formazione, riproponendo la separazione gerarchica tra
teoria e pratica, tra cultura alta e disinteressata e conoscenza a carattere
operativo.
I piani di studio.
La
proposta di suddividere i piani di studio in tre parti (famigliare, nazionale,
extrascuola) frammenta, di fatto,
il processo formativo e ne compromette l’unitarietà, riproduce le gerarchie tra
le discipline, relegando i linguaggi non verbali ad un ruolo secondario, rende
impossibile il lavoro collettivo dei docenti, divisi tra chi lavora nella classe
e chi sulla rete di scuola per gruppi differenziati e provenienti da scuole
diverse.
Si sviliscono così l’autonomia didattica ed organizzativa di ogni scuola e le professionalità di chi ci lavora; l’autonomia delle scuole, intesa come responsabilità condivisa di tutti i soggetti nella costruzione di un progetto, diventa atomizazzione dei percorsi formativi, da affidare alle regole del mercato. L’individualizzazione degli apprendimenti, all’interno di un percorso formativo in cui la scuola deve farsi carico, guardando alla persona nella sua interezza, si trasforma in un vero e proprio mercato dell’offerta formativa.
L’offerta di
istruzione.
Si
aboliscono le esperienze di prolungamento orario qualitativo nella scuola
dell’infanzia, di tempo pieno nella scuola elementare e di tempo prolungato
nella scuola media che rappresentano modalità di organizzazione del tempo scuola
che non solo rispondono alle esigenze delle famiglie, ma consentono tempi più
distesi di apprendimento, sostituendoli in parte con attività aggiuntive scisse
dal curricolo ordinario.
La
scelta di affidare alle famiglie e al mercato una parte consistente del
curricolo obbligatorio (300 ore), riservando alla scuola il compito di
rispondere alla richiesta di chi non può provvedere diversamente, discrimina tra
studenti le cui famiglie, per reddito e livello culturale, possono scegliere
percorsi extrascolastici di eccellenza e chi deve ricorrere al servizio
pubblico, che, con risorse decurtate, dovrà fronteggiare tutti i casi di disagio
socio-culturale.
La marginalità
dell’istruzione.
Dal documento emerge una netta sfiducia, un vero e proprio giudizio
di impotenza della scuola nei confronti del compito affidatole dalla
Costituzione di assicurare a tutti i cittadini il diritto all’istruzione.
L’idea
di considerare l’obbligo scolastico
come una sorta di limitazione della libertà, in un paese il cui il 65% della
popolazione possiede al massimo la licenza media, conferma una visione
rassegnata nei confronti del
ruolo della scuola.
Infatti, la proposta Bertagna, esprime un giudizio di non
riformabilità della scuola della
Repubblica, apre al mercato e anzi
ne legittima il ricorso.
Non
a caso il problema reale degli abbandoni scolastici, soprattutto nei primi due
anni della scuola secondaria superiore, non è affrontato attraverso un modo
diverso di fare scuola (rottura del gruppo classe, laboratori, formazione dei
docenti, ecc.), ma attraverso un’anticipazione precoce della scelta. Tale
intenzione è ravvisabile anche nel fatto che si parla, già in terza media, di
profilo professionale dell’alunno.
Già
in occasione della discussione sulla Legge 30/’00 la Cgil Scuola aveva espresso il proprio
giudizio negativo su tutte le ipotesi che potevano produrre forme di
canalizzazione precoce. Infatti, per noi l’esercizio della cittadinanza
attiva, nella società della
conoscenza, richiede sempre più il raggiungimento di un livello di formazione
culturale profonda e duratura, indispensabile per tutta la vita, senza il quale
anche le professionalità raggiunte risultano deboli e poco utili allo stesso
mondo del lavoro.
Anziché
rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale, la proposta prende atto
delle differenti condizioni familiari e sociali degli alunni e li assume come un
dato che ne determinerà le scelte, di studio e di lavoro. In questo si registra
una coerenza forte con quanto affermato, nel Libro Bianco del Ministero del
Lavoro, sul ruolo della formazione nell’Apprendistato e nei Contratti di formazione lavoro, finalizzata
all’azienda e al mercato. Altro che formazione come diritto delle persone per
tutto l’arco della vita, per il miglioramento delle proprie condizioni di vita e
di lavoro, indispensabile, nella società della conoscenza, alla promozione e
alla mobilità sociale!
La
riforma costituzionale.
Se si rapporta la
proposta Bertagna alla modifica del titolo V della Costituzione, relativo alle
nuove competenze legislative dello Stato e delle Regioni in materia di
istruzione e formazione, non si può tacere e sottovalutare la mancata
considerazione dei nuovi assetti istituzionali.
Non
è un fatto casuale. Sta dentro alla cultura fortemente centralistica di questo
governo.
Oltre
alla separazione e gerarchia fra percorsi e discipline, emerge l’idea di
dividere i cittadini fra chi seguirà un percorso nazionale, quello liceale, e chi invece ne seguirà uno
regionale, quello professionale.
Il sapere è fra i diritti fondamentali delle persone: evidentemente, per questo governo, garantirne l’esercizio a tutti non è materia di interesse nazionale!
Sul versante istituzionale, non applicare una legge della Repubblica, perché fatta da un altro Governo, rappresenta uno strappo molto grave rispetto al principio di continuità della legge.
Non è accettabile che si cambino le prerogative costituzionali dell’autonomia scolastica ad ogni legislatura secondo le maggioranze.
I
temi affrontati nel documento Bertagna rientrano, dopo il referendum consultivo
sulla riforma costituzionale, in quelle materie che non sono oggetto di
interventi riservati alla sola maggioranza politica. Il governo, pertanto, deve
esplicitare se c’è da parte sua la volontà di accogliere le proposte di tutti o
se il testo è, di fatto, “blindato”.
Scuola dell’infanzia.
La
scuola dell’infanzia, da ambiente educativo che promuove lo sviluppo delle
opportunità formative, si trasforma in una giustapposizione di scolasticismo e
assistenza.
Non
a caso si riconosce la frequenza dei tre anni come credito che consente, ai soli
quattordicenni che scelgono il percorso professionalizzante e che vogliono
ottenere la qualifica, di poterlo fare a 17 anni invece che a 18!
Il
nostro giudizio negativo è avvalorato anche dalla incomprensibile decisione di
arrestare il programma di generalizzazione quantitativa e qualitativa della
scuola dell’infanzia dalle norme attuative della Legge 30/2000.
Scuola elementare.
Si azzera la riforma della
scuola elementare (L.148/’90). Si torna al maestro unico nei primi due anni, si
rende obbligatorio il maestro prevalente in terza e quarta e si introducono le
cattedre in quinta.
Il
tempo scuola è ridotto a 25 ore per tutti a cui si aggiungono fino a 300 ore di
doposcuola a richiesta.
Il
percorso della scuola elementare è in questo modo drasticamente impoverito,
l’autonomia progettuale del gruppo docente e del collegio sono negate.
Scuola media.
La
scuola media perde completamente di identità ritornando ad una dimensione pre
riforma del 1962.
Si
azzera il suo carattere orientante e da ordine scolastico specifico diventa il
luogo nel quale già si compiono le scelte.
Il
tema di una scuola dell’adolescenza, con tutti i significati didattici e
pedagogici che la riflessione e la pratica hanno costruito ed affinato in questi
anni, si perde in un ordine che diventa ”di passaggio”.
Scuola superiore.
La
separazione dell’istruzione dalla formazione secondaria è netta. Il primo
percorso, quello dell'istruzione, è riservato all'apprendimento della cultura
alta, disinteressata mentre il
secondo, quello della formazione secondaria, è piegato sulla specializzazione.
Viene così a ricrearsi una separatezza tra pratica e teoria, tra lavoro manuale
e lavoro intellettuale, che ha perso molto del suo significato da quando si è
cominciato a riconoscere che, ad ogni livello di apprendimento e in ogni settore
della vita lavorativa, esistono componenti culturali e professionali e che il
contesto operativo assume forte valenza formativa.
Riteniamo
sbagliata, inoltre, la scelta di
ridurre di un anno la scuola secondaria superiore per l’impossibilità che questo
comporta di avere a disposizione il tempo per approfondire conoscenze
disciplinari fondamentali.
I lavoratori.
Per
quanto riguarda il personale si crea un vero terremoto sia sotto l’aspetto degli
organici che dell’organizzazione del lavoro.
La
riduzione di una classe della scuola secondaria non può trovare compensazione
nei docenti che faranno i moduli di orientamento a livello d’istruzione
secondaria, così come la creazione di due organici, quello d’istituto, per il
curricolo nazionale, e quello di rete, per l’extra scuola, la cui utenza è
variabile, non può che creare perdite di organico. Infine si prefigura un
cambiamento dello stato giuridico di ampie fasce di personale, attraverso il
passaggio degli istituti professionali e di parte di quelli tecnici al canale
della formazione.
Infine,
si annulla un’organizzazione del lavoro basata sulla collegialità e il lavoro di
team attraverso la creazione
del docente coordinatore, l’abolizione in ogni ordine di scuola dei consigli di
classe e la creazione di figure che, in assenza di collegialità, possono
introdurre elementi pericolosi di gerarchizzazione.
Si
vuole, inoltre, affidare alla legge e quindi sottrarre alla decisione dei
lavoratori della scuola, materie, quali la carriera dei docenti, che sono
oggetto di contrattazione tra le parti.
Per
non parlare dei destini professionali del personale, a cui si chiede di ridurre il proprio
intervento alla mera trasmissione di conoscenze essenziali, a certificare esiti
di percorsi formativi altrove realizzati, a svolgere insomma una funzione
residuale rispetto al più complessivo percorso di istruzione, di cui la scuola
diventerebbe uno dei soggetti, e non il soggetto a ciò deputato, secondo lo
spirito e la lettera della nostra Carta
Costituzionale.
Per tutte queste ragioni la CGIL scuola ribadisce il proprio giudizio
negativo sulla proposta Bertagna ed invita tutti coloro che credono alla
funzione di una scuola pubblica, laica e di qualità quale elemento
indispensabili per lo sviluppo economico, sociale e democratico del nostro
paese, a manifestare il proprio dissenso e contrarietà.
Roma,
18 dicembre 2001