1  -   COME CAMBIA IL SISTEMA DI ISTRUZIONE IN ITALIA

“Il nostro progetto sarà ispirato dalla convinzione che l’istruzione italiana necessita di interventi rapidi e precisi… Per realizzare questi obiettivi abbiamo ottenuto nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, politiche di investimento che favoriscano un aumento della scolarizzazione, che migliorino la qualificazione professionale  di giovani ed adulti, che valorizzino le risorse umane impegnate, che sostengano la ricerca”.

Così interveniva il Ministro dell’Istruzione Letizia Moratti il 18 luglio 2001 al Parlamento nelle sue dichiarazioni programmatiche.

A leggerle oggi, quelle dichiarazioni appaiono un grande bluff. L’unica cosa successa sono stati gli “interventi rapidi e precisi”, ma in direzione diametralmente opposta a quella allora dichiarata. Nessuna politica di investimento: basti pensare che la finanziaria 2003 prevede un taglio complessivo per il settore dell’istruzione pari a 1.304,5 milioni di euro, e siamo nell’anno del rinnovo contrattuale !

Finora l’azione del Governo si è mossa su due fronti complementari: riforme a costo zero e tagli per la scuola pubblica. Sul primo fronte rientra l’azzeramento delle riforme avviate dall’Ulivo e la proposta di una legge delega che non ha copertura finanziaria, tanto da sollevare il legittimo sospetto che si attueranno solo i decreti che non implicano spese.

Sul secondo fronte, come documentiamo in questo Dossier, si è proceduto con precisione a tagliare sul versante dell’organizzazione del sistema e su quello della qualità dell’offerta formativa della scuola pubblica.

I tagli sull’organizzazione del sistema si sono concentrati sull’organico, sulle sedi e sull’edilizia.

In merito all’organico, a fronte di un amento di 19.102 alunni negli ultimi due anni scolastici (2001/02 e 2002/03) scompaiono 180 classi e soprattutto 8.725 posti di lavoro (v. tab.1). Le previsioni parlano di ulteriori 12.500 posti tagliati per l’anno in corso ed altri 14.000 circa nel 2003/04. Inoltre, per facilitare l’operazione, con un decreto legge del settembre 2002 viene introdotta la possibilità di risolvere il problema degli insegnanti soprannumerari con la cassa integrazione ed il licenziamento. Per arrivare a questi risultati si è intervenuto sul prolungamento dell’orario di lavoro degli insegnanti, sulle regole per le supplenze, sull’accorpamento di classi finali e intermedie, sull’insegnamento dell’inglese, limitato nella scuola elementare al secondo ciclo, sul blocco dell’organico funzionale che, fino ad oggi, era stato la principale risorsa per la realizzazione dell’autonomia scolastica.

Con queste misure non sappiamo quanto si sia perso in qualità dell’insegnamento ed in possibilità di agire per le scuole autonome, sappiamo che negli ultimi due anni il rapporto docenti / alunni è passato da 1/10,09 a 1/10,23.

La scuola più colpita è la secondaria superiore dove negli ultimi tre anni, a fronte di un aumento di più di 53.000 studenti si è avuto un calo di 83 posti di lavoro (ma sono 3345 rispetto al 2001/02, anno in cui c’era stato un aumento consistente sia di classi che di cattedre) (v.tab.2). Mentre nella scuola media i tagli hanno colpito soprattutto il tempo prolungato (565 classi in meno), con evidenti danni per le famiglie, che hanno dovuto sopperire al mancato tempo scuola con attività presso privati.

A tutto ciò va aggiunto il taglio per il personale ATA: 20.000 posti, nel luglio 2001, e il 2% annuo, per i prossimi tre anni, disposto dalla finanziaria 2003.

Per quanto riguarda le sedi si è tentato un affondo in agosto, con la pubblicazione di un elenco di 2003 Istituti scolastici che presentavano un rapporto docente / alunno  inferiore a 9,5. Tra i più colpiti gli istituti dei piccoli comuni (cioè quelli in cui la chiusura di una scuola rappresenta una perdita irrimediabile di identità e valore culturale) e gli istituti tecnici e professionali, perché erroneamente si era calcolato nel novero anche gli insegnanti tecnico – pratici che, invece, non possono svolgere azioni di docenza. Un po’ per la confusione un po’ per la reazione che si è sviluppata in parecchie aree del Paese quell’elenco è stato messo da parte, ma in tanto in forma strisciante e più silenziosa sono scomparse 40 sedi di dirigenza in questo anno scolastico e 70 scompariranno nel prossimo, mentre sono state chiuse 75 sedi di elementari e 8 di scuola media. Non è casuale allora che a fronte di 2500 posti vacanti di dirigente scolastico, si sia indetto un concorso solo per 1500 posti. L’intenzione è evidentemente quella di ridurre drasticamente le sedi di dirigenza.

Ma forse il dato più significativo (ed anche più doloroso) sul piano simbolico e su quello del funzionamento concreto della scuola di tutti i giorni riguarda l’handicap. Aumentano gli studenti portatori di handicap (+5.216 negli ultimi tre anni) che frequentano la scuola pubblica e diminuiscono gli insegnanti (-1042 – v. tab. 4 e 5), mentre la finanziaria 2003 dispone di rivedere i criteri per la certificazione dell’handicap. Non essendo passato il tentativo di rivedere i criteri per determinare l’organico per il sostegno, si cerca di diminuire il numero di studenti bisognosi “declassando” alcune tipologie.

A completare il quadro interviene l’edilizia scolastica. La legge 23/96 disponeva il finanziamento di 60 miliardi di lire annui per l’adeguamento degli edifici scolastici, nel 2002 il finanziamento è stato azzerato, per l’anno in corso, solo dopo la catastrofe di S. Giuliano, è stato reintrodotto in finanziaria  un fondo di 10 milioni di euro.

Altrettanto “precisi” sono i tagli che incidono sulla qualità dell’offerta formativa della scuola pubblica. I tagli colpiscono tutte quelle voci su cui fino ad oggi si era investito per migliorare il successo formativo degli studenti, il diritto sociale all’istruzione e la qualità del sistema: il sostegno all’autonomia scolastica, l’integrazione degli immigrati, la formazione, l’handicap, l’innovazione tecnologica.

Per il sostegno all’autonomia scolastica, finanziato dalla legge 440/97 e da circolari ministeriali annuali, si passa da quasi 259 milioni di euro a poco meno di 226. Due voci subiscono un calo superiore al 50% rispetto all’anno precedente: l’handicap (-60%) e il progetto Lingue 2000 (-55%), quello che ha fino ad oggi finanziato l’incremento dell’insegnamento della prima o della seconda lingua straniera nella scuola media. Scompare il finanziamento, su base provinciale, dell’organico aggiuntivo a disposizione delle scuole autonome per le proprie attività educative, mentre fa per la prima volta la sua apparizione il finanziamento del Piano dell’offerta formativa delle scuole paritarie (circa 6 milioni di euro). Viene tagliato tutto ciò che può migliorare la qualità delle scuole pubbliche, viene tagliato tutto ciò che fino ad oggi (handicap, lingua, scuole ospedaliere) era andato incontro alle esigenze delle famiglie ed aveva consentito di cominciare a dare risposte avanzate al problema dell’integrazione degli immigrati (educazione degli adulti), mentre i finanziamenti a disposizione dell’amministrazione centrale sono stati utilizzati per la produzione e la diffusione di opuscoli per “comunicare” il processo di riforma.

Sull’integrazione degli immigrati non si investe, il finanziamento non viene decurtato ma aumentano gli studenti, così il calo per alunno è superiore al 18%(v. tab. 9). Questo sulla carta, perché in realtà questi soldi saranno cancellati dal decreto taglia spese di Tremonti.

I tagli poi toccano anche la seconda delle tre “i” della campagna elettorale, i finanziamenti per le nuove tecnologie calano infatti del 30% (v.tab.9). Né va meglio alla formazione, altro cavallo di battaglia di ogni processo riformatore, dove si registra un calo superiore al 5% (v. tab. 11). Qui desta addirittura sconcerto la negazione dell’unica misura di investimento e valorizzazione avviata: per il 2002 la finanziaria aveva disposto il rimborso spese per l’autoaggiornamento degli insegnanti (circa 40 euro a docente), misura che si attendeva da tempo e che va riconosciuto a questo Governo di essere riuscito a realizzare, ma nella finanziaria 2003 questa voce viene cancellata. Come a dire “abbiamo scherzato!”.

Ancora una volta è sulla voce dell’handicap che si misura la dimensione etica e politica del lavoro del governo. Calano i finanziamenti del 12,64% mentre aumentano gli studenti che hanno diritto al sostegno, e così la quota per alunno cala addirittura del 18% (v. tab. 10), scendendo a 118 € per alunno, mentre nelle scuole paritarie la quota per alunno si aggira sui 755 € a testa, quota stanziata già dai precedenti governi dell’Ulivo.

A fine anno il decreto “taglia spese” del ministro Tremonti  (29/11/2002) opera ulteriori pesantissimi interventi mirati: la formazione scende del 52% rispetto all’anno precedente, del tutto azzerati i finanziamenti per la scuola ospedaliera, per l’handicap, per l’educazione degli adulti e l’obbligo formativo (in aperta contraddizione con la rilevanza dell’intreccio tra scuola e formazione professionale che si dichiara nella legge delega).

Unica filiera di finanziamento in controtendenza è quella per le scuole paritarie. L’azione del Governo si articola in quattro mosse.

1^ mossa. Legge 60/00 sulla parità scolastica: i finanziamenti passano dai 179 milioni di euro del 2000 a 420 e 500 nel 2002, con un aumento del 134% (v. tab. 12)

2^ mossa. Il sostegno al Piano dell’offerta formativa, già finanziato dal governo dell’Ulivo con 5 milioni di euro nel 2000, passa a 14 milioni e mezzo di euro nel 2002, con una crescita del 183% (v. tab.12).

3^ mossa. Il decreto taglia spese del ministro Tremonti  non tocca alcun finanziamento per le scuole paritarie per le quali sono stati disposti provvedimenti in deroga.

4^ mossa. La finanziaria 2003 prevede uno sconto fiscale per 90 milioni di euro per tre anni sotto forma di credito di imposta per le famiglie che si serviranno delle scuole private.

In sintesi diminuiscono i finanziamenti nella scuola pubblica e aumentano quelli nella scuola privata paritaria. Questo, nella scuola pubblica ha determinato quattro fenomeni: diminuiscono le classi, diminuiscono gli insegnanti, diminuisce il numero e la sicurezza delle sedi scolastiche, mentre aumentano gli studenti.

Quali possono essere gli effetti di queste dinamiche? Aumenta il numero di studenti per classe, aumenta il carico di lavoro per gli insegnanti, la cui attività si riduce alla lezione frontale, aumenta la discontinuità didattica, peggiora il diritto allo studio e la qualità dell’apprendimento, peggiora il servizio per i genitori, le sedi si allontanano dalla residenza, le persone in difficoltà non hanno la possibilità di trovare l’accoglienza di cui avrebbero bisogno. La vittima predestinata di queste azioni è la qualità della scuola pubblica, la qualità dell’apprendimento e la possibilità stessa di far funzionare l’autonomia scolastica.

L’attacco all’autonomia, riconosciuta dalla Costituzione, è particolarmente grave. Con l’autonomia alla scuola è stata affidata la responsabilità di decidere su molte questioni importanti e fondamentali, a cominciare dal curricolo di scuola e dal POF. Ogni istituto ha la possibilità di darsi un modello organizzativo, di individuare e progettare le attività formative più idonee alle esigenze dei propri alunni. Tutto questo ha bisogno di tempi e spazi riconosciuti, di risorse economiche per consentire ai docenti di organizzare la riflessione, prendere decisioni condivise, entrare in relazione con le altre scuole del territorio e con i soggetti della comunità locale. Oggi le caratteristiche innovative acquisite rischiano di essere cancellate, la “voglia di fare” degli insegnanti annullata, la scuola di qualità che faticosamente stava emergendo può affogare in un rituale stanco, ripetitivo, “deresponsabilizzato”.

Portando tutte le cattedre a 18 ore settimanali spariscono quelle ore a disposizione per attività di sostegno o recupero, per le attività alternative alla religione cattolica, per l’accoglienza. Si allunga l’orario e si impediscono le attività di ricerca e sperimentazione, si eliminano gli spazi di progettazione collegiale.

Meno insegnanti di sostegno vogliono dire rallentare o impedire l’integrazione e il recupero sociale degli “alunni diversamente abili”.

Il taglio di un numero così consistente di collaboratori scolastici (36.000 in quattro anni) non è insignificante per il destino della scuola. Questo comporta dover sacrificare le attività extracurricolari, annullare attività di recupero, sostegno, approfondimento o arricchimento dell’offerta formativa. Sarà garantito solo l’ordinario, la lezione “nel solo mattino”, regalando il pomeriggio dei ragazzi ad un variegato mondo della formazione extrascolastica (a pagamento) o alla solitudine domestica e televisiva.

Le scuole che stanno tentando di riorganizzare le competenze professionali per superare la rigidità delle classi, per modificare i tempi e gli spazi dell’attività formativa, utilizzando l’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e sviluppo che il DPR 275/99 concede loro, vengono ricacciate nella consueta lezione frontale, “rubinetto culturale inaridito” come lo definisce qualcuno.

Tutto concorre ad arrestare l’attività progettuale delle Istituzioni Scolastiche Autonome.

Nel  corso di questi 18 mesi l’azione congiunta del Ministro dell’Istruzione e delle Finanziarie 2002 e 2003 ha disegnato una scuola nuova, una scuola molto diversa, diversa dal panorama delineato dal precedente governo e dalla Riforma Costituzionale, diversa (e lontana) dalla tradizione della scuola italiana, diversa, paradossalmente, anche dalla scuola delle tre “i” promessa in campagna elettorale dalla Casa delle Libertà.

Ha invece cominciato ad abbozzare una scuola molto vicina alle richieste di una parte del mondo imprenditoriale: una scuola con meno ore di insegnamento obbligatorio per tutti, con meno insegnanti, che costi meno. L’indicazione, infatti, di una parte del mondo confindustriale era chiara: prima di parlare di livello europeo degli stipendi occorre adeguarsi al livello europeo di rapporto alunni / insegnanti.

Rimane tutto da svelare (e abbiamo qualche dubbio) se una scuola del genere possa davvero aggredire i mali storici della scuola italiana, ovvero l’alto livello di dispersione, la mancanza di titolo di studio per una quota troppo alta di giovani, i bassi livelli di apprendimento per chi arriva al titolo, la frustrazione per chi nella scuola lavora, l’insoddisfazione degli studenti e dei genitori.

Ma oltre a tutto ciò, c’è da tener presente un altro orizzonte.

Perché tanto accanimento contro la scuola pubblica? Possibile che si tratti solo di ragioni di bilancio? Ci piacerebbe crederlo, ma non è così. L’azione combinata dei ministri Tremonti e Moratti vuole smontare la scuola pubblica italiana. Un patrimonio ed una risorsa di tutto il Paese. Non si tratta solo di regali alle scuole private, questo è solo un aspetto. C’è un disegno strategico che mira a trasformare la natura del sistema scolastico italiano. Si punta a far funzionare sempre peggio la scuola pubblica così che il Paese si convinca che la scuola pubblica non va, per aprire lo spazio alla privatizzazione promossa e voluta dal WTO tramite i GATS, gli accordi internazionali che rispondono alle pressioni di alcune multinazionali per trasformare una parte dell’istruzione (e gli altri servizi) in una merce appetibile per il mercato (percorso che si concluderà a Cancun in Messico il prossimo settembre). In una parola si smonta la scuola pubblica per aprire spazi alla privatizzazione. Ma attenzione è la privatizzazione di "seconda generazione" quella che interessa il mercato, non è la scuola di tendenza, non è lo spazio per le scuole private cattoliche.

Per raggiungere questo obiettivo, nei Paesi del primo mondo, c’è bisogno che si consumino alcuni passaggi. Bisogna che si delineino i settori dove l’istruzione possa essere più facilmente standardizzabile in modo che la tecnologia possa impossessarsene per produrre pacchetti vendibili (è il caso delle lingue straniere, dell’informatica, della valutazione, ecc.). Bisogna che la scuola pubblica si ritiri o si dimostri del tutto incapace a coprire questi settori dell’istruzione. Bisogna che il lavoro dell’insegnante venga trasformato in un’attività trasmissiva, sempre più assimilabile alla funzione di una macchina, piuttosto che in un conduttore di contesti di apprendimento e ricerca mai standardizzabili.

A questo mira la metodica opera di “smontaggio” della scuola pubblica avviata dal Governo. Quello che si vuole smontare è la scuola pubblica come luogo collettivo in cui si apprende insieme agli altri e trasformare il servizio scolastico in un servizio a domanda individuale.

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