"Nel tanto vituperato decreto Gelmini - scrive il Corriere della Sera del 20 ottobre in un paginone dedicato alla disabilità a scuola - l'integrazione scolastica delle disabilità non viene neanche nominata. Eppure in piazza a Roma c'erano anche.insegnanti di sostegno, associazioni dei genitori".
Se non si parla di integrazione, significa automaticamente come afferma il Ministro Gelmini che non vi è stato e non vi sarà alcun taglio che possa riguardare gli insegnanti di sostegno?
Anche in questo caso siamo in presenza di un altro grosso inganno (come abbiamo sostenuto in altro articolo a proposito del tempo pieno) : ammesso , con riserva di verifica, che non vengano tagliati posti per il sostegno, la qualità dell'integrazione resterà identica in una scuola massacrata da tagli indiscriminati di organici, di personale docente ed ata , con aumento di alunni per classe e aumento di insegnanti senza titolo di specializzazione ?
Due esperti di fama internazionale (1) hanno, per primi, compreso l'andamento del nuovo modello di scuola gelminiano ed hanno rassegnato le proprie dimissioni dall'Osservatorio Ministeriale per l'integrazione degli alunni con disabilità con parole inequivocabili: «Questa nuova politica scolastica fatta di tagli, economie presunte, annunci e smentite, rigore, disciplina, ordine, divise, autorità, voto in condotta, bocciature, selezione, produce in tutti ulteriore insicurezza, diffidenza e conflitti. Queste politiche scolastiche sono evidentemente gestite da finalità economicistiche, per risparmiare: ma questo avverrà sulle spalle delle famiglie, sulla pelle degli alunni e sulla credibilità della Scuola pubblica, come la vuole la nostra Costituzione.. a questo clima di strisciante, ma non troppo, denigrazione, come pedagogisti non ci stiamo»
La linea editoriale del nostro giornale non ha mai enfatizzato le "magnifiche sorti e progressive" dell'attuale stato della scuola italiana, come se tutto andasse bene e non ci fosse non solo spazio, ma anche bisogno, di "riforme" persino nei settori più avanzati (gestione della pluralità delle figure docenti e non, struttura del tempo-pieno, modalità di attuazione delle compresenze, integrazione degli alunni disabili, dei nomadi, degli stranieri,.). Riformare significa, però, partire dalle "buone pratiche" per inserire tutti gli elementi di flessibilità -poco praticati ancora oggi- auspicati dal DPR 275/99 sull'autonomia scolastica (autonomia didattica, autonomia organizzativa, autonomia di ricerca e sperimentazione).
Per restare allo specifico dell'integrazione delle disabilità, è necessario, per prima cosa, rimuovere tutte le cause che rendono fragile l'identità dell'insegnante di sostegno. Non si può continuare ad utilizzare una figura di professionista, perennemente sospesa tra il fantomatico rapporto -non è colpa di Gelmini, almeno questo- aritmetico 1:138, costruito per determinare l'organico di diritto dei posti di sostegno e il fabbisogno vero di insegnanti di sostegno, che viene determinato nel cosiddetto organico di fatto e che risulta quasi sempre doppio. I posti aggiuntivi vengono assegnati, dopo defatiganti contrattazioni, solo all'inizio dell'anno scolastico ed anche dopo. Nella scuola si assiste ad un vergognoso tourbillon di docenti "titolari" che perdono il posto, poi lo riacquistano; di supplenti temporanei che coprono i buchi ad inizio d'anno e poi vengono sostituiti da altri supplenti con maggior punteggio in graduatoria con ulteriori sostituzioni se, dopo tante peregrinazioni, spunta un insegnante specializzato "avente diritto". Una situazione di tale precarietà istituzionale non può che riflettersi negativamente sulla qualità dell'integrazione scolastica e soprattutto non riesce a dare attuazione ad un principio di grande valore contenuto nella legge quadro sull'handicap: la contitolarità dell'insegnante di sostegno rispetto a tutto il resto del corpo docente.
La percentuale elevata di insegnanti di sostegno, non forniti di titolo di specializzazione, acuisce la fragilità della figura, che viene spesso considerata di "serie B" e favorisce, in non pochi casi, tre nefaste pratiche:
- L'allontanamento per non poche ore settimanali degli alunni disabili dalle classi di appartenenza ed il loro dirottamento in apposite "aule di sostegno"
- La trasformazione del docente "fragile" in angelo custode dell'alunno disabile : unico punto di riferimento, nonostante leggi e circolari da anni insistano nel decretare che il sostegno è fornito alla classe, non al singolo alunno
- L'utilizzo spregiudicato del docente dall'identità fragile in tappabuchi per la copertura delle cattedre/posti temporaneamente vacanti per le assenze, non coperte da insegnanti supplenti, degli insegnanti "titolari".
Il Ministro, se avesse voluto occuparsi seriamente dell'integrazione, avrebbe dovuto porre rimedio a questa situazione di precarietà istituzionale, lanciando un piano programmatico di stabilizzazione del personale addetto al sostegno ed un piano straordinario di formazione di tutti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado sulle modalità di attuazione dell'integrazione di tutti i soggetti con bisogni educativi speciali.
Solo così avrebbe potuto/dovuto legittimamente controllare le situazioni anomale, che pure esistono, di assegnazioni di posti di sostegno fortemente sperequate, e sospette, tra le varie regioni d'Italia.
Se, invece, si taglia indiscriminatamente da tutte le parti, si aumenta il numero degli alunni per classe e si riduce il numero di ore di permanenza degli alunni nelle classi, non viene assicurato il successo formativo né della generalità degli alunni né, tanto meno, degli alunni disabili.
Gianni Gandola, Federico Niccoli
(1) Nota
Andrea Canevaro, docente di pedagogia speciale all'Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Scienze dell'Educazione
Dario Ianes, docente di pedagogia e didattica speciale all'Università di Bolzano
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