|
| |
Libro bianco sulla scuola | | |
Una scuola ‘meno’
PRIMA PARTE
Alba sasso
Le scelte della finanziaria
1.Si risparmia sulla scuola
“Investire di più nella formazione e nella ricerca”, dichiarava il ministro
Moratti nel documento programmatico presentato in Parlamento nel luglio
scorso. Ma sia nel Documento di programmazione economica e finanziaria,
sia nella Legge finanziaria 2002 non c’è traccia di investimenti, anzi
l’istruzione, la formazione e la ricerca diventano occasioni di puro
e semplice contenimento di spesa, insomma di risparmio. L’impegno del
governo di centro sinistra ad investire nella formazione, come leva
significativa per la qualità dello sviluppo nel nostro Paese viene così
cancellato. Si risparmia sui diritti di tutti, poi chi potrà si pagherà
una istruzione di qualità, così come chi potrà si pagherà una sanità
di qualità.
Già nel Dpef le intenzioni sono evidenti: sanità, previdenza e istruzione
sono presentate come ‘voci di riduzione della spesa corrente’. Non solo
non si parla di aumento di risorse a disposizione della scuola pubblica,
ma viene dichiarata l’intenzione di ridurre le spese per il personale.
E la finanziaria conferma. Si riducono le risorse per il contratto degli
insegnanti.
Su questa voce di spesa, già nell’assestamento di bilancio 2001 sono
tagliati 123 miliardi per il 2001 e 324 miliardi - che sottraggono un
rilevante finanziamento per la contrattazione integrativa - per il 2002.
E, alla fine, gli aumenti salariali previsti, assolutamente irrisori,
sono in realtà coperti dal taglio di 33.000 posti. In altre parole,
i finanziamenti ci sono se si risparmia sul personale: modesti incrementi
salariali arriveranno, solo a condizione di una consistente riduzione
di organici. Insomma il governo considera gli insegnanti solo numeri,
peraltro ‘in esubero’, e non una risorsa per la qualità del sistema.
2.Il gioco delle tre carte: meno occupazione, per adeguare i salari
Si ridefiniscono i criteri per determinare il numero degli insegnanti.
Letizia Moratti, in ogni sede, ha continuato a ripetere che gli insegnanti
sono troppi, vecchia cantilena per lasciar intendere anche che lavorano
poco. Ma questo può continuare a sostenerlo chi ha in mente un
modello antico di scuola, la scuola dell’esclusiva lezione frontale,
dell’orario rigido, della campanella. Modello oggi inadeguato rispetto
alla necessità, nella moderna ‘società della conoscenza’, di elevare
per tutti i livelli di istruzione, di cultura e di sapere. E soprattutto
modello inefficace rispetto a un Paese, in cui solo un terzo della popolazione
ha un buon livello di controllo della lettura e della scrittura e capacità
di calcolo adeguate alle esigenze del mondo produttivo e della società
contemporanea.
E così, con una legge di spesa - peraltro ispirata a una esclusiva logica
di risparmio - si modificano i criteri per determinare gli organici
del personale. Il numero dei docenti (l’organico) non viene definito,
secondo quanto previsto dall’autonomia, in base all’esigenza di arricchire
e ampliare l’offerta formativa delle scuole (il cosiddetto organico
funzionale) con attività di recupero, di sostegno, di educazione degli
adulti e così via. E neppure viene determinato in base a particolari
condizioni - presenza di alunni portatori di handicap o situazioni di
particolare disagio ambientale e sociale, e così via -.
Niente di tutto questo. Con la Legge finanziaria 2002 il numero dei
docenti effettivamente necessari viene definito con ottica aziendale
e con puro calcolo aritmetico. Si somma e si divide - tanti studenti,
tanti docenti -; ma soprattutto si sottrae. E si sottraggono risorse
per la qualità della scuola pubblica, per la sua capacità e possibilità
di garantire migliori opportunità di apprendimento per tutte e per tutti.
E, per tornare alle cifre, in conclusione il taglio è di 33.847 posti,
distribuiti in tre anni scolastici: 8946 docenti nel 2002/2003 e oltre
12.000 per ciascuno degli |