Norme generali sull'istruzione e LEP: qualche indicazione per operare Verso le nuove Indicazioni nazionali La finanziaria è fatta! Ora bisogna fare la nuova scuola! Al di là di proclami. di sapore postunitario, occorre veramente rimboccarsi le maniche e cominciare a costruire quel Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione le cui linee sono tutte indicate nel novellato Titolo V della Costituzione. Chi dopo il Com'è noto, Una corretta lettura formale di queste indicazioni non può prescindere da una considerazione di carattere storico. La nostra scuola, dall'Unità ad oggi, ha conosciuto tre grandi periodi, la scuola dei programmi, la scuola della programmazione, la scuola dell'autonomia. Li ripercorriamo, scusandoci con il lettore per la necessaria stringatezza della esposizione. La scuola dei programmi Il periodo della scuola dei programmi ministeriali va dalla Legge Casati del 1859, estesa nel 1861 al nuovo Regno d'Italia, fino alla Carta della scuola di Bottai del 1939 ed oltre, anche dopo la seconda guerra mondiale, fino agli anni Settanta. Caratteristica dei programmi è che sono assolutamente prescrittivi, sono fondati su contenuti disciplinari e non su obiettivi, quanto meno su competenze, adottano una valutazione decimale, in effetti assai approssimativa, ma funzionale ad una scuola che vuole selezionare e ad escludere più che promuovere ed includere. La scuola della programmazione L'anno della svolta fu il 1962, quando si realizzò l'istruzione obbligatoria ottonale. Fu una svolta sofferta perché tutte le aspettative di promuovere culturalmente nel giro di pochi anni tutti i giovani italiani furono deluse da solenni e diffuse bocciature: in effetti la nuova scuola media unica era assolutamente impreparata ad accogliere e a promuovere i nuovi obbligati! Fu così che qualche anno più tardi si ebbe la dura reazione di Don Milani che con quella Lettera a una professoressa del '67 prese a bacchettate pedagogisti, ministri e insegnanti. La lezione fu salutare perché allora si avvertì che non era sufficiente aprire le aule a tutti se non si cambiavano anche gli assetti organizzativi della scuola, i metodi e i mezzi dell'insegnamento. Per tutti gli anni Sessanta si incrociarono due variabili, da un lato il boom economico ed una sempre più diffusa domanda di istruzione, dall'altro l'incapacità del nostro sistema di istruzione di darle risposte adeguate. Il tutto poi andò ad impattarsi con il movimento del '68, ed il che richiederebbe ben altri discorsi! Fu comunque chiaro che l'istruzione stava diventando un fenomeno di massa e che una scuola ancorata alla logica dei programmi ministeriali non era assolutamente in grado di dare risposte adeguate. Fu così che la ricerca pedagogica ruppe gli steccati entro i quali aveva sempre operato - con le attenzioni rivolte essenzialmente al bambino - e si aprì alle nuove esigenze avanzate dagli adolescenti e dagli stessi adulti che cominciarono a rivendicare il loro diritto di tornare a quella scuola che da bambini li aveva espulsi: fu la vicenda delle 150 ore! La sollecitazione venne anche dalla ricerca d'oltralpe e d'oltreoceano, orientata alle teorie del curricolo ed alla strategia della programmazione, concetti assolutamente nuovi per la nostra tradizione scolastica. Fu così che, in virtù di quei nuovi apporti, sociali e pedagogici, nel '69 vennero liberalizzati gli accessi all'università per tutti gli studenti degli istituti secondari e della stessa istruzione professionale. In seguito, con i decreti delegati del '74 si aprirono le porte congiuntamente alla democratizzazione del governo della scuola ed alla programmazione della didattica. In effetti, tutta la lunga stagione della programmazione non ha mai goduto di buona salute. Se da un lato i teorici del curricolo offrivano opportunità assolutamente nuove per un fare scuola diversa da quella della tradizione, dall'altro, però, l'amministrazione non sembrava molto disposta ad. allentare le redini! I programmi del ministero convissero a lungo con la programmazione di cui le scuole avrebbero dovuto essere protagoniste. E l'attività programmatoria di fatto era pur sempre soggetta ai vincoli di programmi prescrittivi in ordine a contenuti, ripartizioni disciplinari, cattedre, classi, quadri orario, per cui le curvature alle esigenze degli alunni e alle vocazioni del territorio non risultavano sempre incisive. Fu così che in molti casi la programmazione divenne ben presto più un'atttività routinaria che una costante spinta innovatrice. La scuola dell'autonomia Gli anni Novanta segnarono una profonda svolta nella storia del nostro Paese per quanto concerne l'ampliamento dell'area della democrazia, della partecipazione, della trasparenza, delle responsabilità. Il dibattito veniva da lontano e trovò il suo primo approdo in quella Legge 241/90 con cui si tracciarono le linee del nuovo processo amministrativo. Si avviava una svolta epocale nella nostra amministrazione pubblica, sollecitata da quella legge a puntare più alla soddisfazione del cliente che non alla semplice esecuzione della norma. Per quanto riguarda la scuola, da quella legge nacque nel '95 l'esigenza della Carta dei servizi scolastici: il che costituì un passo assolutamente nuovo per quanto riguarda le nuove responsabilità che le scuole dovevano assumere verso gli alunni, le famiglie, il territorio. Ormai il Paese era maturo per la svolta devolutiva - se vogliamo chiamarla così - e con la legge 59/97 ebbe inizio quella stagione in cui lo Stato cominciò a trasferire gran parte dei suoi poteri alle Regioni e agli Enti locali. Ha inizio quell'inarrestabile processo di dimagrimento dello Stato in forza del quale le istituzioni periferiche assumono via via competenze e responsabilità assolutamente nuove. Lo Stato rinuncia alla sua verticalità e, da ente super partes, diviene semplicemente uno degli enti di cui è costituita I contenuti delle Indicazioni nazionali Dalla disamina fin qui condotta appare evidente che il nostro Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione, che è altra cosa dalla Scuola a cui siamo abituati, è tutto da costruire. La parentesi della Moratti è stato un colpo grave rispetto alla continuità storica del nostro sistema scolastico: si è trattato di un doloroso accidente da cui, purtroppo, fatichiamo ad uscire, a causa di quella impicciatissima ragnatela di norme primarie e secondarie che Occorre, quindi, tornare sul solco della continuità per costruire un Sistema di istruzione e formazione capace di far fronte alle esigenze della società della conoscenza ed alla necessità di educare tutti i cittadini dalla nascita e per tutta la vita, non uno di meno! Per queste ragioni, è lo stesso concetto di scuola che cambia e si arricchisce di nuove connotazioni e funzioni. I riferimenti normativi sono essenzialmente due, l'articolo 8 del dpr 275/99 e il novellato Titolo V. Sono i due documenti da cui emergono con chiarezza la natura e il fine del Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione. La premessa teorica è che con l'autonomia viene a cadere la logica dei programmi ministeriali, ma viene anche a cadere, o ad alleggerirsi, quella della programmazione educativa e didattica, stante il fatto che spetta all'autonomia delle istituzioni scolastiche e dei collegi docenti adottare le scelte metodologiche che riterranno più opportune. La letteratura sulla progettazione organizzativa e sulla progettazione educativa è ben più ricca di quanto non appaia nelle indicazioni normative degli anni Settanta ed Ottanta! Le norme generali Ciò che le Indicazioni dovranno indicare con estrema chiarezza sono gli obiettivi che, al termine di un percorso didattico sufficientemente articolato e disteso nel tempo, gli alunni sono tenuti a conseguire. Spetterà poi ai consigli di classe verificare se tali obiettivi sono stati raggiunti totalmente o parzialmente secondo la logica della valutazione di criterio alla quale, dopo gli insensati interventi del '96, dovrebbe essere restituita tutta la dignità che le si deve. Vanno tenuti come punti fermi, a livello nazionale e condiviso, sia gli obiettivi che i criteri valutativi generali; mentre tutto ciò che riguarda l'azione formativa viene lasciato all'autonomia organizzativa, didattica, di ricerca e sviluppo delle istituzioni scolastiche. I livelli essenziali delle prestazioni Le Indicazioni nazionali dovrebbero indicare e definire anche i livelli di prestazione del servizio a cui tutte le istituzioni scolastiche della Repubblica sono tenute ad allinearsi: ovviamente, si tratta di livelli che le istituzioni scolastiche potrebbero anche superare, ma che mai dovrebbero disattendere. Va ricordato che la questione dei LEP è assolutamente nuova rispetto alla Costituzione del '47. Nell'immediato dopoguerra, mentre si andava configurando sulla Carta costituzionale una Repubblica fondata sulle autonomie, di fatto, però, si stava costruendo uno Stato fortemente centralista per quelle contingenze postbelliche che consentivano margini assai ristretti per una reale e concertata autonomia. In quegli anni, pertanto, non avrebbe avuto senso che lo Stato indicasse dei LEP ad istituzioni autonome che ancora non esistevano. Inoltre, per quello che riguardava i servizi erogati direttamente dallo Stato, era questo stesso a darsi, implicitamente o meno, i suoi LEP! Questi ultimi quindi assumono visibilità e concretezza solo quando lo Stato dà inizio al suo dimagrimento e rinuncia a gran parte delle sue competenze. Ma, nel momento stesso in cui dichiara ed effettua questa rinuncia, si premura di rassicurare i cittadini tutti che i loro diritti civili e sociali saranno comunque garantiti su tutto il territorio nazionale, anche se i servizi non sono più erogati dal potere centrale, ma dalle autonomie locali. Del resto, si tratta di una strada che, per certi versi, si era già intrapresa, quando nel '95 con il Dpcm del 7 giugno venne predisposto uno schema generale di riferimento per l'elaborazione, da parte delle scuole, della Carta dei servizi scolastici, precedentemente citata. Allora, si intendeva aiutare le scuole ad organizzarsi, in quanto future istituzioni autonome, in modo assolutamente nuovo in ordine ai servizi da garantire. Non si trattava più di adempiere a delle prescrizioni imposte dall'alto, ma di erogare quei servizi che si ritenevano necessari in relazione ad un proficuo incontro tra le finalità del Sistema di istruzione, la domanda del territorio e l'offerta della istituzione scolastica. Si trattò di un'esperienza che avvenimenti successivi e l'inadeguatezza della amministrazione non hanno permesso di accompagnare né di tesaurizzare. Oggi le intuizioni di allora, ovviamente mutatis mutandis in quanto la cornice legislativa è totalmente cambiata, potrebbero costituire un prezioso input per l'elaborazione dei LEP relativi all'istruzione. Indicazioni operative Da quanto detto, si dovrebbe operare verso più direzioni e su più tavoli, ovviamente secondo una concertazione unitaria e finalità concordate e condivise. - individuare e definire in primo luogo con estrema chiarezza gli esiti di apprendimento attesi alla fine dell'intero decennio dell'obbligo di istruzione; - in ordine a questa prima operazione e in considerazione delle corrispondenti fasce di età, individuare e definire con altrettanta chiarezza gli esisti di apprendimento attesi alla fine del primo quinquennio dell'obbligo. Solo successivamente, su due tavoli distinti, si potrà procedere alla stesura delle norme generali relative ai due quinquenni. Emergerà abbastanza problematica l'operazione relativa al secondo quinquennio, in quanto si tratterà di mettere in discussione gli assetti ordinamentali, organizzativi e didattici di due percorsi, quello dell'attuale scuola media e quello degli attuali bienni, che provengono da storie diverse e che hanno sedimentato con il tempo assetti e finalità molto differenti. In prima battuta, sarà necessario non enfatizzare eccessivamente la cesura dell'esame di Stato conclusivo dell'attuale terzo anno della scuola secondaria di primo grado, il quale, pur se ancora costituzionalmente normato, dovrebbe con il tempo scomparire per lasciare il posto ad un curricolo verticale unitario. Occorrerà considerare con molta attenzione la necessità di rendere più flessibili e articolati i percorsi disciplinari dell'attuale scuola media per renderli compatibili con i percorsi pluridisciplinari che li anticipano (la flessibilità della scuola primaria) e li seguono (l'articolazione degli attuali bienni, la quale per altro dovrà successivamente e necessariamente espandersi orizzontalmente). Per quanto riguarda la parte relativa ai Livelli Essenziali delle Prestazioni, il discorso è più complesso in quanto investe materie che vanno ben oltre la curricolarità e la didattica, per cui sarà necessario il concorso di più competenze, dai dicasteri dell'Ecofin, della Salute, delle Riforme, delle Politiche giovanili e attività sportive, dei Beni e delle attività culturali, della Comunicazione, ad esempio, fino a quelle degli Enti locali - eventualmente in sede di Conferenza unificata - per quanto concerne la legislazione concorrente che questi sono tenuti ad esercitare in materia di istruzione. Si tratta di un discorso assolutamente nuovo, che è tutto da costruire e sul quale dal 2001 - cioè dal varo del novellato Titolo V - la nostra amministrazione PI o si è gingillata o ha perso tempo per avallare le chimere morattiane convinte che i LEP riguardassero soltanto il sottosistema dell'istruzione e formazione professionale. Roma, 27 dicembre 2006 Maurizio Tiriticco |