Intervista
a Franco Frabboni, Preside della Facoltà
di Scienze della Formazione Primaria, Università di Bologna
Domanda
E’ stata definitivamente approvata dai due rami del Parlamento
la nuova legge sulla riforma del Sistema Scolastico Italiano.
Che cosa ci dobbiamo aspettare?
Risposta
Ora occorre attendere i Decreti Delegati attuativi della legge
ai quali il Ministro è chiamato. La legge si presenta leggera:
è composta di soli sette articoli e, nella sua leggerezza, ha
diverse zone ambigue, non chiare, rispetto alle quali, si spera,
i Decreti Delegati potranno assumere posizioni diverse rispetto
ad una prima lettura della legge che in alcune sue parti apre
a soluzioni diverse. Nutriamo la speranza che i Decreti Delegati
potranno migliorarla.
Il Ministro ha a disposizione due anni di tempo per la loro
definitiva emanazione e in questo arco
di tempo si spera che siano attivate delle commissioni di lavoro
autorevoli, ed adeguatamente rappresentative, con il compito
di precisare e costruire i percorsi della riforma per quanto
riguarda tutti i gradi scolastici.
Domanda
Un primo elemento che pare preoccupare molti è quello dell’anticipo.
Qual è il suo punto di vista in merito?
Risposta
E’ chiaro che per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria
questa legge rappresenta un terremoto. Lo sconvolgimento è rappresentato
da una parte dall’anticipino (la possibilità di
accesso non più a tre anni ma a due anni e mezzo), dall’altra
dalla reintroduzione del “maestro prevalente” (che, nella sostanza,
vuol dire il ritorno al maestro unico: un maestro di fatto ‘tuttologo’
della classe, almeno all’inizio della scuola primaria).
Va ricordato che l’anticipo non è stato voluto
dal Governo sulla base di scelte pedagogiche, che sarebbero
state legittime. Il bambino e la bambina di
oggi non sono più quelli di cinquant’anni
fa, sono immersi in una galassia di informazione visiva, elettronica
ed anche verbale che li sollecita fortemente e li alimenta sul
piano delle conoscenze. Anticipare l’obbligo, cioè chiamare a scuola tutti i bambini anticipatamente,
sarebbe una scelta condivisibile che, per quanto mi riguarda,
ho sempre sostenuto. Al contrario, questa
forma di ‘anticipino’ è stata messa in campo soltanto per potere
chiudere la secondaria a 18 anni invece che a 19. La scelta
di reintrodurre, un ottennio tra scuola primaria e scuola media
avrebbe riportato il terminal della scuola secondaria a 19 anni,
in sostituzione del settennio previsto dalla proposta Berlinguer.
L’Europa chiedeva e chiede con forza
ai 15 paesi (o ai 25 del prossimo anno) la conclusione degli
studi scolastici a 18 anni e l’attuale Governo ha messo in atto
l’escamotage (o il pasticciaccio?) di questo anticipino il cui
volante è stato dato in mano alle famiglie. Gli esiti potranno
essere quanto meno curiosi: nella prima classe della futura
scuola Primaria potranno trovarsi insieme un bambino di cinque
anni e quattro mesi ed uno di sette.
Dico tutto questo con una valutazione positiva
sull’anticipo: condiviso il principio ma certamente non la soluzione
organizzativa adottata.
Domanda
Perché la scelta dell’anticipo è priva di ragioni pedagogiche?
Risposta
L’anticipo, non costruito pedagogicamente sul bambino della
scuola dell’infanzia e della scuola primaria, ci fa pensare
che questa legge voglia assecondare una sorta di pseudo-pedagogia
o pseudo-cultura oggi in voga e di
moda, frutto anche del dominio del mediatico:
sembra essere prefigurato un bambino velocizzato, accelerato,
che deve lasciare anzitempo il suo mondo ludico, magico, animistico
e fantastico. La legge prende le distanze dalle “dimensioni
di sviluppo” che gli Orientamenti del ‘91 segnavano con forza,
e cioè dalla sfera affettiva sociale,
cognitiva, valoriale ed etica, propria del bambino dai tre ai
sei anni. Il bambino viene in qualche modo ‘rapinato’
precocemente del suo mondo per essere proiettato
verso l’alto, per accelerare il suo sviluppo, per divenire
un adulto in piccolo. Questa società della velocizzazione,
dell’anticipazione, del porsi sempre in avanti, brucia il tempo
di vita dell’infanzia e non lascia al bambino il tempo di sostare
un momento a riflettere, a considerare il proprio mondo esistenziale.
E’ una sorta di rapina pedagogica: i bambini hanno il diritto
al proprio tempo.
Domanda
La legge vuole affidare un ruolo di primo piano alla famiglia.
Qual è il suo punto di vista in merito?
Risposta
Da sempre la scuola ha avuto come pilota l’insegnante e insieme,
all’insegnante anche tutta una serie di altri
copiloti, compresa la famiglia. Ora è previsto, insieme all’insegnante
prevalente, un unico copilota che è la famiglia. Anzi, in certi
casi è la famiglia che pare essere da sola al volante. L’insegnante
dovrà stare a guardare ciò che deciderà la famiglia perché in
gran parte decide sul portfolio, sulla biografia, sul diario, sulla storia del
bambino. La famiglia decide se anticipare o non anticipare,
se utilizzare ‘quote-orario’ per attività
private che i bambini possono svolgere nel territorio e non
a scuola, aprendo inevitabilmente la forbice fra le famiglie
ricche e quelle povere. Tutto questo non appartiene all’alfabeto
pedagogico.
Come pedagogisti siamo preoccupati
dall’esproprio che viene prodotto all’inizio del sistema scolastico.
Oltre al fatto che la scuola dell’infanzia
rischia di diventare di due anni e mezzo: se la scuola primaria
inizia a cinque anni e mezzo non sappiamo a che età le famiglie
iscriveranno i bambini alla scuola dell’infanzia. E’
possibile che la scuola dell’infanzia stessa si riduca a due
anni e mezzo, divenendo una sorta di servizio a domanda individuale.
Domanda
A parte gli elementi di criticità che ha sottolineato,
qual è uno degli aspetti positivi più significativi di questa
riforma?
Risposta
Innanzi tutto, la riconferma dell’idea che il bambino e la bambina
siano collocati al ‘centro’ del sistema
scolastico. La legge mette in campo il concetto di “personalizzazione”
con l’aiuto del tutor, anche se il
tutor è lo stesso insegnante prevalente. Anche in passato,
quando nella scuola elementare operava un unico insegnante per
ogni classe, era chiaro che era anche
colui che personalizzava in qualche modo l’attenzione ai processi
di sviluppo dei singoli bambini. Questa accentuazione della
personalizzazione, la determinazione di un insegnante unico
che è anche tutor è un elemento positivo
in quanto impegna la scuola non solo a tenere conto della mente
del bambino ma anche, per così dire, del cuore, cioè delle sue
dimensioni affettive, emotive e sociali.
Domanda
Un fiore all’occhiello di questa riforma sembra essere l’introduzione
del laboratorio di informatica e di
lingua straniera. E’ così?
Risposta
Si tratta di un altro aspetto che confido positivo,
anche se, a ben vedere, non è ben espresso nelle Indicazioni
Nazionali e nelle Raccomandazioni. Che si affermi il principio
del laboratorio è importante. Attenzione,
però. Informatica e lingua straniera non sono laboratori, sono
aule specializzate. Il laboratorio è ad esempio quello musicale,
quello delle attività motorie, della manipolazione, ecc. Non
è inoltre chiaro chi saranno i docenti.
Se saranno, ad esempio, i docenti in soprannumero della scuola
media che potranno essere ‘prestati’ alla
primaria, se saranno figure di laureati pescati da graduatorie
ad hoc in quanto “laboratoristi” o altro ancora. Siamo preoccupati
che i laboratori possano diventare
un ambito professionale sotto-qualificato, perché negli Ordinamenti
della formazione universitaria degli insegnanti non c’è traccia
per ora del concetto di laboratorio e di figure legate al laboratorio,
ma si fa riferimento soltanto agli insegnanti di classe.
Domanda
E per quanto riguarda il portfolio?
Risposta
Anche questa non è una novità italiana. Anzi, su questo concetto
arriviamo buoni ultimi in Europa. E’ la biografia, la narrazione,
il diario, la telecamera accesa nella scuola sui singoli bambini.
E questo è positivo, ma c’è anche il rovescio della medaglia. La preoccupazione
è che il curatore del portfolio sia
solo l’insegnante tuttologo e la famiglia, perché costruirebbe
un sistema chiuso. Dovrebbero comparire anche altri soggetti
che concorrono al sistema formativo, come il dirigente, i laboratoristi,
ecc.
Domanda
Quale idea di competenza emerge da questa riforma?
Risposta
Un ulteriore punto positivo che ho più volte sottolineato è
il principio delle competenze che coinvolge anche la scuola
dell’infanzia. Troviamo però una definizione quanto meno curiosa
del concetto di competenza. La competenza non può essere riconducibile
alla riproduzione, a pappagallo, di saperi prescritti dalle
Indicazioni Nazionali e dalle Raccomandazioni. In tali documenti
le competenze appaiono come una sorta di saperi da ripetere,
come abilità esclusivamente da riprodurre, come semplici automatismi.
Essere competente significa sapere, saper fare, saper essere.
Godere di padronanze disciplinari ed interdisciplinari.
Di tutto questo non si trova traccia nelle Indicazioni.
Anche in questo caso cioè ci troviamo
di fronte ad una medaglia a due facce. Da un lato la competenza
rappresenta un elemento importante per la scuola dell’infanzia,
dall’altro temo che la competenza, così come definita nelle
Indicazioni e nelle Raccomandazioni, trasformi la scuola futura
in una sorta di saperi a quiz, organizzati su prestazioni, per
così dire, a pulsante. Si corre il rischio di promuovere un’intelligenza
“scattista”, velocizzata sul piano mnemonico ma vuota sul piano
delle formae mentis, delle padronanze
endogene, delle competenze trasversali, interdisciplinari.
Questo è tutto ciò che dovrebbero fare
i Decreti Delegati: dare luce alle facce oscure di queste medaglie,
far scomparire gli elementi opachi e far brillare gli aspetti
che sono positivi.
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