DISCORSO DI INSEDIAMENTO
DEL PRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE ON. VALENTINA APREA
Onorevoli Colleghi,
nell’assumere la responsabilità e l’onore di presiedere la VII Commissione permanente,
esprimo sincera gratitudine per il consenso espresso alla mia elezione ed assicuro la mia
lealtà nell’esercizio del ruolo istituzionale che sono chiamata a svolgere.
Ringrazio, inoltre, sin d’ora tutti i membri della Commissione per la collaborazione
costruttiva che vorranno esprimere nel lavoro che ci attende e un benvenuto speciale ai
membri di I Legislatura.
Il primo augurio che vorrei rivolgere a tutti noi è che questa Legislatura sappia volare “alto”, emancipandosi dalla eccessiva zavorra che ha, fin qui, appesantito il “volo” delle
Legislature precedenti, a partire dalla XII: quelle cioè che avrebbero dovuto costruire la
cosiddetta Seconda Repubblica.
Le ragioni di questo nuovo “clima” sono a noi ben note, avendo vissuto da protagonisti con
i nostri Leader quel cambiamento profondo che ha portato alla semplificazione del sistema
politico.
Ma perfino le fasi iniziali di questa Legislatura: dalla modalità della formazione del
Governo, ai toni del dibattito di fiducia alle Camere del Governo stesso, la Costituzione di
un Gabinetto ombra di tradizione anglosassone da parte della maggiore forza di
opposizione e il dialogo, vero e proficuo, avviato tra il Premier e il Capo dell’opposizione,
devono spingerci ad affrontare con spirito nuovo il lavoro “usato”.
In particolare, credo che sia necessario ripartire dalla grande “questione dello Stato”, dalla
politica verso lo Stato, dall’uso stesso dello Stato. Cioè, da quel fenomeno sintetizzato
nell’espressione Big-governement: lo Stato troppo grande, troppo invadente, troppo
esteso, troppo intrusivo.
L’eccesso di statalismo, insomma, come proiezione indebita della politica burocratica e
della lottizzazione partitica nelle sfere tradizionalmente riservate alle libertà dei cittadini. E
accanto a questa questione, dobbiamo fare i conti con l’eredità di altri due fattori
paralizzanti post-bellici: l’ideologismo esasperato e la radicalizzazione dello scontro
politico.
Se riusciremo, e l’incipit della Legislatura sembra andare in questa direzione, a lasciarci
alle spalle tutto ciò, potremo anche nella nostra Commissione, sulle materie di nostra
competenza, dare dei segnali nuovi che rendano maggiormente visibile la volontà politica
di lavorare insieme per il “bene comune”.
Un metodo, insomma, che dovrebbe portare l’intera classe politica a recuperare credibilità
e fiducia da parte dei cittadini, dando prova di saper rispondere alle loro attese, attraverso
un confronto di idee e di interessi – anche severo, anche rigoroso – ma comunque
concreto, costruttivo, trasparente e sempre ispirato da reciproco rispetto.
Non sarà un compito facile, ma dovremo provarci e arrivare a costruire anche nel nostro
Paese delle “istituzioni intelligenti”.
Le istituzioni di una società libera sono tanto più intelligenti quanto più sanno creare
reciproche convenienze (valori condivisi, vincoli esterni, interessi) orientate alle libertà fondamentali dei singoli.
In questo senso, valori come la libertà, la sussidiarietà e la centralità della persona e del
cittadino propri e fondanti della nostra Costituzione (vecchia e nuova), sono la bussola dei
nostri lavori.
Così pure, credo che dovremmo tenere in considerazione la necessità, ormai accertata da
tempo, di riformare “delegificando”. Intendo riferirmi al problema delle dimensioni della fitta
giungla legislativa italiana che si è tentato di ridurre
dai tempi del Ministro Cassese (1993 – 94) fino al Ministro Nicolais, autorevole esponente
del PD nella nostra Commissione. Da Bassanini a Frattini a Baccini, che nel 2005 ha
attivato il meccanismo “taglialeggi”, tutti si sono misurati con l’enorme produzione
legislativa del nostro Paese. Come è noto, proprio il “censimento Nicolais” ci ha fatto
conoscere il dato esatto delle leggi attualmente in vigore: sono 21.691; e dai 65mila ai
70mila atti normativi; e più di 30mila leggi regionali.
Abbiamo il primato (negativo) in Europa, seguiti dalla Francia, che ne ha 9.800 e dalla
Germania, che ne ha 4.547.
Non sfugge, credo, a nessuno di noi, che il rilancio della competitività passa anche dalla
deregulation e da una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini. In più, come è
noto, la semplificazione legislativa e burocratica può ridurre anche i costi della politica.
Il nuovo Esecutivo ha, per questo, giustamente previsto una delega al Ministro Calderoli
su questa materia. Ma, a prescindere dall’attività del Governo, credo che si possa
riconoscere questo tema come un tema bipartisan e lavorare per delegificare i settori di
nostra competenza, a partire dall’Istruzione, particolarmente afflitta da iperlegificazione.
Nello stesso tempo, penso che dovremo impegnarci per approvare poche leggi ma buone,
per un ritorno, mai così atteso, alla buona politica.
Nel merito, rispetto alle competenze della nostra Commissione, vaste e importanti, e che
riguardano settori strategici per lo sviluppo della nostra società, collaboreremo lealmente
con il Governo, ma favoriremo in tutti i modi la discussione parlamentare per rilanciare il
ruolo del Parlamento, sacrificato nella scorsa Legislatura.
Inviteremo, insomma, i Rappresentanti del Governo a trascorrere più tempo nelle
Commissioni che nelle strutture ministeriali, affinché la decisione politica
possa arricchirsi e tener conto delle posizioni delle forze di maggioranza e opposizione.
In particolare, e nell’attesa di conoscere le linee programmatiche dei Rappresentanti del
Governo nelle materie di nostra competenza, auspico che la Commissione riprenda ad
esaminare la Riforma del Settore dello Spettacolo dal vivo, attesa da decenni dagli
operatori del mondo artistico, partendo anche dalla Proposta di legge Carlucci, che si pone
in continuità con le norme, approvate con spirito bipartisan sul “tax shelter” a favore del
settore cinematografico, introdotte nella legge Finanziaria 2008.
Non mancheremo di affrontare, naturalmente con la medesima serietà e attenzione, tutte
le altre materie che rimandano ai Beni e alle Attività Culturali e ai settori dello Sport,
dell’Informazione e dell’Editoria.
Dai discorsi che nell’Assemblea della Camera hanno scandito l’avvio della XVI Legislatura, è emersa una generale consapevolezza di tutte le componenti politiche riguardo
all’esigenza di tornare a far crescere la nostra società, di rilanciare il Paese e i suoi talenti.
Trovo che la dimensione economica di questa crescita non possa e non debba essere
disgiunta da una dimensione culturale, complementare e parimenti necessaria.
Una dimensione culturale che trova nell’attività della VII Commissione uno dei principali
referenti parlamentari e che non va intesa solo in funzione dello sviluppo e della
competitività del nostro Paese, ma anche a sostegno della crescita umana e spirituale dei
suoi cittadini, al fine di colmare il più possibile lo sfasamento temporale, il divario di
velocità che spesso intercorre proprio fra crescita economica e crescita civile e che talora,potenzialmente ingenera egoismo e intolleranza.
Dovremo ritrovare le idee forti su cui fondare un’etica pubblica in cui l’esercizio
responsabile della libertà non sia mai disgiunto dalla ricerca e dal discernimento della
verità.
Non vi è dubbio, tuttavia, che i nostri sforzi dovranno concentrarsi ed essere
particolarmente innovativi nei settori dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, da
troppe Legislature interessati da Riforme che non sono state portate a compimento e che
spesso si sono rivelate in contraddizione tra di loro, creando disorientamento e sfiducia
nel mondo della scuola e dell’Università e disillusione nei giovani.
Credo che sia giunto il momento politico e storico di lavorare per una armonizzazione del
quadro giuridico di questi settori, senza mai perdere di vista gli orientamenti europei e le
sfide internazionali.
Ma, prim’ancora, dovremo, con le nostre decisioni , ridare fiducia ai giovani.
Recenti studi svolti in sede europea sui giovani tra i 16 e i 29 anni in Europa, Stati Uniti,
Cina, Russia, Taiwan e Giappone, hanno evidenziato che i ragazzi italiani hanno poca
fiducia nel loro futuro.
Solo 23 su 100 pensano che il loro avvenire sarà promettente. Basterebbe anche solo
questo dato per responsabilizzarci rispetto alla necessità di motivare positivamente le
nuove generazioni e ricercare, con il Governo e con tutte le altre Istituzioni del Paese,
quelle strategie che sappiano valorizzare le capacità, coltivare i talenti, promuovere le
eccellenze, spingere l’innovazione e la crescita del Paese, proprio come ha indicato anche
lo stesso Premier Berlusconi nel discorso programmatico, nel punto in cui ha parlato di
crescita come rilancio del Paese e dei suoi talenti, e della necessità di formare nuove
generazioni di lavoratori altamente qualificati, di dare una “frustata” vitale alla Ricerca e all’Istruzione, di ricominciare a padroneggiare il proprio destino senza lasciare indietro
nessuno.
Anche perché l’Italia, si sa, proprio come la Francia, secondo quanto affermano Monti e
Bassanini che hanno fatto parte della Commissione Attali, vive con tremore e timore
l’epoca della globalizzazione.
Eppure la globalizzazione può offrire, soprattutto ai giovani, grandi opportunità, ma le
nuove sfide non possono essere vinte senza grandi riforme, senza forti innovazioni. Ecco
perché le istituzioni e la politica devono ormai dimostrare di essere capaci di decidere le
svolte necessarie per far rialzare l’Italia, per modernizzare il Paese, con l’occhio alla realtà e ai problemi più urgenti. Tra questi vi è sicuramente “l’emergenza educativa”.
Su questo concetto, recentemente ribadito dall’alto magistero del Pontefice Benedetto
XVI, desidero in particolare, da questa sede, inviare simbolicamente un messaggio ai
nostri giovani, alle ragazze ed ai ragazzi italiani che sono la risorsa e la speranza più preziosa del Paese.
Di queste ragazze, di questi ragazzi e delle loro famiglie dobbiamo alimentare la fiducia e
la speranza, non deluderne le aspettative ed assecondarne gli sforzi per crescere con
l’impegno nello studio, nel lavoro, nello sport, nell’arte ed in tutte le altre attività che
contribuiscono alla loro maturazione morale e civile, favorendone l’inserimento costruttivo
nella società.
Dobbiamo preoccuparci che non arretrino smarriti di fronte alla complessità del presente,
che non si rifugino nei falsi valori del consumo, dello stordimento e del disimpegno, mentre
lo Stato, come continua ad ammonirci la nostra Costituzione a sessant’anni dalla sua
entrata in vigore, deve sempre più rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo
della loro persona.
Conosco la sensibilità di molti autorevoli colleghi verso questo tema e sono sicura che non
mancheranno di fare la loro parte per contribuire a dare le attese risposte in questo campo.
In conclusione, vorrei estendere a tutti voi l’augurio che la scrittrice Paola Mastrocola,
docente di liceo, ebbe a rivolgermi qualche anno fa in una presentazione del suo libro “Una barca nel bosco” che narra la storia di un talento sprecato di un giovane del Sud,
figlio di pescatore e aspirante latinista, approdato a Torino per studiare in un liceo.
Purtroppo, Gaspare che a 13 anni traduce Orazio e legge Verlaine scopre ben presto di
essere “fuori moda”, “fuori tempo”, “fuori posto” (i dieci in latino arrivano puntuali come lo scherno della classe): è un pesce fuori della sua acqua, una barca nel bosco.
La scuola tradisce le sue aspettative, l’Università non farà di meglio.
Siamo chiamati in questa Commissione a lavorare perché la scuola diventi, per davvero, la
scuola di tutti. Ma perché questo accada, è necessario che diventi la scuola di ciascuno,
capace di personalizzare i percorsi per raggiungere gli obiettivi comuni e riscattare i tanti talenti soffocati da un sistema di istruzione che ha rinunciato da tempo al merito inteso come leva reale di mobilità sociale nel Paese.
Ecco perché, l’augurio che intendo esprimere è che insieme, attraverso il nostro lavoro
parlamentare, si riesca a salvare tutte le “barche nel bosco”!
Buon lavoro!
Roma, 22 maggio 2008
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