Dove va l’istruzione nautica in Italia


Luciana Patti Cavaliere – Dirigente Scolastico ITN “Carnaro” Brindisi

La I e II proposta di riforma del sistema scolastico e formativo, non indicano chiaramente quale posizione occupino l’istruzione nautica, aeronautica e dei trasporti in genere, tra gli indirizzi in cui si articola il liceo tecnologico, ne’ si ravvisa, nelle macro-aree dei professionali, dove si possano collocare tali indirizzi.

L’istruzione nautica risulta, inoltre, penalizzata gravemente, nella proposta Moratti, perché relegata in una regionalizzazione che potrebbe ridurla a mero addestramento professionale e farla dipendere in modo esclusivo da tradizioni e risorse locali, facendogli perdere quelle caratteristiche di sicurezza e qualità, che ne sono le peculiarità fondamentali.

Il settore trasporti e delle professioni nautiche deve superare invece i limiti di un ambito regionale, se non vogliamo limitarci a formare solo diportisti o addetti alle attività marinaresche di piccolo cabotaggio.

E’ necessario, infatti, non diminuire l’importanza della cultura della navigazione, fondamentale nella storia della nostra Nazione e dei suoi rapporti con il mondo intero.Solo in una visione culturale nazionale è possibile un’integrazione sia con il Mediterraneo, che con l’Europa tutta. La formazione nel settore dei trasporti in generale e marittimo in particolare, deve essere a cura dello Stato, perché solo in queste condizioni può esprimere una visione di solidarietà responsabile e non miopi interessi di nicchia o di parte.

Solo gli istituti nautici consentono, infatti, la formazione degli Ufficiali della Marina Mercantile italiana che, sono da sempre i più richiesti dalle grandi Compagnie di Navigazione e dalle Multinazionali dei trasporti.

Già il D.M. 05/10/01 aprendo la carriera degli ufficiali ai giovani forniti di un diploma qualsiasi sia pure supportato da tutti i corsi previsti dall’STCW 78, ha duramente colpito l’istruzione nautica vanificandone il titolo, che in tale modo ha perso gran parte della sua valenza dal punto di vista formale, anche se nulla si può eccepire sulla qualità del diploma nautico. Tale diploma resta nei fatti insostituibile e richiestissimo dall’armamento sia nazionale, sia internazionale.

La nuova scuola ipotizzata dal Ministro Moratti cancella con un colpo di spugna una cultura secolare per l’Italia. L’istruzione nautica è, insieme a quella umanistica la più antica in Italia e risale infatti ufficialmente all’istituzione a Venezia della gloriosa Scuola Nautica nel 1739 con decreto del Senato della Serenissima.

Già nel medioevo tuttavia erano funzionanti scuole di marineria e l’arsenale di Venezia era in grado di fornire le imbarcazioni migliori del momento, sia per il commercio che per la difesa,in tempi brevissimi. Ciò presupponeva ottime conoscenze tecniche e solida cultura nautica, visto che le imbarcazioni veneziane venivano vendute anche ai mercanti del Nord Europa e ai sultani del MedioOriente.

Successivamente nel 1848 fu istituita una nuova Scuola Nautica che nell’ambito dell’Istruzione Tecnica continuava la formazione della gente di mare a livello teorico e pratico;una differenza va’ sottolineata tra l’istruzione umanistica e quella nautica,la prima nasce affidata alla chiesa, ha quindi carattere confessionale,la seconda è da sempre laica.

Non si capisce, pertanto, quali siano le motivazioni dell’esclusione di tale indirizzo dalla riforma. Non è chiaro, inoltre perché, un malinteso senso di omologazione ad altre culture debba disperdere il patrimonio di formazione di educazione e di risorse dei nautici d’Italia.

La spinta verso la devolution, che traspare sia dalla lettura del documento Bertagna che dalla proposta Moratti, è perniciosa per tutta la scuola e deleteria per il settore nautico e dei trasporti in generale..

La regionalizzazione della cultura nautica ed aeronautica produce la polverizzazione delle risorse territoriali, portando alla stagnazione dell’economia dei porti dell’Adriatico prima e dell’Italia poi.

La cultura nautica è patrimonio della nostra civiltà e costituisce un vero e proprio modo di lettura della realtà, così come quella umanistica-artistica o come quella scientifica-tecnologica, in quanto la cultura del mare è cultura del territorio e della comunicazione,promuove gli scambi culturali, compre l’accoglienza dell’altro e del diverso, promuove la tutela del territorio,tende alla programmazione corretta dell’uso delle risorse ambientali, della loro trasformazione e del trasporto di uomini e merci ed infine è spirito di ricerca e d’avventura.

Alla luce di quanto sopra divengono fortemente preoccupanti anche le prospettive nel settore lavorativo che porteranno ad un progressivo declassamento ed impoverimento della nostra marineria.

Il fabbisogno di ufficiali a livello mondiale del 2000 è stato di 16000 unità nel 2010, anche tenendo conto di tutti i possibili tagli, tale fabbisogno potrà superare le 46000 unità.

E’ evidente come il problema della preparazione dello stato maggiore della marina Mercantile sia un problema globale e non europeo, né tantomeno, solo italiano.

La regionalizzazione dell’istruzione nautica, oltre a declassare la scuola italiana riducendo le vocazione e le aspettative, rischia di dequalificare e snaturare la professionalità dei marittimi italiani, che sono ancora, i più richiesti a livello mondiale. Si ricorda che la quasi totalità delle materie prime nel settore energetico, viene veicolato dai trasporti marittimi.

L’inefficienza di questo settore rischiamo di pagarla tutti molto amaramente.

Luciana Patti Cavaliere – Dirigente Scolastico ITN “Carnaro” Brindisi sul sito della
CGIL-SCUOLA

Roma, 27 giugno 2002