CONSIDERAZIONI SULLA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE
BERTAGNA
Il Documento reso
noto il 29/11 prefigura non già una revisione e correzione della
Legge n. 30/2000 – come dichiarato dal ministro - bensì un progetto
alternativo di riforma del sistema scolastico italiano – anzi
di controriforma. E poiché istruzione e formazione sono temi fondamentali
per un moderno sistema democratico, è alla luce di principi democratici
e di criteri di modernità che esprimiamo un giudizio negativo
sul modello di riforma proposta.
1) Il modello di scuola
prefigurato dal progetto non promuove
inclusione e uguaglianza dei diritti,
ma, prendendo atto delle differenze sociali e culturali,
le riproduce e le sancisce attraverso diverse forme di diversificazione.
Infatti:
a) a 14
anni ogni ragazzo “può decidere”
– ma già a 12 anni viene orientato alla scelta - se intraprendere
uno degli otto corsi di studio liceale oppure corsi di formazione
professionale a tempo pieno di durata triennale o quadriennale
oppure corsi di formazione in alternanza scuola/lavoro;
b) già
a partire dalla scuola primaria i piani di studio contemplano tre percorsi formativi: un primo percorso
“di responsabilità di famiglie
e altre istituzioni sociali”, un secondo obbligatorio di 25
ore settimanali; un terzo facoltativo di Laboratori,
da 0 a 300 ore annuali, in media 9 ore settimanali;
c) larghe
fette di popolazione giovanile, già prima della maggiore età,
riceveranno una formazione determinata e gestita a livello regionale,
all’interno della quale la dimensione culturale verrà relegata
nello spazio di Laboratori – facoltativi – di recupero e sviluppo
degli apprendimenti relativamente alle capacità logico-matematiche
e linguistiche.
2) Il progetto mette
in discussione la funzione
di garanzia di identità nazionale e coesione sociale, assegnata
all’istituzione scolastica dalla Costituzione.
Partendo dall’assunto
che il sistema educativo “è
perdente davanti al gigante Golia dell’emarginazione sociale strutturale”,
il Documento prefigura lo smantellamento del sistema pubblico
d’istruzione e formazione,
perché:
a) afferma
che il concetto di obbligo scolastico da assolvere nelle scuole
statali “oggi
rischia di risultare più un handicap che una risorsa”; e propone
di sostituirlo con il “diritto
ad esperienze educative organizzate di istruzione e formazione”
fino a 18 anni o con un minimo di 12 anni di istruzione/formazione,
riducendo di fatto l’obbligo d’istruzione;
b) demolisce
l’esistenza di un curricolo nazionale unitario attraverso l’istituzione
dei 3 percorsi formativi e la facoltatività di alcuni apprendimenti
disciplinari;
c) sostiene,
sulla base della priorità dei risultati rispetto ai processi,
che “l’attenzione si sposta dai luoghi dell’istruzione
e della formazione alla certificazione delle competenze finali”,
svilendo il valore dell’esperienza umana e intellettuale dell’apprendere
insieme;
d) spiana
la strada all’abolizione del valore legale del titolo di studio
con la predisposizione, ad opera del Servizio Nazionale per la
Qualità del Sistema, di verifiche biennali e quadriennali vanifica
il ruolo dei Consigli di classe; viene ridimensionata l’autonomia
delle istituzioni scolastiche.
3) Il modello di scuola
delineato nel Documento non va nella direzione di un innalzamento
del livello culturale del nostro Paese, che è indice di democrazia
e premessa di sviluppo
perché:
a) si
riducono a 4 gli anni della secondaria superiore e, grazie al
“credito” costituito dalla frequenza della scuola d’infanzia,
viene accorciato di un anno l’obbligo formativo fino a 18 anni
d’età per chi dopo la qualifica non prosegue gli studi;
b)
si esclude dal percorso obbligatorio – costituito da
“aspetti linguistico-letterari, scientifico-matematici
e storico-sociali (ivi inclusa la religione cattolica)”- una
parte del patrimonio culturale ridotta ad attività marginali di
Laboratori di Informatica, Attività motorie, espressive (musica, pittura, teatro…),
di progettazione (di artefatti, interventi sociali, stage
…), Lingue, Recupero e sviluppo
degli apprendimenti; riproponendo, tra l’altro, una separazione
tra sapere e operatività, tra teoria e pratica;
c) in
nome di “una solidarietà
cooperativa tra tutte le esperienze ed i luoghi formativi”
e attribuendo a “genitori, mass media, attori sociali, imprese,
enti locali, centri culturali, imprenditori del tempo libero ecc.”
un ruolo formalmente riconosciuto di responsabili del percorso
d’istruzione, si rinuncia ad un curricolo scolastico di elevato
livello culturale per tutti e non asservito alle mode o agli interessi
particolari;
d) si
immiserisce lo spessore culturale del docente che diventa un ‘tuttologo’,
al quale è richiesto di “realizzare
nel complesso il profilo educativo, culturale e professionale
terminale e gli obiettivi specifici d’apprendimento”, per
cui un docente di italiano o matematica dovrà “promuovere
anche sensibilità estetiche, conoscenze geografiche, riflessioni
morali …”.
Insomma
questo progetto
- RAPPRESENTA UN ARRETRAMENTO CULTURALE E SOCIALE PER
IL NOSTRO PAESE
- INTRODUCE UNA VISIONE GERARCHICA DELLE DISCIPLINE,
DEGLI INSEGNANTI, DEGLI STUDENTI
- E’ IN CONTRADDIZIONE CON LE ESPERIENZE INNOVATIVE
MATURATE NELLE NOSTRE SCUOLE
- COSTITUISCE UN’INVERSIONE DI TENDENZA RISPETTO AI
PRINCIPI CHE HANNO GUIDATO LE POLITICHE FORMATIVE DELL’UNIONE
EUROPEA NELL’ULTIMO DECENNIO.
Se
verrà attuato non solo la nostra società sarà più destrutturata
e divisa, ma i nostri giovani non saranno attrezzati – culturalmente
e professionalmente - per competere con i loro coetanei europei.
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