Il contributo del tempo pieno alla scuola italiana Un'esperienza radicata nel territorio e quantitativamente rilevante attraverso cui sono maturate idee e comportamenti assai significativi per tutta la nostra scuola. di GIANCARLO CERINI Oggi che il tempo pieno è messo seriamente in discussione dai provvedimenti governativi è utile interrogarsi sul contributo che tale modello organizzativo ha dato alla scuola italiana. Per questo si possono individuare e analizzare almeno quattro piani relativi a: a) SCELTE POLITICHE b) DINAMICHE GESTIONALI c) CULTURA ORGANIZZATIVA d) PROFILO PEDAGOGICO-DIDATTICO La politica Sul
piano delle politiche scolastiche il tempo pieno ha contribuito allo
spostamento di prospettiva dall'assistenza
scolastica al diritto allo studio e quindi a far vivere il diritto all'istruzione
come un diritto fondamentale di cittadinanza; oggi diremmo: dall'enunciazione
del principio dell'obbligo scolastico all'impegno per il successo formativo.
La scuola a tempo pieno si è qualificata come scuola della comunità,
come un ambiente pedagogico "totale" («ai cretini,
dategli più tempo» era l'invettiva dei ragazzi di Barbiana).
La sua visibilità pubblica è stata molto più forte della legge 148/90,
forse perché il tempo pieno si è presentato non solo come modello organizzativo
più compatto e integrato (ricco di servizi accessori), ma anche come
una istituzione educativa "aperta" verso la città, come "scuola
con le luci accese" sull'educazione permanente della comunità,
con una necessaria attenzione alla qualità delle strutture, dei servizi,
dei laboratori, delle biblioteche. La gestione Sul piano
gestionale i veri protagonisti del tempo pieno
sono stati i Comuni, assai prima che all'orizzonte apparissero la legge
sull'autonomia (Legge 59/1997), il decentramento delle competenze agli
Enti locali (D.lvo 112/1998), il "federalismo scolastico"
(Legge Costo n. 3 del 18-10-200 I). Il tempo pieno suggella l'alleanza
scuola-territorio. Così, gli indicatori di
spesa monitorati in fase di attuazione della legge 148/90 sono correlati
positivamente alla capacità degli Enti locali di sostenere lo sviluppo
della scuola a tempo pieno. È vero, il tempo pieno costa di più, ma
la qualità ha un costo: quanti assessori di un Comune devono interessarsi
al buon funzionamento di una scuola elementare a tempo pieno? L'organizzazione Sul
piano della cultura organizzativa il tempo pieno ha aperto le porte
dell'autonomia, intesa come capacità di autogoverno,
come iniziativa progettuale, come assunzione di responsabilità. Questo
processo è avvenuto innanzitutto all'interno del gruppo degli insegnanti,
strutturati in forma di team teaching (specie
nei piccoli plessi "affiatati") o di coppia "collaudata"
(perché, nel tempo pieno, la cultura di "coppia" ha prevalso
sulla cultura del gruppo). La didattica Sul piano
pedagogico il tempo pieno ha optato per una
didattica "narrativa" ove il progetto di un anno (o di un
plesso, o di una classe) era imperniato su una storia o un'idea forte,
piuttosto che su una miriade di microprogetti (è questo il tormentone
dell'autonomia di oggi, quando è male intesa). Insomma: una didattica
del canovaccio, una programmazione come "ballata popolare" che si
arricchisce con la partecipazione dei diversi attori, anche perché ha
un tempo lungo a disposizione. Allora sono tre, almeno, le questioni da affrontare: - la prima riguarda l'attualità del tempo pieno, la sua capacità di rispondere alle esigenze educative della società e dei bambini di oggi; - la seconda attiene alla natura del modello organizzativo e professionale, al contributo che il tempo pieno può offrire alla "revisione" dell'organizzazione modulare che sembra ormai in atto; - la terza riguarda le prospettive operative, la necessità di adattamenti del modello alla luce del mutato contesto gestionale e istituzionale. Attualità del tempo pieno La domanda
sull'attualità e sul futuro del tempo pieno fa tutt'uno con le domande
sul futuro della scuola nel suo insieme: è possibile, come ci ricorda
l'Ocse in un recente documento di prospettiva, che una società sempre
più attratta dallo sviluppo delle reti telematiche, da conoscenze disponibili
in modo pervasivo, dalla possibilità di apprendere "ovunque e comunque",
sia tentata dall'idea di ridurre la presenza della scuola nella società
chiamata "della conoscenza" (anzi, dell'apprendimento). a) garantire accoglienza, tenuta sociale, confronto tra diverse culture, condivisione di regole, convivenza civile e, soprattutto, b) assicurare competenze di base, sotto forma di una solida formazione al pensare, di gusto nell'affrontare i problemi, di creatività, di capacità metacognitiva. Con questa piattaforma educativa si torna al punto di partenza, ai caratteri originari di un "buon tempo pieno", al suo dispiegarsi tra vocazione all'accoglienza sociale e rigore nella proposta didattica (come nelle più sentite riflessioni "ciariane", ancora oggi di stretta attualità)3. Un tempo scuola "dalla parte" dei bambini AI di là del pur necessario dibattito politico e sociale, il
futuro del tempo pieno deve misurarsi anche con inedite questioni pedagogiche.
Qual è, per esempio, il rapporto dei bambini con i tempi della scuola? ------------------------------------------------------------------------------ 1).
Ministero P.L., Rapporto sull'attuazione
della riforma della scuola elementare, Roma 1996. Cfr. anche:
Franco Frabboni-Giancarlo Cerini, Sui sentieri della riforma. Didattica
e organizzazione nella scuola elementare, La Nuova Italia,
Firenze 1993. |