Scuola dell’infanzia e scuola primaria
Un grande futuro “alle spalle”
di Giancarlo
Cerini, Vice-presidente nazionale del Cidi
La scuola dell’infanzia e quella elementare, di fronte alle proposte
di una frettolosa attuazione della legge n. 53 del 28-3-2003, hanno reagito
sottolineando le “buone ragioni” della loro storia e della
loro identità, messe fortemente a rischio dalle più recenti
ipotesi di riforma.
Certamente, tra gli insegnanti ha prevalso un approccio “difensivo”
(sul tempo pieno, sulla pluralità docente, sull’anticipo,
ecc.), ma il segnale non può non essere raccolto da un attento
legislatore: i cambiamenti nella scuola sono processi di lunga durata
e devono radicarsi nella storia delle istituzioni, se vogliono coinvolgere
le motivazioni e la partecipazione degli insegnanti.
Molte delle novità proposte sono apparse scarsamente motivate.
Ad esempio, l’anticipo della frequenza della scuola elementare non
era stato richiesto dagli esperti della Commissione Bertagna (anzi, era
stato esplicitamente sconsigliato). Oggi, tra l’altro, notiamo come
i genitori stiano orientandosi diversamente di fronte alla scelta dell’anticipo
facoltativo: nelle regioni del centro-nord la richiesta di iscrizione
è stata contenuta tra il 10 ed il 20 %, mentre in alcune regioni
del sud ha superato il 50 % dei potenziali interessati. Ciò dimostra
che la legge ha un impatto diverso a seconda dei contesti sociali e territoriali,
delle tradizioni educative e culturali, della presenza di strutture qualificate
per l’infanzia: questi dati aprono grandi spazi di iniziativa politica
e professionale. Basti pensare al ruolo “trainante” che potrebbero
assumere buone leggi regionali sull’istruzione, attuative del nuovo
Titolo V della Costituzione.
Analogamente si potrebbe dire per gli istituti comprensivi, una realtà
dimenticata dalla legge 53/2003 e dai provvedimenti attuativi, che invece
rappresenta il 43 % di tutte le scuole, una realtà vivace e dinamica
che intende far sentire la sua voce (come dimostra il nuovo “movimento”
telematico “Un comma per gli istituti comprensivi” su comprensivi@edscuola.com
Particolarmente interessante appare la richiesta degli istituti di adottare
una scansione verticale del curricolo per bienni, con intreccio tra quinta
elementare e prima media, ipotesi ritenuta più coerente di quella
contenuta nell’ultima versione della legge.
Anche le modalità con le quali si è proceduto a sollecitare
le scuole ad aderire alle sperimentazioni di ordinamento (DM 100 del 18/9/2002),
lo scarso coinvolgimento delle scuole e del mondo accademico nella elaborazione
delle nuove Indicazioni, la prevalenza del messaggio “mediatico”
(per non dire pubblicitario) al posto di un dialogo culturale e pedagogico
sulle ragioni della riforma, ha contribuito ad appesantire il clima nelle
scuole, a rendere tutto incerto, conflittuale e, spesso, incomprensibile.
Come uscire
da questo stato di disagio ?
Per rispondere alla domanda dobbiamo ritornare sulla storia recente della
scuola di base, sulle riforme che hanno investito la scuola dell’infanzia
e la scuola elementare negli ultimi 15 anni. I cambiamenti sono stati
profondi, legati ad un progetto culturale, all’idea di qualificare
la scuola per la sua capacità di formare persone attraverso l’incontro
con i saperi, la conoscenza, i sistemi simbolico-culturali. Una prospettiva
bruneriana, ancora oggi attuale, anche se forse all’ottimismo del
primo Bruner “cognitivista” (insegnare tutto a tutti, “tuttamente”)
occorre affiancare il secondo Bruner “narrativo” (l’educazione
come frutto di una relazione cognitiva, sociale, affettiva tra cultura
degli adulti e vissuti dei ragazzi, come dialogo e scambio tra generazioni
per condividere il “significato” dei saperi).
I programmi del 1985 ed i “moduli” del 1990 sono il frutto
di quella stagione, ma non sempre ne siamo stati consapevoli e coerenti
realizzatori. Spesso ha prevalso la logica dell’organizzazione,
della specializzazione, della separazione, dell’architettura modulare.
Dobbiamo, nella nostra autonomia, recuperare questa storia della scuola
elementare, per salvaguardare gli elementi di qualità che abbiamo
acquisito (capacità di collaborazione, unitarietà del progetto,
pari dignità professionale, ecc.), ma anche per superare molti
degli attuali limiti (frammentazione delle discipline, discontinuità
delle presenze, mancata innovazione nella didattica, ecc.).
Oggi possiamo ancora essere bruneriani se sappiamo coniugare competenza
e passioni nel profilo professionale dei docenti.
Anche i temi nuovi e impertinenti imposti dalla legge 53/2003 e dai documenti
di contorno (alfabetizzazione strumentale, funzioni di tutoraggio, personalizzazione,
portfolio, ecc.) non possono disorientarci, se irrobustiamo la nostra
identità pedagogica.
Ad esempio, già Maria Luisa Altieri Biagi (co-autrice dei programmi
di “lingua italiana” del 1985) proponeva un concetto ampio
di alfabetizzazione funzionale, come integrazione tra abilità strumentali
di lettoscrittura, abilità logico-comunicative, pensiero analogico,
creatività linguistica, ecc. Si può impostare una buona
prima elementare a partire da questi aspetti, in un necessario rapporto
di continuità con le scuole dell’infanzia (si smonterebbe
in questo modo anche l’ansia da anticipo di alcuni genitori).
Anche la questione del “tutor” dovrebbe laicamente essere
smontata, analizzando distintamente il problema del tutoring (accoglienza,
orientamento, guida, accompagnamento, ecc.) da condividere tra tutti i
docenti; del coordinamento del team docente (negoziando l’assunzione
di nuovi compiti); dei tempi delle discipline (valutando l’esigenza
di tempi distesi, a partire dalla prima classe, ma salvaguardando la specificità
dei due ambiti logico-linguistico e logico-matematico, come nei migliori
modelli di tempo pieno).
Come si può capire, le questioni sono molto più intriganti
e complesse delle semplificazioni contenute nelle bozze (poi ritirate)
dei decreti attuativi della legge 53/2003. Un saggio legislatore dovrebbe
adottare una “moratoria” di alcuni anni prima di scrivere
le nuove leggi (cioè i decreti) per la scuola dell’infanzia
ed elementare, aiutando nel frattempo le scuole ad avvalersi pienamente
della loro autonomia (art. 6 piuttosto che art. 11 del Dpr 275/99), attrezzandosi
a raccogliere e diffondere le buone pratiche, essendo più generoso
di riconoscimenti verso la disponibilità, la competenza e le passioni
di tanti maestri e maestre.
L’auspicio è che il prossimo autunno possa rappresentare
non la stagione del risentimento inevitabile, della stagnazione e della
marginalità possibili, ma quella di un forte recupero di iniziativa
culturale, progettuale e professionale della scuola, di affermazione e
consolidamento dell’autonomia, di capacità di rispondere
alle nuove domande, anche quelle poste dai “riformatori”,
ma con l’orgoglio della propria storia, il gusto della ricerca “plurale”,
la responsabilità di offrire risposte qualificate alla comunità
sociale di riferimento che chiede una scuola dei piccoli, più affidabile
e più “vicina”.
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