LO SVILUPPO SOCIALE


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LO SVILUPPO SOCIALE

Introduzione e definizione del termine "socializzazione".

Secondo l’ormai classica definizione di Brim (1966), la "socializzazione" è "quel processo mediante il quale gli individui acquistano le conoscenze, le abilità, i sentimenti e i comportamenti che li mettono in grado di partecipare, quali membri più o meno efficienti, alla vita sociale".

In effetti, dal momento in cui il bambino nasce e si sviluppano i suoi processi psichici, s'instaura subito – ed è, anzi, condizione di tale sviluppo – un’interazione sociale, generalmente tra il bambino e la madre.

Quest'interazione s'allarga poi all’altro genitore, agli altri adulti della famiglia, ai coetanei nell’asilo e nella scuola, agl'insegnanti e così via, influenzando tutta la vita psichica del futuro individuo adulto.

La prima socializzazione. Orientamenti teorici.

Così, la madre è il primo ed essenziale referente dello sviluppo psichico del bambino.

a Secondo il comportamentismo, il rapporto madre-bambino può essere spiegato in base al paradigma S-R ed al principio del rinforzo secondario (vd. capitolo sull’ "apprendimento"): ovvero, il comportamento della madre rinforza il comportamento del bambino, creandosi un rapporto circolare nel quale si intrecciano componenti cognitive (percezione del volto materno, vocalizzazioni…) e dinamiche (piacere, soddisfazione di un bisogno…). In linea generale, dunque, il comportamentismo ritiene che la socializzazione sia la risposta alle azioni degli altri, assunte come "stimolo sociale", rispetto al quale l’individuo si comporta come di fronte allo stimolo fisico, reagendo per condizionamento, generalizzazione dello stimolo e rinforzo delle risposte ("teoria dell’apprendimento sociale").

b L’ "approccio psicobiologico" (Nash, 1970) spiega, invece, la formazione del legame madre-bambino in termini di comportamenti istintivi, innati ("modelli di azione predeterminata", MAP) che, in determinati "periodi critici" dello sviluppo, hanno maggiore possibilità di manifestarsi (ad es., i MAP del lattante).

c Infine, l’americano Bowlby (1969) e altri psicologi hanno realizzato che, attraverso una serie di atti comportamentali (sorriso, sguardo, vocalizzazione…), il bambino dimostra un legame con un’altra persona, un complesso di comportamenti noto come "attaccamento alla madre" (in termini generali, tendenza innata a stabilire dei legami con individui della stessa specie, legami la cui fondamentale funzione adattiva è evidentemente la protezione dai predatori). [Studi recenti hanno messo in evidenza che questo attaccamento non è connesso solo alla mera soddisfazione della fame da parte del bambino, ma anzi riflette un’esigenza più complessa di legami psicologici e scambi sociali].

Più specificamente, secondo Bowlby, l’attaccamento alla madre si basa su 5 atti comportamentali innati: suzione, pianto, sorriso, aggrapparsi (al corpo della madre) e seguire (la madre quando si allontana). Gli istinti della suzione e del pianto sono presenti alla nascita; successivamente, vengono a maturazione il sorriso, l’aggrapparsi e il seguire, ovvero il contatto corporeo e visivo (contatto ritenuto come più importante rispetto agli atti connessi alla nutrizione).

Inoltre, il bambino, privato della presenza materna nel periodo critico compreso tra il 6° e il 9° mese e il 3° e il 4° anno di vita, reagisce attraverso 3 fasi di comportamento: protesta, disperazione, distacco.

L’uscita dalla famiglia.

Quando il bambino inizia ad interagire coi propri coetanei (in genere alla scuola materna), si stabiliscono nuove relazioni sociali, più accelerate ed articolate, nelle quali confluiscono le modalità di comportamento stabilitesi in precedenza e da cui deriva un ulteriore sviluppo psicologico

La famiglia, ad esempio, non è più la sola fonte di valori e di regole: il bambino può confrontare il proprio comportamento con quello dei suoi compagni, e impara ad interagire secondo le norme sociali. Infatti, col passare degli anni, e soprattutto quando si arriva all’adolescenza, in particolare l’esigenza di relazione col "gruppo di coetanei", al di fuori del contesto familiare, diventa sempre più forte. Il confronto fra i tipi di comportamento adottati nella famiglia e quelli osservati e seguiti in altri ambienti, a scuola soprattutto (il sistema scolastico presenta al ragazzo un modello simulato della società burocratica, facilitando il passaggio dall’imitazione di modelli personali a quella di modelli di posizione sociale), può comportare un conflitto se i detti comportamenti non coincidono o addirittura si contrappongono. Il conflitto tende a tradursi in un problema d'identità e di ruoli: il giovane non sa a quali forme di comportamento e a quali norme e valori (politici, religiosi, morali…) debba riferirsi: se a quelli, appunto, appresi nell’ambito familiare o agli eventuali nuovi appresi in ambiti extrafamiliari.

Di contro, quando vi è un’accettazione delle norme e del comportamento di un gruppo di persone, e non vi è più una dissonanza tra le proprie opinioni e quelle del gruppo, si attua un’ "identificazione" dell’individuo col gruppo stesso (ricordo che l' "identificazione" è uno dei "meccanismi di difesa" trattato a riguardo della "frustrazione", al cui capitolo rimando).

Lo sviluppo della moralità.

Come abbiamo visto, nello sviluppo della personalità ha un ruolo fondamentale l’acquisizione delle regole di comportamento che rispecchiano i valori della cultura e della società nel cui contesto vive l’individuo.

Questo complesso di regole interiori che guidano il comportamento viene chiamato "moralità".

Il senso della moralità che ha un individuo si sviluppa gradualmente, come hanno dimostrato dapprima J. Piaget e poi lo psicologo L. Kohlberg. Secondo quest’ultimo, vi sono 3 stadi, che fanno capo a 2 "momenti" dello sviluppo della moralità:

a Momento della morale "eteronoma" (la legge morale è fuori di noi, è "altro" da noi); vi corrispondono gli stadi:

1 "Premorale" o "preconvenzionale" (fino ai 7-8 anni): il bambino compie azioni in funzione delle ricompense che può ricevere, ed evita le azioni che vengono punite. Si basa, quindi, su un criterio esterno, sui rinforzi negativi o positivi che riceve per il suo comportamento.

2 "Convenzionale" (dai 7-8 anni fino all’adolescenza): si compiono quelle azioni che sono accettate positivamente dai genitori, dai coetanei o dagli insegnanti. Il "giusto" e l’ "ingiusto" non vengono discriminati in base alle punizioni fisiche o alle ricompense, ma in relazione alle valutazioni che gli altri danno del proprio comportamento e all’esigenza di offrire una buona immagine di se stessi.

b Momento della morale "autonoma" (la legge morale è dentro di noi, ci appartiene); vi corrisponde lo stado:

3 "Postconvenzionale" (dall’adolescenza in poi): l’individuo ha interiorizzato regole astratte di comportamento, che rispecchiano le proprie esigenze e sono talvolta in contrasto con le norme del contesto sociale in cui si vive (separazione tra "quel che si dice" e "quel che si fa": tale dissociazione può verificarsi, talvolta, solo in un certo contesto ambientale, mentre in un altro contesto le norme vengono rispettate).

dal sito http://www.molisepsicologia.it/LO%20SVILUPPO%20SOCIALE.htm