Il disagio giovanile
A. Gramigna
Sommario
L'irrequieto desiderio di sensazioni forti, di rischi, di sfide oltre i limiti delle proprie potenzialità e contro il mondo rimanda ad alcune fra le più importanti categorie di definizioni di quell'età incerta che oscilla fra infanzia e maturità. In questo modulo cercheremo di chiarire i concetti di crisi, di prevenzione, di recupero delle situazioni a rischio soprattutto in ambito scolastico, nonché di precisare il rapporto che i giovani hanno con il rischio. Valuteremo il rapporto disagio giovanile, scuola e mass-media, ci chiederemo se è possibile delineare un confine fra rischi accettabili, necessari per crescere e rischi che possono minacciare l' identità fisica, psicologica e sociale. Infine cercheremo di individuare i fattori di rischio per una diagnosi corretta del problema. Si porteranno poi esempi operativi e riflessioni su esperienze di promozione del benessere nella scuola, nonché di prevenzione e recupero relativi al lavoro con i gruppi.
I temi:
-Alcuni elementi di definizione del fenomeno,
-I comportamenti a rischio,
-La voce dei mass-media su disagio giovanile e scuola,
-I giovani e il suicidio,
-Educazione alla salute e al benessere nella scuola dell'autonomia,
-La scuola teatro della prevenzione e del recupero,
-Gli interventi in classe: linee operative e percorsi formativi.
Primo tema
Alcuni elementi di definizione del fenomeno
Alcuni nodi del dibattito scientifico-pedagogica sul tema:
“Il rischio di dis-agio, mal-essere, dis-equilibrio, mal-attia, dis-ordine costituisce un aspetto sempre presente o latente in ogni processo di interazione uomo-ambiente in tutte le sue dimensioni, ma sono nondimeno attivi numerosi processi riequilibranti, omeostatici, salutogenetici capaci di curare e ripristinare la sensazione di benessere in un soggetto e nel clima sociale. A volte sono gli apparenti automatismi della salute che ci fanno considerare superfluo ogni sforzo per proteggerla e, tanto meno, promuoverla, ossia farla muovere verso un equilibrio ulteriore, qualitativamente più ricco e comprensivo. Questa sfuocatura o dissonanza cognitiva è particolarmente acuta nelle età giovanili in cui il senso di invulnerabilità o, all'opposto, la sensazione di immersione totalizzante in una situazione di disagio priva di sbocchi fanno percepire come fastidiose o inutili le avvertenze provenienti dal mondo adulto rispetto all'ultima pandemia (rischio di massa) che minaccerebbe le nuove generazioni.
L'ossessiva focalizzazione sul rischio, assunta da molti programmi “preventivi”, risulta distorsiva rispetto agli obiettivi educativi non tanto perché manchino le ragioni di preoccupazione, ma in quanto distoglie, da una parte, dal prioritario impegno formativo di base e, dall'altra, in quanto racchiude la dimensione di ricerca e sviluppo in un'ottica difensiva e reattiva, piuttosto che aprirla ad una dimensione costruttiva e progettuale (Marco Ingrosso, Scuole che promuovono la salute, in “Animazione Sociale”, Novembre 2001, in corso di stampa) ”.
Per una panoramica bibliografica sul tema cfr: R. Travagli, Fenomenologia del disagio giovanile. Appunti per una pedagogia della devianza, Urbino, Edizioni Goliardiche, 1999.
Ma, dal punto di vista dell'ideologia educativa e scolastica, spesso la categoria del disagio è vista quale elemento unificante di questa età definita confusamente come età della giovinezza. Ecco allora che quando pensiamo al mondo giovanile, quasi automaticamente, evochiamo il fantasma del disagio, del malessere, dell'inquietudine. E' necessario anche confrontarsi con le istanze sottese al nostro modo di pensare per elaborare piani e attività che aiutino i ragazzi a vivere questa loro dimensione esistenziale con maggiori strumenti di decodifica e di intervento.
“Il rischio, l'esercizio della trasgressione, la ricerca di emozioni intense quali forti esperienze di unità del sé, la prevalenza dell'agire sul pensare possono essere considerati i principali fili conduttori di questo cosmo in perenne evoluzione. I giovani che consumano ecstasy probabilmente sperimentano un rapporto totalizzante con il piacere-timore del rischio, soffrono una sorta di dipendenza emotiva, costruiscono la propria identità anche attorno a questa inquieta vicenda. Questi ragazzi hanno trovato una risposta, sia pure aberrante, all'ineliminabile bisogno di sfide che la crescita impone e che scuola, famiglia e società hanno perduto nel mito dilagante di una non ben definita felicità da acquistare e da conservare a tutti i costi. Essi hanno anche inventato i segni tangibili e i rituali di un passaggio dall'infanzia all'adolescenza che li attrae e li spaventa.
L'ambiguità è infatti un'altra cifra della loro definizione. La mancanza di riti sociali che ne attestino il mutamento, l'iniziazione al mondo adulto ne alimentano infine l'inevitabile incompiutezza (Cfr. il paragrafo di A. Gramigna, Ecstasy giovanile quotidianità adulta, p. 29/30, nel volume A. Gramigna, M. Righetti, Svegliandomi mi son trovato ai margini, per una pedagogia della
marginalità, Bologna, Clueb, 2001 ” .
Per ulteriori approfondimenti su questo tema cfr. M. Ingrosso, Nuove droghe, nuove idee, in “Animazione Sociale”, a. XXIX, n. 137, novembre 1999.
La linea di confine fra un comportamento sano che fa del rischio un calcolo in funzione del raggiungimento di obiettivi di crescita e un comportamento che agisce situazioni rischiose fine a se stesse o sollecitate da una competitività - con sé e con gli altri - distruttiva è labile:
“Per crescere bene è necessario tollerare il tempo necessario per la ricerca e la costruzione di sé, sopportare dunque la confusione, l'incertezza e la contraddittorietà di sentimenti complessi che possono generare conflitti (tipico quello fra il bisogno di autonomia e di dipendenza); occorre accettare il succedersi di successi e insuccessi, avere fiducia insomma che con un po' di pazienza i pezzi un po' sparsi e disordinati di sé possono essere sistemati per realizzare quel sogno, quell'avventura, quel progetto con cui è possibile misurarsi solo al di fuori della protezione familiare. (…)
L'esperienza clinica, il lavoro presso istituzioni educative, i risultati omogenei di molte ricerche (…), mostrano, all'interno di questa normalità un aumento di condizioni di malessere e di crisi fra gli adolescenti; si evidenzia un particolare tipo di fragilità, di vulnerabilità. Più precaria appare la capacità di tollerare ansie e difficoltà di fronte a certi compiti evolutivi. Più forte è il bisogno di evitare conflitti, incertezze e pensieri faticosi.
Di qui il maggior rischio di arresti evolutivi o di percorsi anomali o devianti. (…) Sentimenti complessi di noia, di inadeguatezza, rabbie, nostalgie possono determinare un vissuto di morte psichica, la paura di una mortificazione intollerabile, in quanto non elaborabile, da cui fuggire.
Le normali difese a quel punto non sono più né normali né funzionali alla crescita. Di qui si può entrare nell'area del rischio più grave fino alla delinquenza, la tossicodipendenza o certe forme estreme di sfida alla depressione e alla morte (F. Giori, Introduzione a F. Giori ( a cura di), Adolescenza e rischio. Il gruppo classe come risorsa per la prevenzione, Milano, Angeli, 1998, p. 14/16) ”.
Su questo argomento cfr. anche C. Gilligan, J. M., Murphy, Development from adolescence to adulthood: the philosopher and the dilemma of the fact, in “New Directions for Child Devellopment”, 5, pp. 85/99.
Indicatori del disagio nella scuola possono essere sia i comportamenti aggressivi o asociali, come accade nei casi di bullismo, sia gli insuccessi che portano a dispersione scolastica, abbandoni, espulsioni. Per quanto riguarda la scuola superiore è interessante riflettere su alcuni dati statistici tratti dagli Annali della Pubblica Istruzione (n. 4/6 1995):
La percentuale di insuccessi tocca i licei classici per il 19%, i licei scientifici per il 22,5%, gli Istituti tecnici Commerciali e i Geometri per il 32,1%, infine, gli Istituti tecnici industriali per il 44,6%. La media sul totale degli istituti scolastici è pari al 30,9%. Fra le cause dell'abbandono scolastico c'è quella del bullismo ossia di quei comportamenti che mirano deliberatamente a fare del male, a intimidire, a danneggiare sia con aggressioni di tipo fisico e verbale, sia con azioni indirette come diffondere pettegolezzi fastidiosi o escludere i compagni da gruppi di aggregazione.
Per ulteriori approfondimenti sul tema cfr.: A. Maggiolini, Mal di scuola. Ragioni affettive dell'insuccesso scolastico, Milano, Unicopoli, 1994.
Il bullismo nella scuola, le forme della sua manifestazione, gli effetti sia sui cosiddetti bulli sia sulle vittime rappresentano forse alcune fra i segnali più inquietanti del disagio giovanile :
“Un comportamento prepotente può influenzare negativamente gli alunni in parecchi modi. Le vittime dei bulli hanno vita difficile, possono sentirsi oltraggiate, possono provare il desiderio di non andare più a scuola. Nel corso del tempo è probabile che perdano sicurezza e autostima, rimproverandosi di attirare le attenzioni dei loro compagni. Questo disagio può influire sulla loro
concentrazione e sul loro apprendimento (S. Sharp e P. K. Smith, Bulli e prepotenti nella scuola.
Prevenzione e tecniche educative, Trento, Erickson, 1995, p. 12.)”.
Per ulteriori approfondimenti sul tema cfr.: A. Fonzi, Persecutori e vittime fra i banchi di scuola, in “Psicologia Contemporanea”, 129;
D. Olweus, L'aggressività nella scuola, Roma, Bulzoni, 1983.
Ma, se questi sono solo i momenti di maggiore evidenziazione del malessere che può cogliere i ragazzi entro la struttura scolastica, in generale le cause sottostanti sono meno esplicite ed evidenti:
“I fattori di rischio sono gli elementi che segnalano, favoriscono o anticipano il disagio e che ne non sono la causa, ma contribuiscono a determinarlo in un quadro multifattoriale, mentre i fattori di protezione sono quelli che all'opposto contribuiscono a evitare o attenuare una situazione di disagio o un certo comportamento a rischio.
Prendiamo come esempio il comportamento deviante nel suo insieme. Sappiamo che la trasgressività è una caratteristica adolescenziale e che le azioni trasgressive fanno parte dell'universo adolescenziale, tanto da essere un comportamento diffuso nella maggioranza degli adolescenti. Il problema allora è di riuscire a valutare quali elementi possono incrementare il rischio di sviluppo di atti propriamente devianti. Vi sono diverse possibili aree di fattori di rischio:
-la vulnerabilità individuale (deficit cognitivi, handicap fisici, disturbi dell'affettività), -le difficoltà familiari (perdita, conflitti, rifiuto, abuso);
-disturbi nelle relazioni affettive familiari (incompatibilità temperamentali e di personalità tra bambino e genitore, processi di attribuzione e valutazione);
-Disfunzione dei sistemi di sostegno sociale (affiliazione a gruppi devianti, difficoltà economiche e emarginazione sociale).
Questi fattori, combinandosi tra loro in una varietà di forme, possono far emergere quelli che vengono chiamati gli indicatori del rischio, come l'abbandono scolastico, o l'abuso di droghe, un precoce comportamento delinquenziale e frequenti violazioni delle norme” ( A. Maggiolini, Adolescenza e rischi evolutivi, in a F. Giori ( a cura di), Adolescenza e rischio. Il gruppo classe come risorsa per la prevenzione, cit., p. 26)”.
Secondo tema
I comportamenti a rischio nel mondo giovanile
La categoria del rischio rimane una costante dell'universo giovanile, perché risponde al bisogno di sfida che la crescita comporta e segna la rottura con il trascorso mondo dell'infanzia, vissuto ad un tempo come perdita e come conquista. Se non cogliamo i nessi fra normalità, trasgressione, disagio e devianza non capiamo né l'una né l'altra; se non siamo disposti a pensare che spesso queste categorie si negano i confini, fatichiamo a comprendere come sia possibile scivolare nella marginalità sino alle soglie della criminalità e oltre. Soprattutto fra i giovani le ombre seducenti della trasgressione tracciano il ponte ideale che congiunge mondi apparentemente incomunicabili.
Per questo è indispensabile indagare i presupposti teorici sia della ideologia educativa ufficiale, con tutto il suo peso di senso comune, sia della percezione che abbiamo del cosmo giovanile nei suoi tanti mondi, con le sue oscure tensioni, le visioni eroiche di un agire che si realizza tutto nell'essere giovane, e i fantasmi di un vissuto così denso di struggente nostalgia per quel giardino segreto che si nasconde al fondo di ogni nostro anelito verso l'anarchia: l'infanzia.
E tuttavia, a complicare ulteriormente i termini della questione e a confonderne i confini, entra in gioco il fenomeno dell'incertezza quale elemento caratterizzante questo nostro tempo in vorticoso mutamento. Il nostro universo simbolico si nutre di sempre nuovi e cangianti alfabeti tecnologici.
Le instabilità politiche, la precarietà dei rapporti sociali e la conflittualità di quelli famigliari portano inoltre gli adulti a condividere con i giovani le angosce del mutamento e della ridefinizione del loro vissuto e del loro ruolo generazionale.
In questo duplice vissuto del disagio, ragazzi e adulti faticano tuttavia a trovare gli ambiti di una comunicazione profonda che alimenti in entrambi il senso della comunione, della continuità e, infine, la tensione, tutta educativa, al superamento. Sino all'ultimo dopoguerra era appunto nell'educazione la chiave della comunicazione fra i due mondi. Era una chiave che apriva un percorso a senso unico: dall'adulto al ragazzo, che, da questo rapporto, iniziava a trarre le principali definizioni della sua crescita e dunque gran parte dei significati del suo essere nel mondo. Ora è inevitabile pensare a circuiti formativi meno lineari che partano dal riconoscimento dell'altro, qualsiasi esso sia, come significante in sé.
Ma quali sono, in concreto, i comportamenti a rischio più frequenti nel mondo giovanile? Le sfide che li portano a rischi eccessivi, le forme di autodistruttività, l'alta velocità con auto e motorini, gli sport estremi, i vandalismi entro e fuori le mura scolastiche, l'aggressività sia fisica che verbale anche nei confronti dei compagni di scuola, l'isolamento, la solitudine ecc…, infine le varie forme di violenza:
“… dalle violenze organizzate in gruppi e associazioni devianti, alla microcriminalità diffusa, ai vandalismi senza obiettivi e rivendicazioni ma che degradano spazi e arredo urbano, alle violenze dei “non luoghi” che amplificano la paura della solitudine e dei nemici invisibili, alla violenza dei comportamenti estremi apparentemente senza senso (L. Berzano, Giovani e violenza. Comportamenti collettivi in area metropolitana, Torino, Ananke, 1997, p.9 )”.
Per approfondire cfr.: AA. VV. , Ragazzi senza tempo. Immagini, musica, conflitti delle culture giovanili, Genova, Costa & Nolan, 1993.
Quale è la percezione da parte dei giovani?
“Negli ultimi anni si rileva una forte tendenza all'aumento della predisposizione al consumo di alcol e droghe. Ubriacarsi è ritenuto possibile dal 60% (circa due maschi ogni tre, e una femmina ogni due) e fumare droghe leggere dal 31% (più maschi che femmine), mentre due terzi dei giovani affermano di conoscere persone che fanno uso di droghe. Questi dati confermano l'associazione del consumo di droghe leggere e di alcol a tratti generalizzati della cultura giovanile piuttosto che a condizioni di disagio socio-economico e di deprivazione sociale. Nell'area dei comportamenti violenti e vandalici risulta una diminuzione della propensione ad utilizzare la violenza come mezzo
per far valere le proprie ragioni. (…)
In sintesi, è diffusa fra i giovani italiani l'opinione che non dovrebbero essere regolamentati socialmente quei comportamenti che appartengono all'area privata, come i comportamenti sessuali (…) o l'uso e abuso di sostanze come fumo, alcol e droghe (A. Maggiolini e E. Riva, Adolescenti trasgressivi. Le azioni devianti e le risposte degli adulti, Milano, Angeli, 1999, pp. 22/23)”
Terzo tema
La voce dei mass-media su disagio giovanile e scuola.
“ Giovani col vezzo delle scommesse suicide sulle strade, di notte, con i motorini a fari spenti, a velocità pazzesche contromano, senza curasi dei semafori, o dei possibili passanti: Il salto e le corse contromano: mille tragici giochi per sfidare il destino (A. Pasini, “il Giornale”, 21 luglio 1999), recita uno dei tanti titoli, oppure Il salto dal treno e le corse contromano: mille tragici giochi per sfidare il destino (A. Pasini, “il Giornale” 21 luglio 1999), Criminali per noia. Crescono le baby gang (C. Sasso, " la Repubblica , 4 maggio 1999).
… a proposito di scuola e famiglia:
Per tutti si invoca una educazione, e quindi una scuola e una famiglia più rispondenti ai bisogni, non ben definiti, che questa civiltà invoca e che le tradizionali agenzie formative non saprebbero più soddisfare: Giovani voglia di indisciplina. Ubbidire stanca, e qualche pagina più oltre:
Imparate a dirgli di no (R. Di Caro, M. Serri “L'Espresso”, 14, ottobre, 1999) La scuola è la prima imputata, ma anche alla famiglia vengono riconosciute grosse responsabilità: «Un catalogo di idiozie così esaustivo è difficile trovarlo, nelle cronache. (...) Espressione del disagio giovanile nelle società avanzate biascicano gli interpreti autorizzati; dimenticando che le corse sul tetto dei treni imperversano nel Brasile delle favelas non meno che nel nostro ricco Nordest.
Colpa dei videogames, non mancano di aggiungere, dove la morte non è mai definitiva e il sangue schizza a fiotti senza sporcare nessuno; scordando che anche il Paperino della loro infanzia è sopravvissuto a infiniti scontri con treni, auto, schiacciasassi e palle di cannone. (...)
Il motorino rende accessibile il gioco con la morte anche agli under-18, (...) ci si lancia per una stradina in discesa verso l'incrocio con una carreggiata a intenso traffico. (...) C'entra la fortuna non l'abilità. La sfida è con il caso, e con se stessi solo nell'accezione più banale, quella del “non aver paura” (...) fino all'adesione a una concezione della vita veloce e aggressiva che, non fosse per questi esiti estremi, altra non è se non quella imperante nel sistema di valori e meriti della nostra civiltà» (R. Di Caro, Giochiamo a fare crash, in “L'Espresso”, 17 aprile, 1997). La pioggia disordinata degli stimoli più vari, dalle saghe televisive ai videogames, accarezzerebbero il gusto sadico e idiota di questi piccoli eroi di periferia. È quello lo stimolo educativo, anzi malaeducativo, dominante. Scuola e famiglia, costrette nei lacci istituzionali delle reciproche crisi, sarebbero incapaci di interpretare il disagio giovanile e di fornirvi delle risposte. Ma, nello stesso tempo, scorrendo i quotidiani si ha la sensazione che il fenomeno sia talmente grave che qualsiasi sforzo educativo risulterebbe impotente a salvarne i piccoli eroi: «Un popolo di schiavi, nel mondo non conosce infanzia, né adolescenza: sono schiavi dei clan, della droga, del lavoro nero o della guerra. In alcune parti dell'America comprati o venduti dalla criminalità organizzata, talvolta appena dopo la nascita in apposite cliniche dove si partorisce su commissione. (...) Ad ogni civiltà, il suo grado di sfruttamento. In Africa (...) oltre 4 milioni di bambini sono coinvolti in conflitti armati. Baby-soldati, a volte di soli 6 anni, fanno parte di milizie irregolari in Afganistan, Mozambico, Liberia. Banditi per poche lire. Come succede anche da noi. Come dimostra la storia di Paolo, nome convenzionale di un baby-pentito pugliese» (C. S., Flick, Nuove norme per i baby-pentiti, in “ la Repubblica ”, 25 marzo 1997).
…. Il rapporto scuola e società in tema di malessere minorile:
La società, con le sue drammatiche e irrisolte contraddizioni avrebbe creato una sorta di contraddittorio congegno educativo che la scuola, con i suoi alfabeti tradizionali, non sa fronteggiare: «“Ma dov'è che un giovane può mettersi alla prova?” s'interroga La Mendola ; “A scuola? Figuriamoci, è stanco ritualismo. Nel lavoro? Per i più è routine. Le società tradizionali prevedevano, nella fase in cui si acquisisce la condizione adulta, riti di passaggio istituzionalizzati, e dunque protetti. La nostra no. Cerca invece di risolvere sui giovani un'irrisolvibile ambiguità. Li incita, da un lato, a esprimere appieno il proprio potenziale, perché solo così avranno successo (...). Ma le reali possibilità di successo sono minime; e allora, dall'altro lato, genitori e scuola li proteggono oltremisura, i giovani, ed esercitano su di loro un controllo sociale al limite dell'asfissia”» (R. Di Caro, cit:).
I giornali danno testimonianza degli orientamenti socio-culturali in atto. Parlano a voce aperta dei nostri pregiudizi, dei luoghi comuni, dei dati assodati e mai verificati. Sanno interpretare il sentimento collettivo, sanno sollecitarne l'immaginario. Sollevano il piacere grossolano dello scandalo. Cronache angoscianti, vittime colpevoli anonimi, prive di psicologia e di evoluzione alimentano il nostro distratto e pauroso sguardo. Sono tipi, più che individui: vittime e violentatori, bambini violati o criminali, sono pietrificati nella parte aberrante che recitano sul quotidiano. Sono casi, non persone, cristallizzati in quel gesto cruento. Non hanno una storia, né sapremo mai come finisce la loro vicenda, se già non è finita drammaticamente nell'epilogo di un articolo fra tanti. Quando si tratta di azzardare un'analisi o di ricostruire una storia complessa quell'abilità un po' ruffiana che corre sulle righe scandalistiche di un articolo non serve più.
Probabilmente le riflessioni argomentate non incontrano i gusti del grande pubblico, e le storie, forse, portano via troppo tempo e troppo spazio. Così gli avvenimenti si susseguono con il loro carico di sofferenza, e, ad un tempo, di astrazione. Sono impersonali: fatti, nomi, descrizioni sintetiche, cifre. L'opinione degli esperti è contratta in spazi minuscoli, in poche righe di sentenze dotte, condite di molto buon senso e qualche banalità. Le notizie gridate sulle prime pagine assomigliano al prodotto bizzarro di un folle zapping giornalistico.
…. sulle istanze del senso comune:
“E così, mentre gettano sotto i nostri occhi allucinati fatti abnormi, ci danno conto del sentire collettivo, portano in superficie l'ideologia implicita nelle opinioni, nei provvedimenti, nei sentimenti. Quella visione d'insieme del senso comune che si nasconde abilmente negli iperspecialismi dei dati giudiziari, e della saggistica più varia. In questo modo il giornalista, ai vari livelli di intenzionalità e di consapevolezza, produce dei documenti di evidente interesse
antropologico. Parla dei nostri pregiudizi più ostinati, legge nelle emozioni più diffuse, interpreta le reazioni istintive. In un certo senso istituzionalizza tutto questo materiale magmatico privandolo del suo potenziale di soggettività emozionale. Lo reifica. Lo socializza, lo epura delle scorie di
individualismo trasformandolo in un prodotto collettivo. Tutto ciò, sullo sfondo di una concezione dell'infanzia e dell'educazione (A. Gramigna, Le immagini del disagio giovanile, in A. Gramigna, M. Righetti, Svegliandomi mi son trovato ai margini, Per una pedagogia della marginalità, Bologna, CLUEB, 2001, pp. 99/100) ”.
Per un approfondimento cfr.: G. Genovesi, A. Gramigna, A. Luppi, Mille giorni di scuola, Ferrara, Corso, 1994;
T. Purayidathil, La violenza nei mass-media. Riflessioni psico-socio-pedagogiche, in “Orientamenti Pedagogici”, XLIII, 5, 1996.
Quarto tema
I giovani e il suicidio.
Parlando delle condotte suicidarie fra i giovani, una forte incidenza si registra nella categoria degli studenti della scuola superiore e dell'università che sarebbero, secondo l'opinione di molti studiosi, maggiormente esposti a comportamenti autolesivi soprattutto a causa di eventi stressanti legati alla carriera scolastica e di una certa fragilità psicologica.
Fra i fattori che possono favorire condotte autodistruttive, tentati suicidi, ecc, c'è l'abuso di alcol e di droghe la cui assunzione sembra essere presente nel 70% dei casi, come risulta dalle ricerche di Miles (Cfr., C. P. Miles, Conditions predisposing to suicide: a review, in “Journal Nervous Mental Disorders”, 164, 1977).
Ma ci sono eventi che sembrano far scatenare una situazione di disagio sino all'atto estremo e, spesso la scuola ne rappresenta il teatro:
“Se i fattori predisponenti sono in qualche misura enucleabili, ciò non sempre accade riguardo ai fattori precipitanti, ovvero a quanto può accadere nelle ore o nei giorni (solitamente si fa riferimento a un massimo di tre giorni) immediatamente precedenti all'atto e che può in qualche modo aver affrettato la decisione. L'idea o il proponimento di suicidarsi è, specialmente fra i giovani, un processo graduale che tende a concretizzarsi a mano a mano che il senso di sfiducia, di disistima o la sensazione che non vi sia più nulla da fare si fanno strada nella psicologia dell'individuo.
Tuttavia, a volte, una causa immediata può essere trovata: basti pensare all'esempio degli studenti che si suicidano, o che tentano di farlo, immediatamente dopo una bocciatura scolastica, dopo un rimprovero particolarmente severo da parte di un genitore o di un insegnante vissuti come
ingiustificabili. L'insuccesso scolastico è tanto più correlabile al suicidio quanto più la prova assume il ruolo di una verifica globale dell'individuo e quanto più diviene decisiva per il futuro professionale e sociale del giovane (P. Crepet, Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 49)”.
E il punto di vista dei giovani?
“In Italia, le recenti trasformazioni culturali e sociali hanno avuto una sensibile ricaduta anche riguardo all'attitudine dei giovani nei confronti del suicidio. Una recente indagine condotta da un istituto di Ricerca di Milano, lo IARD, permette di analizzare questi cambiamenti: è emerso infatti che il 15% dei giovani intervistati ritiene che suicidarsi sia tollerato dalla nostra società, un quarto di loro lo ritiene moralmente ammissibile, anche se pochi (il 3%9) arrivano ad ammettere che potrebbe capitare anche a loro (P. Crepet, Le dimensioni del vuoto. Cit., p. 53)”.
La spettacolarizzazione di questo tragico fenomeno ad opera di TV e giornali sembra avere avuto una forte incidenza sulle condotte suicidarie di alcuni ragazzi. Diversi casi infatti si sono manifestati con le identiche modalità ampiamente pubblicizzate dalle cronache inducendo i giovani protagonisti ad assumere comportamenti imitativi.
Ora sorgono spontanee alcune domande cruciali: è possibile fare informazione senza correre simili rischi? Quali strategie educative si possono mettere in atto?
E' evidente che la scuola può avere un ruolo importante nel commento e nella discussione di tali casi favorendo l'analisi del fatto -e, con essa, la mentalizzazione del disagio che molti ragazzi vivono - e, al contempo, cercando di smitizzare quella dimensione eroico-tragica che può favorire meccanismi di identificazione.
La scuola può infine costituire un magnifico osservatorio circa lo stile cognitivo dei suoi ragazzi e le eventuali correlazioni con comportamenti a rischio o autolesivi:
“Accanto alle caratteristiche comportamentali, gli stili cognitivi ricoprono un ruolo di grande importanza nelle dinamiche psicologiche che possono portare a una condotta suicidaria. Molti autori hanno evidenziato alcune caratteristiche cognitive del giovane suicida. Il loro pensiero appare sovente come polarizzato, formato dall'abitudine a procedere per dicotomie, rigido e inflessibile.
Ciò produce una notevole difficoltà nella soluzione dei problemi perché (…) induce il soggetto a ragionare utilizzando una scarsa varietà di alternative e, dunque, impulsivamente (P. Crepet, Le dimensioni del vuoto, cit., p. 108)”.
Talvolta i giovani che soffrono di tale disagio lanciano dei messaggi, in qualche modo, più o meno consapevolmente comunicano il loro desiderio di annientamento. Di qui l'importanza di ottimizzare la capacità di ascolto e la sensibilità di genitori, amici, insegnanti: “può capitare infatti che un insegnante legga un tema in cui si fa esplicito riferimento alla morte o una poesia nella quale si parli della stanchezza o della paura di vivere o del mondo dell'aldilà. Anche se si tratta di temi generali, anche se non vi sono riferimenti personali, non per questo tale comunicazione deve essere sottovalutata (P. Crepet, Le dimensioni del vuoto, cit: p. 115)”.
Per ulteriori approfondimenti sul tema:
P. Crepet e F. Florenzano, Il rifiuto di vivere. Anatomia del suicidio, Roma, Editori Riuniti, 1989.
A. Cavalli e A. De Lillo, Giovani anni 80. Secondo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino, 1988.
Quinto tema
Educazione alla salute, al benessere e alla qualità della vita nella scuola dell'autonomia
Il dibattito scientifico contemporaneo si sta orientando su un nuovo modello di educazione alla salute:
“Secondo l'Health Promotion Glossary, elaborato dall'OMS, per educazione alla salute si intende un processo educativo orientato non solo a dare informazioni relative all'ambito sanitario, ma piuttosto a fornire sostegno alle motivazioni degli studenti, allo sviluppo delle loro capacità, all'acquisizione di una fiducia in se stessi adeguata ad assumere decisioni rispetto alle scelte di salute. Il soggetto in formazione deve sviluppare:
a) un'adeguata health literacy, ossia un insieme di abilità cognitive e sociali che lo mettano in grado di accedere, capire e usare le informazioni utili per il proprio benessere personale e sociale;
b) un'adeguata capacità di influenza e controllo (empowerment) rispetto alle risorse e all'ambiente;
c) un set adeguato di life skills, ossia di abitudini, capacità di scelta, apprendimenti ad apprendere che lo mettano in grado di sviluppare dei comportamenti positivi ed efficaci rispetto alle domande e alle sfide della vita quotidiana.
Questa impostazione segna un significativo salto di qualità rispetto all'impostazione normativista o magistrale (le regole dettate dagli esperti) e a quella informativo-comportamentale (dare le informazioni giuste e premiare i comportamenti voluti) che hanno caratterizzato l'orientamento igienico-preventivo, a favore di un'impostazione progettuale e promozionale centrata sull'individuo-nel-suo-ambiente. Un ambiente che è al contempo interpersonale, di vita quotidiana, sociale, comunicativo, culturale.
Secondo questa impostazione l'educazione diventa, da un lato, formazione, ossia acquisizione di capacità di base e permanenti orientate alla consapevole strutturazione di un proprio autonomo progetto di benessere, dall'altro, adattamento attivo (coping) e sviluppo, ossia adeguata interazione con le dimensioni di ben-malessere presenti nel proprio “mondo”, in particolare con quelle che maggiormente influiscono sul proprio ambiente interno, anche attraverso un proprio apprendimento evolutivo (Marco Ingrosso, Scuole che promuovono la salute, in “Animazione Sociale”, Novembre 2001, in corso di stampa)”.
Secondo questa prospettiva il tema di uno stile di vita sano come progetto personale diviene un obiettivo educativo ineludibile:
“La diffusione di stili di vita sani in una popolazione, riconosciuta anche dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 come uno degli elementi fondamentali di un nuovo scenario di salute, comporta non solo la messa a disposizione di adeguate e tempestive informazioni sulle patologie e le risorse di cura, ma un più ampio programma di comunicazione volto al supporto e alla facilitazione di progetti individuali e collettivi orientati all'acquisizione di buone pratiche.
(…) Un progetto per essere adeguato deve soddisfare alcuni requisiti: in primo luogo favorire il passaggio da una proposta formulata da soggetti educativi ad una sua internalizzazione da parte del soggetto; in secondo luogo, il passaggio da un'assunzione per consenso ad una elaborazione critica e personalizzata. Ciò individua un percorso e delle fasi da sviluppare in sincronia con lo svolgimento dei cicli scolastici. Elementi costitutivi di un tal programma sono lo sviluppo delle capacità di mantenimento dell'equilibrio di base personale (omeostasi), lo sviluppo delle potenzialità personali (evoluzione), lo sviluppo delle capacità di far fronte alle situazioni di rischio e di passaggio (cambiamento).
In quanto progetto culturale ed educativo lo stile di vita sano non riguarda solo scelte individuali, ma è il risultato di un confronto-scontro fra diversi attori sociali portatori di differenziati punti di vista. La conoscenza dei diversi punti di vista sociali sulla salute, e la qualità della vita, costituisce un'acquisizione importante per la formazione personale e un elemento
indispensabile per la definizione di punti di vista personali, inseriti però in più ampi e comprensivi orientamenti collettivi.
L'esagono comunicativo della salute include i principali attori e orientamenti relativamente al benessere, alla cura, alla qualità della vita collettiva. Esso si articola in
un punto di vista esperienziale,
un punto di vista di vita quotidiana,
un punto di vista culturale e comunicativo,
un punto di vista tecnico,
un punto di vista sociale,
un punto di vista ambientale
La salute si mantiene e si promuove attraverso l'apporto, ma spesso anche il conflitto fra diversi attori e orientamenti.
Da un punto di vista educativo è indispensabile lo sviluppo di una attitudine personale e pratica, che include il punto di vista esperienziale e quello di vita quotidiana. Ma è altresì importante una conoscenza significativa del punto di vista tecnico -sul piano storico, epistemologico e operativo. I punti di vista sociale e ambientale completano i riferimenti conoscitivi e applicativi, ma anche i sottostanti riferimenti ideologici e paradigmatici. Ogni punto di vista può essere definito attraverso specifiche manifestazioni sociali che lo mettono in rapporto con altri portatori di conoscenza e costruttori di pratiche sociali (idem)”.
Quali sono i presupposti per tradurre questi principi nella prassi scolastica?
“Sul piano educativo-scolastico la presentazione-combinazione dei punti di vista e dei loro rispettivi rapporti va oltre la prospettiva interdisciplinare. Per quanto infatti alcune aree del sapere siano maggiormente identificate con la storia e i contenuti di alcuni punti di vista (ad esempio, quelle scientifiche con la prospettiva tecnico-sanitaria, quelle umanistiche con quella culturale, quelle sociali con quella giuridico-politica), resta la sfida dei saperi meno formalizzati (esperienziale, di vita quotidiana) e dei saperi meno rappresentati (ad esempio quello ambientale, ma anche quelli provenienti da culture non occidentali).
E' necessario quindi pensare a forme di interagenza fra saperi e modi di conoscenza che evidenzino la diversità di linguaggi e di apporti, ma anche la comune tensione verso forme di costruzione e di efficacia rispetto a fondamentali esigenze dell'essere umano e della vita sociale (idem)”.
E la relazione fra benessere ed educazione ambientale nella scuola?
“L'educazione alla salute non si ferma però solo alla formazione personale: essa si situa in una più ampia prospettiva promozionale che ha come cardine l'interazione e la modifica dell'ambiente di vita. Per ambiente possiamo intendere quell'intorno del soggetto il cui esistono le risorse necessarie e sufficienti per la sua vita e il suo sviluppo (aspetto fisico e biologico) e con cui il soggetto interagisce con adeguati processi di scambio (aspetto economico), ma per ambiente possiamo intendere anche l'insieme delle relazioni fra soggetti o gruppi di soggetti reciprocamente implicantesi entro cui si muove la stessa azione sociale del soggetto (aspetto sociale). Con ambiente possiamo infine intendere l'ecologia delle idee (Bateson) o noosfera (Morin) costituita dalle unità culturali condivise dai soggetti attraverso svariati canali e processi comunicativi. Si può inoltre designare col termine di “contesto” la lettura di significati attribuiti all'insieme degli scambi ecologici che si producono in un ambiente, con particolare attenzione agli aspetti relazionali e comunicativi, che vengono condivisi da parte dei partecipanti.
Il concetto di qualità della vita è correlato alla tipologia di interazioni che si svolgono a tutti i livelli fra i soggetti e il loro ambiente, e ai loro esiti valutati sulla base di una lettura contestuale basata sulle premesse conoscitive e i valori dei soggetti stessi. Il concetto di qualità della vita più che essere scomponibile in una dimensione oggettiva e in una soggettiva, come fanno molti studiosi di indicatori, deve essere considerato come una costruzione collettiva basata sull'attribuzione di significati a codificazioni o mappe relative alle varie dimensioni di cui il territorio-salute è composto. Con qualità della vita possiamo quindi intendere la valutazione, più o meno condivisa, del grado di ben-malessere implicato nel complesso di relazioni che si instaurano fra un gruppo umano (o un soggetto) e il proprio ambiente.
La modifica del rapporto con l'ambiente comporta tanto un lavoro sulle premesse conoscitive che definiscono il contesto quanto un intervento su una o più dimensioni dell'ecologia complessiva. Anche gli interventi sull'ambiente vanno tuttavia attuati con cautela e attenzione al complesso gioco di azioni e reazioni che ogni atto innesca. Anche gli interventi su un'ecologia di processi e relazioni abbisognano quindi di una capacità di riconoscimento dei processi salutogenetici e riequilibranti rispetto a quelli che innescano reazioni caotiche e squilibranti (idem)”.
L'ambiente scolastico come laboratorio e luogo di esperienza significa pensare all'insegnamento secondo prospettive fortemente innovative:
“Secondo l'OMS il lavoro educativo coi soggetti rispetto alla propria salute è strettamente intrecciato con una capacità di conoscenza, interazione e incidenza rispetto alle dimensioni fisico-naturali, urbano-antropiche, relazionali-sociali, comunicativo-culturali del proprio ambiente di vita e dell'ecosistema complessivo. Formazione e fare-non-fare rispetto alle situazioni e condizioni di
vita fanno quindi parte di un unico progetto che trova nella scuola un importante laboratorio di sperimentazione. Di qui la proposta di passare da una semplice “educazione sanitaria-alla salute” a scuole che promuovono la salute.
Nel documento finale della Prima Conferenza Europea tenuta ad Atene nel 1997 il movimento delle scuole che promuovono la salute assume come riferimento un modello sociale di salute intesa come “globalità individuale all'interno di un ambiente dinamico”. Una scuola che si impegna in un progetto educativo-promozionale lavora sull'incremento delle abilità, competenze e potenziale degli alunni, ma si propone di introdurre innovazioni concordate anche nell'ambiente fisico e sociale scolastico. I ragazzi diventano partecipi della gestione di alcuni aspetti della propria scuola (intesa tanto come luogo quanto come organizzazione e gruppo sociale). Viene attribuito un ruolo attivo ai genitori e alle comunità locali soprattutto nella ricerca delle risorse e nella verifica di
sostenibilità dei progetti. Ciò comporta uno sviluppo graduale di competenze ed esperienze da parte del personale scolastico sostenuto da vari attori istituzionali e dal network delle stesse scuole che si pongono in rete al fine di sviluppare un confronto e uno stimolo reciproco.
Questo tipo di proposta ha incontrato attenzione e successo in alcuni paesi europei e meno in altri (come l'Italia). Le ragioni di questa scarsa adesione possono essere sia contingenti (ad esempio il difficile travaglio connesso col passaggio ad una nuova fase organizzativa e programmatica) sia strutturali (la tradizionale rigidità burocratica dell'organizzazione scolastica italiana). Resta tuttavia da valutare la validità della proposta e se le condizioni a cui si sta avviando la scuola italiana potranno facilitare una sua assunzione graduale, più o meno ampia, o ne decreteranno il definitivo tramonto.
Sul piano delle ragioni si deve dire che la proposta sostenuta dal network ispirato dall'OMS ha dalla propria un'idea di scuola dai forti caratteri autonomisti e progettuali. Una scuola capace di autoorganizzazione, pur in un quadro istituzionale pubblico, capace di far cooperare le sue componenti più importanti, di interagire col territorio, di elaborare significativi progetti educativi al proprio interno, ma che può essere favorita da una più ampia promozione socio-educativa di territorio sostenuta da varie forze attive nella comunità locale. Una scuola che è in rete con altre unità scolastiche che sviluppano progetti simili, che è collegata col territorio di appartenenza, che utilizza e partecipa alla comunicazione sociale più ampia anche a mezzo delle nuove tecnologie.
Una scuola soprattutto in cui i bisogni giovanili (protagonismo, ricerca, gioco, esperienza, corporeità, ecc.) trovano ascolto e incanalamento in attività formative e di azione che occupano un ruolo rilevante nella progettazione educativa complessiva. Una scuola che ha la possibilità anche di modificare se stessa, almeno in alcuni aspetti, di diventare esperienza e laboratorio pur mantenendo continuità organizzativa e coerenza al più complessivo mandato istituzionale.
Il problema del benessere e della qualità della vita diventa quindi non uno fra i tanti temi che affollano di attese eccessive e insoddisfatte il mondo scolastico, ma piuttosto una dimensione diffusa e sempre presente nella quotidianità che va tematizzata e portata alla luce, a cui collegare altri momenti dell'apprendimento e del fare educativo.
Questo modello di scuola può essere visto come “utopico” nella sua tensione verso una qualità nuova, “sana”, di rapporti, ma esso è pienamente attuabile, come dimostrano le applicazioni che ha avuto in altri contesti scolastici europei (sui quali l'ordinamento italiano dichiara di voler convergere) e le esperienze che, sotto altro nome, molte scuole italiane, più o meno faticosamente, riescono a realizzare.
Resta tuttavia la domanda se l'attuale transizione aprirà nuove opportunità alla promozione della salute o ne penalizzerà le residue energie e intenzionalità. Analizzeremo a tal proposito due aspetti essenziali: quello del nuovo quadro organizzativo della “scuola dell'autonomia” e quello dell'utilizzo delle vecchie e nuove tecnologie educative (idem)”.
Sesto Tema
La scuola teatro della prevenzione e del recupero
A proposito del ruolo dell'educazione promozionale nella scuola dell'autonomia:
“Il mutamento organizzativo della scuola italiana in corso sembra poggiare su due motivazioni principali: a) una migliore preparazione di base e professionale degli studenti italiani in vista di una più adeguata partecipazione del nostro paese alla competizione economica e sociale, nel contesto della regione europea; b) una sintonizzazione operativa e culturale con il più ampio mutamento sociale in corso, con una particolare attenzione alla dimensione informativa comunicazionale e al canale costituito dalle nuove tecnologie.
Questi obiettivi generali sono perseguiti attraverso un nuovo quadro organizzativo interno che ne fonda l'autonomia (managerialità e collegialità), nuovi rapporti fra le componenti (dirittidoveri degli studenti, supporto dei genitori), collegamenti istituzionali e permanenti col territorio (concertazione), l'introduzione della dimensione progettuale nel lavoro educativo (POF, responsabili di progetto, verifiche di efficacia), la creazione di nuovi spazi e figure di supporto alla relazione educativa (CIC, psicologo scolastico), la rimodularizzazione dei cicli (sulla base di una diversa concezione dello sviluppo evolutivo), l'utilizzo ampio e competente delle nuove tecnologie (informatizzazione scolastica), la riorganizzazione delle strutture nazionali e regionali, l'ampliamento del sistema degli incentivi (nazionali, regionali e locali) per favorire l'adozione di specifici programmi e innovazioni, nuove modalità di formazione per i docenti e i dirigenti, e così via. Queste alcune delle linee innovative proposte e introdotte negli ultimi anni nel nostro paese.
Non è questa la sede per un'analisi specifica dei diversi interventi. Si può solo constatare che mentre alcuni di queste modifiche sono state accolte senza troppi contrasti, altre hanno incontrato difficoltà e opposizioni consistenti nel mondo scolastico (docenti, studenti, genitori, forze sociali, università) che ne hanno bloccato e deviato l'introduzione. Al di là delle diverse soluzioni possibili resta tuttavia il quadro d'insieme di un mutamento sostanziale che è difficilmente eludibile.
Nel suo complesso l'organizzazione dell'autonomia scolastica sembra dare maggiori opportunità e spazi per i progetti di promozione della salute dato che la qualità della vita scolastica entra di diritto e di fatto nella valutazione delle varie componenti. Il lavoro per progetti diventa centrale nell'organizzazione scolastica e nuove risorse sono messe a disposizione dei docenti. Resta inoltre alta l'attesa nell'opinione pubblica che la scuola faccia la sua parte di fronte ai molti sconcertanti fenomeni ed episodi che interessano i giovani, ma più in generale la vita sociale.
Questa attesa si traduce però spesso in richiami velleitari e superficiali piuttosto che stimolare ad un lavoro ampio e di lungo periodo.
Un grosso elemento negativo è costituito dalla scarsa preparazione didattica dei docenti, specie delle superiori, evidenziata anche dalla Seconda indagine IARD sugli insegnanti italiani, e da una concezione puramente disciplinare della professionalità che sembra farsi strada nelle nuove generazioni in opposizione non solo alla precedente visione funzionariale e quella impiegatizia, ma anche all'identità di operatore sociale che è stata significativa negli anni ‘70 e ‘80. A tal proposito, i corsi di Specializzazione all'Insegnamento nelle Scuole Superiori (SISS) realizzati negli ultimi due anni nelle Università italiane sembrano aver assunto questa impostazione disciplinare con esiti tutti da verificare visto l'ampio deficit didattico e sociale degli stessi organismi universitari investiti nel compito.
Se meritorio è stato poi l'impegno ministeriale nel programma di aggiornamento della dirigenza, restano da verificare gli esiti dato che, in alcuni casi, la gestione dei corsi è stata segnata da incompetenza e approssimazione.
Un ulteriore elemento di ritardo è costituito dallo scarsa e metodologicamente arretrata attività di molte strutture sanitarie nel campo dell'educazione, promozione e comunicazione della salute; inoltre dal ritardo con cui i Comuni stanno assumendo nuovi compiti nel campo della qualità della vita, in particolare rispetto al versante formativo e scolastico. Più attivi sul piano della proposta verso la scuola sembrano l'associazionismo culturale, quello ambientalista e il volontariato sociale, anche se l'offerta sembra ancora poco strutturata e sistematica.
Iniziative che coinvolgono più scuole sullo stesso territorio e fra diversi territori esistono in Italia, ma faticano a diventare esperienze conosciute di “buone pratiche” e a trovare soggetti e luoghi di moltiplicazione.
Nel complesso, in attesa che la scuola recepisca e metabolizzi le novità introdotte in questi anni, sembra il caso di lavorare a progetti relativamente agili nelle unità scolastiche, favorendo un supporto in situazione degli insegnanti e l'offerta di pacchetti operativi sperimentali provenienti dal territorio e dalle istituzioni, nonché la diffusione di esperienze già collaudate e la loro conoscenza anche attraverso gli strumenti telematici (idem)”.
Quale potrebbe essere il supporto didattico e il ruolo delle nuove tecnologie in relazione a queste tematiche?
“La seconda indagine IARD sugli insegnanti italiani rivela che nel corso degli anni ‘90 la dotazione informatica delle scuole italiane si è notevolmente ampliata. Quasi tutte le scuole di ogni ordine e grado hanno una più o meno estesa attrezzatura dedicata alla didattica. L'informazione più rilevante è che questo tipo di strumenti è sufficientemente utilizzato dagli insegnanti italiani, contrariamente a quanto avveniva solo pochi anni prima. Da parte degli stessi insegnanti viene poi un'ampia richiesta di aggiornamento proprio sull'uso didattico di questa tecnologia. In compenso l'uso di Internet era ancora minoritario al momento dell'indagine (1999).
Il rapporto ministeriale su “La scuola e la comunicazione” indica che la scuola italiana viene da un impianto non comunicativo che ha le sue radici nella storia di questa istituzione. La situazione attuale vede una trasformazione in corso nell'amministrazione centrale e anche a livello periferico. I sondaggi in varie scuole del paese indicano una situazione molto differenziata in cui la partecipazione a reti e progetti nazionali o addirittura internazionali di scambi fra scuole si alterna a dotazioni di vari strumenti tecnologici non adeguatamente sfruttate. Esperienza di comunicazione fra scuola e istituzioni rappresentative in Lombardia ...
(…)
Le indagini svolte dall'IRRSAE dell'Emilia Romagna nel 1995 e nel 1998 segnalano una notevole diffusione di strumenti in tutti gli ordini di scuole, specialmente tecniche e superiori, ma anche la presenza di apparecchi obsoleti. In ogni caso si è assistito nella regione a quasi un triplicarsi di esperienze didattiche non curricullari informatizzate condotte nelle scuole: da 650 nel ‘95, condotte in 387 scuole (42% di quelle censite, 57% di quelle che possedevano dei computer) a
1486 nel 1998, che hanno coinvolto 506 scuole (58,9% delle scuole della regione, con quasi tre esperienze per ogni scuola).
Se andiamo sul piano internazionale, ad esempio attraverso l'esame del Rapporto sullo stato della tecnologia educativa nelle scuole degli Stati Uniti si nota una diffusione ben più consistente, soprattutto in termini di densità rispetto all'Italia, non solo di computer (98 per cento delle scuole con, in media, un rapporto di 1 computer per 10 studenti), ma di computer multimediali di ultima generazione (84% delle scuole con un rapporto 1 a 24), di TV via cavo, di accesso ad Internet (64% delle scuole), di diffusione di CD-ROM e videodischi, di esperienze di Network locali (LAN, ossia Local Area Network) e a distanza, di uso (più limitato) del collegamento satellitare.
L'uso prevalente del computer da parte degli studenti è quello della scrittura, ma anche il gioco. Metà degli studenti degli S.U. usa il computer a casa e una percentuale crescente rispetto al grado scolastico lo usa a scuola. Le minoranze etniche e le aree più povere sono svantaggiate in termini di accesso alle risorse tecnologiche, anche se esistono programmi di riequilibrio a livello statale e federale(idem)”.
Ma ora torniamo al problema drammatico dei suicidi. In quale misura può intervenire la scuola e quali ostacoli incontra nell'affrontare questo grosso nodo del nostro tempo?
“Quando si parla del ruolo della scuola nella prevenzione primaria si deve far riferimento principalmente al suo ruolo essenziale, quello educativo. Tuttavia, la scuola è sovente un mondo chiuso in se stesso, di difficile accesso per le cose non usuali, non programmate. Il primo obiettivo per un'azione preventiva è quindi rappresentato dallo sviluppo delle strategie utili a rompere tale
isolamento.
… parlarne a scuola, ma come?
(…) Non vi è dubbio che vi sia il rischio che parlare di suicidio possa aumentare nei giovani ascoltatori il grado di familiarità e, dunque di disibinizione verso l'oggetto del discorso. Il punto, tuttavia non mi pare questo.
In un mondo quale quello dei giovani, già ampiamente contaminato e regolato dal potere dei mass media, sarebbe insensato porsi l'obiettivo di prevenire qualsiasi notizia o riferimento al suicidio.
(…) occorre evitare il sensazionalismo quando ci si riferisce ad un caso accaduto, non indulgere mai a particolari insignificanti e morbosi, non romantizzare le storie di vita (evitare, per esempio, i riferimenti alle morti eroiche o giustificabili da passioni o amori sfortunati), privilegiare sempre l'approfondimento del fenomeno piuttosto che personalizzare l'evento. Un secondo ostacolo posto dalla scuola è l'atteggiamento di negazione. (…)
Un ulteriore elemento che può rendere ancor più difficile e faticoso il compito degli insegnanti in questo settore – facilitandone così il disimpegno – riguarda l'enorme carico di lavoro didattico e di aggiornamento loro richiesto dalle numerose emergenze sociali che hanno attraversato il mondo giovanile in questi ultimi anni: la droga, l'Aids, la disoccupazione, le condotte di vita a rischio (le così dette morti del sabato sera) tanto per citare solo alcuni esempi.
… e la preparazione dei docenti su temi che, come questi, esulano dagli ambiti disciplinari?
(…) perché si possa parlare della necessità di un aggiornamento permanente su questi temi e perché si possa offrire un aiuto professionale agli insegnanti, occorre innanzitutto che i programmi preventivi siano credibili. Per esempio un programma, adattato ovviamente al grado della scuola cui va indirizzato e al contesto nel quale essa opera, non deve basarsi solo sul tema del suicidio o delle condotte autolesive, ma deve identificare gli elementi che possono aiutare a leggere le situazioni che precorrono tali eventi: Gli obiettivi devono essere chiari e semplici e la proposta deve contenere programmi finalizzati a gruppi diversi di studenti, secondo il grado di rischio: vi dovranno essere programmi per tutti gli studenti, altri per ragazzi con particolari problemi sociali, altri infine per i portatori di condotte di vita già a rischio (P. Crepet, Le dimensioni del vuoto, cit. pp. 126/128)”.
Per approfondire:
Censis (a cura di), Indagine sull'età adolescenziale. Condizioni di vita e rapporti educativi, Roma, Ministero dell'Interno, 1988.
Così il porsi in senso formativo delle grandi problematiche relative al disagio giovanile mira a favorire i processi di coscientizzazione e di formalizzazione dei vissuti al fine di consentire ai ragazzi di elaborare nuovi scenari di significazione del mondo e del proprio malessere.
Ma, in sintesi, quali sono i risultati, le strategie, gli obiettivi che ci dobbiamo aspettare dai progetti preventivi?
“Il sistema scolastico italiano è ancora quasi esclusivamente centrato sul gruppo classe, dove si svolgono le principali attività e la classe tende ad essere un corpo istituzionale che prolunga la propria vita per diversi anni. Il gruppo classe è quindi un importante produttore di cultura giovanile e un interlocutore privilegiato per gli adulti. L'obiettivo generale di un intervento preventivo a scuola può essere quindi l'elaborazione di una cultura adolescenziale all'interno del gruppo-classe aperta a riconoscere i significati dei comportamenti adolescenziali e in particolare le componenti psicologiche degli atteggiamenti degli adolescenti nei confronti delle situazioni a rischio per la salute.
L'obiettivo che è ragionevole porsi non è l'abolizione di tutti i comportamenti a rischio, ma il raggiungimento di una visione equilibrata del rapporto con il rischio. Scopo principale di un intervento in classe è lo sviluppo di un atteggiamento che riconosca significati ai comportamenti, che siano condivisi nel dialogo tra ragazzi e adulti. Ciò non significa cercare di sostituire l'agire con il pensare. Agire è un modo per l'adolescente di alleviare tensioni e risolvere i problemi e l'azione rimane per l'adolescente una necessità, perché gli consente di sperimentare nuove relazioni e nuove capacità, e di mettersi alla prova, uscendo dalla dimensione di fantasia, in cui tende a immergersi.
(…) mentre si favorisce questo processo di rappresentazione è importante evitare la colpevolizzazione dei comportamenti, introducendo un modo di discutere che non giudichi, ma sia orientato innanzitutto a capire. Ciò non significa, tuttavia, introdurre una logica giustificazionista, ma significa che la valutazione è espressa al termine del processo di comprensione, e include quindi
un riconoscimento delle motivazioni di un comportamento (bisogni soggettivi o stili culturali) e non solo una considerazione dei suoi effetti (A. Maggiolini, Adolescenti e rischi evolutivi, cit., pp. 38/39)”.
Per ulteriori approfondimenti cfr.:
R. Carli e A. Mosca, Gruppi e istituzioni a scuola, Torino, Boringhieri, 1980.
Settimo tema
Gli interventi in classe: linee operative e percorsi formativi.
Quali possono essere gli usi delle tecnologie per l'attuazione di progetti educativi e promozionali nelle scuole?
“Chiediamoci ora quali fra gli usi attualmente possibili di nuove (e vecchie) tecnologie possono essere di particolare rilevanza per progetti educativo-promozionali nel campo della salute e qualità della vita. La rassegna è puramente indicativa, ma ci permette di ragionare anche sugli apprendimenti potenzialmente possibili, non tanto in termini di contenuti, ma di abilità, capacità, apprendimenti, modi di pensare:
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l'ipertestualità: è una tecnica che permette la costruzione di ipertesti, ossia di strutturare un paper non secondo una scrittura solo testuale e sequenziale, ma come un percorso a più vie capace di assemblare immagini, grafica, tabelle, schede e così via. Permette un lavoro di ricerca pluridisciplinare capace di fare interagire elementi iconici, simbolici, estetici con aspetti logici, analitici, conoscitivi. Per molti temi che riguardano il benessere questa duplice valenza conoscitiva è importante per mettere in connessione intuizione olistica e conoscenza specifica, ma anche per porre in relazione, ad esempio, punti di vista culturali e tecnici o sociali;
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la multimedialità: per certi aspetti può essere vista (e utilizzata) come un'evoluzione della tecnica precedente arricchita dall'uso di filmati, suoni, voci; per altri essa può essere pensata come un ribaltamento della centralità del testo a favore di una più sofisticata capacità di trattamento dell'immagine, sia fissa che in movimento, e di una “realistica” o “fantastica” costruzione di ambienti virtuali. Essa inoltre è appoggiata a prodotti multimediali sempre più
sofisticati (CD-ROM, DVD) anche se non sempre pensati per fini educativi. La capacità di suggestione e fascinazione di questa tecnica può portare a risultati di alta capacità comunicativa che possono avvicinarsi ad esperienze ludiche ed emotivamente coinvolgenti. Per contro essa comporta conoscenze tecniche e affinamenti estetici rilevanti che ne limitano l'impiego, almeno nei termini tecnicamente più avanzati. Sul piano motivazionale, collaborativo, progettuale le possibilità offerte dal computer multimediale sono rilevanti, anche se le difficoltà di uso e la sofisticazione delle abilità richieste ne limitano l'uso a situazioni più mature e attrezzate. Per molti aspetti questo tipo di strumento dà la possibilità di tradurre ogni punto di vista in linguaggio adeguato e coerente: ad esempio l'esperienza può essere tradotta in testo narrativo, disegno, foto; il sapere pratico in descrizione, osservazione partecipante, ricerca-azione; il sapere tecnico, quello sociale e quello ambientale in concetto, analisi scientifica, conoscenza tematica; il sapere culturale e comunicativo in lettura e scomposizione della comunicazione, ma anche ricostruzione dei riferimenti storici e culturali sottesi;
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la connettività internet: è diventata sinonimo di esplorazione e “navigazione” quando è utilizzata come strumento informativo e di conoscenza tematica. Essa può essere un modo facile ed economico per entrare in contatto con ambienti, problemi, conoscenze. Tuttavia è forte anche la sua dispersività e non sempre è accertata la qualità dei siti e quindi delle notizie. Può portare importanti contributi conoscitivi se inserita in un progetto e se guidata da precisi riferimenti e linee guida. Permette inoltre di potenziare le tecniche precedenti. Stimola la curiosità e l'interesse dei ragazzi; implica una percezione di complessità del mondo delle idee, delle istituzioni, delle possibilità, ma può anche ridursi a gioco fine a se stesso o trasmettere un senso di eccesso e sgomento.
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la comunicazione elettronica interpersonale (e-mail, Chat, ecc.): è spesso ritenuta non idonea per contribuire ad attività di apprendimento, ma in realtà essa può essere vista come una sorta di attivazione di “gruppi di pari” allargati con cui la scuola può interagire lasciando autonomia, ma anche avvelendosi come ascolto, confronto, proposta1;
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la rete fra scuole: permette di costituire un network, ossia una rete autocostituita attraverso cui scambiarsi notizie e prodotti, definire regole di appartenenza, costituire una comunità di apprendimento, favorire lo scambio interpersonale e interisituzionale, ampliare le competenze metodologiche e la qualità dei progetti formativi. E' uno strumento fondamentale per favorire un senso di partecipazione, di emulazione, di crescita del proprio lavoro. Questa tecnica è importante per fare partecipare l'unità scolastica a progetti avviati in sede istituzionale, nazionale o internazionale, o autogestiti;
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la rete civica: molti comuni hanno sviluppato propri siti che, oltre ad una funzione di presentazione ed immagine, svolgono vari servizi per il territorio di riferimento e collegano le principali istituzioni e reti. In alcuni casi, come quello di Bologna, vi è un aggancio gratuito ad internet per i cittadini che ne fanno domanda. In alcune esperienze straniere, che cominciano ad essere sperimentate anche in Italia le reti civiche diventano luogo di dialogo fra cittadini e istituzioni (comunicazione sanitaria e per la salute) e luogo di diffusione di pacchetti educativi commissionati dalla municipalità o da altre istituzioni a favore delle scuole e di altri centri aggregativi giovanili;
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il gioco e apprendimento cooperativo: può essere costruito utilizzando una rete interna di istituto o una offerta on line. Utilizza generalmente lo stile narrativo-avventuroso per sfruttare le abilità acquisite dai ragazzi attraverso i videogiochi. Si basa su una modalità di lavoro ludico che stimola la curiosità e la motivazione degli studenti immettendoli in una comunità di lavoro creativo allargata. Si tratta di una interessante opportunità soprattutto per gli studenti dell'obbligo per avvicinarsi in modo diverso a temi di conoscenza di se e dell'ambiente;
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l'integrazione teatro-cinema-computer: le nuove tecnologie possono essere integrate con altre metodi in presenza, come il teatro, il role playing, il gruppo incontro attraverso la mediazione della ripresa documentaristica che può successivamente essere rielaborata, montata, analizzata e comunicata. E' importante per aiutare ad esprimere il punto di vista personale e del gruppo dei
pari su temi di benessere, disagio, scelta;
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saper comunicare: il miglioramento delle capacità e tecniche di comunicazione è uno delle life skill fondamentali per il giovane; la tecnologia può permettere di sviluppare una sensibilità per le tecniche di comunicazione a distanza, ma anche per quelle non verbali e in presenza;
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la ricerca-azione: è una metodologia di analisi-intervento che può avvalersi di un supporto informatico per l'analisi quantitativa e qualitativa dei dati. Può avere diverse applicazioni per l'analisi della qualità della vita nell'ambiente scolastico o in altri ambienti di vita;
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la simulazione-decisione elettronica: molte scelte nella vita quotidiana hanno rilevanza per la salute sia nel breve termine che a lungo. Il computer può permettere si simulare situazioni critiche nelle quali assumere decisioni impegnative per noi e per gli altri. Finora questo tipo di simulazioni è stato utilizzato in tipi di gioco di ruolo o in training di alcune professioni (come piloti, investitori, medici, ecc.) a forte responsabilità. E' possibile costruire percorsi di scelta autosomministrati o utili per il lavoro di gruppo attraverso l'uso di racconti, video, riprese che simulino situazioni. (…)
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la costruzione dell'evento culturale: si può intendere per evento culturale la realizzazione di processo espressivo a forte impatto simbolico e comunicativo. Può avere una dimensione intrascolastica, come nelle classiche feste o rappresentazioni di fine anno, o una dimensione comunitaria più allargata. In alcune esperienze realizzate a livello cittadino esso assume la valenza di luogo di incontro e di confronto fra diversi percorsi di lavoro nelle scuole e in altri luoghi di animazione sociale. Dello stesso genere, anche se con distanze diverse, è l'esperienza di festival, incontro di rete, concorso. Ovviamente la preparazione e la gestione dell'evento, la presentazione di prodotti comunicativi si può avvalere in varia misura dello strumento informatico multimediale.
… le attività che favoriscono il benessere nella scuola e che possono aprire ottiche innovative grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie?
(…)
Per tornare alla domanda che ci eravamo posti, se cioè le tecnologie educative potevano costituire un elemento favorevole allo sviluppo di attività nel campo della qualità della vita, ci pare che la risposta debba essere positiva, pur con alcune cautele sui limiti pratici, ma anche teorico-pedagogici che esse al momento attuale presentano. Ci pare però che le nuove tecnologie non debbano essere pensate come sostitutive di altri strumenti di animazione e partecipazione meno “nuovi”, ma spesso ancora poco utilizzati (si pensi al teatro, all'elaborazione di immagine, alla ricerca-azione). Le opportunità offerte dai nuovi modi di pensare l'apprendimento, che le nuove tecnologie rendono praticabili, possono favorire un ripensamento delle strategie preventive anche nel campo del rischio e della salute. Da questo duplice passaggio fra nuove idee promozionali e nuove pratiche sociali può venire un incentivo al rinnovamento di quest'area così importante per la vita personale e collettiva (Marco Ingrosso, Scuole che promuovono la salute,cit..)”.
Sino ad ora abbiamo parlato di attività di prevenzione del disagio, di chiarificazione, discussione, formalizzazione delle problematiche ad esso condotte, ma quando si verificano casi di condotte fortemente autolesive o di un suicidio come può reagire la scuola?
“L'obiettivo pratico dell'intervento della scuola è quello di stemperare il dolore, il che non deve però significare un brusco e affrettato ritorno alla normalità Sarebbe l'errore peggiore. La sensazione che i ragazzi devono percepire è che la scuola continua senza aver fretta di voltar pagina, ma lasciando tempo e spazio affinché i sentimenti di tutti siano rispettati e trovino il modo migliore per esprimersi (P. Crepet, Le dimensioni del vuoto, cit., p. 141)”.
Ma quali sono, nel concreto i progetti e le iniziative che la scuola può intraprendere per affrontare il grosso problema del malessere giovanile?
“In quest'ambito si collocano:
-progetti di accoglienza (volti a migliorare la conoscenza dell'alunno e quella che l'alunno ha della scuola, ad analizzare e sostenere il metodo di studio);
-progetti di orientamento (volti a incrementare le capacità di scelta, a individuare le potenzialità individuali, ecc.);
-le attività che promuovono una buona relazione tra la scuola, l'allievo e la famiglia;
-le attività che coinvolgono i ragazzi più grandi in una funzione iniziatica, da tutor nei confronti dei più piccoli, valorizzando la funzione del gruppo dei pari;
-la formazione all'osservazione, non solo in vista della valutazione didattica, ma come mezzo per aumentare la comprensione dei bisogni e delle capacità dell'allievo;
-l'aggiornamento degli insegnanti su aspetti della psicologia adolescenziale e delle dinamiche della classe, utili per migliorare le competenze nelle relazioni individuali e nel rapporto con il gruppo-classe,
-l'attenzione ai processi comunicativi: gli insegnanti vengono aiutati a riflettere sulle modalità e sull'efficacia dei processi comunicativi da loro adottati sia con i genitori, sia con gli allievi;
-il sostegno individualizzato allo studio: le informazioni e le consulenze sono fornite agli studenti dagli insegnanti e riguardano i problemi legati all'apprendimento e alla vita scolastica;
(…)
-i progetti volti a favorire la continuità educativa (incontri tra insegnanti di diverse scuole,
elaborazione di prove di ingresso, costruzione di un linguaggio comune istituzionale (A. Maggiolini, Adolescenza e rischi evolutivi, cit., p. 41/42)”.
Per approfondire ancora:
B. Vezzani e L. Tartarotti, Benessere/malessere nella scuola, Milano, Giuffré, 1988.
A. Gramigna
(Dal sito: http://www.univirtual.it/corsi/2002_I/gramigna/download/III_lezione_Ped_Soc.pdf )