1. LA STRAGE DI CEFALONIA E CORFÙ.

1.1. L'eccezionalità di un evento

Quando, dopo 39 mesi di guerra a fianco della Germania nazista, il governo italiano del maresciallo Badoglio, che ha sostituito da poche settimane Benito Mussolini, destituito dal re Vittorio Emanuele III il 25 luglio, sottoscrive l'armistizio con i paesi delle Nazioni Unite, in primo luogo con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, armistizio che viene reso noto nel pomeriggio del 9 settembre 1943, i nostri ex alleati, i tedeschi, assumono tutte le decisioni militari per evitare che l'abbandono della guerra da parte italiana possa costituire un indebolimento delle proprie posizioni, in particolare nei territori occupati comunemente dalle due potenze, come nell'area balcanica e in Grecia.

In tutti questi territori le divisioni italiane vengono disarmate rapidamente dai tedeschi, con pochi tentativi di resistenza. Fra tutte fa eccezione il comportamento di una divisione di fanteria da montagna, la divisione Acqui comandata dal generale Gandin, che occupava alcune Isole Ionie, di fronte all'Albania e al golfo di Patrasso, in Grecia, tra queste Corfù e Cefalonia.

Nel quadro degli eventi militari collegati alla proclamazione dell'armistizio dell'8 settembre, la vicenda della divisione Acqui a Cefalonia e Corfù resta senz'altro la più significativa, non solo perché si tratta dell'azione più consistente di resistenza armata ai tedeschi tra quelle attuate nei giorni immediatamente successivi e, almeno idealmente, può essere considerata, anche se questa interpretazione non è da tutti accettata, uno degli atti che apre la Resistenza al nazi-fascismo, ma perché rappresenta, per numero di vittime in un unico episodio, la maggiore strage perpetrata dai tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale a danno di cittadini italiani. Altri episodi particolarmente atroci sono: il rastrellamento della comunità ebraica di Roma del 16 ottobre del 1943, in tutto 1.007 persone deportate ad Auschwitz, i sopravvissuti saranno solo 15; la strage di civili, 770 persone, tra cui molte donne e bambini, uccisi per rappresaglia dal reparto di Walter Reder nella zona di Marzabotto, nel Bolognese, a ridosso della Linea Gotica, a partire dal 28 settembre 1944.

1.2. Cos'è avvenuto nelle Isole Ionie nel settembre 1943?

A Cefalonia vi sono circa 11.000 soldati e sottufficiali italiani, oltre a 525 ufficiali. Un presidio tedesco è presente sulle isole, ma in una situazione di momentanea inferiorità. Il generale Gandin avvia trattative col comandante tedesco, il tenente colonnello Barge, che il giorno 11 chiede di cedere le armi. Il generale, prima di prendere la decisione definitiva, dopo aver consultato gli ufficiali superiori, chiede il parere dei soldati reparto per reparto; l'orientamento è di non cedere all'ultimatum, anche se vi è la consapevolezza che i tedeschi sul continente interverranno rapidamente in appoggio al distaccamento presente sull'isola maggiore. Nel frattempo, le artiglierie italiane presenti nella baia di Argostoli, sede del comando italiano, affondano due grosse zattere che cercano di sbarcare truppe tedesche. Solo il giorno 14 Gandin riesce a comunicare col Comando supremo italiano, che ordina di aprire le ostilità contro le truppe tedesche. Iniziano i combattimenti che vedono un'iniziale prevalenza italiana; vi sono ripetuti tentativi di sbarco di soldati tedeschi e pesanti bombardamenti degli Stukas. Mentre dall'Italia risulta impossibile inviare aiuti, nei giorni successivi, ad ovest e a nord dell'isola, riescono a sbarcare reparti tedeschi con carri armati, chiudendo gli italiani in una ristretta zona attorno alla penisola di Argostoli. Dopo una settimana di combattimenti, il giorno 22, la divisione Acqui si arrende. Nei combattimenti muoiono, secondo alcune fonti, 1.250 soldati italiani e 65 ufficiali; 155 ufficiali e circa 4.000 tra soldati e sottufficiali sono "trattati secondo gli ordini del Führer" e, man mano che si arrendono nel corso della battaglia, contrariamente a tutti i regolamenti internazionali che definiscono i comportamenti degli eserciti belligeranti, sono immediatamente passati per le armi. Dopo la resa della divisione, la vendetta tedesca si concentra sugli ufficiali, che vengono separati da soldati e sottufficiali e sistematicamente eliminati: tra il 24 e il 25 settembre, alla "Casetta rossa" di capo San Teodoro, nei pressi di Argostoli, capoluogo di Cefalonia, vengono fucilati quasi tutti gli ufficiali prigionieri, forse 129 secondo i dati più recenti, altri 7 il 25. Circa 1.000 soldati, oltre agli ufficiali uccisi a capo San Teodoro, sono gettati in mare all'entrata della baia di Argostoli, mentre altri 1.000 corpi sono bruciati in grandi falò che illuminano la notte dell'isola. Tutti gli altri resti sono abbandonati senza alcuna sepoltura.

Anche a Corfù il comandante, colonnello Lusignani, con circa 4.000 uomini, decide di respingere l'ultimatum tedesco e di combattere. Nei giorni successivi giungono due cacciatorpediniere italiani, che vengono però colpiti, inoltre Lusignani riceve dagli inglesi la promessa di aiuti, ma non arriverà nulla. Il 24 i tedeschi riescono a sbarcare in forze e il giorno successivo gli italiani sono costretti alla resa. Nei combattimenti o in seguito alle fucilazioni avvenute immediatamente dopo la fine degli scontri muoiono 640 tra soldati, sottufficiali e ufficiali, tra questi i colonnelli Lusignani e Bettini, che sono fucilati assieme ad altri 19 ufficiali, mentre i feriti sono 1.200, ma non vi sono i massacri di massa di Cefalonia. Molti uomini cercano di fuggire via mare, ma la maggior parte viene catturata e trasferita in Germania. Altri soldati saranno uccisi sulle imbarcazioni tedesche durante il trasferimento in Grecia.

Particolarmente significativo è il percorso attivato all'interno della divisione, dopo le prime trattative formali tra il comando italiano e i responsabili tedeschi, per decidere di respingere l'ultimatum tedesco, che impone la scelta tra tre alternative differenti: "con i tedeschi; contro i tedeschi; cedere le armi".

Inizialmente, lo stato maggiore della divisione sarebbe disposto ad accettare l'imposizione di cedere le armi, ma alcuni reparti, soprattutto gli artiglieri e i marinai, sono contrari, dopo che erano giunte notizie sulle reali intenzioni dei tedeschi, che promettevano il rimpatrio in Italia delle truppe che avessero ceduto le armi, mentre in realtà si preparavano a deportarli in Germania e avevano già operato rappresaglie su coloro che già si erano arresi su altre isole o sul continente. Il generale Gandin decide allora di consultare i reparti sulla decisione da prendere, iniziativa assolutamente eccezionale considerata la tradizione di qualsiasi esercito moderno. Le truppe esprimeranno in varie forme un orientamento chiaro: a grandissima maggioranza decideranno di non cedere le armi e di resistere all'imposizione tedesca.

1.3. La sorte dei sopravvissuti

Finita la strage, nelle Isole Ionie rimangono tra 9.000 e 10.000 prigionieri italiani, 5.000 dei quali sono i sopravvissuti di Cefalonia. Altri soldati moriranno, per la fame e gli stenti, nei centri di raccolta dell'isola, dove rimarranno circa un migliaio di prigionieri fino alla partenza dei tedeschi, nel settembre del 1944, o nei diversi campi di deportazione allestiti nell'area balcanica e nell'Europa dell'Est, circa 2.500 in totale, che seguiranno le vicissitudini degli altri 6-700.000 soldati italiani internati dal governo tedesco; dei 6.400 prigionieri imbarcati a Cefalonia per essere trasferiti sul continente, in Grecia, di cui 2.550 provenienti da Zacinto, circa 1.350, quasi tutti soldati sopravvissuti all'eccidio di Cefalonia, moriranno nell'affondamento di tre navi; da Corfù partiranno circa 9.100 soldati, molti però già provenienti da reparti catturati sul continente, l'affondamento di una nave trasporto provoca circa 1.300 morti, ma è impossibile attribuire le vittime ai reparti di origine. Nel novembre 1944, i militari italiani rimasti a Cefalonia, a cui si erano aggiunti uomini provenienti dal continente, in totale circa 1.300 soldati, inquadrati nel Raggruppamento banditi Acqui agli ordini del capitano Apollonio, rientrano in Italia, ad eccezione di un centinaio di volontari che continueranno la lotta assieme ai partigiani comunisti.  Alla fine della guerra, dei circa 5.000 sopravvissuti della divisione Acqui solo 3.500 saranno riusciti a tornare in Patria.

La Sezione Regionale Lazio dell'Associazione Nazionale Superstiti Reduci e Famigliari di Caduti Divisione Acqui, ha pubblicato, sotto il titolo di "Onore ai caduti", l'elenco di tutti i nominativi, di cui finora si ha conoscenza, di militari della Acqui e dei reparti collegati caduti a Cefalonia e Corfù o in seguito alla prigionia: in totale si tratta di 3.766 persone di cui si forniscono i dati anagrafici, la data, il luogo e l'indicazione della modalità della scomparsa.