5. L'OCCUPAZIONE DELLA GRECIA

5.1. L'occupazione italo-tedesca

Nei colloqui avvenuti in aprile e nel novembre 1941 tra Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri italiano, e Ribbentrop, il collega tedesco, la Grecia è considerata, almeno sulla carta, area d'influenza italiana, ma la realtà è diversa, in quanto i tedeschi danno per scontata la loro prevalenza sul piano economico, provocando continue recriminazioni da parte italiana. Il Paese subisce l'occupazione dell'Italia, della Germania e della Bulgaria. L'Italia, in particolare, annette formalmente le Isole Ionie, tra cui Corfù e Cefalonia, imponendo la propria amministrazione, compresa una nuova moneta, la dracma ionica, mentre ad Atene nasce un governo collaborazionista guidato da Tsolakoglu, a cui è demandato il mantenimento dell'ordine pubblico e la gestione amministrativa. Ma il rapporto tra il governo collaborazionista e i due paesi occupanti è ambiguo; i greci preferiscono mantenere, finché è possibile, un rapporto privilegiato con i tedeschi, che appaiono, almeno in una prima fase, meno invisi alla popolazione rispetto agli italiani, gli aggressori del 1940 che si erano annessi le Isole Ionie. I tedeschi tendono a interporsi tra gli italiani e i greci, anche se la realtà dell'occupazione e l'appoggio dato ai bulgari nell'annessione della Tracia orientale renderà presto anche i tedeschi poco popolari.

L'occupazione è attuata in collaborazione da italiani e tedeschi, ma sono questi ultimi che attuano una politica di rapina nei confronti dell'economia e delle risorse del Paese, tale da portare alla miseria e alla fame la popolazione, mentre crollano le strutture economiche, a partire dalla moneta e dalla Banca Nazionale greca. Particolarmente drammatico risulta il fenomeno dell'inflazione, innescato dalla crisi finanziaria provocata dalle ingenti risorse assorbite dalle opere militari richieste dai tedeschi a carico del governo collaborazionista. Gli italiani vorrebbero limitare il dramma della popolazione ma mancano delle risorse necessarie per alleviare la carestia, né riescono a frenare l'esosità delle richieste alleate. La mortalità per inedia dilaga nel paese. In queste condizioni, nell'aprile del 1942 iniziano le azioni armate del Fronte di liberazione, prima nell'Argolide, poi nella zona del Pindo; tra l'autunno del 1942 e i primi mesi dell'anno successivo la pressione partigiana si fa più consistente, tanto da indurre gli italiani a richiedere un maggiore impegno repressivo da parte del governo collaborazionista. Nella scelta del capo del nuovo governo si impone il candidato proposto dai tedeschi, Rhallis; gli stessi responsabili tedeschi cominciano a pensare all'estromissione dell'autorità italiana, da sostituire con la gestione diretta del territorio da parte del generale Löhr, comandante supremo del settore sud-est (ovvero quello balcanico). Questa soluzione, per il momento, appare politicamente improponibile, perché metterebbe fuori gioco il principale alleato, che considera l'influenza nei Balcani il principale risultato dell'intera guerra di aggressione condotta dal 1940, ma sembra già prefigurare la situazione di fatto che si verrà a creare con l'armistizio dell'8 settembre.

5.2. Dopo Stalingrado

Nel corso del 1943 continua a crescere l'attenzione della Germania per il settore balcanico, sia come conseguenza dell'arretramento del fronte nella Russia meridionale, dopo la sconfitta di Stalingrado, per cui il settore sud-orientale diventa di fatto una retrovia del Reich, sia per la minaccia dell'apertura di un secondo fronte da parte anglo-americana proprio nei Balcani.; il nuovo quadro strategico imporrebbe di eliminare drasticamente le minacce costituite dai gruppi di resistenza nazionalisti o comunisti presenti nell'area. Anche in Albania, che appare l'ultimo territorio effettivamente sotto il controllo italiano, lo sviluppo di azioni di guerriglia anti-italiana costringe il nuovo Luogotenente in Albania, il generale Pariani, a trasformare la presenza italiana in una vera e propria forza di occupazione attiva soprattutto nell'azione di repressione. Il fallimento delle offensive antipartigiane nei primi mesi del 1943, impone alle truppe italo-tedesche presenti in Iugoslavia, in Albania e in Grecia una lunga fase di guerra di logoramento, con l'abbandono di porzioni crescenti di territorio alle formazioni partigiane, per mantenere solo alcuni capisaldi nelle proprie mani, prevalentemente in aree urbane.

Nell'aprile 1943, al vertice dell'Asse tenutosi a Klessheim, Mussolini propone di dare maggior peso ai governi dei paesi occupati o alleati, in particolare nell'area balcanica, corresponsabilizzandoli nella gestione della guerra antipartigiana, ma la risposta tedesca è assai netta, in particolare sul caso greco, dove la responsabilità delle truppe italiane è più evidente, ad avviso di Ribbentrop "bisognava intervenire brutalmente, se per caso i greci dessero segno di respirare; bisognava deportare fulmineamente dalla Grecia l'esercito greco smobilitato e dimostrare con mano ferrea ai greci chi comandava nel paese". Hitler incontrerà nelle settimane successive i governanti collaborazionisti di Ungheria, Slovacchia, Croazia, Romania, con l'intento di rafforzare i rapporti diretti con la Germania e di impedire qualsiasi ipotesi di pace separata, affermando così l'egemonia tedesca anche con paesi come la Croazia che, almeno formalmente, rientravano, fino ad allora, nell'area di influenza italiana. Ancora qualche mese è la crisi sarebbe stata aperta proprio dall'alleato italiano.

5.3. Il cedimento italiano

In maggio Hitler si rende conto che un cedimento italiano è possibile e fa mettere a punto due piani di occupazione da attivare in caso di uscita dell'Italia dall'alleanza: il piano Alarich per la penisola italiana e il territorio francese occupato dagli italiani, il piano Konstantin per la zona di occupazione dei Balcani. Pochi giorni dopo l'incontro di Feltre tra i due dittatori, avvenuto il 19 luglio, Mussolini, il 25 dello stesso mese, viene messo in minoranza nel Gran Consiglio del Fascismo, in seguito all'approvazione di un ordine del giorno, presentato da Dino Grandi, che criticava la conduzione della guerra e chiedeva che il Comando supremo tornasse al Re, come prevedeva lo Statuto Albertino, quindi è  destituito da Capo del Governo da Vittorio Emanuele III, che nomina in sua vece il maresciallo Pietro Badoglio, vicino alla Corona e alle Forze Armate, già caduto in disgrazia dopo l'avventura in Grecia del 1940.

La destituzione di Mussolini mette in allarme le forze tedesche, soprattutto in Croazia e in Grecia, che si preparano alla defezione dell'alleato, predisponendo, su ordine di Hitler, già in data 26 luglio, il piano per l'assunzione diretta da parte della Wehrmacht del comando dei territori del settore balcanico sotto occupazione italiana; in particolare, al plenipotenziario tedesco in Croazia sarebbe passata la responsabilità della costa dalmata, Montenegro e l'Albania sarebbero passati sotto il diretto Comando tedesco sud-est, mentre il Comando tedesco in Grecia avrebbe esteso la sua responsabilità anche ai territori sotto controllo italiano.

Appare evidente che la Germania non è presa di sorpresa dagli avvenimenti che stanno per realizzarsi. Ciò non attenua tuttavia la difficoltà obiettiva in cui viene a trovarsi l'esercito tedesco. Se da una parte i comandi nazisti sembrano accogliere l'uscita dell'Italia dalla guerra come una liberazione da vincoli e limiti a cui l'alleanza obbligava, addossando sugli italiani tutte le debolezze e le colpe dell'occupazione nei Balcani, dall'altra lo Stato Maggiore tedesco deve utilizzare le proprie riserve per sostituire nell'occupazione i circa 600.000 soldati italiani, che benché poco motivati e spesso male organizzati, sopperivano comunque a compiti che ora devono essere ottemperati direttamente. Inoltre il cedimento italiano, con la dissoluzione delle grandi unità, lascia libere porzioni significative del territorio, provoca l'abbandono di ingenti quantitativi di armi, spesso recuperate dalla resistenza organizzata, mentre l'ingresso diretto tra le forze partigiane di soldati italiani in Iugoslavia e in Grecia permetterà un improvviso aumento di efficienza e di pericolosità delle forze di opposizione agli occupanti tedeschi. Tutto ciò mentre si sviluppa l'offensiva alleata nella Penisola italiana, dopo lo sbarco di Salerno dell'8 settembre.

La tenuta tedesca nei Balcani va assicurata con la massima decisione, col rischio, in caso diverso, di lasciare sguarnito il fianco sud-orientale del Reich. Si tratta inoltre di ottenere un risultato politico fondamentale, riconfermare attorno alla Germania l'unità dell'Europa continentale, sia delle zone annesse al Reich, sia di quelle sottoposte ai governi collaborazionisti o alleati della Germania. Il cedimento dell'Italia costituisce, nella propaganda tedesca, l'occasione per mettere fine all'opera, vera o presunta, di divisione e sfiducia provocata dall'ex alleato. La violenta reazione tedesca nei Balcani si spiega soprattutto per questa duplice esigenza, militare, innanzitutto, ma anche politica. La Grecia occupata, in particolare, avrebbe costituito per la Germania l'avamposto marittimo della penisola balcanica; per questo le truppe tedesche ricorrono a feroci rappresaglie e alla collaborazione in funzione antipartigiana dei battaglioni di sicurezza, costituiti da greci fedeli al nazismo. L'occupazione tedesca della Grecia durerà fino al periodo ottobre-dicembre del 1944, quando anche nei Balcani inizierà la ritirata.