6. LA DIVISIONE ACQUI A CEFALONIA E CORFU'

6.1. Dall'attacco alla Francia allo sbarco nelle Isole Ionie

La divisione Acqui era giunta nelle Isole Ionie di Corfù, Paxos, Santa Maura (il nome italiano di Léfkadi), Cefalonia e Zacinto (Zante) a partire dal 29 aprile 1941; dopo la resa dell'esercito greco era avanzata, entrando dall'Albania, lungo la costa in direzione sud, quindi aveva avuto l'ordine dal Comando del generale Messe di occupare le isole, precedendo le truppe tedesche che si riteneva avessero lo stesso obiettivo. In precedenza la divisione di fanteria da montagna Acqui, costituita il 15 dicembre del 1938 a Merano, col nome dell'omonima brigata di fanteria nata nel 1821 nell'Esercito piemontese e rimasta nell'Esercito italiano fino al 1926, era stata impiegata fin dalle prime operazioni della guerra. Nel settembre 1939 era stata spostata alla frontiera francese, in valle Stura, quindi era rimasta ad Alba nel corso dell'inverno. Aveva partecipato all'offensiva contro l'Armée des Alpes, raggiungendo il 24 giugno, dopo tre giorni di marcia, le fortificazioni francesi, proprio nel momento in cui entrava in vigore l'armistizio; in luglio la divisione era stata ritirata dal fronte e parzialmente smobilitata. Il 18 novembre giungeva però l'ordine di prepararsi a partire per l'Albania, perché Mussolini aveva deciso l'attacco alla Grecia. I reparti della divisione arrivarono in Albania nella seconda metà di dicembre e subito furono coinvolti nell'emergenza che l'esercito italiano stava affrontando per tamponare le falle aperte dalla controffensiva dell'esercito greco. I reparti furono impegnati nei combattimenti ancora privi di parte dei materiali e dei mezzi di trasporto, in particolare degli automezzi e dei quadrupedi; si trovarono così in condizioni di clima e di rifornimenti, anche alimentari, molto difficili, con equipaggiamenti inadeguati alle condizioni climatiche, con scarso appoggio dell'aviazione e dell'artiglieria durante le azioni. Le perdite erano molto alte, anche se i battaglioni continuarono a combattere con decisione. Dopo un periodo di riorganizzazione in febbraio e marzo, il 14 aprile la divisione partecipava all'offensiva finale, coordinata con l'attacco tedesco alla Grecia, quindi giungeva l'armistizio. In quattro mesi di combattimenti, tra il 20 dicembre 1940 e il 23 aprile 1941, la divisione aveva avuto 481 morti, 1.163 dispersi, 1.361 feriti e 672 congelati, cioé un totale di 3.677 perdite, a cui si dovevano aggiungere circa 1.500 militari ammalati e ricoverati in ospedale. In particolare le perdite si concentravano sui due reggimenti di fanteria della divisione, il 17°, che aveva avuto il 50% di perdite tra i reparti impiegati nelle operazioni di guerra, e il 18°, con perdite che riguardavano addirittura i due terzi delle truppe utilizzate; in particolare erano state molto alte le perdite tra gli ufficiali. Questi vuoti saranno in parte colmati, nei mesi successivi, da truppe poco addestrate e da ufficiali di prima nomina.

6.2. Quali forze costituivano la divisione Acqui?

La 33^ divisione di fanteria da montagna Acqui era stata costituita nel 1938, in occasione di una ristrutturazione dell'esercito italiano che riduceva da tre a due i reggimenti di fanteria di ciascuna divisione, per questo si definiscono "binarie", mentre tutti gli altri paesi mantenevano divisioni "ternarie"; in questo modo si rendevano disponibili le unità per costituire nuove divisioni, tra cui la Acqui, che ricevette un reggimento della brigata Parma e uno della brigata Avellino, rinumerati rispettivamente reggimenti "17°" e "18°", per riprendere la tradizione della disciolta brigata Acqui; inoltre venne costituito il 33° reggimento di artiglieria con tre gruppi di artiglieria provenienti dalle divisioni Brennero e Pasubio.

I due reggimenti di fanteria avevano ciascuno tre battaglioni, una compagnia mortai e una batteria di accompagnamento da 65/17; il reggimento di artiglieria era armato con due gruppi di obici da montagna da 75/13 someggiati (in totale 24 pezzi) e un gruppo da 100/17 someggiato con 12 pezzi, armi che erano state in servizio nell'esercito austro-ungarico nella prima guerra mondiale, oltre ad una batteria antiaerea da 20. A questi reparti, che costituivano l'ossatura della divisione, vanno aggiunti un battaglione mortai da 81, una compagnia anticarro da 47/32, una compagnia genio autieri e una telefonisti e radiotelegrafisti, oltre ad una sezione fotoelettricisti, i reparti servizi (sanità, sussistenza, salmerie, autoreparto e due sezioni carabinieri).

In totale, in condizioni normali, cioé ad organici completi, la divisione dovrebbe avere 450 ufficiali, 600 sottufficiali, 12.000 uomini; come mezzi di trasporto: 3.500 quadrupedi, 120 automezzi, 70 motociclette, 150 biciclette; per le armi: 270 fucili mitragliatori, 80 mitragliatrici, 126 mortai da 45 e 30 da 81, 8 pezzi antiaerei da 20, 8 da 47/32, 8 da 65/17, 24 da 75/13, 12 da 100/17.

6.3. L'Italia e le Isole Ioniche

Le Isole Ioniche costituivano l'obiettivo privilegiato dell'aggressione fascista alla Grecia, e il regime pensava probabilmente ad una vera e propria annessione all'Italia, sia per ragioni di prestigio politico, sia in riferimento alla lunga dominazione veneziana (1204-1797), anche se la popolazione era di etnia greca e fortemente nazionalista. Con la fine della Repubblica veneziana, nel 1797, l'arcipelago costituiva la Repubblica delle Isole Ionie, sottoposta a varie dominazioni, fino al protettorato inglese, durato dal 1815 al 1864, quando le isole si riunirono al Regno di Grecia.

Si tratta di cinque isole principali, da Nord a Sud: Kerkira (Corfù), Léfkadi (unita in realtà alla costa greca), il cui nome veneziano era Santa Maura, nome ripristinato durante l'occupazione italiana, Cefalonia e la vicina Itaca, Zacinto, disposte lungo la costa tra l'Albania meridionale e il golfo di Patrasso, oltre ad alcune isole minori e a molti isolotti. La maggiore è Cefalonia, quasi 800 kmq, seguita da Corfù, 640 kmq, e da Zacinto, 400 kmq. Si tratta di isole montuose, in particolare a Cefalonia troviamo il monte Enos, che raggiunge i 1628 metri. Il clima è mediterraneo, con inverni piovosi, l'economia è povera, prevalentemente agricola, ma molti abitanti trovano lavoro in mare; l'unica cittadina significativa dell'arcipelago è Corfù, mentre il capoluogo di Cefalonia, Argostoli, è più un grosso paese. A Cefalonia, durante la guerra, vivono circa 80.000 abitanti.

L'occupazione italiana, affidata ai reparti della Acqui per l'aspetto militare, era garantita da un governatorato civile, l'Ufficio Affari Civili delle Isole Jonie, con sede a Corfù, di cui era capo, fino all'annuncio dell'armistizio, il dirigente del Partito fascista Piero Parini, con uffici affiancati ai comandi di Cefalonia, Itaca e Zacinto. A Cefalonia si alternano invece vari Comandanti politici, l'ultimo dei quali, dal 2 luglio 1943, è Vittorio Seganti dei conti di Sarzina, che rimane anche nei giorni dello scontro con i tedeschi. Vi sono poi un centinaio di dirigenti e funzionari civili, dipendenti di società commerciali e bancarie, del Monopolio fascista italiano o impiegati nell'Istruzione. Il 22 febbraio del 1942, il Duce decretava l'istituzione di una moneta separata dalla dracma greca, la dracma ionica, sotto il controllo dell'autorità italiana, con l'obiettivo di evitare alle Isole Ionie il fenomeno della drammatica svalutazione della moneta greca, conseguenza del regime di occupazione imposto sul continente. In realtà gli italiani non riuscirono nell'intento di tenere fuori le Isole Ionie dalla violenta crisi economica che colpì tutta la Grecia.

6.4. Due anni di occupazione: 1941-1942

Dal punto di vista militare, l'occupazione delle isole non ha inizialmente rilevanza strategica, a parte la maggiore sicurezza che avrebbero avuto i convogli italiani nel navigare lungo le isole per evitare i sommergibili inglesi, per cui si installano batterie costiere e presidi in tutte le isole. La situazione cambia alla fine del 1942, quando il Mediterraneo diviene la principale area dell'offensiva anglo-americana, e le isole costituirebbero una barriera difensiva contro una possibile invasione della Grecia, in particolare attraverso il golfo di Patrasso, il cui ingresso è protetto appunto da Cefalonia e Itaca. Questa nuova situazione determina il nuovo interesse che gli italiani assegnano, in particolare, a Cefalonia.

In una prima fase, solo parte della divisione Acqui occupa le isole, in particolare Corfù, dov'è collocato il Comando di divisione e il 17° reggimento di fanteria, mentre l'altro reggimento, il 18°, è ancora impegnato nell'occupazione della costa greca, dove maggiori sono i problemi con la popolazione, mentre sulle isole l'occupazione è avvenuta senza provocare atti di aperta ostilità. Le altre isole sono presidiate da reparti di Camicie Nere. Nell'agosto del 1941, alla partenza del raggruppamento Camicie Nere, tocca al 18° reggimento fanteria occupare le altre isole, in particolare Cefalonia, con circa 2.000 uomini; inizia in questa fase l'avvio di un "Progetto difesa isola Cefalonia", che prevede l'approntamento di difese contro un possibile attacco britannico; in effetti, tra la fine del 1941 e i primi mesi del 1942, la zona di mare delle isole fu teatro di attacchi ai convogli da parte di sommergibili britannici, mentre nel dicembre 1941 aerei inglesi avevano attaccato Argostoli, con pochi danni. Nel corso del 1942 l'occupazione delle isole si consolida, con il trasferimento dalla costa greca di tutti i reparti della divisione e col rafforzamento delle artiglierie. Il Comando di divisione rimane a Corfù, assieme al 18° reggimento fanteria, al battaglione Camicie Nere e a gran parte dei reparti minori; le isole di Cefalonia, Santa Maura e Zacinto sono invece presidiate ciascuna da un battaglione del 17° reggimento fanteria, oltre a qualche reparto minore, in particolare gruppi del 33° reggimento artiglieria presenti a Cefalonia e a Zacinto. Nel corso dell'anno la divisione è soprattutto impegnata in un lavoro di routine: addestramento, presidio delle coste, vigilanza e perlustrazione; gli allarmi sono numerosi, ma quasi sempre a vuoto, essendosi ridotta anche l'attività degli inglesi contro i convogli, mentre non vi sono altri attacchi alle installazioni delle isole. In realtà la preoccupazione maggiore dei comandi riguarda il compito politico-civile dell'occupazione: il controllo dell'attività anti-italiana e comunista nelle isole, la condizione dei militari del disciolto esercito greco, i rifornimenti alimentari per la popolazione, i conflitti tra la comunità greco-cristiana e quella musulmana. In questo contesto l'attività degli italiani prevede l'arresto di elementi pericolosi, il disarmo della popolazione, l'effettuazione di perquisizioni e rastrellamenti che servono a ricordare alla popolazione greca il ruolo di occupanti degli italiani; nella caserma Mussolini di Argostoli, dove sono rinchiusi i greci sospettati, i maltrattamenti di civili sono frequenti. I rapporti tra italiani e greci sono ambivalenti: in molti casi i soldati aiutano i contadini nel lavoro dei campi, vi sono casi di fraternizzazione, nei locali pubblici gli italiani si trovano fianco a fianco con i greci; ma sempre di occupazione si tratta: vi sono le spie degli italiani, oltre ad un'organizzazione collaborazionista, l'Organizzazione patriottica di Cefalonia, mentre la resistenza, non particolarmente attiva sulle isole, a differenza della Grecia continentale, è divisa tra i comunisti dell'Esercito popolare di liberazione greco (l'ELAS-EAM) e i nazionalisti filomonarchici.

Al 15 novembre del 1942 risale l'ultimo quadro rimasto della forza della divisione: in totale 708 ufficiali, tra presenti e in licenza, 15.759 sottufficiali e truppa, tra presenti e in licenza.  Il grosso degli uomini presidia ancora l'isola di Corfù, circa 6.080 tra ufficiali, sottufficiali e truppa, 3.860 sono a Cefalonia, 3.300 a Zacinto, 680 a Santa Maura; non vi sono dati sulla distribuzione di circa 1.460 tra carabinieri e guardie di finanza; vanno inoltre aggiunte le forze della Marina e dell'Aeronautica, su cui non vi sono dati.

Diario storico. Situazione della forza al 15 novembre 1942. Divisione Acqui

 

Ufficiali

Sottufficiali e truppa

 

presenti

in licenza

presenti

in licenza

Quartier generale, Corfù

42

10

265

31

Comando fanteria divisionale, Cefalonia

7

 

61

 

17° reggimento fanteria, Cefalonia (una compagnia a Itaca)

103

13

2.588

201

18° reggimento fanteria, Corfù (due plotoni a Phanos e Praxos)

102

23

2.177

161

317° reggimento fanteria, Zacinto (II battaglione a Santa Maura e un plotone alle Strofadi)

110

12

2.334

24

33° battaglione mortai da 81, Corfù

16

3

254

37

19° battaglione CC.NN., Corfù

16

4

651

38

33^ compagnia cannoni 47/32, Corfù

5

1

180

13

4° battaglione mitragliatrici (due compagnie a Cefalonia, una a Corfù e una a Zacinto)

15

5

583

48

         

Totale fanteria

367

61

8.767

522

         

33° reggimento artiglieria, Corfù (II gruppo a Zacinto, meno una batteria a Cefalonia)

86

11

2.366

239

7° gruppo 105/28, Cefalonia (una batteria a Corfù)

17

5

321

55

3° gruppo contraereo 75/27, Cefalonia

6

4

291

 
         

Totale artiglieria

109

20

2.978

323

         

reparti del genio, totale

15

3

632

65

servizi sanità

36

5

434

62

servizi sussistenza

3

2

186

25

servizi automobilistici

2

 

42

3

         

Totale servizi

41

7

662

90

         

7° battaglione carabinieri

13

3

698

68

1° battaglione guardia di finanza

15

2

621

37

         
TOTALE DIVISIONE ACQUI

602

106

14.623

1.136

Questi dati sono desumibili dal Diario storico della divisione, che tuttavia si ferma all'autunno 1942, essendo andati perduti quelli successivi; mancano perciò dati precisi sul settembre 1943, si può presumere che al momento dell'armistizio gli uomini siano di poco al di sotto di queste cifre. Fino ad agosto del 1943 era aggregata alla divisione anche una legione di Camice Nere, in parte ritirata con la caduta di Mussolini, ma alcuni reparti sono integrati del 317° reggimento.

6.5. La divisione si concentra a Cefalonia

A partire dal novembre 1942, con lo sviluppo dell'offensiva aero-navale anglo-americana nel Mediterraneo, la situazione strategica delle isole cambia. Nella nuova situazione cresce soprattutto il ruolo di Cefalonia come difesa della costa greca e del golfo di Patrasso.  Il 1° dicembre 1942 le truppe di occupazione delle isole passano dal Comando superiore in Albania alle dipendenze di quello della Grecia del generale Geloso, comandante del XXVI corpo di armata di stanza nella Grecia occidentale, con sede a Ianina; il comando della Acqui viene trasferito inizialmente a Santa Maura, quindi a Cefalonia, nel palazzo del Tribunale di Argostoli, dove viene spostato il grosso delle truppe, mentre vengono avviati i lavori delle fortificazioni campali e costiere. A Corfù resta il 18° reggimento fanteria oltre ad un gruppo del 33° artiglieria; a Santa Maura la divisione Acqui viene sostituita da truppe della divisione Casale; anche Zacinto viene lasciata dalle truppe della Acqui, tuttavia non è rimasta documentazione sul presidio che si arrese ai tedeschi già la mattina del 9 settembre 1943.

Complessivamente, entro l'8 settembre 1943, affluiscono a Cefalonia le seguenti unità:

- da Corfù il comando divisione Acqui, la 33^ compagnia cannoni da 47/32 e il I gruppo da 100/17 del 33° artiglieria, la 31^ e la 33^ compagnia del genio, la 44^ sezione sanità, la 5^ sezione sussistenza;

- da Zacinto e Santa Maura il 317° fanteria;

- i seguenti reparti di Corpo d'Armata di nuova assegnazione: il 94° gruppo da 155/36, il 188° gruppo da 155/14, la 158^ e la 215^ compagnia lavoratori;

- i reparti della marina con tre pezzi da 152 e tre pezzi da 120;

- i reparti tedeschi del 966° reggimento granatieri da fortezza (battaglioni 909° e  910°), una batteria del 201° gruppo semoventi.

Il 20 giugno 1943, vi è il passaggio del comando della divisione da Chiminiello ad Antonio Gandin, che dopo aver coordinato la segreteria di Badoglio dal 1938, dal dicembre 1940 aveva diretto l'Ufficio operazioni del Comando supremo, collaborando col capo di Stato Maggiore Cavallero e svolgendo compiti di ispezione al fronte e di collegamento con i comandi tedeschi, con i quali aveva ottimi rapporti e da cui aveva ottenuto la Croce di ferro di I^ classe. Non è escluso che il trasferimento da Roma sia stato deciso per allontanare dallo Stato Maggiore un ufficiale conosciuto come filotedesco nel momento in cui l'Italia si preparava a sganciarsi dall'alleato. Il 15 agosto i comandi di Corfù e Cefalonia vengono separati, il primo sottoposto alle dipendenze del XXVI corpo d'armata di Della Bona, con sede a Ianina, mentre l'altro (con le truppe di Santa Maura) passa al comando dell'VIII corpo d'armata di Marghinotti, con sede ad Agrinion. Ambedue i corpi d'armata appartengono all'XI armata mista italo-tedesca, comandata da Carlo Vecchiarelli, con sede ad Atene, e da von Gyldenfeldt, con sede a Salonicco.

6.6. Soldati e ufficiali della divisione Acqui

Giorgio Rochat, in uno studio dedicato a "La divisione 'Acqui' nella guerra 1940-1943", parla della Acqui come "di una divisione qualsiasi, rappresentativa della media delle qualità e dei difetti dell'esercito"; essi se "scelsero di resistere anziché arrendersi, non erano eroi o soldati selezionatissimi, bensì soldati 'qualsiasi', non diversi dalla massa dei soldati italiani, che essi pure avrebbero scelto di resistere anziché arrendersi, se le circostanze lo avessero loro permesso".

Dopo il duro impegno dell'inverno 1940-41 nella campagna di Grecia, che aveva comportato, soprattutto per i reparti di fanteria, perdite consistenti, solo in parte compensate dai nuovi arrivi di soldati con scarso addestramento e di ufficiali in genere di prima nomina e perciò inesperti, nei 28 mesi di occupazione delle Isole Ioniche gli uomini della divisione ebbero poche occasioni per ricostruire lo spirito combattivo e l'efficienza che avrebbero dovuto essere caratteristiche di un reparto operativo. Per parecchi aspetti, l'occupazione italiana di Cefalonia poteva sembrare, se si eccettuano le condizioni generali di un esercito occupante e in stato di guerra, quasi una vacanza.

Anche se può sembrare strano, abbiamo pochi dati certi sulle caratteristiche anagrafiche degli uomini della Acqui. Anche i numeri e le notizie sui morti sono largamente incompleti. Negli archivi rintracciabili presso l'Ufficio storico dell'Esercito troviamo delle informazioni parziali e difficilmente utilizzabili; i dati sui caduti della divisione si riferiscono al periodo 1940-1947, dai tabulati i morti risultano essere 4.629, una cifra non corrispondente al totale effettivo; inoltre la data della morte è poco affidabile. Rochat ha lavorato soprattutto sui nominativi dei caduti del 17° reggimento fanteria, da cui si possono trarre alcune indicazioni orientative. In maggioranza essi hanno tra i 25 e i 30 anni; la distribuzione geografica riguarda un po' tutto il Paese, con una prevalenza dell'Italia settentrionale, col 58%, e della Lombardia in particolare, col 29%, mentre dall'Italia centrale proviene il 12% del totale e il 30% dal Sud e dalle Isole; numerosi sono i militari provenienti dal Veneto, dall'Emilia Romagna, dal Lazio, dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia; la provincia più rappresentata risulta essere Cremona, col 13% dei caduti, seguita da Brescia, Trento, Verona, Parma, Milano, Avellino, Frosinone, Cosenza; i tre quarti dei caduti proveniva dalla campagna.

Tra le testimonianze più interessanti e vive sul morale e sui comportamenti dei soldati vi è quella di padre Romualdo Formato, cappellano del 33° reggimento artiglieria dal 1940 e testimone della strage di 129 ufficiali della divisione il 24 settembre 1943. In varie lettere e nella sua memoria su "L'eccidio di Cefalonia", pubblicata nel 1946, egli ci dà numerose indicazioni. In una lettera del marzo 1943, riferendosi ai "suoi ufficiali e artiglieri", sottolinea che l'eroismo e il senso del dovere che li animava nei mesi della campagna sul fronte greco-albanese abbiano ceduto il posto "a un nervosismo diffuso, a uno scoramento progressivo, a una stanchezza quasi generale e, cosa da meditare seriamente, a un serpeggiamento, non sempre latente, di idee antipatriottiche, di simpatie comunistiche e di propositi disfattistici". Padre Formato ricorda i casi di autolesionismo, di pazzia e i suicidi, quattro, che si sono verificati nei due anni di occupazione, mentre erano stati assenti durante le operazioni belliche; stessa cosa per le diserzioni, di cui qualcuna per passare "nelle file dei ribelli locali". Particolarmente significativa è la notizia di quanto fosse diffusa la malaria tra la truppa: in certi reparti il 90% degli effettivi era stato colpito dalla malattia, che era fortemente debilitante e che, in aggiunta alle carenze dell'alimentazione, rendeva particolarmente difficoltosa qualsiasi attività; per i malarici non vi era licenza di convalescenza né rimpatrio, essi erano comunque assegnati a compiti assai faticosi e impegnativi, a volte di difesa territoriale, come guardia a ponti e presidi minori; da altre fonti sappiamo che la media giornaliera dei ricoverati negli ospedali superava i 2.000 casi.

Anche la scarsità del vitto è ragione di debilitazione. Dice Formato: "Specialmente di questi tempi, il soldato - tra marce, lavori pesanti di postazioni, creazioni di caposaldi, costruzione di strade, di reticolati, eccetera - lavora pesantemente. Lavori faticosissimi, tra cui la lotta con la viva roccia, spesso a forza di sole braccia, senza l'aiuto di mine. [...] Ma il buon soldato nostro lavorerebbe sempre volentieri, se mangiasse adeguatamente. E invece riferisce che, spesso, il cosiddetto surrogato del mattino è acqua sporca e gli altri due ranci della giornata sono brodaglia, nella quale affoga avidamente la pagnotta di pane della sua spettanza. Ecco perché, quando lavora, accusa spossatezza, mal di capo, vertigini... E, se parla, non è creduto!". La situazione è peggiorata dalle differenze di trattamento tra ufficiali, sottufficiali e soldati: questi ultimi consumavano il rancio nelle gavette all'aperto, gli altri nelle mense separate.

Altro motivo di malumore è la gestione delle licenze. Nel reggimento di padre Formato, su 2.148 uomini, 598 non usufruivano della licenza da tre anni, 450 da due anni. In parte questa situazione è causata da problemi di trasporto o da difficoltà e incapacità organizzative; ma si tratta anche di un problema "culturale": i comandi non tengono in conto le esigenze della truppa, benché questo disinteresse si ripercuota pesantemente sul clima di fiducia e di collaborazione dei soldati. Al contrario, le licenze sono sicuramente garantite agli ufficiali superiori, sono più irregolari per quelli inferiori. Fino al 1941, inoltre, per gli ufficiali era garantita la licenza straordinaria per sostenere gli esami universitari, fatto che sicuramente provocava il risentimento dei più. A proposito di licenze straordinarie per gravi motivi di famiglia o per matrimonio, sempre Formato afferma che "il soldato che torna dal matrimonio, torna più sereno, più soddisfatto, più serio, più legato d'affetto alla sposa lontana, più disposto a fare economia del suo denaro, più dedito al suo dovere e più alieno dal rovinarsi moralmente e fisicamente nei postriboli". Evidentemente il Comando divisionale era d'avviso contrario.

Ad acuire questo disagio generale, contribuisce, nel corso del 1943, l'imposizione ai reparti di stanza nelle isole di un "clima di guerra" che dia alle truppe "la convinzione di trovarci in guerra guerreggiata, data l'eventuale possibilità di essere attaccati, in qualunque momento, dal nemico". Ciò comporta il divieto di libera uscita, la rinuncia al riposo periodico, festivo e domenicale, addirittura la rinuncia alla messa, che in questo clima forzato di mobilitazione potrebbe apparire come un momento di aria. Gli stessi ufficiali, spesso, sono incapaci di graduare impegni e punizioni e di applicare con elasticità ordini che finiscono con aggravare pesantemente le condizioni di vita dei soldati. Sempre Formato: "Tutto ciò provoca un nervosismo dilagante. Spesso l'ufficiale non sa comprendere e non sa compatire. Calca, invece, la mano dinanzi a qualunque mancanza, anche di poco conto. Il soldato punito considera, al tempo stesso, la sua vita di indefesso lavoro, giudica sproporzionata la punizione (almeno in relazione al suo rendimento), si demoralizza, si disamora del suo dovere, freme e impreca quando non si accende addirittura di odio per il suo superiore. Spesso gli è praticamente negata ogni discolpa. Non di rado si vede umiliato da qualche superiore con titoli infamanti...". 

Conclude Rochat: "Gli uomini della divisione Acqui non erano eroi senza crisi né dubbi. Erano soldati stanchi di una guerra che non capivano, logori per le dure condizioni di vita, obbedienti malgrado malumori e risentimenti non privi di base. Ciò nonostante nel settembre 1943 rifiutarono la resa con una straordinaria prova di dignità e di speranza".