Carissime compagne, carissimi compagni,
abbiamo deciso, come Struttura di Comparto dei Dirigenti Scolastici della FLC Cgil, di concentrare quest'anno la nostra attenzione sui tempi della scuola e sull'uso del tempo nella scuola da parte dei suoi operatori.
Inevitabilmente parleremo dei problemi che assillano la scuola e che assillano noi che siamo parte, diremmo carne e sangue, della scuola.
Come sempre, ne siamo sicuri, come è avvenuto nelle altre occasioni di incontro, grazie all'ospitalità dei nostri compagni umbri e, soprattutto, alla presenza dei valorosi relatori che hanno risposto positivamente al nostro invito, come sempre, sapremo offrire spunti di riflessione e di meditazione per corroborarci nella conduzione quotidiana delle scuole e per vederci più chiaro in una fase che certamente non è delle più radiose dopo la catastrofe elettorale del 14 aprile..
I tempi della scuola, dunque.
Potrà sembrare banale, ma, a nostro parere, non lo è, affermare che i tempi della scuola dovrebbero essere, oggi più che mai, tempi autodeterminati ed autocentrati. Tempi protetti. E cerchiamo di vedere perché.
I tempi presenti sono i tempi del consumo
Gli studiosi che oggi si soffermano a pensare i caratteri della società attuale concordano su questo unico punto: nelle società avanzate prevalgono le ideologie e le culture del consumo, determinando comportamenti eterodiretti e compulsivi che portano allo svuotamento di senso e alla perdita del sentimento di futuro.
Valgano per tutti le riflessioni di Zigmunt Bauman sulla società liquida, o di Emanuele Severino sul predominio dell'apparato tecnico-scientifico che ha come unico scopo il potenziamento di se stesso, lasciando alle grandi narrazioni che tentano di inquadrare la realtà (la religione, la rivoluzione, il capitalismo) l'illusione, ma è solo un'illusione, di utilizzare la scienza e la tecnica per i propri fini.
E', oggi, dunque, il tempo del consumo, il tempo dell'eterno presente, dove passato e futuro sono fastidi, quasi inutili fatiche, perché è fatica studiare il passato, è fastidio pensare e progettare il futuro.
Noi non pensiamo di essere dei vetero materialisti, se affermiamo che la scissione della persona in produttore e consumatore, che il pensiero unico ha imposto in occidente e si illude di imporre in tutto il mondo è, fondamentalmente, falsa. Ed è una nuova ideologia che porta con sé deresponsabilizzazione e perdita di senso. Noi rimaniamo convinti, invece, che l'uomo è tale in quanto produttore, e che il suo stesso consumo è determinato dal modo di produzione: il consumo è parte della produzione e non viceversa.
Cosa ha che fare tutto ciò con il nostro discorso ?. E' molto semplice.
Il pensiero dominante, che come diceva qualcuno, è sempre quello della classe dominante, il pensiero dominante di oggi ci vuole consumatori spensierati, consumatori di prodotti, consumatori di tempo libero, consumatori se non dissipatori
della natura, appropriatori dei beni comuni. Magari anche superficiali consumatori d'arte.
Noi non dobbiamo pensare, non dobbiamo avere ruolo dentro la società, dobbiamo avere un posto, forse sì, ma un posto senza potere e senza senso, dove siamo un numero e non una persona.
Belle riflessioni su questo terreno ci vengono consegnate da Raffaele Simone in una recente pubblicazione in cui si conia la metafora del "mostro mite", dell'entità benefica che chiede solo delega ad occuparsi di tutto. Al tutto penserà lui, mostro mite, che si terrà l'attivismo e la scelta perché all'individuo spetta solo il consumo e la passività beota di una vita di consumo felice.
Noi oggi abbiamo nel nostro bello e patetico Paese, soprattutto dopo il 14 aprile, una incarnazione del mostro mite che ci vuole passivi nel pensiero e consumatori nella società, perché al resto penserà lui.
Riflessioni diventate attuali oggi, avverte Simone, ma riflessioni non sue, bensì anticipate nientemeno che da Tocqueville e da quello straordinario e laico profeta che fu il Pasolini degli anni 70.
E in questo quadro noi abbiamo la dolorosa sensazione che questo tipo di pensiero chiede a noi, gente di scuola, solo questo: costruiteci delle persone che abbiano l'età mentale dei dodicenni, che non pensino, che consumino, che siano felici di farlo delegandoci le scelte su come si produce, su come si consuma, su come si vive.
I tempi della scuola non sono i tempi del consumo
Ma ecco !, i tempi della scuola non sono i tempi del consumo, stridono ed entrano in contraddizione con i tempi della società, se i tempi della società sono quelli del consumo, cioè del presente, e non del passato e del futuro.
Sono precisamente altri, i tempi della scuola, perché la scuola è il luogo dove si ri/costruisce il passato, e si ri/costruisce continuamente l'epistéme per progettare il futuro.
Sentiamo che i figli del popolo che ci vengono consegnati a scuola, se biologicamente sono figli di genitori ansiosi del loro futuro, culturalmente sono figli di genitori che alla scuola non chiedono sapere e senso, ma un bollino di frequenza per riscuotere un tagliando di immediato realizzo. In questo senso è come se avvertissimo che quell'ideologia sia ormai passata a livello di massa e prema su di noi dissestando il nostro equilibrio professionale, se non addirittura esistenziale.
E allora ? Che diciamo ? Diciamo che la società non ci capisce ? Che facciamo ? Gettiamo la spugna ?
No. Piuttosto che passare il tempo a prendercela con i giovani e le famiglie che non ci capiscono più, e che non hanno idea della scuola e della fatica che essa implica, dobbiamo ripensare il nostro modo di essere. Sapendo che, in questa fase storica, contrariamente ad altre fasi, vi è certamente uno iato fra scuola e società. E non è affatto detto che tale iato sia solo negatività. Anzi, può essere interpretato come quella intercapedine che ci consente, capito lo spirito del tempo, di salvaguardare la nostra autonomia, la nostra soggettività di edificatori di teste ben fatte.
Non sarebbe male che facessimo passare un po' di tempo in formazione a noi stessi e ai nostri insegnanti per parlare di queste cose, per metterci in grado di capire i sommovimenti sociali che percorrono, sotto pelle, la società e la gente del nostro tempo.
Capito questo, allora potremmo adeguare i nostri tempi, sapendo che in ogni caso non dobbiamo assecondare, proprio in quanto persone di cultura e di scuola, ideologie che, per quanto accettate dalle masse, alla fine sono la negazione del nostro mestiere e della nostra missione.
I tempi della scuola non sono i tempi della politica e dell'economia
Purtroppo, ahimè, il tempo del consumo e della dissipazione si è impadronito non solo dell'economia e della finanza, ma anche della politica e delle istituzioni che presiedono alle scelte riguardanti l'interesse generale. Ora, che questo avvenga nelle sfera dell'economia, non è per noi sorpresa. Anzi, sappiamo che quella cultura dell'immediato realizzo, del cliente e dei bisogni costruiti per incrementare indefinatamente il ciclo e aumentare la produttività a proprio favore, è la struttura portante del sistema dell'appropriazione privata della ricchezza.
Ciò che non va proprio è che anche la politica sia diventata totalmente subalterna a quell'ideologia, tanto che ormai essa non riesce a concepirsi fuori dall'amministrazione delle novità che l'economia determina. Perfino gli stati, si dice, hanno perso sovranità rispetto alla finanza e ai proprietari globali.
Ma per noi della scuola ciò è stato tragico, perché i governi della scuola, da quello morattiano certamente, a quello fioroniano per altri versi, si sono lasciati guidare dai tempi dell'immediatamente spendibile nel mercato della politica. E allora abbiamo assistito all'assecondamento della pulsioni più negative della società: pensiamo all'inasprimento delle sanzioni disciplinari nei confronti dei docenti e degli alunni, alla reintroduzione dei trasferimenti d'ufficio per i Dirigenti Scolastici, ai progetti inutili imposti quale quello delle scuole aperte, al ripristino degli esami di riparazione che, pur rispondendo ad una esigenza reale di rigore e serietà, ha interrotto il cammino positivo di sperimentazione dell'elevamento dell'obbligo di istruzione e ha mostrato un volto punitivo nei confronti dei Dirigenti Scolastici delle superiori.
I tempi della scuola sono i tempi dei bambini e degli adolescenti del nostro tempo
I nostri tempi, invece, intendiamo dire i tempi della scuola e dei suoi operatori, rispondono ad altre logiche. Sono precisamente i tempi dei bambini e degli adolescenti.
Ma, attenzione !, sono i tempi dei bambini e degli adolescenti del nostro tempo. Ad esempio non sono nemmeno i tempi del bambino e adolescente Daniel Pennac, oggi ultrasessantenne, che nel suo "Diario di scuola" ci ha confessato che lui era un somaro e pluripetente e ha avuto bisogno di un tempo lunghissimo per sbocciare al sapere e diventare addirittura uno scrittore di romanzi di letteratura francese. E lui era un somaro con alle spalle una famiglia di intellettuali e benestanti che lo hanno preso in giro sì, per la sua somaraggine, ma non lo hanno preso a botte o mandato a lavorare come sarebbe toccato a ragazzi di altre famiglie. I tempi, i tempi distesi…questo sembra essere il messaggio del Diario di Pennac
Dobbiamo, infatti, necessariamente convenire che i ragazzi di oggi hanno altre sensibilità e altre durezze, altre forze e altre fragilità, altri ritmi e altri ambiti rispetto a quelli delle generazioni passate.
E dobbiamo convenire che la famiglia non ce la fa. Che, dunque, rimaniamo solo noi, la scuola.
In fondo è questo il messaggio che ci sentiamo di accettare da un bel libro che abbiamo letto di recente scritto da Umberto Galimberti, "L'ospite inquietante". E' l'unico messaggio che, per quanto duro, perché detto con eccessiva durezza e perché tendenzialmente si mette l'insegnante troppo facilmente sul banco degli accusati, nella società di oggi forse è l'unico possibile. Il filosofo ci bacchetta troppo e troppo ingiustamente, ma nel fare ciò quasi ci chiede aiuto, perché non trova altri, in quanto inesistenti, come bersagli, a cui rivolgere i suoi strali. Lo vogliamo prendere come un bellissimo complimento, per noi.
E dobbiamo attrezzarci. Non ci aiuta nessuno. Anzi, diciamo meglio: una mano la chiediamo ai nostri partiti e al nostro Sindacato, chiediamo cioé di muoversi con 3
determinazione nella direzione giusta. E in questo saremo aiutati, lo speriamo vivamente, anche se dipende anche da noi, da quanto cioè ci faremo sentire.
Quello che però nessuno ci potrà dare sarà sicuramente lo sforzo per elevare la qualità dell'esercizio della nostra professionalità.
Dobbiamo cioè sapere che noi dobbiamo fare la differenza, dobbiamo cioè dimostrare che le nostre azioni sono il valore aggiunto che farà la differenza. Proviamo a pensare per un momento, solo per un momento, che tutto il resto è variabile ininfluente:risorse, contratti, leggi, famiglia, società non contano niente. Siamo solo noi, Dirigenti Scolastici, docenti, ata, a mani nude, a dover fare la differenza.
Tanto – lo sappiamo – i dati Ocse ci dicono che i nostri ragazzi in Italia vanno bene a scuola se hanno una famiglia forte alle spalle e se hanno una società forte alle spalle, vanno bene nel nord est, vanno male a sud. Il nostro compito è quello di colmare queste differenze
Organizzazione, flessibilità, relazionalità.
E allora quale organizzazione, quale relazionalità, quali attività ? Ci saranno le relazioni specifiche a trattare di ciò. Noi ci limitiamo a dare qualche cenno di quel che pensiamo il Convegno debba affrontare.
L'autonomia organizzativa, ad esempio. E' proprio ineluttabile che ci si debba sdraiare sugli stanchi rituali dei consigli di classe, inconcludenti e ininfluenti e che di tutto parlano e di niente parlano, dal momento che l'autonomia ci consente di convocarli solo se servono a deliberare qualcosa ? Siamo proprio sicuri che le riunioni mensili, bimestrali o quadrimestrali siano proprio indispensabili se solo devono essere fatte per discutere genericamente dell'andamento della classe ? O forse non è più coerente con il complesso del nostro lavoro fare riunioni di inizio e fine anno e solo riunioni dedicate utilizzando il tempo liberato per incontri con gli alunni e per le loro specifiche esigenze ? E, se necessario, con le famiglie sempre in relazione a specifiche esigenze ?
A noi sembra sia venuto il momento di rivedere anche la rigidità della quantificazione oraria delle attività funzionali e su questo dobbiamo interpellare con maggiore forza il nostro stesso Sindacato sul versante contrattuale.
Ed è vero o no che è del tutto assente nella nostra pratica uno spazio di interlocuzione diretta e confidenziale fra docente e discente, al di fuori della recita che viene quotidianamente fatta per cinque ore almeno davanti alla pubblica scena della classe ?.
Ogni docente dovrebbe essere tutor di ogni allievo sia, soprattutto, di quegli allievi che mostrano difficoltà, sia di quegli allievi che mostrano di sapere correre di più. Allievi diversi che, se sono in difficoltà – questo dovremmo dare per scontato – lo sono non perché semplicemente non studiano o non si impegnano ma perché evidentemente affrontano lo studio con altri ritmi, altro passo, altra applicazione perché mille e diversi sono i motivi non puramente scolastici che portano a questo. E noi li dobbiamo conoscere questi motivi. Ma per conoscerli dobbiamo affinare e approntare strumenti di indagine e di interlocuzione, spazi di indagine e di interlocuzione, che oggi semplicemente mancano e che noi non ci sforziamo di immaginare.
Diamo uno sguardo alla flessibilità. Non possiamo fare a meno di chiederci se le opportunità offerte dall'autonomia circa la diversa scansione dell'anno scolastico, la diversa declinazione del curriculum, la riduzione o crescita del 20% delle attività sia qualcosa di realistico e di necessario da praticare oppure è una opportunità inutilmente concessa perché la scuola non ne ha bisogno.
Ecco, su questo punto la pensiamo nel modo seguente. Ci veniamo convincendo che l'incremento di alcune attività a scapito di altre non sarà mai praticabile nella nostra scuola, dal momento che nessun docente cederà mai le sue discipline a favore di altre essendo ciò interpretato come una cessione di sovranità e un'ammissione di secondarietà da parte della materia recessiva. Per cui l'ampliamento dell'offerta
formativa e la variabilità del 20% per una classe intera o per classi intere incontrerà ostacoli insormontabili tanto da convincerci a dire che o alle scuole si dà la possibilità di ricorrere ad una quota di personale aggiuntivo oppure tale variabilità può essere praticata solo nella forma dell'interruzione generalizzata del cosiddetto programma oppure non se ne farà nulla . E tuttavia pensiamo che la variazione del 20% del curriculum sia oggi praticabile dentro il monte ore dato, se questa modalità si esercita su gruppi di alunni, anche di classi diverse, con scambio di ore fra le materie in cui alla fine nessuna disciplina ha ceduto nulla sia sul piano dell'immagine sia sul piano della sovranità reale.
Ricerca e sperimentazione, formazione.
Vogliamo parlare anche di sperimentazione e ricerca ? Da tempo stiamo predicando che questa dimensione dell'autonomia è la più trascurata o addirittura ignorata. Ma perché questo avviene ? A nostro parere questo avviene perché continuano a prevalere i formalismi e i vuoti del rituale. Se si libera il tempo del docente dalla gabbia del finto collegiale per impiegarlo invece non solo nella relazionalità, di cui si diceva, ma anche nel "collegiale sperimentale" e nel "collegiale di ricerca" che parte dallo studio collettivo delle proprie azioni per trovare il piacere del confronto e della compartecipazione al successo che si raggiunge, forse potremmo recuperare questa dimensione che è propria dell'autonomia.
Dello stesso spessore e forse di maggiore drammaticità è la questione dell'aggiornamento del personale. Dobbiamo dire che il CCNL della scuola ha fatto su questo versante dei passi in avanti, ma permangono delle ambiguità che tuttora consentono a larga parte della docenza di rifiutarsi all'aggiornamento e alla formazione.
Se ne esce, a nostro parere, se si crea da un lato un obbligo legato anche al riconoscimento di carriera ma se ne esce anche e soprattutto se noi riusciamo a connettere i processi di formazione a esigenze reali che scaturiscono dalla sperimentazione e dalla ricerca che si pratica nei collettivi di scuola.
La riforma delle riforme: un Ministro "recessivo"
Come si vede, lo sforzo che noi vogliamo fare è quello di parlare a noi, e soprattutto di fare, noi, delle cose, ad ordinamento dato.
Senza tacere però che la politica deve fare quello che deve fare e che non fa da decenni. Ad esempio la chiarificazione definitiva sugli Organi collegiali, per eliminare ciò che oggi è di ostacolo alla snellezza delle decisioni e all'efficienza del servizio. Ad esempio la definitiva provvista certa delle risorse finanziarie portando a compimento il cammino avviato con i capitoloni. Ad esempio le grandi chiarificazioni sulla secondaria superiore e sull'innalzamento dell'obbligo d'istruzione nonché sul ripristino degli esami di riparazione che onestamente a noi non sembra la soluzione del problema dei debiti formativi che pure c'è. Ad esempio una buona legge sull'istruzione e la formazione (non la chiamerei educazione) degli adulti, che tanti positivi effetti potrebbe avere contro la stessa dispersione scolastica.
Ma se c'è una cosa che proprio desidereremmo è la recessività del Ministro della Pubblica Istruzione. Vorremmo un Ministro recessivo, nel senso che esso dovrebbe recedere, cedere man mano terreno su tutto quello che alle scuole compete. Parliamo della recessività del Ministro piuttosto che del Ministero perché siamo arrivati alla convinzione che non è più soltanto l'apparato ministeriale a costituire problema, ma è il "politico" che, arrivando alle stanze di Viale Tastevere, si lascia prendere dal delirio di voler giocare con i 42000 punti di erogazione del servizio scolastico dettando, per questa via, al Paese, le sue idee.
Maestri in questo, a diverse gradazioni, sono stati la Moratti e il Fioroni. Della prima abbiamo l'imbarazzo della esemplificazione. Del secondo abbiamo ricordato e citiamo 5
ancora il progetto "scuole aperte", l'intervento sui debiti formativi, la lettera di minacce ai Dirigenti Scolastici sullo stesso tema, gli improvvidi interventi sui debiti delle supplenze.
E anche qui, è sempre una questione di tempi, cioè della invincibile pulsione del Ministro a sovrapporre i suoi tempi ai tempi della scuola.
E allora sogneremmo un Ministro "receduto" – si badi! Non abbiamo detto deceduto, ma receduto – perché allora vorrebbe dire che finalmente si sta applicando l'autonomia che significa poi tre semplici cose: 1) che il Ministro dia le risorse umane e materiali al 1 settembre di ogni anno tali da mettere le scuole nelle condizioni di assolvere ai compiti di assicurare i Livelli Essenziali di Prestazione; 2) che il Ministro fissi una volta per tutte gli obiettivi e declini gli standard; 3) che alla fine di ogni anno l'Invalsi faccia le sue verifiche ai fini degli interventi compensativi e non punitivi come prevede la legge istitutiva cosiddetta Bassanini. E la si finisca qui.
Una scuola liberata da "oneri amministrativi" impropri
E confessiamo di avere anche nel nostro cassetto il sogno di una scuola liberata da incombenze non sue. Ne abbiamo parlato già l'anno scorso. Ne riparliamo ancora perché il cammino è lungo. Anche per dire che la nostra denuncia e la nostra battaglia, iniziate anche da qui, da Orvieto, non sono state inutili. Anzi, esse hanno portato a liberarci della Tassa sui rifiuti solidi urbani, ma esse si inquadrano in una iniziativa molto più ampia che ha come obiettivo quello di depurare l'autonomia da scorie e improprietà che interessatamente le sono state attribuite: dalle ricostruzioni di carriera alla formulazione delle graduatorie, dal pagamento delle supplenze al pagamento delle mense, dagli appalti dei servizi alle pratiche di pensionamento.
Dobbiamo liberarcene per restituire alle scuole la specifica funzione per cui è nata: cioè erogare servizio di qualità di istruzione agli alunni e alla popolazione e non servizi amministrativi al personale. Tanto più ciò deve avvenire quanto più si è tagliato e si taglia sul personale Ata considerato a torto un elemento di risulta nelle scelte degli amministratori. Ma di ciò parlerà con maggiore dettagli e competenza Annamaria Santoro.
L'Associazione delle scuole autonome
Pensiamo che un altro importante strumento possa essere costituito per consentirci di fare dei passi in avanti sull'autonomia scolastica. E questo strumento è la costituzione delle Associazioni delle scuole autonome. Anche questo tema ha avuto qui, ad Orvieto, un suo inizio l'anno scorso, per quanto ci riguarda. Il tema fu dibattuto in questa stessa sala a maggio del 2007 e vide la partecipazione di molti interlocutori, fra cui i Presidenti delle Associazioni delle scuole piemontesi e lombarde. Quella nostra scelta ha fatto strada e soprattutto sta facilitando il cammino verso la costituzione sul piano regionale e nazionale delle associazioni. Sapete che il 28 marzo a Milano è ripartito un convoglio che ci può portare lontano. Noi lo vogliamo ricordare qui per esortare i nostri Dirigenti Scolastici a spendersi in questo progetto e a dedicarsi, coinvolgendo le comunità scolastiche, alle costruzione delle Associazioni di livello locale e regionale (per poi arrivare al coordinamento nazionale).
Il tempo stringe: la conferenza delle regioni e delle Province Autonome si è data la scadenza del 1 settembre 2009, a norma del nuovo Titolo V della Costituzione, per portare a termine le azioni che attribuiscano l'intera sovranità nella gestione del personale, delle risorse, della programmazione dell'offerta formativa e del 20% del curriculum. Quella data, così la pensiamo, deve essere anche la nostra data, per una avvenuta costituzione delle scuole associate che abbia voce in capitolo su curriculum, crediti, certificazioni, risorse, standard e quant'altro si muoverà nel panorama delle politiche scolastiche nel nostro Paese.
Pensiamo, a questo proposito, che nel lanciare le azioni della fase costituente delle associazioni, con relativo appuntamento nazionale, manifesto e legislazione di sostegno, le scuole dovrebbero esaltare la propria dimensione comunitaria e sociale adottando lo strumento della rendicontazione e del bilancio sociale. Sarebbe esso un biglietto da visita formidabile, una sfida di qualità e di apertura che potrebbe contribuire a fare accettare la nostra proposta perfino a quei soloni del giornalismo italiano che un giorno sì ed uno no ci propongono come modello il liceo della loro dorata e classicheggiante adolescenza quando si portava la brillantina in testa e a scuola ci andavano solo loro, i figli delle classi dominanti.
Care compagne e cari compagni,
ci avviamo alla conclusione. Non senza però dire qualcosa di noi, di noi Dirigenti Scolastici. E le considerazioni che vogliamo fare sono le seguenti.
La leadership. Il Contratto della Dirigenza Scolastica
Nell'esperienza accumulata in questi ultimi anni abbiamo constatato un fatto che ci riempie di soddisfazione.
E il fatto è che nelle metaforiche stanze, che il mestiere di sindacalista ci ha portato a frequentare, ovviamente le stanze sindacali, ma anche quelle ministeriali, quelle dei partiti, quelle dell'Aran, abbiamo come sentito un cambiamento di umore e di considerazione nei nostri confronti, nei confronti cioè della dirigenza scolastica.
Forse ci sbaglieremo, ma non abbiamo avvertito più quella supponenza, quella sufficienza, quel dare continuamente buoni consigli a cui eravamo abituati ogni volta che ci confrontavamo con i nostri interlocutori. Fossero essi Dirigenti o impiegati del ministero, fossero essi negoziatori dell'ARAN, fossero essi anche talora Dirigenti e militanti sindacali. Certo, non vediamo comprensione o pietas, nel senso di compartecipazione e pathos per una fatica difficile e riconosciuta, questo no, non siamo a questo, ma un rispetto, una considerazione, un ascolto sì, questo cominciamo a vederlo.
Ci stiamo convincendo che la nostra figura non viene più percepita come una sorta di super impiegato di stato, che dirige la scuola perché qualcuno che regge la baracca ci deve pur essere; ma finalmente viene percepita come un soggetto autorevole, che se non ha tutti quei poteri di cui qualcuno favoleggia, tuttavia ha responsabilità, affidabilità, autorevolezza, ha dimensione sociale oltre che funzionariale.
Dipenderà, vogliamo credere, anche da come ci siamo sforzati di far vivere fra i colleghi e fra la gente la nostra funzione: la funzione di un Dirigente che regge complessi di centinaia di alunni, di centinaia di addetti, di numerosi edifici, di Dirigente anche comunitario e sociale per la sua esposizione al quartiere, alle istituzioni, ai media, alle forze produttive. L'unico Dirigente che l'onere della negoziazione contrattuale.
Da ciò anche traiamo la convinzione che non vi è più nessuno che osa mettere in questione il nostro buon diritto ad avere quella valorizzazione economica che, come minimo, come minimo, deve accedere al livello delle altre Dirigenze.
Ci sentiamo di poter dire che, nella costruzione faticosa di un percorso di riconoscimento del nostro valore, abbiamo travolto qualsiasi resistenza di tipo ideologico che finora ha impedito il risultato.
L'ordine del giorno parlamentare unitario, di maggioranza ed opposizione, del 19 novembre 2006, in occasione della discussione della legge Finanziaria 2007, accolto come raccomandazione dal Governo; l'incontro con il Ministro della Funzione Pubblica Nicolais il 31 ottobre 2007 e con il Vice Ministro Bastico del 15 novembre dello stesso anno; l'impegno a costruire un tavolo tripartito che porti alla soluzione del problema entro il quadriennio contrattuale 2006-2009, sono per noi punti di non ritorno che
anche questo Governo dovrà fare propri. Non vogliamo ricominciare tutto daccapo. Noi il nostro cammino o abbiamo fatto e non volgiamo essere recessivi.
Orgogliosi di noi stessi, di quello che abbiamo fatto e di quello che facciamo e faremo, vogliamo esprimere un auspicio, che personalmente sentiamo come certezza: sia sul versante professionale con le acquisizioni che matureremo nel Convegno di queste due giornate, sia sul versante sindacale e contrattuale porteremo a casa i risultati.
Confortati anche dal fatto che la FLC Cgil ha visto in questi ultimi anni un consistente afflusso di nuovi ingressi tra le sue fila provenienti dai vincitori di concorso ordinario e riservato. E altri ne aspettiamo.
A questi nuovi colleghi innanzitutto, ma anche a tutti noi, l'augurio del buon lavoro e di un buon soggiorno, insieme, in questo bellissimo sito di Orvieto.
Roma, maggio 2008