I venditori di mappe e la ricerca del significato


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Mappe e territori

 

I venditori di mappe e la ricerca del significato

 

di Filippo Trasatti

 

 

«Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città. Un dedalo di stradine e piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di sobborghi con strade diritte e regolari, e case uniformi». (Ludwig Wittgenstein )

 

 

1. Alberi, territori, mappe

2. Mappe e territori

3. Un modello di organizzazione della conoscenza

4. Costruzione dei concetti          

5. Alberi e affini

6. La questione delle connessioni

7. La conoscenza della conoscenza

8. Una versione povera del costruttivismo

9. I venditori di mappe e la ricerca del significato

10. Del buon senso delle mappe: alcune conclusioni per ripartire

 

 

1. Alberi, territori , mappe

 

Il metodo delle mappe concettuali, messo a punto una trentina di anni fa da Joseph Novak e Gowin [1] sta avendo un crescente successo, in quanto appare come uno strumento semplice e maneggevole per rappresentare la conoscenza, per stimolare processi di apprendimento e di ristrutturazione della conoscenza. In questo articolo vorrei brevemente esplorare la teoria delle mappe, la sua epistemologia di riferimento e alcuni presupposti ideologici impliciti nel lavoro di Novak che hanno a che fare con la sua concezione del costruttivismo.

In che cosa consiste propriamente una "mappa concettuale" e in che cosa differisce da altre mappe simili? Una "mappa concettuale"T, a cui è applicato il marchio [2] , è un metodo di rappresentazione della conoscenza che si basa essenzialmente su nodi e archi [3] : i primi contengono i concetti in forma sintetica, i secondi sono rappresentati da tratti non orientati che connettono i nodi.

Lo scopo è quello di organizzare in forma strutturata i concetti fondamentali che stanno alla base di un argomento, per così dire la sua struttura logica. In una breve ricostruzione storica della ricerca sulle mappe, Novak si esprime così: «Scoprimmo che le mappe concettuali erano un valido sistema per aiutare i docenti a organizzare le conoscenze per l'insegnamento e un buon metodo per gli studenti per scoprire i concetti-chiave e i principi contenuti nelle lezioni, nelle letture o in altro materiale didattico». [4]

In una forma estremamente semplificata, la mappa concettuale di questo articolo potrebbe essere questa:

 

Come si vede all'interno di questa rappresentazione (in un certo senso multimediale) vengono integrati due codici diversi, uno verbale e l'altro grafico: il primo serve a mettere in evidenza il contenuto della conoscenza, il secondo la sua articolazione.

Questa rappresentazione può essere interpretata in due modi diversi: in un senso ontologicamente forte come isomorfismo tra mappa mentale e mappa concettuale, oppure in senso strumentale, semplicemente come mezzo utile a visualizzare una certa forma di organizzazione della conoscenza.

Novak oscilla tra le due interpretazioni: le mappe possono essere interpretate come «metodo di organizzazione delle conoscenze» oppure come «rappresentazione delle conoscenze possedute dall'alunno» [5] . In entrambi i casi è implicita una teoria della rappresentazione, che potremmo definire "modellizzazione", una teoria della conoscenza, ossia una epistemologia e nel primo caso è implicita anche una teoria della mente. Su questi aspetti torneremo in seguito; per ora analizziamo meglio la metafora della mappa.

 

 

2. Mappe e territori

 

Nel capitolo intitolato "Ogni scolaretto sa che." [6] Gregory Bateson, riprendendo un principio enunciato da Korzybsky, [7] ci ricorda che «la mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata». L'accostamento non è casuale, perché entrambi sono il prodotto di un'operazione più o meno consapevole di classificazione. Una mappa non ha nulla di naturale: è un modello costituito per un certo fine, attraverso determinate operazioni cognitive.

Il concetto di modello ha molteplici significati, ma per i nostri scopi può essere definito come «una forma di rappresentazione ridotta e più o meno astratta, ma congrua con i dati ed efficace, di aspetti di realtà, preliminarmente tematizzati e/o problematizzati, da un punto di vista esplicito, più o meno formalizzato». [8] Una mappa è un particolare tipo di modello che, utilizzando la terminologia di Max Black, possiamo chiamare modello in scala. [9]

Qualsiasi modello, e dunque anche la mappa, opera una riduzione della complessità per certi fini, attraverso determinate operazioni che in questa definizione appaiono come consapevoli, ma che possono essere anche inconsci. Due brevi esempi possono chiarire questo punto.

Se, per esempio, giocando con i miei nipotini, disegno una mappa per scoprire il tesoro che si trova nascosto nella stanza, metterò in luce alcuni elementi di orientamento, in modo che possano sfruttarli adeguatamente nel gioco. Dovrò scegliere se utilizzare una pianta vista dall'alto (piuttosto astratta) oppure integrare nella mappa punti di vista diversi, con diversi oggetti riconoscibili visti frontalmente. Delle molte altre cose presenti nella stanza non mi curerò, le eliminerò consapevolmente dalla mappa, dato che potrebbero risultare fuorvianti.

Su un altro versante, quelli che Eric Berne ha chiamato "giochi" [10] nei rapporti tra le persone, sono in fondo dei modelli inconsci di comportamento, appresi nell'infanzia, che non conosciamo e sui quali non abbiamo controllo. Così abbiamo imparato a modellizzare il mondo da piccoli e ci continuiamo a comportare secondo quei modelli.

Una mappa è dunque un modello iconico e la metafora della mappa cerca appunto di farci cogliere una rassomiglianza tra i due diversi tipi di rappresentazione: come una mappa geografica ci permette di rappresentare un determinato territorio e di orientarci al suo interno, così la mappa concettuale dovrebbe consentirci di orientarci all'interno della conoscenza di un determinato argomento.

Sotto certi aspetti una mappa concettuale può essere paragonata a uno schema, una rete, un albero, ma si differenzia da tutte queste forme di rappresentazione della conoscenza proprio per l'iconicità: «costruendo un modello in scala da un lato si cerca di farlo assomigliare all'originale attraverso la riproduzione di qualche caratteristica (.) e dall'altro lato di conservare le proporzioni relative fra le grandezze pertinenti». [11]

A differenza di una mappa uno schema grafico più o meno ricco [12] , non pretende di stabilire un rapporto di isomorfismo con l'argomento rappresentato; e lo stesso vale per un albero che può essere considerato come un grafo o una rete che rappresenta invece un sistema di connessione tra nodi.

Se torniamo alla metafora della mappa e l'analizziamo meglio, vediamo che a differenza di una mappa geografica, la mappa concettuale non ha una scala, ossia non ci dice, né ci può dire così come si presenta solitamente, qual è il selettore, il sistema di riduzione utilizzato per rappresentare il territorio della conoscenza. Non per ragioni quantitative, ma anche qualitative, per il modo estremamente semplificato che ha di trattare di concetti e relazioni. La mappa concettuale non ci dice come è stato ridotto e modellizzato ciò che si dispiega nella mappa. In questo senso occulta le sue operazioni costitutive e riduttive, suggerendo fallacemente l'esistenza di una relazione di iconicità. Più propriamente si potrebbe parlare di uno schema, di un modello analogico che cerca di stabilire un isomorfismo strutturale tra l'originale e il modello: «il modello analogico ha in comune con l'originale non una serie di tratti o un'identica proporzionalità di grandezze, ma, più astrattamente, la stessa struttura o modello di relazioni. Ora l'identità di struttura è compatibile con la più ampia varietà di contenuti - donde la possibilità di costruzione dei modelli analogici è infinita». [13]

Novak torna più volte su questo aspetto: «non esiste un unico modo per disegnare una mappa concettuale. Se cambia la comprensione delle relazioni tra i concetti, cambierà anche la mappa che ne risulta». [14]

Nonostante questo la tentazione di stabilire un isomorfismo tra la mappa della struttura della conoscenza e la mappa mentale è molto forte. Nei suoi diversi usi didattici, la mappa ci dovrebbe orientare nel territorio delle preconoscenze dello studente, e dovrebbe orientare lui nell'esplorazione più sistematica di un territorio della conoscenza. Ma in che modo ci permette di esplorare il territorio?

 

 

3. Un modello di organizzazione della conoscenza

 

Esistono diversi tipi di mappe concettuali, ciascuna con peculiarità diverse. Le mappe concettualiT di Novak e Gowin partono dal concetto fondamentale che sta in alto e si ramificano poi verso il basso attraverso la rete dei collegamenti: vi sono nodi (cioè concetti) che si trovano a livelli più elevati (nella parte alta della mappa) e nodi che si trovano più in basso. Questa viene talvolta chiamata mappa ad albero, una struttura in cui i concetti sono strutturati gerarchicamente dall'alto verso il basso, attraverso vari tipi di connessione che vengono anch'esse etichettate in forma sintetica in modo da spiegare di quale connessione si tratta.

Ci sono poi altre mappe a raggiera [15] , che organizzano l'informazione dal centro alle periferie, senza dare un particolare ordine alle varie linee che si dipartono dal centro e che possono integrare all'interno diversi codici, in particolare quello iconico oltre a quello verbale. Esistono infine mappe a rete a-centrate: qui i nodi possono essere percorsi secondo traiettorie ogni volta diverse. [16]

La scelta tra i diversi tipi di mappa non è priva di conseguenze per la rappresentazione che si vuol dare.

La mappa concettuale rappresenta una gerarchia. Che cosa determina l'ordine gerarchico dei concetti? Di che tipo di gerarchia si tratta? A che serve la gerarchizzazione? Nelle indicazioni su come costruire una mappa concettuale, Novak si esprime così: «Iniziare a costruire la mappa sistemando il/i concetto/i più completo/i e generale/i in alto».

La gerarchizzazione risponde a un principio economico: secondo alcuni autori, [17] permette un migliore immagazzinamento delle conoscenze. «Un nodo concettuale alto ha associate tutte le informazioni che lo riguardano; se tale nodo è sovraordinato rispetto a un altro, questo, per definizione, possiede tutte le caratteristiche del nodo da cui discende e non è necessaria alcuna specificazione per recuperare tali caratteristiche. Basta in questo caso un semplice giudizio inferenziale». [18]

Dunque «la mappa è organizzata in base a concetti sovraordinati, in genere con un solo concetto generale, o al massimo due o tre in cima alla mappa». [19] Che cosa significa un concetto più "completo" o "generale"? Vediamo degli esempi forniti dallo stesso Novak.

 

 

In questo caso che tipo di relazioni gerarchiche si stabiliscono tra i nodi? In cima viene posto il concetto più generale o completo, /educazione/, che viene scomposto in quelli che sono, secondo Novak, i suoi elementi fondamentali, sintetizzati in cinque nodi sotto-ordinati, /insegnante/, /alunno/, /conoscenze/, /contesto/, /valutazione/, tutti posti sullo stesso piano e legati al nodo di partenza attraverso il link /→deve considerare/.

Volta a volta, sulla base di una rappresentazione logica, o di senso comune, si decide che un certo concetto stia più in alto di un altro.

C'è uno slittamento sottile, anche qui indicativo, tra una gerarchia di presentazione, una gerarchia d'ordine e una gerarchia d'importanza, tanto che nel primo caso sarebbe più opportuno parlare di successione, concatenazione che di vera e propria gerarchia. Nel nostro spazio gutenberghiano appare ovvio leggere le mappe come leggiamo le pagine da sinistra a destra, dall'alto in basso e sarebbe interessante studiare l'uso delle mappe concettuali in Cina, ammesso che le usino.

Ma poniamo di considerare un esempio di gerarchia, in realtà una tassonomia, che sembra evidente: i regni della natura sono tre, minerale, vegetale e animale. Qui abbiamo in una tassonomia che io ho studiato alle elementari, una rappresentazione del mondo filtrata attraverso le tassonomie settecentesche.

 

 

Questa tassonomia, che potrebbe benissimo apparire come una mappa concettuale, è solo apparentemente semplice ed elementare. Intanto non è più considerata valida scientificamente [20] e va riformulata distinguendo, secondo la classificazione di Whittaker, gli esseri viventi in cinque regni: monere, protesti, piante, animali e funghi.

Che cosa è accaduto nel frattempo? Si è diffusa la conoscenza del mondo microscopico e quella tassonomia macroscopica è stata messa da parte. Questo esempio ci fa comprendere come neppure una tassonomia apparentemente tanto evidente sia derivata dalla nostra enciclopedia e dunque sia il risultato di una certa rappresentazione del mondo.

Si tratterà dunque di passare dall'ontologia spontanea del bambino, per cui esistono puffi, mamma, animali, piante, cose, bu bu e persone, alla tassonomia scientifica dei tre regni. Qui la "centralità strutturale" del concetto sovraordinato è già data e non va scoperta, a meno di accettare mappe alternative del mondo.

In certi casi dunque la relazione gerarchica va dal generale al particolare, in altri casi dall'astratto al concreto e ancora, in modo più generico, dal più importante al meno importante.

Certamente la convinzione di Novak che il concetto superordinato sia più "inclusivo", non appare giustificata dagli esempi che egli stesso propone.

La relazione di "inclusione" logica o di iperonimia/iponimia [21] lessicale ha dei limiti precisi: /penna/ è iponimo di /strumenti di scrittura/, perché è vero che tutte le penne sono strumenti di scrittura, mentre è falso che tutti gli strumenti di scrittura siano penne; ciò non vale per la relazione tra /educazione/ e /contesto/ perché non tutti i contesti sono educativi.

Consideriamo un'altra mappa [22] in cui troviamo il legame: /sviluppo dell'educazione/ /→richiede/ /nuove strutture organizzative/ /→usando/ /nuove strategie di management/. Qui si suggerisce una certa interpretazione della realtà, ossia l'utilizzo di strategie di management per lo sviluppo dell'educazione. È evidente che non c'è nessun legame logico tra i nodi: c'è una lunga catena di nessi argomentativi che rimane implicita.

Altri tipi di legame sono quello causale, /→produce/, temporale /→dopo che/, avversativo /→in contrapposizione a/ ecc.

La semplice realtà è che abbiamo una molteplicità di tipi di collegamenti non classificati, e classificabili in modi diversi.

Per fare solo un esempio, uno dei sistemi di classificazione, probabilmente a molti dei lettori più familiare in quanto rappresenta uno degli inventari grammaticali appresi tra la scuola media e il primo biennio delle secondarie, è quello della sintassi che regola i rapporti tra le proposizioni a livello superficiale. Un testo può essere trasformato in una rete proposizionale [23] e i legami tra proposizioni possono essere temporali, causali, di specificazione, di modalità, di domanda-risposta, di confronto, di correzione, di contrasto e di riquadro.

Qui sta la grande produttività euristica e didattica, non sempre compresa, delle strutture di rappresentazione della conoscenza: di produrre, come in un sistema generativo, a partire da alcuni elementi di base, una logica della connessione, ma non è questo il caso delle mappe concettuali.

Si pone inoltre il problema del rapporto tra la struttura linguistica superficiale e la struttura profonda secondo la distinzione chomskyana. Quando, partendo da un testo, disegniamo una mappa concettuale utilizzando come parole-legame quelle del testo, diamo una rappresentazione sintattica e proposizionale della conoscenza. La struttura logica profonda potrebbe essere molto diversa.

Tornando a Novak, da queste analisi si può arrivare a una prima considerazione: le mappe considerate come risolutrici di problemi non sono problematizzate. Danno per scontate e superano disinvoltamente una serie di questioni che hanno occupato e continuano a occupare logici e filosofi. Di alcuni di questi problemi dobbiamo ora occuparci, perché sono strategici per la costruzione della conoscenza:

1)      il problema del concetto;

2)      il problema delle connessioni;

3)      le operazioni di costituzione della mappa.

 

 

4. Costruzione dei concetti

 

La definizione dei concetti di Novak è estremamente semplice: «regolarità percepita in eventi o oggetti, o in testimonianze/simboli/rappresentazioni di eventi o di oggetti, definita attraverso un'etichetta». [24] Questa definizione è del tutto legittima, ma siamo sicuri che non impoverisca in modo rilevante il mondo del significato?

Dietro a questa definizione del concetto c'è un'ontologia: che l'autore ne sia o meno consapevole, alla base della sua rappresentazione del concetto sta un'immagine dell'universo che ricorda (absit iniuria verbis) l'incipit del Tractatus di Wittgenstein: «1. il mondo è tutto ciò che accade. 1.1. Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose». [25] Così Novak: «L'universo è costituito da oggetti ed eventi. Gli oggetti sono composti da atomi e molecole, mentre gli eventi sono composti da oggetti e scambi di energia». [26] Se questi sono gli elementi primi dell'universo, la conseguenza di questa ontologia è che ci siano soltanto due tipi di concetto: concetti-oggetto e concetti-evento. È questo l'universo delle mappe. Un universo che non è molto lontano da quello atomistico del neopositivismo logico. C'è un mondo fatto di mattoni fondamentali e per rappresentarlo dobbiamo usare omologhi mattoni, i concetti, e la malta, ossia le connessioni. Novak usa già dei modelli teorici e una certa scala senza dichiararlo: un modello e un livello di descrizione della fisica, per altro non particolarmente aggiornato.

Ma qui mi interessa soffermarmi sugli studi più recenti (e influenti) nel campo della costruzione dei concetti, che Novak sembra ignorare e che hanno un'ovvia conseguenza sulla rappresentazione della conoscenza. Le questioni in gioco sono diverse: quelle relative al rapporto tra acquisizione concettuale ed esperienza, alle definizioni dei concetti, alle operazioni costitutive degli stessi e infine al rapporto tra concetto, categorie e significato. Data la vastità delle questioni sollevate, possiamo qui toccare solo alcuni tra i punti di maggior peso per la riflessione sulle mappe.

Tra la mappa iniziale, delle preconoscenze, e la mappa finale della rappresentazione della conoscenza ci sono una serie di passaggi che riguardano il modo di concettualizzare diverso, non solo tra adulti e bambini, ma anche tra le diverse persone. Questa tesi, tra l'altro, è una delle basi del costruttivismo. Ma su questo torneremo alla fine.

Una mappa concettuale ci mostra i concetti correlati, come qualcosa di solido e ben definito, un'unità di conoscenza già costituita. Ma questa unità concettuale, il concetto, al di là della forma che la delimita, è strutturato internamente in sottounità (che talvolta possono apparire espanse nelle mappe), non ha confini definiti e, per quanto sia sovraordinato, non è causa sui, ha una genesi.

Glasersfeld, nel libro dedicato alla sua concezione del costruttivismo radicale, individua diverse operazioni che interagiscono tra loro e contribuiscono, in modo e in misura diversa, alla costruzione dei concetti: astrazione, ri-presentazione, riflessione e concettualizzazione conscia. «Nel corso dei vari processi, ciò che è prodotto da un ciclo di operazioni può venir preso come un contenuto dato da quello successivo, che può poi coordinarlo per creare una nuova forma, una nuova struttura. Tutte quelle strutture possono poi essere concettualizzate consciamente e associate a un simbolo. La struttura che poi funziona per quel particolare soggetto conoscitivo come significato del simbolo, può essere passata attraverso molti cicli di astrazione e ri-organizzazione». [27]

L'accento qui cade sulle operazioni che permettono la costruzione di un mondo, la sua mappatura, come base su cui si creano i significati nell'interazione comunicativa ed è proprio lo studio delle operazioni costitutive che può consentirci di vedere le mappe davvero come work in progress, mai del tutto definite e compiute, ma sempre aperte. Quando invece Novak vuol fare delle mappe «lo strumento valutativo più potente in possesso degli educatori», intende semplicemente far coincidere (tendenzialmente) nelle parti essenziali, la mappa di un esaminato con quella di un esaminatore competente.

È proprio perché la mappa non è il territorio, e i concetti non sono le cose, che abbiamo mondi così diversi, affascinanti e difficili da esplorare.

Il concetto, così ben delimitato all'interno del nodo, non è un oggetto solido; anche qui vale la stessa regola: «la mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata». Il concetto potrebbe essere rappresentato come una nebulosa con un nucleo più denso e la periferia sempre più rarefatta. [28]

Per spiegare i processi di categorizzazione, Rosch [29] e altri hanno introdotto il modello del "prototipo": «Nell'adulto il prototipo è senza dubbio il risultato di una serie di esperienze numerose e differenziate; (.) nel bambino , viceversa, può essere rappresentato proprio da uno stesso oggetto realmente incontrato, magari in situazioni e momenti diversi o da relativamente pochi e diversi esemplari della stessa categoria». [30] Questa sarebbe la base per la formazione del concetto, su cui poi vanno a stratificarsi successive esperienze. La diversa stratificazione del concetto spiega la difficoltà di comprensione di un'etichetta e dunque di una mappa concettuale: quando penso al concetto di /disco/ tra me e il mio studente adolescente c'è una differenza di più di vent'anni di vinile e solchi. «Proprio perché nella rappresentazione iniziale vi sono molte informazioni di natura diversa, (il luogo dove si trova l'oggetto, le persone che agiscono su di esso, le sensazioni e le emozioni che suscita, oltre alle intrinseche proprietà funzionali e percettive) è possibile capire perché le generalizzazioni delle prime parole possono avere sia base percettiva, sia base funzionale, sia essere attuate in base alla contiguità spazio-temporale, sia, infine in base ad altri criteri ancora». [31] E questo non vale solo per i concetti dei bambini, ma per quelli di ognuno di noi. Sono quelle differenze di rappresentazione che, rappresentando la parte idiosincratica, vengono normalmente messe da parte nella comunicazione e nell'apprendimento, ma che da un punto di vista costruttivista rappresentano una finestra per guardare il mondo dal punto di vista degli altri.

 

5. Alberi e affini

 

I concetti sono in realtà qualcosa di molto più fluido che etichette, [32] ma comunque riusciamo a utilizzarli e a condividerli nell'interazione con gli altri, in qualche modo ancorandoli, fissandoli.

«Potresti dirmi che cosa intendi.», diciamo nel corso di una conversazione, magari fitta di incomprensioni.

Già nelle considerazioni precedenti era implicita la questione della definizione, uno dei metodi che usiamo appunto per fissare i concetti, che Adorno ha efficacemente stigmatizzato come «la superstiziosa fiducia nella definizione universalmente diffusa e dominante».

Quando parliamo dei tratti essenziali di un concetto, o dei suoi attributi normativi, riproponiamo la questione della definizione che risale al Socrate platonico, ma che è stata rielaborata in modo sistematico da Aristotele.

Leggiamo una voce del dizionario, per esempio /sedia/: «mobile destinato a offrire appoggio alla persona seduta, essenzialmente costituito da un piano sostenuto da piedi o gambe in numero variabile ed eventualmente da parti per l'appoggio delle braccia o del dorso». [33]

Una definizione come questa è frutto di diverse operazioni cognitive, ma essenzialmente due: con la prima l'oggetto da definire viene inserito in un genere, con la seconda si differenzia l'oggetto attraverso dei tratti specifici.

È stato Porfirio, il filosofo neoplatonico allievo di Plotino, nell'Isagoge, riprendendo Aristotele, a sviluppare il metodo della divisione per passare dai generi più universali alle specie particolari.

L'albero porfiriano è un modello ideale di dizionario che, partendo dal concetto più generale, arriva a costruire la definizione di un certo concetto con il metodo della divisione binaria. Per definire l'uomo si possono utilizzare due alberi come i seguenti:

 

 

 

 

 

Già soltanto considerando queste differenti versioni si possono notare due cose: si può arrivare alla definizione, seguendo percorsi diversi che utilizzano categorie diverse, ai diversi gradi dell'albero; le definizioni utilizzano categorie che noi comprendiamo, ma che rimandano a una più profonda conoscenza enciclopedica. Difatti se si chiedesse di dire che cosa si trova nei nodi in cui sono inseriti i punti interrogativi, non molti azzeccherebbero la risposta corretta nel contesto porfiriano. [34]

I logici, linguisti e semiotici hanno studiato a lungo l'albero di Porfirio, la questione dei generi e delle specie, e della definizione, e di recente queste questioni sono state riprese in modo brillante da Eco con un'analisi dell'albero di Porfirio [35] che arriva a una conclusione in particolare, significativa per questo percorso di riflessione. A un certo punto Eco arriva a riproporre l'albero porfiriano in una versione che assomiglia molto alle mappe concettuali, tranne che per il fatto che ci sono solo nodi concettuali, disgiunti attraverso qualità in opposizione: corporeo/incorporeo, animato/inanimato, mortale/immortale ecc.

Questo albero riformulato non sarebbe retto da relazioni di iperonimia/iponimia, perché i generi e le specie possono ripresentarsi nelle diverse ramificazioni a livello diverso. E qui viene la conclusione per noi interessante: «siccome le differenze inferiori non postulano necessariamente quelle del nodo superiore, l'albero non può essere finito: rastremabile verso l'alto, non v'è criterio che stabilisca quanto esso possa ramificare ai lati e verso il basso. (.) Si aggiunga che non essendo [le differenze] proprietà analitiche, in termini contemporanei, le differenze saranno proprietà sintetiche ed ecco che l'albero si trasforma (.) da dizionario in enciclopedia, dato che si compone di elementi di conoscenza del mondo». [36]

Le mappe ci rimandano a quella che in semiotica vengono definiti il dizionario e l'enciclopedia che riporta a questa domanda: è possibile ipotizzare un modello di rappresentazione delle categorie (e dei concetti) a prescindere dal contenuto sociale o non sociale delle conoscenze?

«Una semantica a dizionario non pretende di rendere conto della complessità della conoscenza del mondo (la varietà degli usi, i significati situazionali o contestuali) che rimane di competenza della pragmatica. (.)

In una semantica strutturata a enciclopedia l'interpretante visivo della parola /gatto/ è l'immagine di gatto (che indubbiamente ci fa conoscere alcune proprietà dell'animale che non erano presenti alla mente di chi pronunciava la parola); è la definizione che collega l'entità in questione alla catena delle entità più vaste in estensione, ma meno vaste in comprensione; è l'inferenza "Se gatto, allora animale che miagola quando gli si pesta la coda", che caratterizza il significato di gatto rispetto alle sue varie e più o meno remote conseguenze illative. La catena degli interpretanti è infinita, o almeno indefinita». [37]

Se dietro una mappa c'è sempre un'enciclopedia, nel senso appena detto, bisognerebbe mostrare attraverso quali operazioni di riduzione si arriva a definire concettualmente i limiti della mappa. La mia tesi si può riassumere così: dietro le mappe c'è idealmente il modello del dizionario che struttura un argomento o un campo semantico secondo rigorosi criteri distintivi espressi in concetti. Ma questo di nuovo, essendo un modello, è una riduzione rispetto al territorio molto più ampio dell'enciclopedia dei parlanti che è quello nel quale si formano i significati e i concetti, secondo quell'ordine di complessità che prima ho cercato di mostrare.

Guastavigna [38] ha utilmente cercato di articolare alcune delle operazioni necessarie alla costruzione delle mappe: sintesi, nominalizzazione, generalizzazione, classificazione, ridefinizione e questo è certamente un modo per rendere più chiaro il processo di costruzione della conoscenza. Ma il lavoro di analisi è ancora da svolgere in modo analitico.

 

 

6. La questione delle connessioni

 

Dopo aver analizzato i nodi che costituiscono le mappe, vorrei ora soffermarmi brevemente sugli archi, ossia sulle relazioni, sulle connessioni che collegano i nodi.

Le mappe concettuali non forniscono una teoria delle connessioni che rappresentano, per così dire, l'armatura della conoscenza rappresentata. Abbiamo una molteplicità di tipi di collegamenti non classificati, e classificabili in modi diversi. Guastavigna e Gineprini [39] e altri che si sono occupati del problema hanno colto la debolezza di questo aspetto delle mappe e hanno proposto una classificazione basata sulle categorie della sintassi tradizionale.

In questo modo però non si superano alcuni problemi già presenti nelle grammatiche tradizionali: non si distingue tra livello superficiale e livello profondo, non si riesce a esplicitare e a rendere ragione dell'articolazione tra livello sintattico e semantico che non possono essere disgiunti e infine si costruisce un modello di relazioni astratto, acontestuale.

La sintassi tradizionale in effetti comprende diverse categorie per descrivere le relazioni all'interno del periodo complesso. Le proposizioni possono essere viste analogamente a nodi tra i quali si stabiliscono delle relazioni sintattiche di diverso tipo. Al di là delle differenze, anche notevoli, nell'uso delle categorie sintattiche in diverse grammatiche, sembra esserci accordo almeno sulla seguente tipologia minima: relazioni causali, temporali, concessive, comparative, finali, condizionali, avversative. Spie della presenza di queste relazioni possono essere i connettivi, quando ci sono, ma spesso essi possono venir sottintesi e perciò le relazioni debbono essere ricostruite contestualmente. È effettivamente possibile individuare in una proposizione, ma anche in un testo uno scheletro di relazioni descritte utilizzando le suddette categorie e poi riprodurlo in una mappa concettuale.

Resta però una certa confusione tra il livello semantico e il livello sintattico della rappresentazione.

Nelle mappe ci interessano le relazioni di tipo semantico che Chaffin e Hermann hanno sistemato in una tassonomia in cinque tipi:

1.      contrasto;

2.      inclusione di classe;

3.      similitudine;

4.      relazione di casi;

5.      relazioni parte intero.

Come si vede, qui si arriva di nuovo al punto, ossia a una logica base del pensiero che è ancora ben lontana dall'essere sviluppata.

Infine per quanto si cerchi di precisare una tassonomia, si ricade nel problema già affrontato a proposito dei concetti nell'analisi degli alberi porfiriani: la questione dell'enciclopedia, ossia della riduzione della conoscenza a un dizionario ideale di tratti concettuali e connessioni.

 

7. La conoscenza della conoscenza

 

Alla fine è evidente che dietro tutti questi tentativi di ri-organizzazione della conoscenza, sta implicita un'epistemologia.

Una classificazione della conoscenza la suddivide in conoscenza descrittiva (che), conoscenza procedurale (come), conoscenza contestuale (con). [40] Novak sostiene che la conoscenza è un insieme ben organizzato di concetti e proposizioni. A un certo punto, dovendo difendere il sistema delle mappe, è costretto a ridurre ogni forma di conoscenza alla conoscenza descrittiva e dichiarativa e lo dice esplicitamente :

«Anche se la distinzione tra conoscenza dichiarativa e conoscenza procedurale è in genere molto utilizzata nei testi di psicologia, la ritengo di poco valore, poiché credo sia molto più semplice riconoscere che tutta la conoscenza è fondamentalmente di natura concettuale/preposizionale. Per di più la distinzione tra conoscenza dichiarativa e procedurale è spesso ambigua e delle volte puramente arbitraria». [41] In realtà tra sapere e saper fare esistono alcune differenze di fondo rimosse le quali si passa dalla conoscenza come attività, alla conoscenza come riproduzione passiva. Il sapere si oppone al saper fare per un certo modo di afferrare la conoscenza: il sapere è sottoposto alla regola tutto o niente, mentre il saper fare ammette la gradualità: o so o non so il nome di Garibaldi, ma posso saper disegnare più o meno bene, secondo una gradualità che non ha limite. Come posso rappresentare la gradualità e le sfumature all'interno di una mappa?

Anche il sapere comporta dei gradi di conoscenza, che corrispondono all'enciclopedia di cui prima parlavamo. In realtà il prodotto di questa distinzione posta così bruscamente è il ritorno a una concezione reificante del sapere.

Se poi si considera la motivazione proposta da Novak, si vede quanto sia debole: ammesso che ridurre tutta la conoscenza a conoscenza dichiarativa sia più semplice, è anche adeguato, oppure è soltanto una semplificazione?

In ogni operazione cognitiva è implicita una riduzione di complessità, ma compito di una teoria che si prefigge di rendere più chiara la nostra conoscenza è appunto quello di rendere chiari i suoi meccanismi, di farci riflettere sulle sue operazioni, di farci passare insomma dal livello cognitivo a quello metacognitivo e viceversa. Che cosa viene espunto in questa riduzione? In che misura l'immagine della conoscenza viene impoverita e perché? È possibile ottenere una buona rappresentazione della conoscenza dello studente, prescindendo dall'ambiente, dai rapporti intersoggettivi, dal sé?

Se le mappe sono un modello di come noi organizziamo e applichiamo le conoscenze, dovremmo esplicitare, in base alla nostra definizione di modello, il suo carattere convenzionale, quali siano i riduttori di complessità e alla fine una mappa sarebbe solo una certa rappresentazione del mondo. A meno di non confondere la mappa con il territorio.

Per quanto già detto, occorre smentire l'idea che la mappa concettuale rappresenti la struttura dei pensieri; sono invece possibili rappresentazioni diverse ed equivalenti, dato che è impossibile (e comunque contrario alla finalità di un modello) esplicitare tutto.

 

 

8. Una versione povera del costruttivismo

 

Jerome Bruner ha ricostruito efficacemente in un suo libro [42] la svolta che ha portato al nuovo paradigma costruttivista. Nella seconda metà del secolo XX, dopo la svolta cognitivista degli anni cinquanta, è seguita negli anni quella che egli definisce la rivoluzione "contestuale", in cui l'attenzione si sposta dal soggetto conoscente, dalle sue mappe e strategie, ai contesti di apprendimento e alle relazioni tra mente e cultura.

Entra in crisi il paradigma tradizionale, basato sull'idea che la conoscenza possa essere esaustivamente "rappresentata" in particolare avvalendosi di modelli logico-gerarchici e preposizionali, entra in crisi e si fa strada un nuovo campo teorico chiamato "costruttivismo"; lo definisco "campo teorico" perché esso è oggi più che una teoria un'agorà, una koiné all'interno della quale di incontrano certe prospettive teoriche, tra loro diverse, disposte a partire da alcuni pochi principi comuni.

«I concetti principali che caratterizzano l'attuale costruttivismo possono essere ricondotti a tre; la conoscenza è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha carattere "situato", ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso particolari forme di collaborazione e negoziazione sociale. In primo piano viene posta la «costruzione del significato» sottolineando il carattere attivo, polisemico, non predeterminabile di tale attività». [43]

Ora, anche Novak si professa costruttivista; più precisamente definisce «costruttivismo umano» la sua opzione teorica, e osserva che esistono molte forme diverse di costruttivismo, addirittura tante quante sono le proposte teoriche. Ma che tipo di costruttivismo è il suo?

Intanto l'aggettivo "umano" non è spiegato e appare tutto sommato superfluo, dato che non si capisce come potrebbe esserci un costruttivismo non umano.

Se ci si sofferma ad analizzare la mappa concettuale proposta da Novak per rappresentare il costruttivismo, [44] si possono fare alcune osservazioni. Novak collega il /costruttivismo umano/ ai /sentimenti umani/ specificando che il primo /→tiene conto/ dei secondi: un modo per reintegrare le emozioni e i sentimenti che, secondo la sua definizione, sono elementi essenziali nell'apprendimento, ma che non giocano molta parte nella costruzione delle mappe e infatti appaiono nella sua stessa mappa come un nodo conclusivo, non correlato alla costruzione della conoscenza.

Nella mappa mescola insieme, disinvoltamente, diversi livelli di descrizione della conoscenza: psicologia, epistemologia, la sua teoria della conoscenza descrittiva, riferimenti alle teoria dell'human resource. Se si osserva la parte a sinistra e in basso della mappa, quella appunto in cui sviluppa la descrizione del suo approccio, si può notare che Novak tralascia completamente l'aspetto sociale della costruzione della conoscenza e riduce sensibilmente la questione delle operazioni costitutive da parte del soggetto conoscente.

Inoltre quando parlano di «negoziazione dei significati» che, a parte l'orribile espressione, è uno degli elementi strutturali del costruttivismo, che cosa intendono propriamente Novak e Gowin?

«Ci sembra utile - dicono - usare le mappe concettuali come strumento per giungere a "negoziare", a "contrattare" i significati. Con questo intendiamo quel tipo di interazione con gli altri che ha come obiettivo il raggiungimento di un accordo su un certo argomento». Dunque si discute, si propongono soluzioni alternative e si arriva a un compromesso.

Quando poi si arriva alla valutazione, che ne è dell'approccio costruttivista? Per rilevare il livello di organizzazione delle conoscenze di uno studente, lo si invita a tracciare una mappa concettuale dell'argomento. E qui arriva il punto: «Per un esaminatore competente diventa abbastanza facile verificare se le proposizioni indicate nella mappa sono valide e determinare se la natura sovraordinata/subordinata dei concetti nella struttura ha un significato compiuto». [45] Ed ecco che siamo ritornati alla concezione tradizionale dell'insegnamento/apprendimento: la struttura è già nota, devi solo scoprirla e riprodurla a un livello di complessità (gerarchia) che l'esaminatore giudichi sufficiente.

Nonostante la citazione a sproposito di Freire, il modello delle mappe non si discosta necessariamente da quello che il rivoluzionario educatore brasiliano chiamava «modello bancario e depositario dell'educazione» e che si potrebbe declinare così:

1. Il sapere formale è accumulato nei testi e negli insegnanti, come denaro in una banca.

2. Il discente imparando prende in prestito quelle conoscenze altrui e le mette nel proprio deposito.

3. L'insegnante cura la corretta transazione e chiede il rendiconto dei prestiti.

4. Alla fine se saprà far fruttare queste conoscenze il discente potrà diventare lui stesso fonte di conoscenza.

Si noti che ciò che conta qui sono due aspetti: il principio di accumulazione e il corretto trasferimento. Il discente è un oggetto, la conoscenza è oggettivata e il garante di quest'operazione è l'insegnante. Il sapere è oggetto cumulabile, capitalizzabile, non azione. È un verbo sostantivizzato, un'azione trasformata in proprietà. Il sapere non è azione di trasformazione di un mondo condiviso, ma piuttosto appropriazione di unità parcellizzate. Il sapere è analogo al denaro. Serve per acquistare altre cose, si può capitalizzare, ridistribuire, è ripartito inegualmente, è confrontabile sulla base di parametri culturali e sociali.

In questo caso la mappa fa sì che la conoscenza sia organizzata in un organigramma pulito e preciso. Ma una mappa non è mai neutrale: fornisce il potere strategico di esplorazione di un territorio, come le mappe che i geografi fornivano ai generali con i loro eserciti. E anche tra le mappe c'è una gerarchia.

 

9. I venditori di mappe e la ricerca del significato

 

E con questo arriviamo all'ultima parte di queste considerazioni, relative all'ideologia implicita della proposta di Novak.

Questa emerge chiaramente quando egli estende le sue considerazioni al campo aziendale.

Insegnanti e manager vengono equiparati: i manager sono educatori, gli educatori manager. Le scuole sono aziende («in effetti le scuole hanno preso proprio le aziende come modello»!) e le aziende devono diventare come scuole, ossia organizzazioni che apprendono. I lavoratori sono come studenti posti in un contesto lavorativo (sic!) e i manager devono aiutarli a integrare in modo costruttivo pensieri, sentimenti e azioni.

Perché le organizzazioni, intese come scuole, chiese, aziende comunità non funzionano bene? Perché non hanno ben chiara la mappa dell'organizzazione. Ecco perché Novak e i suoi collaboratori hanno spesso lavorato nelle aziende per aiutarle a risolvere questi problemi. Vediamo un caso significativo. Cito per esteso, perché una parafrasi può sembrare incredibile.

«In una delle nostre prime ricerche, venne chiesto agli insegnanti di una scuola statale per ragazze di realizzare una mappa concettuale di come essi percepivano il loro ruolo nella scuola. Questo istituto aveva subito delle pesanti riduzioni di bilancio che avevano costretto l'organizzazione a una forte riduzione dell'organico. L'obiettivo dell'intervento era quello di incrementare l'efficienza e risollevare il morale del personale. Una volta che ciascun insegnante ebbe completato le mappe concettuali queste, in maniera totalmente anonima, vennero appese ai muri di una grande sala riunioni. I partecipanti passarono un'ora a rivedere tutte le mappe e a prendere appunti. La discussione che seguì offrì degli spunti molto produttivi su come rendere più efficaci le iniziative e le attività degli insegnanti portando, a poco a poco, a un sostanziale miglioramento del benessere dei docenti, degli studenti e a un buon andamento generale della scuola». [46]

Come ridescrivere questa situazione? In una scuola vengono licenziati degli insegnanti. Che fare? Sedersi tutti insieme, con Novak e collaboratori, fare delle belle e chiare mappe concettuali dell'organizzazione e ritornare a casa felici e contenti.

Non è una parodia: tra questa modalità di azione e la concezione delle mappe c'è una profonda omologia, ossia l'annullamento dei contesti significativi, personali e sociali, al di là delle buone intenzioni sull'apprendimento significativo.

Naturalmente ci sono degli ostacoli che impediscono soluzioni così semplici: la burocrazia, lo Stato e i sindacati.

«In parte a causa delle pressioni dei sindacati sono state ideate delle azioni legislative statali volte più a preservare l'autocrazia che a modificarla in modo significativo». [47]

Insomma, sono i lacci e i laccioli dello Stato e dei sindacati a impedire una significativa ristrutturazione dell'organizzazione.

Tutto questo porta necessariamente a una conclusione. Novak ci arriva indirettamente, dopo una citazione di Erich Fromm da L'arte di amare.

«Ammiro molto ciò che Fromm ha scritto nel suo The art of Loving, non conosco libri o articoli altrettanto convincenti o travolgenti, anche se credo che potrebbe essersi sbagliato nell'affermare l'incompatibilità di capitalismo e amore (sic!)». [48] Può darsi, aggiunge, che avesse ragione per il capitalismo diffuso fino agli anni novanta, ma oggi siamo in una «società post-capitalista».

Il quadro ideologico appare adesso molto più chiaro ed è possibile leggere meglio le mappe avendolo presente.

È incredibile come Novak riesca inoltre a citare i più oscuri specialisti di management e mai un Jerome Bruner, uno dei protagonisti indiscussi delle ricerche sull'apprendimento da più di mezzo secolo, dalla svolta cognitiva alla successiva rielaborazione costruttivista.

 

 

10. Del buon uso delle mappe: alcune conclusioni per ripartire

 

Arriviamo a qualche conclusione.

  • Le mappe concettuali non sono mappe: la metafora della mappa suggerisce una relazione di iconicità, di somiglianza tra la mente e la mappa.
  • Le mappe considerate come risolutrici di problemi non sono problematizzate. Danno per scontate e superano disinvoltamente una serie di questioni che hanno occupato e continuano a occupare logici e filosofi.
  • Le mappe, dietro un'apparenza innocua, nascondono una visione del mondo.

 

Lasciamo a Novak le sue mappe concettualiT con il marchio; consideriamole ragionevolmente meri indici perspicui e abbandoniamo la pretesa sia di un loro utilizzo diagnostico e tanto più di un utilizzo creativo.

Dietro ogni mappa c'è un mondo, basta volerlo esplorare. Come? Ci sono altri strumenti di questa esplorazione?

Mi limito qui, concludendo, a indicarne due.

La prima sfrutta le nuove tecnologie informatiche: si tratta di trasformare la mappa in un ipermedia, ossia di passare da una rappresentazione statica a una rappresentazione dinamica e aperta della conoscenza. Questo rende molto più coerente la tesi costruttivista della pluralità nella costruzione della conoscenza.

La seconda fa ricorso invece a qualcosa che da sempre utilizziamo: il racconto. La narrazione è un modo di conferire significato al mondo, interpretando atti, personaggi, sentimenti alla luce di una storia.

Mi sembra che in queste vie ci sia una vera ricerca di un apprendimento significativo, da sviluppare all'interno del quadro di una didattica costruttivista. [49]

 

 

 

 



[1] Vedi Joseph Novak, L'apprendimento significativo, tr. it. Erikson, Trento, e dello stesso autore, insieme a Gowin,  Imparando a imparare, tr.it.  Sei, Torino 1989. In questo articolo non distinguerò tra il pensiero di Gowin e quello di Novak, ma mi riferirò a entrambi.

[2] TM, trade mark: è un marchio depositato; già questo è un primo indizio significativo.

[3] Vengono definiti anche in modo diverso: bolle, nuclei, collegamenti ecc.

[4] Novak, op.cit., 41.

[5] Altrove dicono che  «la conoscenza è conservata nella nostra mente in qualcosa di simile a una struttura gerarchica o olografica», Novak e Gowin, cit., p. 64. 

[6] Gregory Bateson, Mente e natura, tr.it. Adelphi, Milano 1984; il capitolo citato è alle pp. 47s.

[7] Su Korzybsky e la  sua semantica si possono trovare testi e approfondimenti sul sito dell'associazione da lui fondata,

[8] La definizione si trova nell'articolo di Maurizio Gusso, "Modelli di spiegazione storiografici e didattici", in A. Gallia, S. Restelli  (a c. di), La didattica della storia contemporanea, Irrsae Lombardia, Milano 1994.  Un'altra definizione più astratta mette però in luce che il punto di avvio può essere importante: «In generale  si suppone che una situazione per qualche verso enigmatica X susciti in noi delle domande; per fissare le idee almeno una domanda Q. Per dare una risposta di modellizza X: si costituisce cioè un dispositivo (reale o astratto) M che viene considerato l'immagine o l'analogo di X». G. Giorello, G. Geymonat, Vc. "Modello", Enciclopedia Einaudi, IX, p. 383.

[9] Max Black, "Modelli e archetipi", in Modelli archetipi metafore, tr.it., Pratiche editrice, Parma 1983, p. 68.

[10] Si veda il classico "A che gioco giochiamo?".

[11] Max Black, op.cit., p. 69.

[12]   Schema di Lele sulla filosofia.

[13] Black, op.cit., p.71.

[14] Novak, L'apprendimento significativo, cit., p. 270.

[15] Un esempio sono quelle che Tony Buzan , nel suo  Usiamo la testa,  chiama "mappe mentali".

[16] Qui si apre tutta l'appassionante questione degli ipertesti e della loro struttura concettuale.

[17] Luciano Arcuri, "Sistemi categoriali e rappresentazione delle conoscenze", in Arcuri et al. (a c. di), Studi sulla rappresentazione delle conoscenze, Unicopli, Milano 1985, p. 283.

[18] Ibidem.

[19] Novak, op.cit., p. 269.

[20] Devo questa osservazione all'amica Anna Carrara.

[21] «L'iponimia è l'appartenenza del significato di una parola a un significato 'più ampio' rappresentato da un'altra parola. Due parole sono in relazione di iponimia se e quando il significato di una è membro della classe compresa nel significato dell'altra» (Berruto, La semantica, Zanichelli, s.i.d., Bologna, p. 63).

[22] Novak, op.cit. p. 250.

[23] Cfr. la sintesi in M.T. Serafini, Come si studia, Bompiani, Milano, p. 281s.

[24] Novak, L'apprendimento significativo, cit. p. 34.

[25] Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, tr.it. Einaudi, Torino 1974, p. 5.

[26] Novak, op.cit., p. 33.

[27] Ernst von Glasersfeld, Il costruttivismo radicale, tr.it. Società Stampa Sportiva, Roma 1998, p. 97.

[28] È quella che suggestivamente Wittgenstein chiama "caligine" che rende impossibile una visione chiara, in Ricerche filosofiche, tr.it., Einaudi, Torino 1974, §5.

[29] Cfr, Arcuri et al. (a c. di), Studi sulla rappresentazione delle conoscenze, cit., p. 146.

[30] Benelli, Simion, op.cit., p. 148.

[31] Ibidem.

[32] Il già citato libro di Wittgenstein, Ricerche filosofiche, parte proprio dalla critica della corrisponedenza tra parola e significato, §1.

[33] Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana, Vc. "Sedia", Le Monnier, Firenze 1971.

[34] Per la risposta rimando a  U. Eco, "L'antiporfirio", in AA.VV., Il pensiero debole, a cura di G. Vattimo e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 1983, ora in  Sugli specchi, Bompiani, Milano 2001.

[35] Ibidem.

[36] Eco, op. cit. p. 351-352.

[37] U Eco, Vc. "Significato", in Enciclopedia Einaudi, vol XII, p.  848s.

[38] Guastavigna e Gineprini,  cit.

[39] Guastavigna e Gineprini, Mappe concettuali nella didattica,  in http://pavonerisorse.to.it/cacrt/mappe/completo.zip

[40] Cfr. la sintesi di M.T. Serafini, op. cit., p. 247-8.

[41] Novak, op.cit., p. 129.

[42] Jerome Bruner, La ricerca del significato, tr. it. Bollati Boringhiei, Torino.

[43]   Antonio Calvani, Elementi di didattica, Carocci, Roma 2000, p. 79.

[44] Novak, L'apprendimento significativo, cit., p.122.

[45] Idem, p. 237.

[46] Idem, p. 135.

[47] Idem, p. 217.

[48] Idem, p. 194.

[49] Per un ampliamento del discorso, rimando a una mia sintesi  intitolata Manifesto per una didattica bruneriana, pubblicato sulla rivista "école", gennaio 2001, reperibile in www.scuolacomo.com/ecole.

 

 

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