L'ARTE DI ASCOLTARE


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J. Samuel Bois
L'ARTE DI ASCOLTARE

Quando parliamo di comunicazione, la prima immagine che ci viene in mente è quella di colui che parla, di colui cioè che invia il messaggio. Spesso si pensa che l'arte di comunicare consista principalmente, se non addirittura esclusivamente, nell'arte di farsi ascoltare con attenzione e di farsi comprendere senza fraintendimenti. Allo scopo di comunicare in modo più efficace gli insegnanti, i predicatori, gli uomini d'affari e i leaders frequentano corsi per ben parlare in pubblico e studiano, anche, recitazione.

Tutto questo va bene, naturalmente, sempre che l'importanza data al ruolo di colui che invia il messaggio non ci faccia dimenticare il ruolo di colui che lo riceve. La comunicazione è una faccenda a due, e la funzione di colui che riceve il messaggio non è meno importante di quella di colui che lo invia. Infatti, possiamo dire dell'ascoltare ciò che Emerson disse del leggere: «È il buon lettore che fa il buon libro».

Alcuni esperimenti hanno mostrato che è il buon, ascoltatore a rendere buona la conferenza. La stessa lezione, presentata ad un gruppo di studenti da un buon oratore e a un gruppo analogo da uno mediocre, non veniva compresa allo stesso modo in entrambi i gruppi. Per usare una analogia presa dalla radio: un buon apparecchio ricevente, accuratamente messo a punto, è importante quanto una buona stazione trasmittente. Il messaggio, in quanto è una trasmissione di informazioni, è il prodotto che unisce due sorgenti di attività, una ad ogni estremità del processo di trasmissione.

La ricezione del messaggio ha anche una particolare importanza in quanto l'ascoltare costituisce la maggior parte delle nostre attività inerenti alla comunicazione. Una statistica condotta su un gruppo di persone appartenenti a varie professioni ha rivelato che, in media, il 45 % del loro tempo dedicato a comunicare viene passato ad ascoltare, il 39% a parlare e il 13% a leggere e il 9% a scrivere. Se questo è vero - e non abbiamo nessuna prova del contrario -, quasi la metà della paga che un uomo d'affari o un professionista riceve è per la prestazione che egli fornisce nell'ascoltare e infatti se egli non riesce ad ascoltare bene, le sue conoscenze, la sua cultura e la sua saggezza possono aver poco valore in quanto possono essere applicate dove non ce n'è bisogno.

Abbiamo accennato al tema dell'ascoltare quando abbiamo studiato il funzionamento del sistema nervoso, e abbiamo appreso che ci vuole tempo per internalizzare il messaggio che riceviamo attraverso gli occhi o le orecchie. Abbiamo anche ricordato l'importanza di un ascolto efficace - nel caso dell'uomo di affari che si osservava mentre faceva delle osservazioni ai suoi subordinati e quando, poi, venivano fatte a lui dai suoi superiori. Per poter funzionare in modo efficienti, utile per noi pensare un po' più sui benefici di un buon ascolto e descrivere più dettagliatamente che cosa fa un ascoltatore efficace.

I benefici di un ascolto efficace sono molti i:

a) Otteniamo di più da una conversazione o da una conferenza di un ascoltatore indifferente.

b) Evitando obiezioni improvvise che ingarbugliano la comunicazione, risparmiamo il tempo che ci vorrebbe per sciogliere questi nodi mediante laboriose spiegazioni.

c) Aumentiamo le nostre possibilità di rendere più realistiche le decisioni e di dare risposte più pertinenti, in quanto siamo meglio informati sui fatti, sui modi di pensare e sulle opinioni.

d) Mostrando interesse e facendo domande non intimidatorie possiamo aiutare colui che parla a riempire delle lacune nella sua esposizione.

e) Scopriamo quale livello di linguaggio l'altra persona capirà meglio quando verrà il nostro turno di parlare.

f) Siamo meglio preparati ad adattare il nostro messaggio alla conoscenza, ai punti di vista e ai sentimenti di coloro con i quali stiamo comunicando.

g) Impariamo a parlare più efficacemente osservando come le persone ci comunicano, o non riescono a comunicarci, i loro messaggi.

 

Ora, ecco, quello che un ascoltatore efficace compie:

 

a) Egli ascolta per capire cosa si vuol dire, non per essere pronto a replicare, contraddire o rifiutare. Questo è estremamente importante come atteggiamento generale.

b) Egli sa che ciò che viene detto dall'altro contiene qualcosa di più del significato delle parole che si trova nel dizionario che egli adopera. Vi è in più, tra le altre cose, il tono della voce, l'espressione del volto e il comportamento generale di colui che parla.

c) Mentre egli osserva tutto questo, sta attento a non interpretarlo troppo rapidamente. Cerca la chiave di ciò che l'altra persona sta cercando di dire, mettendosi (meglio che può) nei suoi panni, guardando il mondo nel modo in cui colui che parla lo vede, accettando i suoi sentimenti come fatti di cui si deve tener conto - sia che egli, l'ascoltatore, li condivida o no.

d) Egli mette da parte tutte le sue opinioni e i suoi punti di vista per tutto il tempo che ascolta. Sa bene che non può ascoltare se stesso e allo stesso tempo ascoltare dal di fuori colui che parla. Fa attenzione a non «ingolfare» il suo apparato ricevente.

e) Egli controlla la sua impazienza in quanto sa che l'ascoltare è più rapido del parlare. La persona media pronuncia circa 125 parole al minuto, ma essa ne può ascoltare circa 400 al minuto. L'ascoltatore efficace non corre avanti a colui che parla, gli dà il tempo di raccontare la sua storia. Ciò che colui che parla dirà successivamente può essere una cosa che colui che ascolta non si aspettava di sentir dire.

f) Egli non prepara la sua risposta mentre ascolta. Vuole capire l'intero messaggio prima di decidere che cosa dire quando sarà il suo turno. L'ultima frase di colui che parla potrà dare, infatti, una nuova direzione a quanto aveva detto prima.

g) Egli mostra interesse e sta all'erta. Questo atteg­giamento stimola colui che parla e aumenta la sua pre­stazione.

h) Egli non interrompe. Quando fa delle domande è per assicurarsi più informazioni, non per intrappolare colui che parla o chiuderlo in un angolo.

i) Egli si aspetta che il linguaggio di colui che parla sarà diverso dal linguaggio che lui userebbe per dire lo stesse cose. Non cavilla sulle parole, ma cerca di arrivare a quello che significano.

1) Il suo scopo è opposto a quello dell'oratore. Egli cerca aree di accordo, non punti deboli da attaccare r far saltare con l'artiglieria delle controargomentazioni

m) In una conferenza, egli ascolta tutti i particolari, non soltanto quelli che sono a favore delle sue tesi

n) In una discussione particolarmente difficile, egli può prima di rispondere, riassumere ciò che egli pensa che il suo rivale abbia voluto dire. Se la sua interpretazione non è accettata, chiarisce i punti contestati prima di tentare di esporre le sue tesi.

 

Come tutte le abilità, l'ascoltare richiede auto­osservazione, tempo, pazienza e pratica. Non è suffi­ciente leggere semplicemente ciò che si è detto sinora e approvarlo «intellettualmente». Infatti, potremo essere portati a presumere che, se noi approviamo quello che è stato detto, ci comporteremo nella maniera prescritta; e questa è una delle peggiori trappole che noi possiamo tendere a noi stessi.

In un gruppo che ha il vantaggio di avere un moderatore designato in precedenza, la funzione di osservare può essere lasciata a lui sin dall'inizio, ed egli dovrebbe essere libero di interrompere ogni volta che ritenga che una correzione sia necessaria. Ma, in ultima analisi, nessun partecipante può progredire realmente a meno che egli non controlli la sua prestazione e con­tinui a controllarla sin quando l'abilità di ascoltare non divenga un'abitudine.

Valutare il proprio operato nel corso dell'azione è molto difficile per il principiante. Sarebbe forse meglio aspettare sin quando la conversazione o la conferenza è finita, e poi fare con comodo una valutazione di se stessi come ascoltatori. Ma avendo un amico che ti ascolta è anche meglio, un amico che è anche un partecipante e che è disposto a valutare la tua prestazione.

In questo esercizio, come in molti casi, è bene limitare le proprie osservazioni ad un numero limitato di voci, forse soltanto a due o, meglio ancora, soltanto a una alla volta. Migliorare un solo aspetto della nostra prestazione, dal momento che tali aspetti sono così strettamente collegati tra loro, significherebbe un miglioramento su tutto il fronte. Ma cercare di osservare contemporaneamente noi stessi attraverso l'intera linea del fronte è più di quello che noi possiamo inizialmente fare; può farci scoraggiare, può portarci a rinunciare all'intera impresa e a contentarci di «buone», ma inefficaci, intenzioni.

 

 

(Da: J. Samuel Bois, The Art of Awarenes, Wm. C. Brown Company Publisher, Dubuque ( Iowa ) 1973, pp. 284-287. Trad. di Cristina Brogi)

 

 

 

 


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