Ascolto |
||||||
Cerca nel web, nel sito, nei siti amici |
||||||
L'elogio dell'ascoltoAscoltami, per favore, ho bisogno di parlarti; concedimi solamente qualche istante. Accetta quello che vivo, quello che sento, senza reticenza,senza giudicare. Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare; non bombardarmi di domande, consigli, idee. Non sentirti obbligato a risolvere le mie difficoltà, mancheresti tu di fiducia nelle mie capacità? Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;non cercare di distrarmi o prendermi in giro, penserei che tu non comprenda l'importanza di quello che c'è dentro di me. Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare; non sentirti obbligato ad approvare: se ho bisogno di raccontarmi è semplicemente per sfogarmi. Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare; non interpretare e non cercare di analizzare. Mi sentirò incompreso e manipolato. Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare; non interrompere per fare domande. Non cercare di forzare il mio io nascosto, io so fin dove posso e voglio andare. Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare; rispetta i silenzi che mi fanno camminare. Guardati bene dal frantumarli: è da essi assai spesso che sono illuminato. Adesso, che mi hai ascoltato per bene ti prego puoi parlare; con attenzione e disponibilità a mia volta, io ti ascolterò. Anonimo ------------------------------------------- L'arte di ascoltare di J. Samuel Bois
da didaweb: http://www.didaweb.net/mediatori/articolo.php?id_vol=1799 Progetto Pedagogia dell'ascolto a scuolaRIFLESSIONI SU UNA PEDAGOGIA PARTECIPAZIONISTICA (Elisabetta Galuppi)
L'Educazione all'ascolto
|
"La Società dell'Ascolto è un'associazione nata con l'obiettivo di promuovere una riflessione collettiva sull'ascolto che considera la parte della comunicazione che è necessario potenziare e uno strumento fondamentale per promuovere l'incontro e l'aiuto reciproco tra le persone. da "chi siamo": http://www.ascolto.it/chi/page1.html |
---|
Associazione Società dell'Ascolto
Via Campolmi, 5 - 59100 PRATO
tel. e fax 0574 580943
di Laura Alberico
“ L'ascolto dona a chi è ascoltato la possibilità di ascoltarsi” – M. Bellet
si ascolta ciò che si vuole sentire
si pensa a cosa si dirà, non concentrandosi su ciò che sta dicendo l'interlocutore
si riferisce tutto quanto si ascolta alla propria esperienza
si snobba o si accantona quanto viene detto perché ritenuto di poca importanza
si esprime accordo accettando passivamente ogni cosa che viene detta
si cambia troppo rapidamente argomento mostrando disinteresse.
Nell'ambito scolastico la comunicazione deve necessariamente seguire delle regole che permettano all'insegnante e agli alunni un proficuo scambio di informazioni. Anche le espressioni del volto e i gesti trasmettono e amplificano il messaggio educativo, e per questo guardare chi parla è un segno di disponibilità e di apertura che richiedono tuttavia anche un controllo emotivo tale da frenare gli atteggiamenti istintivi e creare un clima sereno in cui gli alunni possano trovare lo spazio necessario per esprimere le proprie opinioni senza sentirsi esclusi dalla relazione educativa. Non esistono genitori e insegnanti ideali e perfetti ma un primo passo che ognuno può fare è quello di valorizzare l'ascolto di se stessi per poi imparare ad ascoltare gli altri instaurando un rapporto di empatia e di accettazione. (24 febbraio 2007 )
.......................................
dal sito: http://www.rivistadidattica.com/pedagogia/pedagogia_44.htm
La comunicazione: saper ascoltare... anche le critiche
di G. Bassi, R. Zamburlin
Tutti hanno bisogno di comunicare, ovviamente, tutte le persone vanno considerate come esseri umani e non come pedine del proprio gioco. Questa è una verità che consideriamo preziosa, tanto è importante tenerla presente, quanto è normale vederla ignorata. Inoltre la differenza fra gli animali e gli esseri umani sta proprio nella comunicazione. Le persone non vanno trattate strumentalmente, ma con rispetto. Purtroppo a volte sono trattati meglio gli animali che le persone.
E' triste avere dei pensieri da comunicare e non avere nessuno a cui dirli. In questo modo questi pensieri si ingrandiscono fino a darti la sensazione di soffocarti e ti senti solo e incompreso. Di fatto la solitudine e l'incomprensione sono diventate le “malattie” dell'uomo d'oggi. Siamo una folla di storie solitarie incomunicate e incomunicabili.
Certo è utile scrivere i propri pensieri sul proprio diario analitico, ma è altrettanto utile avere delle persone con cui condividerli. Il problema è che molti vogliono parlare, ma pochi sono disposti ad ascoltare. Sono maggiori le persone disposte a dare idee, piuttosto che le persone disposte a riceverne. Il più delle volte mentre si ascolta l'interlocutore, si concentra l'attenzione molto meno su quanto sta dicendo lui e molto più su quanto ci prepariamo interiormente a dire noi.
E tuttavia se non comunichiamo non ci sviluppiamo. Così recita il dizionario di psicologia ( 1994 ):
“A fare della comunicazione il fondamento dello sviluppo psicologico dell'individuo è S.E. Asch per il quale il fattore psicologico decisivo del problema dei rapporti dell'uomo con la società, è la capacità dei singoli di comprendere e di reagire alle azioni e alle esperienze altrui. Questo fatto, che permette ai singoli di porsi in reciproco rapporto, diviene lo sfondo di ogni processo sociale e dei più decisivi cambiamenti che si verificano nella persona. Esso rende possibile l'introiezione nel singolo dei pensieri, delle emozioni e dei propositi degli altri, che estendono il suo mondo ben oltre ciò che un suo sforzo senza aiuto potrebbe raggiungere. Permette anche vasti rapporti di interdipendenza, condizione prima del suo sviluppo personale… Viene così modificato l'ambiente psicologico di ognuno, perché vivere in società significa mettere in efficace rapporto l'esperienza pubblica con quella privata. E ciò in modo irrevocabile, poiché una volta entrati nella società, noi entriamo in un cerchio di relazioni che non si possono disfare”.
Il rapporto fra la persona e gli altri è inevitabile, ma se questo rapporto non permette la crescita lo si può trasformare, appunto, attraverso la comunicazione, esprimendo nuovi pensieri, nuovi sentimenti, nuovi valori, nuovi modi d'agire e nuovi progetti.
Chiedi a te stesso e agli altri come comunicate: dite ciò che va detto e nel modo migliore? Esprimete chiaramente le vostre idee e i vostri vissuti? O siete “respingenti”? Gli occhi, lo sguardo e il volto sono sereni e morbidi o duri e freddi? Siete in grado di ascoltare veramente e profondamente? Siete capaci di farvi critiche costruttive?
E' necessario essere attenti alle parole che si dicono: le parole possono essere “pietre”, possono aprire, sostenere e facilitare oppure chiudere, aggredire e negativizzare un rapporto o una situazione. Anche il detto popolare dice che la lingua può ferire più di una spada. Per quanto l'interlocutore possa sembrare negativo, se si sciolgono le difese, i preconcetti e le diagnosi, può essere fantastico: siamo tutti belli dentro… Non è il caso di giudicare gli altri e neanche fare diagnosi di personalità. Piuttosto se volete migliorare la comunicazione, chiedete a chi vi vuole bene, di farvi da specchio in modo da individuare i vostri lati positivi ed esserne contenti e di comprendere i vostri lati negativi per trasformarli, se è possibile e senza colpevolizzarsi. Sappi che comunichi sempre: con le parole, coi gesti del corpo, con la tua presenza o con la tua assenza, come ti vesti, quanto ti avvicini e quanto ti allontani.
Sappiate comunicare empatia, cioè sentire quello che sente l'altro, presenza attenta, fiducia-fede, coraggio, speranza, entusiasmo, crescita, umorismo, espansività. In certi momenti critici potete e dovete scuotervi. Evitate le persone cronicamente lamentose: chi semina lamentazione raccoglie depressione. Non siete un cestino dei rifiuti emotivi…
Ascoltare
E' opportuno riconoscere che una relazione sana e maturante è caratterizzata dal dire in modo equilibrato e, soprattutto, dall'ascoltare autentico e profondo. Se non si ascolta le parole scivolano e non entrano nel mondo interno. La disponibilità ad ascoltare è il metro che misura la disponibilità al vero incontro interpersonale. Ascoltare è un gesto di affetto, è un regalo molto prezioso. Parlare addosso agli altri è un segno d'ansia e, se non si ascolta l'interlocutore, di eccessivo controllo. L'ascolto vero, proprio per il fatto che entra nelle profondità, rinnova la propria vita.
Se si vuole fare della comunicazione un momento di apprendimento, e nella situazione sociale attuale è utilissimo apprendere velocemente soprattutto nei momenti critici della propria vita, allora il momento dell'ascolto deve ampliarsi al massimo per concedere a colui che parla lo spazio interiore più esteso possibile.
Molti credono che ascoltare sia un atteggiamento passivo: niente di più falso. Il vero ascolto è attivo, in quanto richiede un'attenta presenza di sé alle parole dell'altro. E' un investimento di energie emotive e mentali in ciò che si sta compiendo in modo da vivere e offrire la migliore presenza psicofisica. Ascoltare profondamente è faticosissimo, soprattutto quando c'è un forte coinvolgimento emotivo o addirittura aggressività e rabbia.
Ascoltare significa, anche, sciogliere il narcisismo, cioè l'eccessiva preoccupazione di se stessi, della propria immagine, significa fare spazio all'altro, esserci per l'altro, essere a disposizione dell'altro, essere libero per l'altro, mettere a disposizione il proprio mondo interno per l'altro. L'ascolto vero non ha bisogno di difese e di reazioni emotive negative: si risponde nel merito rispettando il punto di vista dell'interlocutore.
Non è il caso di confondere sentire con ascoltare. Una persona può sentire tutto con gli organi di senso, ma non ascoltare profondamente. Il sentire superficiale può essere passivo. Nel sentire superficiale l'interiorità rimane estranea. Nell'ascolto, invece, si va verso l'interlocutore, lo accogliamo, analizziamo i suoi messaggi per discernere i significati utili al nostro sviluppo. Come dice G. Colombero ( 1988 ):
“Nel sentire lasciamo che il suono o le parole scivolino via; non ci facciamo loro spazio; né li fermiamo né ci fermano; ci sfiorano. Nell'ascoltare c'è attenzione e l'attenzione è sempre un atto intenzionale; è la volontà di essere vigili, ben presenti a se stessi e a ciò che si sente per coglierne tutto il carico di significati e di emozioni ( da ciò partono le risposte e le azioni efficaci e nuove ); … L'ascolto è questa volontà di contatto, di cattura dei significati palesi ed impliciti, detti e non detti, nella misura più estesa e più profonda possibile. Il vero ascolto esige di perforare la superficialità, portarsi al di là, fino all'interiorità, elaborare là il suono o le parole in base al campo delle proprie esperienze e della propria sensibilità”.
Quindi l'ascolto profondo è un atteggiamento attivo che richiede: disponibilità, silenzio, attenzione, tempo, coscienza, impegno e volontà.
Utilizzare le critiche
Siccome nessuno è perfetto e siccome nella vita si sbaglia spesso, inevitabilmente arriveranno le critiche rispetto alla tua prestazione, rispetto alla tua personalità e alla capacità di metterti in rapporto ai tuoi collaboratori e agli altri. Ovviamente è meglio ricevere critiche confezionate con educazione, dolcezza e tatto, ma non tutti hanno questa sensibilità ( questa è una critica o una regola che ci si può dare nei rapporti interpersonali, da oggi in poi… ), quindi preparati a contenere critiche aggressive e pungenti.
Normalmente ci risentiamo se qualcuno ci fa una critica, anche perché spesso non viene sottolineato tutto il buono che abbiamo svolto. In pratica il buono viene dato per scontato e l'errore, specialmente se è stato fatale nella prestazione professionale, viene evidenziato. Anche questa può essere una buona norma da utilizzare per il futuro: prima si dice il positivo che si è fatto e poi si analizza il negativo per non ripeterlo. Comunque in genere ci sembra che le critiche siano eccessive, che non tengono conto delle circostanze, dello stato psicologico ( con questo si scusa praticamente tutto… ), delle responsabilità dell'ambiente, dei collaboratori, degli utenti e quant'altro, alla fine ci sentiamo offesi ( come si permette? ).
In linea di massima le critiche che si accettano sono quelle degli amici, perché c'è un'accettazione globale della tua persona e poi, in genere non vengono vissute come un obbligo, ma come benevole, per questo a volte si ascoltano, a volte si lasciano cadere.
E' buona norma anche che chi critica chieda i motivi dell'errore, non per giustificare l'interlocutore o per cercare capri espiatori, ma perché ci sia la possibilità di spiegarsi. Lo scopo delle critiche dovrebbe essere il miglioramento della prestazione professionale o della personalità o delle relazioni, non dovrebbe essere un attacco aggressivo fine a se stesso.
Paradossalmente se vogliamo migliorare dovremmo andare alla ricerca delle critiche più severe, come dice R. Vacca ( 1983 ):
“Dunque le critiche troppo benevole sono inutili. Non ci toccano. Invece, se ammettiamo di non essere perfetti – e dovremmo ammetterlo – dovremmo gradire le critiche dei nostri difetti peggiori per poterli guardare in faccia ed eliminarli. Anzi: dovremmo cercare le critiche dure e severe fatte da persone non troppo amichevolmente disposte. In genere queste persone, però, non si interessano molto del modo in cui ci comportiamo. Non parlano nemmeno di noi e, quindi, dobbiamo fare a meno delle loro utili critiche.“
Non è il caso, quindi, di sentirsi in colpa per gli errori e per i difetti, è, invece, più intelligente utilizzare le critiche per crescere e il discorso, ovviamente, vale per oggi e per il futuro: non abbiamo il potere di cambiare il passato...
E' anche vero che non tutte le critiche sono oggettive, per esempio quelle fatte dagli avversari, spesso hanno lo scopo di distruggervi. Mentre quelle dette dai collaboratori, secondo noi, vanno prese in considerazione: possono contenere dati di realtà utili per ragionare e per cambiare.
Se vogliamo evitare le critiche possiamo fare un lavoro psicologico preventivo attraverso l'introspezione e l'autosviluppo. Possiamo analizzare noi stessi con occhio critico, anche se tendiamo ad essere indulgenti verso noi stessi. Le critiche dei formatori, dei collaboratori e di chi ha autorità su di noi sono più dure, ma possono essere anche più oggettive. Quindi piuttosto che reagire con irritazione e risentimento, rimani calmo, ascoltale, falle entrare nel tuo mondo interno, valuta ciò che ti viene detto entrando nel merito. In fin dei conti ciò che conta è migliorare la prestazione professionale, la personalità e le relazioni, quindi se le critiche hanno questo fine, ben vengano. E' facile che qualcuno, nonostante gli errori, non ti dica niente per non urtarti, ma se tu non ti accorgi degli errori, come fai a migliorare? Questa protezione emotiva rischi di pagarla amaramente… Non è detto che dicano la verità, ma se la dicono? Quindi prendile con l'adeguata considerazione.
Spesso la prima reazione emotiva è quella di negare i fatti, da qui ad accusare l'interlocutore di difetti, problemi e colpe il passo è breve. Cerca di contenere questa reazione più o meno automatizzata di negare le accuse. Se sono vere rischi la dissociazione dai dati di realtà e fuori dalla realtà non si sta tanto bene…
E' utile creare un clima collettivo in cui ci sia il permesso a fare le critiche: si possono svolgere dei colloqui o riunioni di gruppo in cui si possa dire tutto senza censure e siccome lo scopo è migliorare la prestazione, la personalità e le relazioni non ci si offende e non se ne fa una questione troppo personale. Se credi di essere indiscutibile, sarai meno attento a migliorare la qualità della tua prestazione e gli altri non si permetteranno di criticarti. L'avere una buona fama ti potrebbe far perdere l'adeguata attenzione alla situazione, il fatto che nelle prestazioni precedenti sei andato bene non ti garantisce la riuscita in questa. Quindi una buona fama può frenare le critiche degli altri, ma può avere i suoi inconvenienti: nel frattempo potresti non essere migliorato come potevi e questo può avere notevoli costi…
Bibliografia
G. Bassi, Psicologia del successo, Ed. Nuova Phromos, Città di castello ( PG ) 2001.
G. Bassi e R. Zamburlin, La comunicazione nel rapporto di coppia, Ed S. Paolo, Cinisello Balsamo ( MI ), 1998 ( terza edizione 2004 ).
G. Colombero, Dalle parole al dialogo, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo ( MI ), 1988.
U. Galimberti, Dizionario di psicologia, Ed. UTET, Torino, 1994.
R. Vacca, Come amministrare se stessi e presentarsi al mondo, Ed. Mondadori, 1983.
fonte: Vertici Network sito: http://www.vertici.com/rubriche/articolo.asp?cod=10583&cat=APPRO&titlepage=Approfondimenti&page=3