L'attività didattica alla luce del d.lvo 59/2004


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L'attività didattica alla luce del d.lvo 59/2004

Uno sguardo critico ai problemi posti dal primo decreto attuativo della legge delega 53/2003 sul piano sia organizzativo sia culturale e pedagogico.

di Carlo Fiorentini

1. Personalizzazione/individualizzazione

2. Le scelte ordinamentali e organizzative

3. La dimensione formativa delle discipline

4. Le "Indicazioni nazionali"

5. Ologramma e prevalenza

6. Unità di apprendimento e obiettivi formativi

7. Obiettivi specifici di apprendimento

1. Personalizzazione / individualizzazione

Cercherò di chiarire che cosa si intende per individualizzazione e per personalizzazione.

Ci sono alcuni esperti che le contrappongono, quali per esempio Benedetto Vertecchi.

Ci sono invece altri esperti che le concepiscono in continuità (per esempio M. Baldacci e G. Chiosso in Voci della Scuola, 2004).

Ci sono altri esperti che le vedono non in contraddizione sul piano teorico, ma vedono la personalizzazione in contraddizione con le scelte operate finora (per esempio G. Bertagna, in "Scuola e Didattica" del 1 marzo 2004)

B. Vertecchi (Insuccessi personalizzati da "Insegnare" n. 5, 2003).

«Personalizzare un percorso vuol dire adattare i traguardi dell'istruzione alla previsione di successo che si ritiene di formulare per ciascun allievo. In pratica, si torna ad affermare una concezione deterministica della relazione tra caratteristiche personali e livello degli apprendimenti.

Se si osserva che un allievo apprende con difficoltà, sarà ridotto per quel allievo il livello dell' attesa, senza preoccuparsi di esplorare le cause che fino a un certo momento del percorso educativo, quello in cui il giudizio predittivo è espresso, gli hanno impedito di conseguire risultati migliori.

Si potrebbe anche pensare che alla personalizzazione corrisponda una scelta realistica, mentre l'individualizzazione perseguirebbe un'improbabile utopia. Ma non è così.

Se da un allievo ci attendiamo poco, è probabile che otterremo ancora meno. Se l'attesa diminuita è legittimata da una corrispondente diminuzione dei traguardi da perseguire, anche i comportamenti subiranno una deriva al ribasso.

Ciò che qualifica l'istruzione è, infatti, proprio l'uniformità del criterio di giudizio: non si può accettare che determinati risultati siano raggiunti da alcuni e non da altri o, peggio, che si rinunci a priori a considerare tali risultati raggiungibili da una parte degli allievi.

La linea di progresso nell'educazione scolastica si è espressa principalmente attraverso la messa a punto di soluzioni individualizzate. In altre parole, si è ritenuto che l'educazione scolastica dovesse continuare a essere praticata per gruppi di allievi, in modo collettivo, ma che una specifica attenzione dovesse essere rivolta alle esigenze di ciascuno».

M. Baldacci ("Individualizzazione", da Voci della scuola, a c. di G. Cerini e M. Spinosi, "Notizie della Scuola", Tecnodid, Napoli 2003).

«Individualizzazione si riferisce alle strategie didattiche che mirano ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi di insegnamento.

Personalizzazione indica invece le strategie didattiche finalizzate a garantire a ogni studente una propria forma di eccellenza cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie potenzialità intellettive (capacità spiccata rispetto ad altre/punto di forza).

In altre parole, la personalizzazione ha lo scopo di far sì che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella prima gli obiettivi sono comuni per tutti, nella seconda l'obiettivo è diverso per ciascuno (pluralità di percorsi formativi/piste indirizzate verso destinazioni differenti, possibilità di scelta da parte dell'alunno, grado di consapevolezza circa il proprio profilo di abilità, realizzazione di un adeguato contesto didattico).

Aiutare ogni studente a sviluppare una propria forma di talento è probabilmente un obiettivo altrettanto importante di quello di garantire a tutti la padronanza delle competenze fondamentali».

G. Chiosso ("Personalizzazione", da Voci della scuola, a c. di G. Cerini e M. Spinosi, "Notizie della Scuola", Tecnodid, Napoli 2003).

«La prospettiva della personalizzazione reinterpreta alla luce di nuove esigenze un motivo ricorrente della cultura pedagogica novecentesca e cioè il principio della individualizzazione. Autori come Claparède, Decroly, Montessori, Freinet hanno scritto pagine che ormai appartengono al patrimonio storico della riflessione pedagogica».

G. Bertagna. «In questo contesto, l'antagonismo che si è voluto talvolta rintracciare tra individualizzazione e personalizzazione sembra una forzatura artificiosa, oppure il frutto di una incomprensione.

Se è vero, infatti, che 'individualizzazione' significa impegno per dare a tutti lo stesso bagaglio di competenze nei percorsi formali di istruzione, sebbene in tempi, modi e condizioni diverse, adatte a ciascuno; e anche prendere atto che alla promozione delle competenze finali del Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo o del secondo ciclo, contribuisce non soltanto l'istruzione scolastica formale, ma anche tutto l'insieme delle istituzioni educative presenti in un territorio, a partire da quella fondamentale della famiglia, per cui lo stesso utilizzo dei tempi, degli spazi e dei modi di apprendimento della scuola può, anzi deve essere diverso a seconda delle esigenze e delle esperienze di ciascuno, 'personalizzare' significa trovare e assicurare le condizioni organizzative, professionali e umane perché questi processi di 'individualizzazione' non siano mai decisi da altri, magari in maniera burocratica, ma sempre ragionati, conosciuti e scelti da ogni studente, insieme alla sua famiglia, come un arricchimento di sé e come una condizione per integrarli in un personale progetto di vita.

In altri termini la 'personalizzazione' esprime il proposito di una specie kantiana uscita dallo stato di minorità dello studente e della sua famiglia, non più considerati destinatari di un intervento educativo deciso da chi, in nome della competenza tecnica o di un preteso monopolio istituzionale, si è "assunto con tanta benevolenza l'alta sorveglianza sopra costoro"(Kant), ma ritenuti diretti co-protagonisti, co-operatori e co-negoziatori della propria maturazione e del proprio destino».

2. Le scelte ordinamentali e organizzative

Le scelte di tipo ordinamentale e organizzativo non possono che essere interpretate nel senso dato alla personalizzazione da Vertecchi.

Su questi aspetti il giudizio è totalmente negativo:

-         gli anticipi;

-         il rischio del supermarket nella scuola dell'infanzia;

-         il maestro prevalente e l'ologramma;

-         il tutor;

-         la questione del tempo pieno;

-         il ruolo attribuito alla famiglia;

-         il rischio di aumento del nozionismo e dell'insegnamento trasmissivo;

-         l'abbassamento dell'obbligo scolastico e il doppio canale;

-         le proposte relative alla scuola secondaria superiore.

Per il prossimo anno vi sono ampi spazi di limitazione del danno, perché, grazie alle proteste dei mesi passati e alle contraddizioni all'interno della maggioranza, il decreto e la circolare lasciano ampi spazi di iniziativa e di interpretazione, nel senso di non applicare l'anticipo e di mantenere l'orario di 40 ore nella scuola dell'infanzia, di non applicare la prevalenza e di nominare tutor tutti gli insegnanti del team. Ma se il decreto e la circolare venissero modificati in qualche aspetto, la situazione sarebbe molto più difficile.

Per quanto riguarda i piani di studio personalizzati ritengo, invece, che la situazione sia più contraddittoria e che vi siano quindi spazi significativi, per le scuole autonome, di limitazione del danno.

3. La dimensione formativa delle discipline

Prima di analizzare alcuni aspetti dei Piani di studio personalizzati, avanzo alcune domande:

-         in quale modo le scuole autonome possono limitare il danno sul terreno più specifico del lavoro degli insegnanti, il processo di insegnamento-apprendimento?

-         come è possibile portare avanti l'individualizzazione, non soltanto con "slogan"?

-         come è possibile piegare o strumentalizzare (a seconda dei punti di vista) la personalizzazione nel senso che in pratica diventi l'individualizzazione?

Evidentemente, scegliendo mete, obiettivi culturali che siano veramente alla portata di tutti. Non basta dire che le mete sono comuni, perché se gli obiettivi comuni sono in quantità enciclopedica e in una logica disciplinarista, anche se si professa come credo politico-pedagogico l'individualizzazione, in realtà si pratica la personalizzazione nel senso più deteriore del termine.

Al di là quindi delle dispute nominali, ciò che conta, proprio per garantire traguardi culturali comuni, è la selezione dei saperi adeguati alla portata di tutti gli studenti, e in una quantità che sia compatibile con didattiche, metodologie di tipo laboratoriale, con tempi distesi, che mettano effettivamente lo studente al centro del processo di costruzione della conoscenza.

Anche i manuali della scuola di base sono spesso l'opposto di tutto ciò.

Sappiamo che tutto ciò è molto difficile, ed è proprio per questo motivo che diciamo da alcuni anni che le scuole dovrebbero concentrare il loro lavoro di progettazione sulla dimensione formativa delle discipline, sul rinnovamento dell'insegnamento delle discipline fondamentali, sul curricolo verticale.

L'autonomia scolastica può permettere tutto ciò, a condizione che non venga più utilizzata prevalentemente per l'ampliamento dell'offerta formativa.

Oggi è più facile farlo comprendere a molti insegnanti per le analogie esistenti tra l'utilizzo dell'autonomia scolastica, come è stato finora effettuato da molte scuole, e il progetto della Moratti.

Anche la personalizzazione nel senso di Baldacci è un lusso che ci si può permettere soltanto quando l'individualizzazione è stata realizzata.

Gli strumenti organizzativi fondamentali per realizzare l'individualizzazione sono i laboratori didattici per il curricolo verticale delle principali aree disciplinari. Se le scuole non costruiranno queste strutture, l'individualizzazione rimarrà soltanto uno slogan demagogico.

4. Le "Indicazioni nazionali"

Le "Indicazioni nazionali per i Piani di studio" sono un documento complessivamente di scarso livello culturale, incoerente e contraddittorio. Tuttavia è proprio questa incoerenza che lascia grandi spazi di iniziativa. Vi si ritrovano infatti molti aspetti ovvi, alcuni negativi, altri positivi. Nella misura in cui i Piani di studio dovranno essere dalle scuole messi in atto (da qui alle elezione del 2006 i tempi non sono lunghissimi) occorre appoggiarsi agli aspetti positivi o non negativi per contrastare e neutralizzare gli aspetti negativi.

Prendiamo in considerazione alcuni aspetti principali dei Piani di studio personalizzati.

5. Ologramma e prevalenza

L'ologramma costituisce uno degli aspetti più negativi, anche se apparentemente potrebbe sembrare seducente. Nella sostanza è la riproposizione della vecchia idea attivistica, condivisa anche da molti pedagogisti di sinistra, dell'interdisciplinarità. Le motivazioni sono nobili: la critica del disciplinarismo, del formalismo, dell'astrattezza dell'organizzazione sistematica delle discipline. Ma la proposta si rileva ormai da moltissimo tempo nella pratica un'ipotesi totalmente velleitaria in quanto è già un'impresa titanica costruire la dimensione formativa, in una prospettiva di curricolo verticale, delle discipline; figuriamoci una proposta che incroci tutte le discipline.

Il maestro prevalente è organico sul piano organizzativo a questa visione. Se l'ologramma ha un senso, il maestro prevalente è la scelta opportuna.

Se si intende utilizzare le discipline per finalità formative ed educative occorre tanta cultura disciplinare, ma anche pedagogica, psicologica, epistemologica, relazionale, una cultura complessa che finora non è esistita se non per la buona volontà dei singoli insegnanti.

A partire dalla scuola elementare, abbiamo da una parte dei Piani di studio con un'impostazione nettamente disciplinare, e dall'altra un maestro quasi unico che, tranne le eccezioni che tutti sempre citano (Mario Lodi e qualche altro), in generale non potrebbe lavorare intorno ai vari obiettivi disciplinari che affidandosi ai sussidiari, ai manuali con un'impostazione necessariamente nozionistica.

E la centralità dello studente o, come si dice, della persona, andrebbe sicuramente perduta.

6. Unità di apprendimento e obiettivi formativi

Riprendiamo due passi dalle "Indicazioni nazionali":

«Il cuore del processo educativo si ritrova, quindi, nel compito delle Istituzioni scolastiche e dei docenti di progettare le Unità di apprendimento caratterizzate da obiettivi formativi adatti e significativi per i singoli allievi che si affidano al loro peculiare servizio educativo, compresi quelli in situazione di handicap, e volte a garantire la trasformazione delle capacità di ciascuno in reali e documentate competenze.

L'insieme delle Unità di apprendimento effettivamente realizzate, con le eventuali differenziazioni che si fossero rese opportune per singoli alunni, dà origine al Piano di Studio personalizzato, che resta a disposizione delle famiglie e da cui si ricava anche la documentazione utile per la compilazione del Porfolio delle competenze individuali».

Una prima considerazione va fatta relativamente al fatto se i Piani di Studio debbano essere tanti, e al limite uno per ogni studente. Evidentemente deve essere uno per ogni classe.

Una seconda considerazione riguarda - a parte il fastidio per il nuovismo terminologico - le due formulazioni Unità di apprendimento e obiettivi formativi.

Alcuni contributi (fra i quali quello di Silvana Loiero su "Notizie della Scuola" n. 15 di aprile 2004 e quello di Ermanno Puricelli su Voci della Scuola, 2004) ne chiariscono il significato: i due concetti, pur con alcune ambiguità, contraddizioni e rischi, sono concetti positivi, che possono essere utilizzati per neutralizzare gli aspetti negativi (e gli aspetti negativi principali sono quelli che tendono a realizzare una scuola enciclopedica, nozionistica e trasmissiva nelle discipline fondamentali).

Vediamo alcuni passi del contributo di Puricelli:

«Si potrebbe commentare questo passo dicendo che alle Unità di apprendimento viene assegnata una funzione formativa, prima ancora che didattica, al punto che non sarebbe sbagliato chiamarle Unità formative, in quanto il loro fine è la formazione integrale della persona. Naturalmente, dato che non c'è formazione senza istruzione, l'Unità di apprendimento assume al proprio interno anche la funzione didattica, per cui è corretto parlare di una funzione educativo-didattica. La differenza rispetto alle Unità didattiche sembra evidente: per queste ultime, considerate non tanto sul piano delle giustificazioni teoriche quanto nella pratica scolastica effettiva, la funzione formativa resta sullo sfondo, mentre assume valore di primo piano quella didattica, consistente nel promuovere l'acquisizione di conoscenze e abilità.

La quarta caratteristica, sempre sintetizzata dal nome, è la centralità assegnata all'apprendimento: le Unità di apprendimento sono concepite come occasioni di apprendimento. È questa una presa di posizione che sposta l'attenzione dalle esigenze dell'insegnamento a quelle dell'apprendimento; dalla programmazione del lavoro docente all'evolversi concreto e in situazione dell'apprendimento della classe e dei singoli. Basterebbe solo questo a segnare una differenza fondamentale rispetto alle Unità didattiche, notoriamente sbilanciate sul versante dell'insegnamento» (p. 384, 385).

Con i due concetti di Unità di Apprendimento e obiettivi formativi vi è, in altre parole, una chiara presa di distanza dal comportamentismo, dalla pedagogia per obiettivi, dalla programmazione curricolare, che hanno caratterizzato per i passati venti anni la pedagogia ministeriale e molta pedagogia (prevalentemente di centrosinistra, perché quella di destra probabilmente era ancora legata al modello gentiliano).

Quindi, oltre alla spiegazione di tipo politico in riferimento alla sparizione del termine curricolo, vi è una spiegazione culturale-pedagogica condivisibile, perché l'interpretazione più diffusa del termine curricolo non è quella del Cidi, di ispirazione bruneriana, ma quella comportamentista, quella della programmazione curricolare (altro nome dato alla pedagogia per obiettivi).

Possiamo quindi utilizzare questi due concetti, per rendere effettivamente centrale lo studente nel processo di costruzione della conoscenza, per «selezionare dei saperi adeguati, alla portata di tutti gli studenti, e in una quantità che sia compatibile con didattiche, metodologie di tipo laboratoriale, tempi distesi, che mettano effettivamente lo studente al centro del processo di costruzione della conoscenza».

E dobbiamo contemporaneamente interpretarli sulla base del concetto bruneriano di curricolo, perché ciò che accomuna la nostra posizione e quella ministeriale è la critica al comportamentismo e al disciplinarismo; ma mentre noi pensiamo che la soluzione consista nel curricolo verticale delle principali discipline, da parte ministeriale si pensa (in accordo con molta pedagogia di sinistra, ambientalista, che si rifà a Morin) che la soluzione stia nel buttare via completamente le discipline (noi pensiamo che vada buttata via l'organizzazione usuale, accademica, specialistica delle discipline e che vada costruita, utilizzando l'articolo 6 del Regolamento dell'autonomia, l'organizzazione formativa delle discipline) e nel progettare soltanto attività ologrammatiche.

Da "Scuola e Didattica", nel mese di novembre 2003 è stato pubblicato un inserto di 14 pagine di Loredana Perla sul coordinarore-tutor riferito alla scuola media che contiene molte considerazioni di questo tipo:

«Un apprendimento basato su obiettivi formativi prevede pertanto la progettazione di itinerari educativi adeguati all'unità di pensiero e azione della persona (V.G. Hoz, A.B. Guerrero, S. Di Nuovo, Dal fine agli obiettivi dell'educazione personalizzata, Palumbo, Palermo 1997, p. 250) e comporta che docenti e studenti, nell'affrontare un problema della vita reale (per esempio, la tutela dei beni culturale del Paese, lo smaltimento dei rifiuti cittadini, le cause del cambiamento climatico, i disagi dei preadolescenti) integrino concetti e abilità legati a più discipline.

Per questo, un curricolo strutturato per obiettivi formativi richiede la mobilitazione di prospettive pluri-inter-transdisciplinari, nonché il continuo richiamo all'integralità educativa. La logica lineare che sino a ieri informava i curricoli scolastici e che mirava alla promozione e allo sviluppo di conoscenze e abilità disciplinare deve lasciare il posto, in questa nuova prospettiva formativa, a una logica per così dire 'reticolare' che faccia convergere la pluralità degli interventi didattici al perseguimento di obiettivi formativi unitari, ricercando tutti i possibili collegamenti tra le discipline. Ciò significa che l'attività didattica non va organizzata a partire dalle discipline ma dai problemi di senso che gli allievi incontrano. E i problemi, come è ovvio, sono sempre sintetici e unitari. Per questo richiedono, per essere risolti, l'apporto di più saperi, attraverso i quali il soggetto giunge a costruire il proprio sapere, che ha significato e senso nella misura in cui si fa personale». 

7. Obiettivi specifici di apprendimento

Vediamo un passo ripreso dalle "Indicazioni nazionali".

«Gli Obiettivi specifici di apprendimento non hanno, perciò, alcuna pretesa validità per i casi singoli, siano essi le singole Istituzioni scolastiche o, a maggior ragione, i singoli allievi. È compito esclusivo di ogni scuola autonoma e dei docenti, infatti, nel concreto della propria storia e del proprio territorio, assumersi la libertà di mediare, interpretare, ordinare, distribuire e organizzare gli Obiettivi specifici di apprendimento negli Obiettivi formativi.»

Viene da tutti detto che gli Obiettivi specifici di apprendimento costituiscono la parte più prescrittiva delle "Indicazioni nazionali". Questo è vero, però ritengo disarmante la posizione di chi volendoli criticare, mette in evidenza una prescrittività assoluta della norma. Se queste Indicazioni dovranno essere messe in pratica dalle scuole (e non abbiamo nessuna esigenza e nessuna fretta di spingere in questa direzione) è fondamentale evidenziare che le scuole autonome hanno dalla norma un grande ruolo nella scelta degli obiettivi significativi per i loro studenti.

Gli obiettivi specifici di apprendimento individuati sono in quantità industriale. Ma oltre che tanti, ve ne sono un 20/30 % assurdi, disciplinaristi biechi, prematuri, non formativi.

La scuola del curricolo andrebbe, infatti, a farsi benedire di fronte a indicazioni, programmi, con una logica disciplinarista, con quantità enciclopedica di obiettivi, anche se chi li avesse scritti fosse di centro-sinistra e scrivesse costantemente la parola 'curricolo'.

Le scuole hanno totale potere di decidere gli obiettivi formativi, attingendo agli obiettivi specifici di apprendimento. Loro compito sarà quello di scegliere e scartare innanzitutto gli obiettivi assurdi, prematuri.

Le scuole hanno il potere di decidere "quali e quanti" obiettivi perseguire per fare in modo che vi sia costantemente la possibilità di portare avanti metodologie e modalità relazionali che permettano il pieno sviluppo delle potenzialità di tutti gli studenti (di tutte le persone) nelle discipline fondamentali.

È ovvio, infine, che il passo citato sugli Obiettivi specifici di apprendimento può anche essere interpretato nel senso attribuito alla personalizzazione da Vertecchi, scegliendo obiettivi diversi per i vari gruppi di studenti; ma tutto ciò dipenderà essenzialmente dalle scelte culturali e organizzative delle scuole autonome.

 


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