Cognitivismo |
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CognitivismoLa psicologia cognitivista ha consentito il superamento del comportamentismo che considerava l'individuo come passivo rispetto allo stimolo-ambiente: non è più la natura oggettiva degli eventi -stimolo il punto di partenza, ma è la rappresentazione 1) mentale che di essi l'individuo si costruisce a costituire il centro del problema: il processo di apprendimento si va, così, configurando come un processo costruttivo, attivo, interattivo.
Il soggetto elabora i dati provenienti dal mondo e li organizza in una rappresentazione di esso modificata rispetto ai dati di partenza. “Con l'etichetta «cognitivismo» si intende la ricerca psicologica condotta dalla fine degli anni Cinquanta sino a oggi. Il cognitivismo non identifica una «scuola», ma il nuovo modo di fare psicologia dopo quella che viene definita l'era comportamentista. È più un atteggiamento di ricerca che un'interpretazione ben definita di quanto avviene nella mente. Infatti, come indica il nome, il cognitivismo fa primario riferimento allo studio della «cognizione», orribile anglicismo in uso per indicare i processi e le funzioni che avvengono nella mente, da cui si ritiene dipenda tutto il comportamento. Infatti, se il cervello è oggetto di studio della neurofisiologia, la mente è oggetto di studio della psicologia almeno fin dai tempi di Cartesio. Tra il cervello e la mente si assume vi sia uno stretto nesso, oggetto di studio da sempre frequentato dai filosofi e, con l'affermarsi del cognitivismo, anche dagli psicologi come testimonia il sorgere e raffermarsi di una nuova branca dell'indagine psicologica, la neuropsicologia. Questo dualismo tra mente cervello, tuttavia, negli ultimi dieci anni è stato messo in discussione proprio sulla scia di alcune linee di ricerca sviluppate dal cognitivismo.” N. Caramelli, 2002
1) "... La rappresentazione non corrisponde affatto all'idea di un riflesso della realtà esterna ma piuttosto a una ricostruzione che traduce a partire dagli stimoli provenienti dal mondo esterno." E. Morin (1990). La rappresentazione di una data realtà - o immagine, modello,schema mentale - è una entità diversa dallo stato di cose che rappresenta: l'oggetto psichico è diverso dall'oggetto fisico. Ciò comporta l'abbandono della distinzione classica tra soggetto e oggetto della conoscenza:a partire dall'elaborazione dello stimolo sensoriale l'oggetto è sempre ri-costruito dal soggetto conoscente in modo coerente sia rispetto alla propria esperienza sia rispetto al sistema di simboli (significati) che connota,caratterizza la sua comunità di appartenenza. (dal sito: http://www.unisob.na.it/ ) Dal cognitivismo al costruzionismoSilvano Tagliagambe
La crisi del cognitivismo
Nel corso degli ultimi è entrata in crisi l'architettura per la modellizzazione dei processi cognitivi che fino a qualche tempo fa godeva di un'egemonia presso che incontrastata. Un'architettura definisce le capacità fondamentali di elaborazione del sistema cognitivo. L'approccio tradizionale, basato sull'idea della mente come sistema simbolico fisico, che si avvale di un linguaggio formalizzato e sull'analogia mente-computer, ha avuto l'innegabile merito di sottolineare la possibilità di una organizzazione ordinata, razionale del percorso di apprendimento e di porre le basi di quella che può essere considerata una “teoria dell'istruzione” ben definita e coerente. Punto d'avvio dell'applicazione di questa architettura ai processi d'insegnamento può essere considerata la famosa Conferenza di Woods Hole del 1959 coordinata da Bruner, nella quale emerse l'esigenza di definire un approccio “scientifico- razionale” all'attività didattica, alla sua strutturazione sequenziale, alla valutazione “oggettiva” degli apprendimenti, di delineare le linee generali di una “teoria dell'istruzione” e furono messi a punto alcuni criteri di quello che diverrà l'approccio curricolare e che possono essere così sintetizzati: definire operativamente l'obiettivo da conseguire; valutare le conoscenze in ingresso; scomporre analiticamente l'obiettivo in sotto-obiettivi elementari; fornire feed-back orientativo durante il processo. Il suo punto di debolezza, successivamente riconosciuto dallo stesso Bruner 1) , stava nel riferimento a un modello dell'intero spettro dei processi cognitivi troppo rigidamente ricalcato su una sua componente, sia pure importante, come quella che si esprime in una specifica rappresentazione del pensiero scientifico che concentra l'attenzione sulle forme e modalità di trattamento ed elaborazione dell'informazione, trascurando, ad esempio, le questioni legate ad aspetti come la “ricerca del significato”. Oggi questo approccio si rivela carente soprattutto per il fatto di non aver prestato la debita attenzione a dimensioni Oggi questo approccio si rivela carente soprattutto per il fatto di non aver prestato la debita attenzione a dimensioni che appaiono sempre più centrali ai fini dello sviluppo dei processi d'insegnamento/apprendimento. L'incidenza e il peso di questa restrizione d'orizzonte in Italia sono state ulteriormente aggravate dall'egemonia della tradizione idealistica di matrice crociata e gentiliana, che ha impedito di prendere nella dovuta considerazione il riferimento ai seguenti aspetti e alle relazione che oggi sappiamo intercorrere tra di essi:
Corpo Û emozioni ¯ ¯ azione e movimento intelligenza connettiva ¯ ¯ dimensione operativa progetto tecnologia Queste dimensioni non vanno assunte singolarmente: è essenziale prenderle in considerazione nei loro nessi reciproci, collocandole globalmente all'interno di una prospettiva generale che può essere qualificata come passaggio dal cognitivismo al costruttivismo.
Il “costruzionismo”
Di quest'ultimo termine, però, si danno letture e interpretazioni tanto variegate e disparate, che a volte è persino problematico farle rientrare all'interno di un quadro coerente. Per questo preferiamo parlare di “costruzionismo”, cioè di un'impostazione, nell'ambito della quale gli elementi costitutivi della costruzione sono “elementi socio-culturali”, e non aspetti cognitivi 2). Un primo abbozzo dell'accezione che intendiamo dare a questa nuova “etichetta” può essere fornito attraverso un aforisma africano citato e fatto proprio da Samuel Papert, l'inventore del Logo, un ambiente nato nell'ambito culturale degli studi sull'intelligenza artificiale del MIT e costruito sulla base di una felice integrazione tra linguaggio di programmazione “classico” ed elementi di multimedialità, che, pur essendo definito da precisi confini operativi, lascia all'invenzione e alla creatività dei ragazzi l'obiettivo dell'attività, puntando quindi sugli aspetti costruttivi del pensiero. L'aforisma è il seguente: “ Se un uomo ha fame gli puoi dare un pesce, ma meglio ancora è dargli una lenza e insegnargli a pescare". A esso Papert aggiunge, di suo, la seguente considerazione: “Naturalmente, oltre ad avere conoscenze sulla pesca, è necessario anche disporre di buone lenze, ed è per questo che abbiamo bisogno di computer e di sapere dove si trovano le acque più ricche...". Questa metafora ha il pregio di costituire un'efficace integrazione tra esigenze teoriche e istanze che emergono dal mondo delle pratiche e delle tecnologie. Raccoglie pienamente ed esprime con semplicità l'idea di coevoluzione, basata sul presupposto che l'ambiente non sia una struttura imposta agli esseri viventi dall'esterno, ma sia in realtà uno “sfondo” alla cui costituzione e precisazione essi danno un contributo fondamentale, in quanto i loro sistemi nervosi centrali e i loro schemi percettivi e cognitivi non sono adattati a leggi naturali assolute, ma piuttosto a leggi naturali che operano in una struttura condizionata dalla loro stessa attività sensoria. Di conseguenza, pone al centro dell'attenzione non l'azione di sfamare e il soggetto che la compie, ma chi deve essere sfamato e la necessità di fornire a esso le risorse e gli strumenti per poter appagare i suoi bisogni non soltanto qui e ora, in questa specifica contingenza, ma anche in futuro e, possibilmente, per tutto l'arco della sua vita. Detto in termini più precisi e più rispondenti allo spirito del proverbio, sposta l'attenzione dai due soggetti implicati (chi dà e chi riceve) al processo di relazione interpersonale e di cooperazione tra di essi. A questa prima “mossa” teorica essenziale Papert aggiunge, come corollario indispensabile, il riferimento imprescindibile alla conoscenza (sapere il più possibile non solo sull' attività della pesca, in modo da diventare il più possibile competenti in relazione a questa pratica, ma anche sull'ambiente naturale nel quale essa si deve esercitare, così da riuscire a localizzare le acque più ricche) e agli strumenti di cui occorre dotarsi (le buone lenze). Ecco così spazzata via, ancora una volta con semplicità, ma in maniera felice ed efficace, ogni tentazione di costruzionismo troppo radicale, che metta in ombra l'importanza determinante della conoscenza della realtà. Il fatto che il nostro cervello filtri le informazioni date dai sensi in funzione dei suoi progetti, per cui anche nei processi d'insegnamento/apprendimento è bene partire dagli obiettivi perseguiti dal soggetto conoscente e dalla simulazione interna delle conseguenze attese dell'azione che egli opera di volta in volta, non può e non deve infatti portare a trascurare l'apporto dei segnali e degli input che il cervello medesimo riceve dalla realtà esterna e che esso provvede, appunto, a filtrare, selezionare, elaborare. Va, al contrario, ricordato e sottolineato costantemente che senza l'apporto di questi segnali e input, veri e propri vincoli posti dalla stessa realtà esterna al significato e al valore dei comportamenti e dei progetti dei soggetti che si vogliono porre in rapporto con essa, non potrebbero svilupparsi né una conoscenza, né un'azione minimamente efficaci. Tradotto in termini di esperienza e di pratica didattica ciò significa che si deve permettere allo studente di rendersi protagonista di un'esplorazione attiva consona con i propri interessi e/o motivazioni all'apprendimento di nuove conoscenze, senza però che ciò sfoci nella promozione di un qualsivoglia processo di autoapprendimento. Quest'ultimo sarebbe infatti la negazione di quella relazione interpersonale e di cooperazione, cui ci siamo, non a caso, appena richiamati e sulla quale è basata l'idea di “costruzione sociale della conoscenza” che è il piatto forte del costruzionismo come viene qui inteso e presentato. Devono essere lo stesso ambiente d'apprendimento reso disponibile, la stessa struttura dei materiali offerti e delle attività didattiche promosse, a innescare un processo conoscitivo rilevante per il soggetto che apprende, la cui esperienza si deve basare su di un processo di ristrutturazione continua e flessibile della conoscenza preesistente in funzione dei bisogni posti, di volta in volta, dalle nuove situazioni formative. L'importante è che la progettazione didattica si connoti come operazione aperta, disponibile all'attivazione di percorsi multipli tra loro interagenti, arricchiti da momenti di riflessione individuale e collettiva, pronta all'uso dello studio dei casi, del problem solving, della simulazione e di tutte le strategie che fanno ricorso a problemi autentici, situati, ancorati in contesti concreti e che proprio per questo non hanno soluzioni univoche e predeterminate, ma vanno analizzati, approfonditi, in modo da selezionare, tra le tante opzioni possibili, quelle che risultano più efficace nella situazione specifica data e più conformi agli interessi, alle strategie personali, agli obiettivi di chi si muove all'interno di essa. Queste forme di insegnamento e di apprendimento collaborativi devono essere sostenute in modo robusto da “buone lenze”, cioè, come precisa e spiega lo stesso Papert, dal computer, che non deve più però essere pensato come modello della mente umana considerata, oltre tutto, come qualcosa di scisso dal corpo, ma come strumento per realizzare tecnologie della mente/corpo, interfacce e ambienti che agganciano il nostro corpo insieme alla nostra mente. Le nuove tecnologie, di cui il calcolatore è espressione e simbolo, devono essere viste e considerate con riferimento specifico al contributo che esse possono offrire all'intensificazione e all'arricchimento delle relazioni tra gli esseri umani, alla creazione di un dominio consensuale e cooperativo cui esse possono dar luogo . Il rinnovamento dei processi di insegnamento/apprendimento, che va perseguito e realizzato, deve per questo basarsi sul dialogo e sull'interazione stretta e costante tra queste tecnologie, l'architettura alternativa per la modellizzazione dei processi conoscitivi, incardinata sugli aspetti precedentemente enunciati, e le metodologie e le pratiche didattiche che ne scaturiscono. A tutt'oggi il progetto di questo rinnovamento non dispone ancora di un quadro di riferimento teorico “forte”, da cui possa scaturire una precisa proposta didattica: i dibattiti e le esperienze in corso, pur importanti e interessanti, finora si sono limitati a segnalare esigenze e a coagularle, a insistere sulla necessità di porre riparo ai rischi sempre più incombenti di distacco della scuola dalla vita, dei saperi formali e organizzati da quelli informali. Tuttavia, almeno a grandi linee e in via preliminare, i l passaggio dal cognitivismo al costruzionismo può essere presentato come l'abbandono di una concezione della conoscenza che, in maniera più o meno esplicita, si richiama alla metafora della mente come archivio più o meno statico, in cui dovrebbero essere depositate pre-conoscenze già in qualche modo organizzate e strutturate ( schemata , frames, script ) che andrebbero prelevate e implementate su nuove situazioni problematiche, integrandole, a tal fine, di nuovi dati e delle informazioni mancanti. A questo modello ne viene contrapposto uno alternativo che concepisce invece la mente come un sistema complesso, plastico e dinamico, sottolinea la necessità di far apprendere in una varietà di modi differenti e per una diversità di scopi, favorendo così il prodursi di rappresentazioni multiple della conoscenza, ed evidenzia l'importanza, al fine di raggiungere un'effettiva padronanza del materiale conoscitivo di cui si dispone, di “rivisitarlo” in tempi differenti e in contesti modificati e di riusarlo più volte, considerandolo da punti di vista e prospettive diversi. In questo modo il baricentro si sposta sul discente e sul processo di autodeterminazione, da parte sua, del percorso di apprendimento e dei suoi stessi obiettivi, che viene visto come non lineare, bensì come “emergente” e “ricorsivo”. Alla base della concezione dei processi d'insegnamento e apprendimento, che caratterizza gli approcci di tipo costruttivistico, oltre agli aspetti già messi in rilievo, vi è la convinzione comune che questi processi risultino facilitati e si rivelino più efficaci quando:
chi apprende è coinvolto nella soluzione di problemi che si riferiscono al mondo reale; la conoscenza già esistente è attivata e mobilitata come base di partenza per la produzione di ulteriori e più approfonditi stadi di conoscenza; la conoscenza che ne emerge: è dimostrata e mostrata, a seconda dei casi e delle sue caratteristiche, all'allievo, e non semplicemente detta ; è usata operativamente dall'allievo: viene integrata nel complesso delle conoscenze dell'allievo.
3. Condivisione della conoscenza e apprendimento collettivo e “ terzo spazio”
A questi primi aspetti del costruzionismo se ne può aggiungere uno ulteriore, basato sul crescente credito acquisito dall'idea della conoscenza come il risultato di un processo di costruzione collettivo, sociale. Ne consegue che l'unica forma di apprendimento efficace è la partecipazione a tale processo e che la conoscenza cresce tanto meglio e tanto più, quanto più la si condivide. Si ha, pertanto, una crescente incidenza della condivisione, e quindi della comunicazione, sullo stesso processo di sviluppo della conoscenza. La possibilità, ormai disponibile a un livello che non ha precedenti nella storia, che un numero di persone straordinariamente elevato (e che tende ad aumentare sempre più) ha di comunicare, interagire e collaborare tra loro su scala planetaria sta determinando il passaggio dal “pensare in modo verticale”, che significa chiedersi chi controlla un certo sistema e come si sviluppa, al “pensare in modo orizzontale”, per il quale prioritaria non è la questione del controllo e della gestione, ma la possibilità di connettere nel modo migliore e più efficace i nodi di una rete in modo da riuscire a ricavare il massimo di informazioni da tutte le fonti insieme. Proprio il passaggio da un modello di creazione del valore sostanzialmente verticale, basato su comando e controllo , a un modello sempre più orizzontale, basato su connessione e collaborazione , ci fa capire sempre più e sempre meglio che la disuguaglianza tra i popoli, come quella tra gli individui, è sinonimo di spreco creativo, come evidenziano del resto i risultati ormai convergenti di svariate ricerche, le quali mostrano che ad alti tassi di disuguaglianza corrisponde un ritardo, non un'accelerazione, anche nella crescita economica, e non soltanto nel progresso sociale. Ecco perché la crescente apertura a nuovi contesti, a nuove culture, a nuove idee, a nuovi sogni, e la loro crescente incidenza nello scenario mondiale va vista come un'opportunità per tutti, e non come un rischio. Come scrive Richard Florida, “la nostra economia avrebe moltissimo da guadagnare se fossimo più … aperti a questa idea”3). Questa nuova immagine della conoscenza, che si sta sempre più affermando, è anche il risultato del l'impatto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, le quali stanno imponendo sempre più, attraverso il modello della rete, la diffusione di un paradigma, quello dell' intelligenza distribuita, di cui Internet rappresenta l'espressione e, per così dire, la "materializzazione". Essa infatti è il risultato della cooperazione spontanea, non guidata da nessun livello superiore e da nessuna "cabina di regia", di componenti locali, anche piccole, che danno luogo, attraverso la loro interconnessione, a un sistema intelligente, la cui potenza ed efficacia cresce in relazione alla quantità dei messaggi scambiati e delle interazioni che si sviluppano all'interno di esso. Ne è scaturito un modo di concepire e intendere l'intelligenza caratterizzato non più dal riferimento privilegiato a un unico soggetto, o a più soggetti contraddistinti dal fatto di vedere le cose a partire dal medesimo punto di vista e di assumere, di conseguenza, le medesime ipotesi iniziali e premesse, bensì a più agenti, che operano concorrentemente, costituiti da sistemi concettuali aperti. Gli studi relativi a questi aspetti sono stati condotti, in particolare, all'interno del Santa Fe Institute, in New Mexico, che ha promosso e promuove aggregazioni transdisciplinari finalizzate allo studio dei sistemi complessi. A farne un'analisi approfondita è stato soprattutto il biologo teorico Stuart Kauffman, uno dei fondatori di questo istituto, insieme a George Cowan , David Pines , Stirling Colgate , Murray Gell-Mann , Nick Metropolis , Herb Anderson , Peter A. Carruthers e Richard Slansky . I risultati ai quali sono pervenuti questi ricercatori hanno contribuito, assieme ad altre acquisizioni concomitanti, a mettere radicalmente in discussione una concezione della mente e dell'intelligenza centralizzata o unificata per proporne una, radicalmente alternativa, secondo la quale l'intero sistema assomiglia piuttosto a un patchwork di reti altamente cooperative, non omogenee e distribuite, assemblate da una complicata storia di bricolage che ne fa non un'entità unitaria, ma piuttosto una collezione di processi eterogenea, che può ovviamente essere considerata a più di un livello. Si ha così un sistema caratterizzato da una forma di intelligenza distribuita che Derrick De Kerckhove, allievo ed erede culturale di Marshall McLuhan, ha chiamato “intelligenza connettiva” 4) . L'intelligenza connettiva è, secondo la definizione che egli ne fornisce, una forma di connessione e collaborazione tra soggetti individuali e collettivi diversi che è il risultato di una condivisione tra loro costruita sulla base di uno scambio dialogico. L'aspetto caratterizzante di questa modalità di pensiero, che la distingue dalle tipologie che rientrano all'interno di quella che può essere chiamata “intelligenza collettiva” è che, a differenza di quanto generalmente avviene in quest'ultima, all'interno dell'intelligenza connettiva ogni singolo individuo o gruppo mantiene la propria specifica identità pur nell'ambito di una struttura molto articolata ed estesa di connessioni. Siamo dunque di fronte a un processo di esteriorizzazione dell'intelligenza , che diventa un processo supportato e disvelato dalla rete. Quella connettiva è dunque una forma di intelligenza, determinata dalle relazioni dei singoli agenti, che può produrre (e generalmente produce) apprendimento o innovazione, migliorando le competenze e le prestazioni non solo del sistema nel suo complesso, ma anche dei singoli che ne fanno parte. Proprio per questo la società digitale, come ha rilevato di recente Granieri 5), diversamente da tutte le altre grandi epoche della storia, non nasce dall'intuizione, dalla volontà o dall'azione di pochi, ma dalla collaborazione di milioni di persone In questo scenario oggi si aprono prospettive di cui è difficile precedere gli effetti futuri. Il network del Weblog, ad esempio, che è uno spazio in cui qualsiasi individuo, anche privo di competenze tecniche, può pubblicare sul Web ciò che desidera, sta modificando la rete, trasformandola in una vera e propria “sfera pubblica”, che stimola nuove forme e modalità di partecipazione e all'interno della quale si costituisce e si viene via via ampliando uno “sfondo condiviso” di opinioni e conoscenze e si stabiliscono e si consolidano relazioni di fiducia reciproca tra i diversi soggetti. Quando si parla, come si è appena fatto, di “intelligenza connettiva” o “distribuita” non ci si sta, di conseguenza, riferendo a concetti astratti, a schemi interpretativi, ma a processi concreti, che sono in corso, di cui sono ormai visibili e tangibili le manifestazioni e gli effetti, che non a caso sono ormai divenuti oggetto di studio di intere schiere di ricercatori, che si stanno sforzando attivamente di comprenderne i meccanismi e di descrivere le logiche che ne governano il funzionamento. La crescita di questi processi è alimentata e sostenuta da infrastrutture poco costose e facili da installare, come il wireless Wi-FI che ha ormai performances che superano quelle delle reti cablate, raggiungendo una velocità teorica di 240 Mbps, o da tecnologie come il WMAX, la PowerLine Communication, il digitale terrestre, che consentono di superare quel “digital divide” interno che corre sul filo della convenienza economica della banda larga di prima generazione (fibra ottica e ADSL). In questo scenario le possibilità che si aprono per quanto riguarda lo sviluppo e la diffusione generalizzata dei processi di apprendimento sono ormai tali da trovare limiti solo nella capacità progettuale e nell'iniziativa: basti pensare, per fare un unico esempio, al fatto che un'università prestigiosa, come quella di Berkeley, ha reso disponibili sull'iPod interi corsi e eventi, live e on-demand (“The iPod University, webcast.berkeley.edu). Tutto questo è ben noto, oggetto di innumerevoli analisi a diversi livelli di profondità. Quello che di cui si parla meno, e che è invece della massima importanza e degno del più alto interesse, è quali sono le conseguenze e le implicazioni di questa crescente ibridazione dell'organico e del tecnico. Tra queste assume rilievo il fatto che, al contrario di quella localizzata e concentrata, la conoscenza distribuita dipende da dove emerge e si manifesta (dimensione sincronica) e dagli eventi che si sono in precedenza affacciati sulla scena e succeduti e che sono alla base del suo emergere, cioè dalla dinamica e dalla storia delle organizzazioni coinvolte nella sua produzione (dimensione diacronica). L'informazione e la conoscenza che ogni singola comunità e organizzazione esprimono sono il risultato della cooperazione e dell'interscambio tra i diversi livelli in cui esse si articolano, nessuno dei quali, preso e considerato isolatamente, le contiene e sarebbe in grado di gestirne lo sviluppo. Non è certo un caso se oggi le organizzazioni formali si presentano sempre più raramente come sistemi suddivisi in parti, ciascuna delle quali sovraintende a una determinata funzione e persegue suoi specifici obiettivi, per trasformarsi in un complesso di sistemi di sistemi, di interazioni fra strutture organizzate, che interagiscono reciprocamente, si integrano e danno luogo, attraverso queste relazioni, a trasformazioni reciproche e, soprattutto, all'emergere di caratteristiche e proprietà nuove, tipiche del sistema globale e della specifica organizzazione che lo caratterizza. Oggi un'organizzazione formale si presenta sempre più come un complesso che contiene varie strutture intercomunicanti, nell'interazione tra le quali si determina tutta una serie di vincoli dello sviluppo, controlli regolativi, percorsi privilegiati, interrelazioni ed equilibri di tipo organizzativo. E' proprio questa ricchezza e varietà di strutture che consente l'ampliamento delle competenze e del know-how dei singoli agenti che operano nell'ambito di essa. La presenza di questa "rete di connessioni" interne condiziona le modalità di ricezione dell'informazione e dei segnali provenienti dall'esterno, le tipologia delle relazioni con gli altri soggetti collettivi e sistemi, vincola in qualche modo le une e le altre alla coerenza con determinati principi, valori, regole interni, preposti al mantenimento degli equilibri (statici e dinamici) dell'organizzazione medesima. In questo senso appare dunque non solo lecito, ma produttivo parlare di un "ambiente interno" che esercita, nelle interazioni e negli interscambi con l'ambiente esterno, un peso che non può essere ignorato, in quanto fa emergere di preferenza e seleziona, nell'ambito di quest'ultimo, gli aspetti che meglio si accordano con le esigenze intrinseche dell'organizzazione. In questo quadro affermare che le nuove tecnologie e le reti favoriscono il trasferimento della conoscenza non significa tanto dire che esse rendono in qualche modo disponibile una specie di data base “universale” cui tutti i contesti locali possano indifferentemente attingere, bensì riferirsi alla possibilità di estendere fino a limiti prima impensabili l'interazione fra comunità, creando un network che metta in comunicazione i vari contesti locali, permettendo a questi ultimi di interagire e di cercare insieme soluzioni comuni, o individuando in modo comunitario come far comunicare al meglio i rispettivi bacini cognitivi. I problemi, non solo culturali, ma anche sociali e politici che emergono in presenza di questo scenario sono enormi. Come sottolinea Boncinelli “nella comparsa e nella diffusione di internet si può vedere l'inizio di un processo di grande respiro e di imprevedibile portata. L'invenzione della stampa ha messo a suo tempo tutti gli uomini potenzialmente in grado di possedere la totalità delle cognizioni esplicitabili- sottolineo esplicitabili- esistenti al mondo. Internet promette, o minaccia, di rendere attuale tale potenzialità. Se questo si realizzerà, la mente di ciascuno di noi entrerà, se vorrà, sempre più spesso in un giro di menti, come dire a far parte di una collettività di cervelli pensanti, aggregati in tempo quasi reale. La cultura e la tecnica cospirano, con la complicità dei computer e delle telecomunicazioni, a creare una maximente collettiva artificiale, sovrapposta ai singoli cervelli naturali anche se fondata ovviamente su di essi. Restano esclusi, per ora, gli apprendimenti procedurali, compresi i comportamenti e le disposizioni d'animo” 6). Sarebbe davvero singolare se proprio il mondo della scuola sottovalutasse l'incidenza e il significato di questi nuovi scenari che si profilano e non percepisse l'impossibilità, in presenza di essi, di arroccarsi in una concezione dei processi d'istruzione e apprendimento che appartiene ormai, in modo irreversibile, al passato.
1) J. Bruner, La mente a più dimensioni , Laterza, Bari, 1988; Id. Acts of Meaning , Harvard Univeristy Press, Harvard, 1990 (tr. it. La ricerca del significato , Bollati Boringhieri,Torino, 1992).
2)Debbo a Roberto Maragliano il suggerimento di questo cambiamento di terminologia e la sua motivazione. 3)R. Florida, La classe creativa spicca il volo. La fuga dei cervelli: chi vince e chi perde, Mondadori, Milano, 2006, p. 94. 4) De Kerckhove ha sviluppato questa tematica soprattutto nelle opere Connected intelligence : the arrival of the Web society , edited by Wade Rowland, Kogan Page, London 1998 , e The architecture of intelligence, Birkhäuser, Basel-Boston, 2001.
5) G: Granirei, Blog Generation, Laterza, Roma, 2005. 6) E. Boncinelli, L'anima della tecnica , cit., p. 154.
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