Disagio
Il concetto di disagio e i suoi indicatori
Il disagio adolescenziale rappresenta ed interpreta un
passaggio di transizione esistenziale verso un processo di autonomia ed
un percorso di progressiva emancipazione dalle figure cardine della prima
infanzia, non privo di arresti, di stasi, di drammatici regressi e rifiuti
di crescita tramite trasgressioni, sconfessioni di norme e criteri precostituiti
e confutazioni di punti di vista più o meno imposti ed impositivi.
La percezione di inadeguatezza adolescenziale comporta la volontà
di superamento dei modelli della fanciullezza, dei suoi affetti, delle
sue norme, dei suoi tabù e divieti, ma anche degli agi, cercando,
in opposizione, i continua apicali del rischio, della sfida contro qualsiasi
tipo di ostacolo. Comunque rimane aperta la questione dell’indagine
del disagio sia attraverso le dinamiche dell’attore, sia nelle modalità
del sistema, sia nei fattori e negli indicatori dell’ambiente.
Anche alla luce del tirocinio che sto conducendo di carattere “riabilitativo”
rispetto a un disagio straordinario di cui si conoscono solo in parte
le cause, sembra opportuno trattare di tematiche affini. Risulta interessante
osservare come l'azione di incentivo alla stima di sé, anche tramite
la modalità del conseguimento di risultati positivi a scuola, influenzi
anche le dinamiche del gruppo classe (Palmonari) e come subentrino forme
di compensazione all’insuccesso scolastico quali lo sport, l’altro
sesso, la popolarità, l’aspetto esteriore, ossia incentivi
e stimoli di riscatto per la perdita di stima nei confronti dell’ambito
didattico, disciplinare e quindi della sfera cognitiva del pensiero, che
riflette una forma nota di disagio ordinario. Molti ragazzi compensano
le carenze più prettamente didattiche con altri tipi di intelligenza
in una volontaria forma di riscatto tramite altre abilità, (ossia
“Le intelligenze multiple” di cui tratta Gardner) pur consapevoli
dell’esplicitazione palese di un disagio, anche se costruttivo,
creativo ed emancipatorio, spesso vivendo un’inadeguatezza ed una
labilità comportamentale che, se non risolta o integrata, può
sfociare in manifestazioni tipiche di devianza. Quest’ultimo concetto
in sociologia non è ancora apertamente trattato, perché
può essere fuorviante.
La devianza rappresenta l’esito più drammatico del disagio
e risulta sottesa a modelli integrazionisti, conflittualisti, e di interazionismo
simbolico.
Il disagio e più marcatamente la devianza costituiscono l’esito
non scontato dei processi di adattamento e socializzazione. Quando si
formulano ipotesi di percorsi e progetti di integrazione si esamina la
questione “disagio”, soprattutto nella relazione tra insegnante
e allievo, dalla cui realtà si ricava un concetto empirico di disagio.
In una definizione analitica si possono sottolineare alcuni concetti relativi
al fenomeno disagio, quali, ad esempio, l’ambiente e le modalità
di interazione tra più soggetti, le cui caratteristiche determinano
il grado di “malessere, insofferenza e sofferenza nell’ambito
esosistemico ed intrapsichico”, secondo un’accezione biopsicosociale,
causati dall’appartenenza etnica, da quella religiosa, dalla localizzazione
geografica, dall’età, dall’occupazione, dalla collocazione
socioeconomica e dai vari retroterra culturali: questi sono gli indicatori
base che determinano e definiscono il problema del disagio. Altri fattori
determinati nel delinearsi situazioni di disagio consistono nel livello
di salute, nel grado di istruzione, nella conoscenza della lingua d’acquisizione
e nelle relazioni interpersonali, mentre le cause più diffuse di
malessere identitario, vale a dire di inadeguatezza esistenziale e disagio
sono costituiti da traumi, da iniziazioni, deprivazioni o privazioni e
da perdite. Le conseguenze del disagio consistono in mancanza di affetti,
in sofferenza, nel conflitto e nell’insoddisfazione.
Il modello di disagio che si può presentare come spia del malessere
diffuso nella società è quello specifico scolastico, che
si presenta con sintomatologie eclatanti e conclamate o può presentarsi
in sordina privo di sintomi evidenti. Il malessere, l’inadeguatezza,
la sofferenza manifestate dalle varie forme di disagio possono essere
percepite e condivise sia dall’educatore che dai soggetti portatori
di difficoltà esistenziali, spesso a livello cognitivo, comportamentale
e psichico, per cui si può ascrivere il fenomeno sia nell’ambito
patologico sia nell’alveo della tanto agognata normalità
e ricercata maturità.
La riuscita e la dispersione scolastica
Alla luce del tirocinio che sto svolgendo con Francesco,
sembra alquanto opportuno considerare i concetti di riuscita e dispersione
scolastica, poiché il ragazzo in questione spesso manifesta palesemente
perplessità circa il proprio ruolo di studente e dichiara apertamente
di volere intraprendere un’attività lavorativa, di qualsiasi
tipo, purchè lo tenga lontano dal mondo scolastico. L’educational
attainment, ossia il conseguimento di un titolo educativo presenta un
carattere “macro”, in quanto rappresenta una misura che descrive
tutti coloro che hanno svolto un percorso didattico ed hanno conseguito
un titolo, vale a dire il conseguimento educativo. Oltre questo parametro
d’indagine sociologica subentra il concetto di successo formativo,
ossia l’educational achivement che fornisce dati indicatori quali
la difficoltà di monitoraggio della presenza di stranieri e i problemi
nel considerare il livello d’età scolastico retrocesso a
livelli inferiori, misurato in termini di voto e media scolastica.
L’osservazione dei dati relativi al conseguimento educativo ed al
successo formativo permette di quantificare il livello di dispersione
scolastica accentuata da vari fattori quali la bocciatura, gli esami di
recupero (debiti), le passerelle e quindi l’accentuazione di un
percorso formativo irregolare. La dispersione scolastica è un fattore
proporzionale allo scarso rendimento scolastico. Il rendimento rappresenta
il risultato della capacità di valutare lo studente, il ragazzo,
in base alla quantità di risorse impegnate e in rapporto all’obiettivo
preposto. Dunque il rendimento che influenza la dispersione scolastica
in modo inversamente proporzionale, risulta influenzato da diversi fattori
quali le risorse individuali (quoziente intellettivo), risorse caratteriali
e la quantità di interessi e rapporti interrelazionali. Fattori
importanti nel rendimento sono le risorse contestuali, come le risorse
culturali, economiche, sociali ( per esempio la conoscenza e la frequentazione
di persone adulte tramite gruppi organizzati in associazioni sportive
o culturali e in attività ricreative e creative). Altre risorse
menzionabili sono quelle didattiche, di genere ( in quanto l’appartenenza
sessuale può pesare a livello di prestazioni e quindi di rendimento),
l’età (non discriminante per la buona riuscita scolastica),
lo status economico di provenienza e lo status socioculturale (la famiglia
d’origine).
Quindi la riuscita scolastica consiste nella fase finale di una serie
di fattori che interagiscono tra loro in modo molto coeso, quali lo status
d’origine, i significati attribuiti alla frequenza scolastica, l’ambiente
e il clima scolastico, le scelte personali, le aspettative per il futuro,
l’immagine del proprio avvenire.
Dinamiche relazionali del gruppo classe
Le differenti tipologie di dinamiche di gruppo sono assimilabili
ai più comuni modelli di socializzazione: funzionalista, conflittualista
e interazionista-comunicativo. “In una visione interazionista dei
rapporti sociali, che si fa risalire all’approccio della fenomenologia
sociale di A. Schutz e dell’interazionismo simbolico, l’integrazione
è soprattutto coordinamento comunicativo in vista dell’intesa.
La società non è una struttura di funzionamento né
è determinata da leggi storiche sulla base di interessi umani prevalenti,
bensì è vista come il prodotto delle interazioni tra i suoi
membri” (Cfr M. Colombo). Spesso si riscontrano difficoltà
nella comprensione dei rapporti interrelazionali ed intrapersonali assunti
dai componenti di una classe scolastica. Per questo motivo è interessante
approfondire gli studi e le osservazioni relativi alle dinamiche di gruppo,
indagate dallo psicologo Palmonari.
La definizione del concetto di gruppo implica la coesistenza di diversi
fattori interagenti, quali le dinamiche relazionali, l’interesse
per obiettivi comuni, l’identità, l’interazione. Secondo
Merton, il gruppo consiste in un insieme di persone che interagiscono
in modo strutturato da modelli e che sentono di appartenere al gruppo
stesso, dal momento che sono considerati dagli altri come membri del gruppo.
Sussistono tre dimensioni, tre livelli e tipologie di appartenenza al
gruppo, di carattere cognitivo (sapere che si è del gruppo), di
tipo emotivo ( senso di identificazione e passione), livello valutativo
(un gruppo circoscrive una unità, ma la colloca in un contesto).
Tali dimensioni gruppali che appaiono strutturate, coese e solide costituiscono,
in realtà, presupposti delle frequentazioni adolescenziali, che
invece si manifestano con caratteristiche labili ed aleatorie, perché
nel giovane vi è la necessità di cambiare continuamente
gruppo per trasformare un’identità in evoluzione. La personalità
modale è il carattere maggiormente condiviso dai membri del gruppo,
tramite una funzione strumentale, ossia orientata al compito con modalità
espressive e volta alla pratica di sé. Le dinamiche gruppali si
presentano secondo modalità coesive, di integrazione e distruttive,
disintegrative. Possono subentrare anche modalità evolutive, orientate
ad un fine, ad uno scopo nobile e creativo, potenzialmente ingeneratrici
di dinamiche di individuazione ed autonomia, per far scaturire il super-io
del gruppo, vale a dire il concetto di “noità”, l’entità
di gruppo. L’espressione gruppale si identifica attraverso diverse
funzioni quali la comunicazione verbale o non verbale tra i membri del
gruppo e tra gli stessi e l’esterno, la funzione di potere, il controllo
e l’influenza, caratteristiche incarnate soprattutto nella leadership
che possiede ed esercita le maggiori potenzialità di influenza,
guidando il gruppo verso un’azione, uno scopo, una finalità
potenzialmente positivi o negativi. All’interno del gruppo si delineano
posizioni come la maggioranza che esercita il potere di persuasione, mentre
la minoranza può aumentare il livello di scontro anche con il potere
di veto. All’interno di una dinamica tra maggioranza e minoranza,
se la minoranza si ritira ingenera ostruzionismo, mettendo in ostacolo
l’azione. Il gruppo di pari come il gruppo classe presenta una relazione
interna al nucleo e continuativa, fondata sulla condivisione di esperienze,
di interessi e valori. I gruppi presentano tratti comuni, quali la provenienza
sociale, la condizione scolastica, l’aspetto estetico, il linguaggio,
le modalità interattive, lo stile comportamentale e le rappresentazioni
sociali. Il gruppo classe si distingue per eterogeneità dal gruppo
dei pari che è invece omogeneo. “L’esperienza scolastica
si può considerare la base reale sulla quale si vengono a strutturare
non solo le competenze dei giovani, ma anche gli atteggiamenti verso il
futuro, le scelte lavorative, l’integrazione sociale in senso lato” (Cfr M. Colombo).
Nei gruppi di adolescenti sussistono funzioni fondamentali analizzate
in particolar modo dagli studiosi Lutte e Coleman, quali lo status simbolico
autonomo riconosciuto dal gruppo intero, come per esempio il gioco sessuale.
Le discriminazioni sociali esercitano una funzione basilare come lo sviluppo
della competenza sociale che stimola la capacità di capire in che
modo giostrarsi rispetto alle valutazioni degli altri. Nei gruppi di pari
sussistono discriminazioni come il razzismo etnocentrico, in quanto l’eterogeneità
spesso spinge e facilita i processi discriminatori, tramite meccanismi
gerarchizzanti nel gioco della distanza sociale, in cui le diversità
fisiche sono più tollerate delle differenze culturali e sociali.
Il ruolo dello studente.
Gli atteggiamenti e le modalità relazionali dello
studente all’interno del contesto scolastico dipendono dal ruolo
dell’insegnante. Il rapporto di insegnamento deve essere intriso
di un clima di benessere, in quanto il ragazzo dovrebbe ideare e immaginare
una versione ideale dell’insegnante (come per esempio l’idealizzazione
della maestra da parte del bambino). Spesso nella relazione con il docente
si avvertono anche involontarie differenze di trattamento, al contrario
nei confronti del ragazzo occorre porsi in un atteggiamento coerente all’interno
di un ruolo equilibrato, esercitando la cosiddetta giustizia distributiva
per cui l’insegnante esercita un ruolo universalistico e pubblico
(Palmonari; Piaget) per ottenere riscontri positivi caratterizzati da
equilibrio nei confronti del ruolo dello studente, che così potrà
dimostrare le autentiche qualità, probabilmente in parte già
percepite dall’insegnante. Secondo un’ottica funzionalista,
Parsons sosteneva il concetto di studentità, vale a dire la studentry
in cui l’allievo doveva raggiungere uno status comportamentale con
modalità adulte, dimostrandosi responsabile, capace, non dipendente
dalle azioni altrui, allo stesso tempo imparando a competere in modo costruttivo,
anche mettendosi in gioco sul controllo degli istinti e degli affetti,
istanze considerate “lealtà primarie”, per approdare
a “lealtà nuove” di fiducia e solidarietà. In
vista di tali atteggiamenti e comportamenti maturi, lo studente potrà
relazionarsi anche con i livelli gerarchici dell’entità scolastica,
secondo una differenziazione funzionale, ossia un utilizzo di ruoli e
modalità relazionali a seconda delle funzioni e dei ruoli gerarchici
rispetto a cui si orienta e si imposta la propria evoluzione cognitiva
ed affettiva. Lo studente, soprattutto se maturo, adotta diverse modalità
nell’assunzione del ruolo di tipo razionale o irrazionale, personale
o impersonale, orientato a sé o alla collettività, universalistico,
ossia dedicato all’andamento generale del contesto esosistemico,
anche in relazione ai rapporti gerarchici, o particolaristico, ossia orientato
verso la riuscita personale, al proprio studio, quello necessario, senza
esternazione e divulgazione dei contenuti e dei valori acquisiti. Il rendimento
scolastico rappresenta un gradiente di osservazione rispetto al livello
di adeguatezza, di inserimento, di disagio dello studente nei confronti
dei rapporti con la classe e con il docente. Il rendimento scolastico
rappresenta una modalità emancipatoria grazie a cui è possibile
conquistare una dimensione universalistica, mediatrice, collaborativa
con la gerarchia scolastica, per raggiungere un posizionamento gerarchico.
Questo argomento si presenta come importante per la comprensione del comportamento
dello studente e del suo ruolo, ma ritengo maggiormente necessario considerare
il soggetto studente nell’ambito di un gruppo classe, in un’ottica
sistemico-relazionale e interazionista rispetto a determinate dinamiche,
in un contesto di pari che sviluppa interrelazioni spesso problematiche.
Penso sia più efficace studiare il soggetto in un contesto plurimo
a carattere sistemico relazionale, piuttosto che individuarlo secondo
una visione funzionalista, come una monade, ossia come un singolo, avulso
dall’ambiente esosistemico ed interazionista.
Il colloquio tra insegnante e genitore.
Il colloquio con il genitore avviene con la modalità
per cui l’insegnante comunica al genitore che il figlio/allievo
è portatore di una problematica. Il genitore avanza scuse, giustificazioni
e a volte accuse, spesso, a ragion veduta, respinte dall’insegnante.
Questi fattori fomentano nel genitore l’ansia di liberarsi dalla
preoccupazione di essere un cattivo educatore, in un senso di colpa inflazionato
dalle proiezioni verso l’insegnante. Da questo teatro di botta e
risposta emerge il gioco di proiezioni tra messaggi inviati e giunti a
destinazione, effettivamente pronunciati e posti in campo e automessaggi,
vale a dire una serie di autoaccuse o autoconvincimenti, riflessioni introspettive
e giustificazioni. I momenti più critici del rapporto con il genitore
sono la cattiva valutazione e la segnalazione. La famiglia denuncia una
scarsa attenzione da parte della scuola e un’assenza di risposte
alle esigenze dei figli per le difficoltà di comunicazione e osservando
discrepanza tra le finalità educative.
Ritengo questa parte di modulo molto interessante, ma penso che attualmente
i genitori siano effettivamente troppo presenti ed intrusivi non solo
nella vita dei figli, ma soprattutto nel mondo della scuola, intromettendosi
soprattutto nelle questioni didattiche e a volte nelle modalità
educative degli insegnanti, dimostrando una mancanza di obiettività
nella valutazione del sistema scolastico e nel ruolo del docente, che
spesso viene screditato e svalutato dal genitore stesso. Occorrerebbe
passare da una scuola delle vacue e labili pretese ad una scuola che valorizzi
le attitudini, le capacità, le particolarità, le diversità,
delle differenti parti interagenti. Occorrerebbe una visione globale d’insieme
che valorizzi l’ampia gamma di diversità ed entità divergenti e interagenti, che metta in luce e rivaluti le poliedriche
sfaccettature dei molteplici punti di vista senza i quali non potrebbe
avere luogo la comunicazione e non si potrebbe avvalorare una costruzione
di senso e di significato creativi.
Laura Tussi
da fuoriregistro
Il disagio emotivo
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