INTELLIGENZA EMOTIVA


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INTELLIGENZA EMOTIVA


Dario lanes e Heidrun Demo*

La dimensione dell'affettività

Negli ultimi dieci anni si è diffuso rapidamente nei contesti scolastici un forte interesse per temi quali l'educazione emotiva, l'educazione alle competenze emo­tive, l'intelligenza emotiva, l'alfabetizzazione emozionale e socio-affettiva. Ciò è avvenuto in modo disordinato e con proposte di vario spessore teorico e di diver­so impianto metodologico. Questa improvvisa diffusione ha creato qualche diffi­coltà di scelta e di orientamento agli insegnanti che intendono intraprendere un lavoro specifico in tale ambito con un corretto fondamento teorico-metodologico. Cercheremo di portare un piccolo contributo di chiarezza, per stimolare un approc­cio originale e ricostruttivo da parte dei docenti, perché affrontino con atteggia­mento critico e consapevole le varie proposte oggi disponibili nell'ambiente sco­
lastico.

Una definizione di competenza emotiva

Il primo obiettivo che ci poniamo è quello di tentare un'esplorazione, dal punto di vista pedagogico, della dimensione dell’ “affettività”: un ambito, questo, molto ampio, complesso e descritto con concetti spesso confusi.
Cosa si intende per intelligenza emotiva e sociale (Goleman, 1996; 2006) o per competenze emotive e affettive? Crediamo che spesso vengano utilizzati termini che, in realtà, indicano contenuti psicologici molto diversi, quasi sinonimi; ciò contribuisce non poco alla confusione operativa. Ecco cosa scriveva Daniel Goleman nel 1996: "Le abilità emozionali comprendono l'autoconsapevolezza; identificare, esprimere e controllare i sentimenti; frenare gli impulsi e rimandare la gratificazione; controllare la tensione e l'ansia. Un 'abilità fondamentale, nel trattenere gli impulsi, sta nel conoscere la differenza tra sentimenti e azioni, e nell'apprendere a migliorare le pro­prie decisioni emozionali, innanzitutto frenando l'impulso ad agire e poi identifican­do (prima di agire) le azioni alternative e le relative conseguenze. Molte competenze sono interpersonali: decifrare i segnali sociali e emozionali, ascoltare, essere in grado di resistere alle influenze negative, mettersi dal punto di vista dell'altro e capi­re quale comportamento sia accettabile in una situazione" (Goleman, 1996).
Per fare un po' di chiarezza, si può ipotizzare un modello delle varie dimensio­ni affettive, in relazione a quelle cognitive e valoriali, che faciliti il lavoro quotidiano degli insegnanti?

Intelligenza e vita affettiva: dalle emozioni ai sentimenti

Uno degli elementi importanti che cercheremo di chiarire in un modello gene­rale di formazione all'”affettività” riguarda l'intreccio tra cognizione, pensiero "freddo" e attività mentale e fisiologica "calda". Ormai nessuno pensa più che questi siano due mondi nettamente distinti; la loro interazione è sotto gli occhi di tutti, ma troppo spesso la si legge soltanto in modo unidirezionale, nel senso degli influssi negativi che avrebbe l'emotività sul pensiero razionale e sull'adattamen­to ottimale del comportamento.
Per noi, invece, i termini emozioni, stati d'animo, sentimenti, vita affettiva non sono affatto sinonimi e i vari livelli di vita affettiva non sono per nulla estranei alla volontà e all'intelligenza, anzi.
Si può ipotizzare un continuum di stati di vita affettiva, alla cui base, dopo un evento attivante (ambientale e/o interno alla persona), c'è l'emozione pura che corrisponde ad una reazione fisiologica, istintiva, di trasalimento (una reazione di arousal - attivazione dell'amigdala).
Proseguendo poi nel continuum si incontrano quei vissuti emozionali in cui c'è maggiore attività cognitiva, più o meno conscia, che contribuisce alla produzione di stati d’animo (o stati d'umore), un complesso cioè di condizioni emozionali di fondo, emozioni cognitive superiori, come le chiama Griffiths (in Evans, 2004): tristezza, ansia, collera, rancore, gelosia, soddisfazione, gioia, ecc.
Tra emozioni e stati d'animo c'è anche una differenza di intensità di reazione e di quantità e qualità di controllo cognitivo (Ciceri, 2001), nel senso dell'eventuale distorsione di valutazioni, aspettative, attribuzioni, ecc. In questo processo di generazione degli stati d'animo (che possono poi portare alle emozioni di base), i ruoli dell'autostima e del temperamento, oltre che della storia personale, non sono affatto secondari.
Molto vicino, confinanti con lo stato d'animo, crediamo siano i sentimenti e le passioni in cui troviamo una quantità maggiore di elaborazione cognitiva con l'aggiunta di una forte dimensione valoriale e motivazionale, nel senso del telos (fine a cui tendo) o del logos (senso) che attribuisco alle mie azioni, come Viktor Frankl ci ha insegnato. In questo livello di vita affettiva, nettamente diverso dallo stato d'a­nimo, dovremmo introdurre l'elemento cognitivo-motivazionale dei valori.
Nel sentimento appaiono dunque i valori, che invece non giocano un ruolo importante negli stati d'animo. Ai sentimenti si avvicinano le passioni e le varie dimensioni motivazionali della nostra identità, che poi, certamente, influenzano gli stati d'animo.

Analizzare e distinguere livelli e processi della vita affettiva

Riteniamo che per parlare e agire pedagogicamente nell'ambito della vita affettiva, e dunque per pensare qualcosa di sensato riguardo all'educazione quoti­diana all'affettività, si debbano tener presenti e distinti i vari livelli dell'affettività umana, magari per poi mescolarli e farli interagire. Nel modello lanes e Demo (2007) si distinguono analiticamente livelli e processi, e si cerca di trovare diver­sità e caratteristiche peculiari, anche se la realtà della vita mentale li confonde e li aggroviglia. Educatori e docenti devono cercare di ordinarli e districarli il più pos­sibile, almeno quando lavorano con i propri alunni con intenti pedagogici, e soprattutto nelle prime fasi dei processi, dove è fondamentale agire per distingue­re. Successivamente è utile guardare all'insieme, e alla sintesi relazionale e inte­rattiva che ne consegue. Una buona attività mentale, evoluta, qualunque sia il suo oggetto, deve, quindi, saper distinguere e interconnettere.
Si possono affrontare temi delle emozioni di base oppure dei sentimenti: non sarà la stessa cosa, né quando si cercherà di scoprirne gli alfabeti e le sintassi, né quando si cercherà di viverli in modo più evoluto e libero.
Se i percorsi e i materiali didattico-educativi confondono e mescolano questi livelli, oppure si limitano alle emozioni e agli stati d’animo (e magari non a tutti), non saranno utili per svolgere una completa educazione all'affettività.

Educazione all'affettività a scuola

Un secondo obiettivo di questa riflessione riguarda il ruolo attivo della scuola. Cosa si può fare in questo ambito? Che tipo di azioni sono compatibili, auspicabili, necessarie, in un contesto formativo come quello della scuola? Vediamone alcune.

Autovalutazione del proprio stile educativo-emozionale

Entrare in contatto con il mondo affettivo degli alunni (sia nell'atto di apprendere sia quando vogliamo dare loro aiuto, o quando li ascoltiamo), ci permette di incontrare e capire anche il nostro mondo affettivo, le nostre emozioni i nostri stati d'animo, i nostri sentimenti e i nostri atteggiamenti.
Nell'educare all'affettività, è la propria affettività che viene messa alla prova, in alcuni casi drammaticamente. È importante, allora, che il docente sia sempre più consapevole del proprio modo di vivere le dinamiche affettive, per capire meglio i meccanismi che sono in gioco nella relazione educativa. È ormai comunemente accettata, infatti, la stretta relazione tra stile educativo e modalità di vivere i piani affettivi. Tale relazione determinerà esiti per tutto l'arco della vita (Bowlby, 1982).
Tuffanelli (2006) ha combinato le posizioni teoriche più note: Bowlby, Goleman, Gottman e ha descritto quattro stili educativo-affettivi dell'adulto (non curante, censore, lassista, allenatore emotivo) con i relativi esiti nel bambino, in termini di modalità di attaccamento, di comportamento ed affetto.
Sulla base di questa classificazione, l'autore ha rielaborato un celebre questio­nario di autovalutazione dello stile affettivo genitoriale, pubblicato per la prima volta da Gottman e Declaire nel 1997 nel celebre libro "Intelligenza emotiva per un figlio" 1). Vale senz'altro la pena consigliarne l'autosomministrazione, per scoprire aspetti interessanti della vita affettiva applicata alle relazioni educative e di insegnamento.

Azioni educative e fondamenti psicologici

Negli ultimi anni sono apparse varie proposte operative formali per l'educazio­ne all'affettività. Il denominatore comune sembra essere quello della sequenza­percorso, che si snoda attraverso attività mirate esplicitamente allo sviluppo di competenze affettive. Alcune proposte sono più formalizzate e strutturate, con attività definite anche nei più piccoli particolari, altre contengono suggestioni più ampie e globali. I modelli teorici sottostanti sono diversi, anche se non di molto.
La psicologia cognitivo-comportamentale è particolarmente presente, con le attività educative costruite sulla base dell'indirizzo che va sotto il nome di Educazione Razionale Emotiva, cioè sul principio che l'interpretazione di un even­to sia determinante per lo stato d'animo o il sentimento che ne deriva.
Crediamo che altri filoni della psicologia dovrebbero cimentarsi nella costru­zione e sperimentazione applicativa di attività e materiali, pensiamo ad esempio alla psicologia sociale, con l'attenzione che rivolge da sempre alle dinamiche che si attivano nei gruppi e nelle situazioni interpersonali o alla psicologia umanistica rogersiana dell'ascolto e dell'aiuto al cambiamento. Se pensiamo poi al livello di vita affettiva (dei sentimenti e delle passioni), sarebbe importante che la stessa psi­cologia frankliana2 e i vari approcci alla personalità e ai (ad esempio Maslow o Kelly) esprimessero delle proposte operative per la scuola.
Uno dei vantaggi di un approccio intenzionale e strutturato è proprio la ritua­lizzazione e lo spazio, anche culturale, che esplicitamente si ritaglia nella vita della scuola. È importante che questi percorsi, con lo spazio e il tempo che occupano, siano ben visibili e socializzati. La vita affettiva prenderà così maggior diritto di cittadinanza.
Naturalmente c'è anche il rovescio della medaglia, ed è evidentemente legato a una troppo rigida strutturazione, a una possibile interpretazione letterale e mec­canica dalle attività, che possono diventare sessioni di addestramento lessicale o di pensieri "psicologicamente corretti".
Alcove attività sembrano povere, legnose, poco fantasiose, ma l'insegnante creativo saprà evolverle adeguatamente, ricorrendo anche alla fantasia e alla spontaneità dei suoi alunni. Nella pratica quotidiana, il vantaggio-svantaggio dell'alta strutturazione va mediato con la modificazione creativa e con l'introduzione di varianti e adattamenti.

L'educazione affettiva informale nelle prassi quotidiane

La vita scolastica quotidiana è ricca di affettività, senz'altro di e di stati d'animo, sicuramente di atteggiamenti e dovrebbe esserlo anche di sentimenti. Apprendere, scoprire, costruire nuove conoscenze e competenze sono attività ricche di vita affettiva. Relazionarsi con i compagni, collaborare o scontrarsi, discutere, fare e disfare amicizie e legami, vivere relazioni anche intense con adul­ti, tutto questo accade nella scuola ed è ricco di vita affettiva: anche dolorosa, anche pericolosa.
Crediamo che queste due dimensioni fondamentali della vita quotidiana nella scuola, quella dell'apprendimento e quella delle relazioni, debbano essere arricchite di attenzioni verso lo sviluppo di competenze affettive. Esse devono essere pedagogicamente chiare, anche se nascoste, implicite o informali.
Dalla sensibilità degli adulti, che si esplica nel modo di comunicare, di strut­turare le attività, di relazionarsi..., deriva la possibilità di migliorare, giorno dopo giorno, la qualità delle competenze affettive.
Accanto a percorsi strutturati e formali è importante arricchire ed "insaporire di affettività" le attività quotidiane attraverso percorsi informali. Ma questo non vuol dire essere generici, anzi. Per muoversi con correttezza nella quotidiana affet­tività bisogna avere le idee ancora più chiare rispetto al condurre un percorso strut­turato, perché la realtà è mutevole, perché gli alunni sono imprevedibili, perché non ci sono copioni da seguire, perché spesso gli eventi sorprendono...
In tutto ciò si devono tenere presenti i tre livelli principali della vita affettiva: emozioni, stati d'animo e sentimenti; le tre competenze fondamentali: conoscere, comprendere, esprimere; e i processi che vorremmo attivare: i linguaggi, il pensiero, i valori e la negoziazione.
Se, ad esempio, bisogna intervenire in un litigio, il contatto con le emozioni è molto stretto. Il docente cercherà di aiutare gli alunni a comprendere alcuni meccanismi che li hanno determinate, a pensare a modi alternativi di espressione, a regolarle in modo più accettabile. Si cercherà anche di collocare stati d’animo sullo sfondo di alcuni sentimenti e valori, di negoziare significati e comportamenti attraverso 1'ascolto e 1'empatia di stimolare linguaggi più evoluti, pensieri meno emozionanti, valori e sentimenti più solidali.

Le dinamiche affettive nei processi di insegnamento-apprendimento

Ciò che avviene, nel bene e nel male, nei processi di insegnamento-apprendi­mento è affettivamente carico. L' attenzione e l'ascolto costituiscono la prima strategia. Si tratta di "sentire" le tonalità affettive degli alunni quando cercano di apprendere, sentire la loro ansia, il loro senso di impotenza o di soddisfazione e gioia, la loro rabbia per gli insuccessi, la loro gelosia, l'invidia...
Nelle dinamiche di insegnamento-apprendimento ci sono alcuni punti sensibili affettivamente. È qui che bisogna prestare un ascolto più attento e attivo e lavorare consapevolmente.
a. L'inizio dell'attività: comprendere. In genere, un processo di apprendimento inizia con il confronto dell'alunno con qualche tipo di input, che deve essere decodificato e compreso a fondo. In queste fasi iniziali ci sono ottime oppor­tunità per lavorare sulle varie dimensioni della vita affettiva: cosa fa stare in ansia, rapporto tra ansia e sentimento di orientamento alla conoscenza, rapporto tra autoefficacia, comportamento e stato d'animo...
b. Il cuore dell'apprendimento: elaborare. Dopo aver compreso, in genere si elabora, si connette, si confronta, si sceglie, si valuta, si decide, si spinge la conoscenza un poco più in là. In questa seconda fase si vivono molti stati affettivi: ansia e timore di non farcela, ma anche entusiasmo, euforia, senso di soddisfazione, ecc. Una certa tensione affettiva aiuta molto il ricordo, la decisione, l'audacia di alcune scelte, la creatività. Il sentimento ci dà l'energia per non rinunciare, per continuare a elaborare, per raggiungere un risultato, per noi, per i nostri compagni, per l'insegnante, per i nostri cari. In queste fasi centrali l'insegnante può attivare e regolare stati affettivi, linguaggi, riconoscimenti, pensieri, valori, motivazioni e atteggiamenti.
e. Il prodotto: esprimersi. Dopo aver elaborato, il prodotto dell'attività mentale prende gradualmente una forma concreta e viene socializzato parlando, scrivendo, muovendosi, colorando, plasmando, agendo. Non occorre dire che anche in questa fase l'affettività è coinvolta, ma qui c'è di nuovo il fatto che l'azione di chi apprende incontra il feedback dell'adulto che commenta, corregge, approva, condanna, ecc. Questa è una dinamica ad alto valore affettivo: dare feedback affettivamente corretti non è semplice, ma è l'alunno che richiede all'adulto un'assunzione di responsabilità diretta sul piano dell'apprendimento e su quello della relazione affettiva.

La relazione di aiuto in situazioni di crisi

Le situazioni di crisi emotiva o di difficoltà nello stato d'animo costituiscono un'opportunità eccezionale per fare qualcosa di efficace sul piano educativo. In certe situazioni "vere", l'apprendimento incidentale, che il docente contribuirà ad attivare, lascerà un segno profondo e duraturo. L'alunno sentirà che l'altro non ha paura delle emozioni, neanche di quelle forti. Sentirà che l'altro ha a cuore (letteralmente in questo caso) la sua vita affettiva, anzi la mette in gioco.
Ecco alcuni passi educativi fondamentali.
a) allearsi con il vissuto affettivo, dare ascolto empatico. "Sei proprio arrabbiato!", "Mi sembri triste, sfiduciato... credi di non farcela?". Allearsi con il vissuto affettivo significa cercare di capire empaticamente cosa sta provando l'alunno in quel momento, legittimare quel vissuto, riconoscerne la presenza. I vissuti non vanno enfatizzati, ma neppure minimizzati, o peggio, negati: "Non c'è niente di cui aver paura!".
b) Dare un nome ai vissuti emotivi. Dare un nome ha di per sé un effetto benefico, rassicurante sulla persona che sta vivendo uno stato affettivo, distanzia, contiene e trasmette la competenza del "riconoscere". Dare un nome accompagna l'empatia e la costruisce; attraverso il nominare insieme si riesce infatti a costruire un significato condiviso.
c) Elaborare strategie di azione. In questo momento della relazione si deve cercare di comprendere cosa ha portato a quel vissuto affettivo (l'atomo di competenza del comprendere) e cosa si può fare per esprimere eventualmente quel vissuto in modo più accettabile (anche ponendo dei limiti chiari e forti a qualche comportamento problematico) e per agire in modo costruttivo in quella situazione. "Perché ti senti così?", "Cosa potresti fare?". In questa fase si ha l'occasione di lavorare sul pensiero, sulle modalità di espressione e, cosa molto importante, anche sui che fondano alcuni sentimenti. Quando infatti si valuta insieme all'alunno cosa sarebbe meglio fare, è importante introdurre quei valori che orientano il sentimento e di conseguenza le scelte.

Attività del gruppo classe su "temi sensibili"

Un'altra dimensione nella quale includere e dissimulare le azioni educative rivolte ai vari piani della vita affettiva e alle tre competenze fondamentali, trattate attraverso i linguaggi, il pensiero, i valori e la negoziazione, è quella di alcune situazioni sensibili che il gruppo classe affronta nella sua quotidianità.
Pensiamo, ad esempio, alle frequenti discussioni che avvengono in circolo, alle assemblee, alle decisioni collettive, ai discorsi di filosofia quotidiana, all'elaborazione comune di regole e simili. Queste sono occasioni vere e importanti per lavo­rare in senso educativo sui temi affettivi.
Un'altra occasione di gruppo da sfruttare sistematicamente a ogni livello di scolarità è il racconto, che può diventare racconto e scrittura di sé (Pennebaker, 2004), lettura e lavoro su storie, elaborazione e scrittura di racconti. In una comu­nità di persone che apprendono insieme, che vivono tante ore insieme e che cre­scono insieme anche dal punto di vista affettivo dovrebbe esistere un rituale di scrittura e di racconto.
Il gruppo stesso può essere l'autore, oppure può utilizzare storie "psicologica­mente orientate", costruite cioè con l'intenzione di fornire spunti di riflessione e di crescita psicologica. Nel nostro Paese, questo filone di testi narrativi è stato definito con l'acronimo NPO (Narrativa Psicologicamente Orientata) e conta ormai numerosi autori e testi utilizzabili per una lettura-racconto-discussione ed elaborazione in gruppo: Burns (2006), Sunderland (2004), Maiolo e Franchini (2003), Scataglini (2005), Verità (2000), Pellai (2008) ed altri.

La "molecola del cuore" e gli "atomi-competenza"

La "molecola del cuore" è la metafora con cui rappresentiamo la nostra idea di formazione all'affettività. Perché una molecola? Una molecola è un insieme di atomi legati fra loro da legami più o meno forti. Essa si forma attraverso reazioni chimiche che rompono o formano questi legami atomici. La "molecola del cuore" è costituita da atomi, gli atomi-competenza, che rappresentano appunto le diverse competenze della persona nel campo affettivo. Sono atomi diversi, ma strettamen­te intrecciati fra loro, nell'unità della molecola, esattamente come lo sono le diverse competenze della vita affettiva: riconoscere l'affettività, comprendere l'affetti­vità, esprimere l'affettività.
Le molecole si formano attraverso reazioni chimiche che per avvenire hanno bisogno - in alcuni casi, e nel nostro certamente - di un catalizzatore. Il catalizzatore della reazione chimica che dà origine alla "molecola del cuore" è il "vivere situazioni affettive". È proprio nella concretezza e nell'intensità della vera vita affettiva che risiede l'energia capace di mettere in moto un progetto di formazio­ne all'affettività. Solo nella "vita vera" bambine e bambini, ragazze e ragazzi - ma anche insegnanti - trovano quelle esperienze capaci di toccare o smuovere aspetti intimi e importanti di sé. Allacciare un processo formativo a una parte così vicina della persona permette di liberare una forte motivazione e un forte coinvolgimen­to: energia, appunto.
E quali sono gli atomi della "molecola del cuore"? Gli atomi sono quelle com­petenze che proponiamo come fondamentali per vivere autenticamente e positiva­mente emozioni, stati d'animo e sentimenti.
Il primo atomo-competenza è il "riconoscere l'affettività", cioè la capacità di distinguere espressioni di affettività propria e di altri.
Il secondo atomo-competenza è "comprendere l'affettività", cioè la capacità di spiegare e spiegarsi come, perché, in che situazione hanno origine e si sviluppano
sentimenti, stati d'animo.
II terzo atomo-competenza è "esprimere l'affettività", cioè la capacità di comunicare le diverse sfaccettature dell'affettività.
Ogni persona - e dunque a scuola ogni bambino e ogni bambina, ogni ragaz­zo e ogni ragazza, ogni insegnante - ha una sua "molecola del cuore", con degli atomi-competenza più o meno sviluppati. Questi regolano il suo modo di vivere in generale la vita affettiva.

Processi evolutivi nella formazione all'intelligenza emotiva

Mettendo in relazione i tre piani della vita affettiva: emozioni, stati d'animo, sentimenti (che sono evidentemente i contenuti dell'educazione all'intelligenza emotiva) e le tre competenze appena delineate (riconoscere, comprendere, espri­mere l'affettività) emerge la complessità del processo formativo che si intende affrontare. In questo incrocio si possono individuare alcuni processi che sostanzia­no lo sviluppo di tutte e tre le competenze, proprio perché stanno in comune a un lavoro sulla formazione affettiva, vissuta in una prospettiva armonica. Concretizzando, si possono considerare come "ingredienti" da miscelare per sti­molare la formazione all'affettività i seguenti assetti.
Alfabeti affettivi. Il processo evolutivo che emerge con maggior forza perché presente nel lavoro con tutte e tre le competenze su tutti e tre i piani dell'affetti­vità è quello degli alfabeti affettivi. La conoscenza degli alfabeti affettivi garanti­sce uno strumento (il linguaggio nelle sue forme più diverse), che sta alla base di tutte le altre competenze: per questo si tratta di un processo di sviluppo assoluta­mente basilare che sottende a tutte le altre possibilità di lavoro nell'ambito.
Pensiero e valori. Con meno forza, ma comunque molto presenti, sono gli aspetti del pensiero e dei valori. Pensiero e valori sono l'elemento caratterizzante della vita affettiva rispettivamente sul piano degli stati d’animo: e sul piano dei sentimenti. È fondamentale includere un lavoro sul pensiero, soprattutto all'interno della competenza del comprendere: solo attraverso la consapevolizzazione e poi la regolazione dei pensieri è possibile gestire consapevolmente i propri stati d'animo. Allo stesso modo, solo una consapevolizzazione e poi un'attenta riflessione sui pro­pri valori permette anche una reale comprensione e lo sviluppo dei sentimenti.
Negoziazione. Vi è poi un ultimo elemento, quello della negoziazione. Esso emerge sottolineando due aspetti. Da un lato la necessità di non irrigidirsi nelle proprie posizioni: è il caso della competenza del riconoscere, in cui proprio la negoziazione dei significati attribuiti a un'espressione di affettività permette una relativizzazione continua clic preserva dal pregiudizio. Dall'altro lato, vi è la dimensione interpersonale dell'affettività: oltre alla dimensione individuale, inter­vengono il riconoscimento e la comprensione della di altri: questa è realizzabile solo nell'autentico dialogo e nella negoziazione.

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Note
1) Il questionario completo è riportato nel volume di D. Ianes, H. Demo, Educare all'affettività, Erickson, Trento, 2007.
2) Victor Frankl (1905-1997), medico e psichiatra, filosofo e psicoterapeuta, saggista e confe­renziere di fama mondiale, è il fondatore della logoterapia. Definita ufficialmente da Wolfang Soucek come "terza scuola viennese di psicoterapia", dopo quelle di Sigmund Freud e di Alfred Adler, la logoterapia, o analisi esistenziale (espressione alternativa adottata da Frankl a partire dal 1933) rientra nell'ambito della psicologia e delle sue pratiche.
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*In "Voci della scuola" - Cerini-Spinosi, Ed. Tecnodid Vol. VII , 2008


 

 

LA STRUTTURA DELL' INTELLIGENZA EMOTIVA NEL MODELLO FOR MOTHER EARTH®

una risorsa fondamentale per la salute intesa come sviluppo delle potenzialità umane
e per l'evoluzione spirituale degli esseri umani

Il concetto di Intelligenza Emotiva nacque nel 1990 ad opera di due Psicologi, Peter Salovey e Jonh Mayer, che in un famoso articolo la definirono – per la prima volta in termini ufficiali – come la “capacità di monitorare e dominare le Emozioni proprie e altrui e di usarle per guidare il pensiero e l'azione”.
Questa definizione mette insieme l'idea che l'emozione è in grado di rendere i processi di pensiero più intelligenti con l'idea che si possa pensare alle emozioni come a qualcosa che ha una qualche razionalità intrinseca (come qualcosa di intelligente). In questo senso non solo l e emozioni non disturbano l'efficace approccio razionale alla risoluzione dei problemi, ma al contrario permettono di interrompere l'azione diretta ad un obiettivo, per spostare l'attenzione e focalizzarla su qualcosa di vitale importanza per l'individuo: in questo senso le EMOZIONI FORNISCONO IMPORTANTI CONOSCENZE SULLA RELAZIONE DELLA PERSONA CON IL MONDO ESTERNO. La definizione di Intelligenza Emotiva di Peter Salovey e Jonh Mayer si articola in 16 abilità, raggruppabili in 4 categorie (vedi TABELLA):

1.      Percezione , valutazione (appraisal) ed espressione delle emozioni
La capacità di riconoscere correttamente le informazioni emotive verbali e non verbali in se stessi e negli altri e quella di esprimerle è fondamentale per poter sviluppare una buona Intelligenza Emotiva, perché “ la percezione emotiva comporta immatricolazione ”.
Per questo è poco utile portare l'attenzione altrove ogni volta che emergono sentimenti sgradevoli, perché si perde una grande occasione per imparare qualcosa in più sul proprio mondo emotivo e su quello di chi ci sta intorno.

2.      Facilitazione emozionale del pensiero: cioè usare le emozioni per facilitare il pensiero
Le Emozioni entrano a far parte del sistema cognitivo sia come sentimenti pensati, come nel caso in cui qualcuno pensi: "Io sono un po' triste adesso”, sia come nelle percezioni alterate di una persona triste che pensa: "Sono inutile”. Questo aspetto dell' Intelligenza Emotiva si riferisce alla capacità di sfruttare le Emozioni nella risoluzione di problemi, nel ragionamento, nel prendere decisioni e nei momenti creativi.
Il pensiero può essere disgregato da Emozioni come l'ansia e la paura, mentre Emozioni come la serenità o la curiosità possono aiutare a “mettere ordine” nel sistema cognitivo che potrà così dedicarsi a ciò che è importante e concentrarsi su quello che fa stare meglio.

3.      Comprensione e analisi delle emozioni: coinvolgimento della conoscenza emotiva
Dato che le Emozioni formano un ricco e complesso sistema di simboli, capire le Emozioni significa saper rielaborare a livello cognitivo il proprio e l'altrui sistema emozionale: cioè essere capaci di identificare le Emozioni con le parole corrispondenti, riconoscere le relazioni fra i vocaboli del lessico affettivo e tra i componenti delle famiglie emotive che sono insiemi sfocati (non c'è un confine netto tra irritazione e rabbia!), capire i significati delle Emozioni sociali (vergogna e senso di colpa) e di quelle complesse (come l'alternarsi di rabbia ed euforia  al culmine dei giochi di lotta dei bambini col papà), capire in che relazione sono più Emozioni tra di loro e come si modificano col tempo.

4.      Regolazione consapevole delle emozioni che promuove la crescita emozionale e intellettiva
Gestire le Emozioni significa saper “utilizzare” e convivere con le Emozioni proprie e degli altri.

Queste 16 abilità vanno dai processi psicologici più semplici e basilari ai processi psicologici più complessi e integrati (vedi TABELLA: gruppi da 1 a 4).
All'interno di ciascuna categoria, poi, l'acquisizione delle abilità procede secondo il grado di sviluppo che ogni individuo raggiunge con il procedere dell'età (dalle acquisizioni più precoci, es. 1.a ; 2.a; a quelle che richiedono maggiore maturazione individuale es. 1.d. e 2.d.).

Leggendo il diagramma sotto illustrato, in questa prospettiva (dal basso verso l'alto, procedendo

dal raggruppamento 1 al raggruppamento 4) e da sinistra a destra (dalle abilità “a” alle abilità “d”) si giunge alla comprensione dello sviluppo dell'Intelligenza Emotiva nel suo complesso, nella visione dei due Psicologi.
 

 

 

 

 

Secondo FOR MOTHER EARTH® il limite dell'approccio di Salovey e  Mayer è rappresentato dal concetto  che l'Intelligenza Emotiva non può essere insegnata, proprio perché, per definizione, non si può “insegnare un'intelligenza”.

  Fu nel 1995 che Daniel Goleman rese popolare il concetto di Intelligenza Emotiva definendola:

“la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare”. 

modificando definitivamente il modo di vedere il ruolo delle Emozioni per la salute e il benessere, nella vita di tutti i giorni, sul lavoro ed in ambito educativo.

…………….

 

Dal sito http://www.intelligenzaemotiva.it/


Approfondimento

Per un'educazione emotiva

 

Della ragione, delle emozioni e delle discipline

L'amica Flavia Marostica, dell'Irre Emilia-Romagna, ha reagito così al mio ultimo scritto: “Mi è piaciuto molto l'ultimo tuo articolo sulle abilità metaemozionali o intelligenza emotiva. Sono perfettamente d'accordo. Purtroppo i miei amici disciplinaristi (con cui condivido quasi tutto) ancora non riescono ad accettare questa dimensione e quasi sempre ne ignorano l'importanza per lo stesso apprendimento disciplinare”.

Con argomentazioni diverse anche Marco Lodoli interviene, anche se indirettamente, sul tema delle emozioni in Se la ragione è un ferro vecchio , su “la Repubblica” del 27 dicembre. Lo spunto è dato dal fatto che la sua alunna Francesca va pazza per il complesso dei Negramaro, la cui divisa è “ conta solo il cuore, la testa a casa". Di qui la preoccupazione di Lodoli: la testa non è affatto una variabile inutile; vi sono episodi della nostra storia recente e della vita quotidiana a dimostrare che il cuore spesso prevale sulla ragione . “Come un'onda – afferma – il sentimento incalza, preme, sale, ma la ragione deve alzare le sue dighe, scavare canali, dirigere quella spinta per farla diventare utile e vantaggiosa per i campi scoscesi della vita: altrimenti è solo frenesia che inonda e distrugge. Il bene è un prodotto dell'intelletto, sostenevano Socrate e i professori, il risultato di una riflessione su di sé e sul mondo. E ogni artista sa che il primo verso viene dal cuore, ma poi serve un lungo lavoro per dare forma a quell'emozione”. In effetti, “bisognerebbe ridare dignità al pensiero e mettere in guardia i ragazzi dalle carognate che il cuore può produrre. Chi uccide la fidanzata o la moglie per gelosia o brama di possesso obbedisce al cuore. Il serbo che sparava al croato vicino di casa seguiva la voce dissennata del cuore. I tutsi che ammazzavano gli hutu a colpi di machete ascoltavano i consigli folli del cuore. E i ragazzi che si buttano via in una notte decerebrata corrono dietro agli ordini del cuore”.

Per quali ragioni i due scritti possono essere considerati insieme? Perché in effetti in essi si intrecciano più “oggetti” che costituiscono materia del nostro quotidiano “fare scuola”: la ragione, le emozioni, le discipline. Entriamo nel merito.

 

Dell'intellettualismo etico

Lodoli si richiama a concetti che vengono da molto lontano: non a caso ci ricorda il precetto socratico secondo il quale non si può fare il bene se non lo si conosce: si tratta di quell' intellettualismo etico che conduce alla concezione secondo la quale la virtù è sapere e che, come tale, è insegnabile. Quanto questa affermazione corrisponda al vero o meno, non lo so. Resta, comunque, il fatto che per secoli, anche attraverso tutta una tradizione anche religiosa (il catechismo cattolico, i versetti del Corano), i principi finalizzati a rendere possibile una convivenza civile – se vogliamo usare una espressione dei giorni nostri – sono stati pur sempre materia di memorizzazione e di insegnamento: e non è un caso che lo stesso termine disciplina stava indifferentemente a significare sia la condotta che ciò che oggi siamo soliti chiamare le materie di insegnamento. Che poi da secoli la virtù venga praticata solo in rare e circoscritte circostanze, è un altro discorso. E non è un caso che l'adagio popolare, secondo cui tra il predicar bene e il razzolar male il passo è spesso breve e scontato, sembra più saggio del precetto socratico.

Ora, a fronte del diffuso disagio dei nostri ragazzi – comune, del resto, a tutti i Paesi cosiddetti ad alto sviluppo – è ancora corretto ricorrere a concezioni di questo tipo, per cui sarebbe opportuno, secondo Lodoli, ridare vita alla ragione nelle scuole per aiutare i nostri alunni ad imparare a distinguere il bene dal male? O, se vogliamo, con parole meno grosse, il lecito dall'illecito? Od ancora, ciò che conviene nel tempo lungo da ciò che sembra convenire nel tempo breve, ma che alla lunga non paga? E come si potrebbe “riprendere a ragionare, prima che il cuore giovane della nazione ceda per un collasso irrimediabile, schiantato dalla propria smania indistinta”?

 

Del ragionare e dei suoi limiti

E' l'interrogativo che si pone Lodoli. Allora mi chiedo che cosa significhi riprendere a ragionare! Non è forse vero che proprio con le discipline, ben distribuite nei quadri orario, almeno negli attuali istituti di secondo grado, il richiamo di Lodoli è già in atto da sempre, o almeno da Gentile ai nostri giorni? E' vero anche che questo ragionare con le discipline alla gran parte dei nostri alunni… nun gliene pò fregà di meno … come si è soliti dire con una orribile e sgrammaticata espressione di recente conio… un altro brutto segno dei nostri tempi?

Possiamo anche dire che tutte le volte che abbiamo provato ad insegnare quella che potremmo chiamare la morale laica o, con parole grosse, la virtù civile, con l'educazione civica e poi con l'educazione alla convivenza civile, non abbiamo mai riscontrato successi. In effetti, anche imparare a memoria la Costituzione come una sorta di catechismo laico non sortirebbe effetti di sorta. E non è un caso che, di fronte al fatto che alla conclusione dell'obbligo decennale, i nostri sedicenni dovrebbero avere raggiunto otto competenze chiave per esercitare la cittadinanza attiva, molti dei nostri insegnanti si pongono seri interrogativi! E non hanno torto!

E' certo che una scuola, fondata da sempre su saperi disciplinari, per di più ben distinti tra loro, quindi abituata a stimolare ragionamenti – che piaccia o meno a Lodoli – si trova a disagio di fronte a questa cosa tutta nuova delle competenze, che sono altra cosa rispetto alle conoscenze, per lo meno quelle che come tali sono intese nell'insegnare quotidiano. Va considerato che, quando parliamo di competenze di cittadinanza, intendiamo l'insieme di tutti quei comportamenti che fanno non solo il buon cittadino ma anche l' homo probus e non solo peritus , quello che giorno dopo giorno assume l'onestà e la virtù, anche se sono parola grosse, come riferimento del suo agire.

Se questo è l'obiettivo che un sistema di istruzione – parlare di scuola oggi è riduttivo a fronte del fatto che tutti devono apprendere e per tutta la vita! – deve assumere, non si può che prendere atto del fatto che l'esercizio della ragione tramite le partizioni disciplinari non dà risultati; e che pensare di insegnare come ulteriori discipline quei comportamenti di cui alle competenze di cittadinanza, anche quelli più semplici dell'onesto vivere quotidiano, sarebbe altrettanto fallimentare.

 

Degli impulsi e delle emozioni

La ricerca psicosociale più recente ci dimostra che le emozioni sono altra cosa dalle pure e semplice reazioni che un essere umano prova a fronte di una situazione data. Il mondo percettivo-sensoriale è fatto di impulsi che stimolano determinate reazioni. La risposta a queste reazioni può essere immediata o mediata. Ed è proprio l'immediatezza che comporta quelle azioni scellerate che ci ricorda Lodoli e che sono sotto gli occhi di tutti. Occorre tener conto che le stesse re-azioni immediate sono spesso anche legittimate – se si può dir così – da un background “culturale” che ha buona parte in causa. Il tutsi che ammazza l'hutu e il ragazzo che si butta via in una notte decerebrata agiscono in forza di un “mondo valoriale” che li giustifica: gli hutu sono i ricchi sfruttatori; il ragazzo sa reggere l'alcool benissimo e la pasticca esalta la sua perizia nella guida!

Non è quindi il cuore in senso stretto che conduce a quegli atti. Anche perché la differenza tra cuore e ragione , pur se ha avuto fortuna nel passato ed è entrata a far parte del senso comune, di fatto non esiste, tanto è complessa la realtà del nostro mondo interiore. In effetti, l'emozione non è la risposta immediata allo stimolo, ma quella mediata e costituisce l'esito di più operazioni, l'ultima delle quali è quella che determina la consapevolezza di un certo sentire o del sentimento, come in genere si suol dire. Insomma trovare distinzioni tra il mondo dei saperi e quello dei sentiri non solo sarebbe cosa ardua, ma è inutile: il coraggio non sta nel fegato, la passione non sta nel cuore, la ragione non sta nella testa: il tutto risiede in quel complesso sistema di natura/cultura di cui ciascuno di noi è costituito e costantemente ri-costituito nello scorrere del tempo e nel variare dello spazio.

Educare alle emozioni, quindi, significa aiutare il soggetto che apprende, nel corso delle diverse fasi del suo sviluppo/crescita, a “costruire” una corretta dimensione di sé – non dell'astratto Sé – e delle sue potenzialità nel concreto rapportarsi quotidiano con gli altri da sé, con gli oggetti e con i concetti (le cose e le astrazioni dalle cose). E' una operazione che non è l'esisto di un insegnamento, ma di una attenzione costante emotivo/affettiva che gli attanti del processo educativo dovrebbero costantemente avere.

 

Dell'intelligenza emotiva

Ed ora veniamo alla funzione docente ed al concreto comportamento insegnante . E qui mi sovviene l'etimo stesso della parola: colui che traccia i segni sulla testa del discepolo che ancora non è diventato uomo, come il vasaio traccia i segni sull'argilla ancora molle dell'anfora ( testa in latino) in lavorazione. Quelli dell'educando sono segni che non si vedono ma che costituisco i solchi del suo divenire uomo. Non è affatto retorica: è il lavoro che fanno benissimo le maestre della prima infanzia (dai 2 ai 6/7 anni di età), ma che non sanno fare i professori “disciplinaristi”. I nostri bambini della quarta primaria leggono e scrivono correttamente – in ordine all'età, ovviamente – ma, quando compiono i 15 anni… sono un disastro! Ce lo dicono le ricerche Pirls e Pisa.

Che cosa succede nel processo dell'istruzione? Sembra che il soggetto, nel suo passaggio da un apprendimento prima predisciplinare, poi pluridisciplinare, infine ad un apprendimento per discipline, perda … il ben dell'intelletto!!! Ed allora sorge la domanda: la sollecitazione al ragionare, ed al ragionare per discipline è produttivo? Non ho nulla contro la ragione in quanto tale – l'età dei lumi ci ha riscattato dai secoli bui dell'intolleranza dei Torquemada – ma sorge una domanda: non sarà proprio questa sollecitazione unidirezionale ad un ragionare non supportato dalle molle della motivazione a provocare quella ripulsa verso lo studio scolastico che tutti conosciamo?

Certamente la motivazione non viene facilmente dall'assetto sociale in cui oggi viviamo: la scuola, lo studio, l'insegnante non sono sulla vetta del consenso dei più. Ma che cosa significa essere motivati a fare qualcosa? Perché quel ragazzo non imparerà mai un passo della Divina Commedia, ma sa a memoria tutte le canzoni di Ligabue? La motivazione è strettamente legata allo stato emozionale positivo che ci spinge verso un obiettivo, è la molla di una volontà e di una capacità di scelta in cui sono strettamente legate tensioni, attese, pur sempre supportate da riflessioni analitiche e razionali.

Non è un caso che Goleman sostiene e dimostra che la motivazione – quindi un forte stato emozionale positivo, non un impulso – non solo rende più facile un apprendimento cognitivo, ma rende più forti le stesse capacità razionali. Il fatto è che l'intelligenza – o quella facoltà che chiamiamo tale – non solo non è un facoltà innata né una procedura sempre eguale a se stessa, come se in ciascuna delle nostre teste ci fosse la stessa calcolatrice; è un insieme di processi multiformi e plurifunzionali – e qui ricordiamo Bruner, Gardner, Joshua Freedman – che si attivano solo a determinate condizioni. E la condizione prima è una forte mossa emozionale.

 

Della mediazione emotiva

A questo proposito, mi piace richiamare un passaggio di una intervista concessa da Roberto Maragliano a “Il Nuovo” il 19 gennaio 2002, nella quale gli si chiedeva di esprimere il suo pensiero sulla riforma Moratti. Maragliano insegna Metodologia e Didattica a RomaTre ed è un convinto sostenitore di un insegnamento che utilizzi largamente i media informatici e telematici e sfida la Moratti a mettere i computer in classe: “non nei laboratori, chiusi come dei libri in biblioteca, ma nelle aule, così come i libri stanno negli zainetti o sui banchi. Il computer deve essere usato come una lavagna. Ma la Moratti non ce la farà mai. E sa perché? Perché non lo consentiranno gli insegnanti i quali hanno paura di perdere la loro centralità. Il sapere della Rete non è gerarchico, non è disciplinare, mentre gli insegnanti preferiscono le gerarchie e le discipline tradizionalmente intese. Io sono per una scuola indisciplinata , non nel senso del sette in condotta ma nel senso epistemologico”. Forse gli insegnanti in quanto tali non merito un giudizio così severo, anche perché la partizione per discipline non l'hanno inventata loro ma l'hanno trovata in eredità da provvedimenti che vengono da lontano e che nessun ministro ha mai messo in discussione.

Tuttavia, l'insegnante potrebbe interrogarsi sulla disciplina di competenza, su quali siano i suoi ambiti, ma soprattutto le sue aperture pluridisciplinari, anche perché i nostri alunni sono già fortemente incalzati da stimoli che sollecitano il pensiero analogico , intuitivo , reticolare più che quello logico , razionale , lineare , per dirla con Lucien Bruchon. Allora, che cosa bisogna chiedere al nostro disciplinarista? Che cosa dovrà fare per attivare nei suoi alunni quelle abilità metaemozionali a cui guarda con interesse anche Flavia Marostica? A mio vedere, in primo luogo dovrebbe ricordare quali sono le ragioni profonde per cui è diventato disciplinarista: senz'altro ci sarà stata all'origine una forte motivazione; in secondo luogo dovrebbe riuscire a fare amare la disciplina che insegna non solo e non tanto per quello che essa è, quanto per le aperture che consente con le altre forme di sapere e che sono oltremodo necessarie per darle visibilità e ragion d'essere.

Si è sempre detto che l'insegnante, oltre ad essere un esperto della disciplina, deve essere anche un mediatore culturale . Oggi, in questa società “liquida” e contraddittoria, è necessario che faccia un passo un più! Dovrebbe diventare anche un mediatore emotivo . Ed otterrà due risultati: il soggetto implementerà con la sua affettività la dimensione cognitiva necessaria per apprendere i contenuti della disciplina; ed acquisirà anche per via indiretta quelle coordinate relative alla costruzione della sua personale identità autonoma e responsabile, capace soprattutto di costruire quella gerarchia di valori che è il fondamento della convivenza civile. E' il legane che occorre trovare tra le conoscenze disciplinari (il cui valore nessuno nega), le competenze culturali e le competenze di cittadinanza.

Solo allora il nostro alunno non diventerà mai un tutsi e non getterà la sua vita sull'asfalto di una strada a scorrimento veloce!

Roma, 28 dicembre 2007

Maurizio Tiriticco

 

 

 

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