I) In
psicologia generale il termine intelligenza viene usato per indicare
un complesso di fatti (o fenomeni) osservabili, detti comportamenti
(ad es. l'intelligenza come capacità di apprendere, come capacità di
risolvere i problemi o come adattamento, ecc.). Pertanto sarebbe più
corretto parlare di "comportamento intelligente" anziché di
"intelligenza" (che sembra rimandare a una facoltà astratta,
a un valore morale, a un "bene immateriale").
II)
Quando si parla di "comportamento intelligente" si fa riferimento
ad una particolare componente del comportamento osservabile, decisa
di volta in volta: ad es., intelligenza potrebbe significare, in un
caso determinato, "la capacità di manipolare degli oggetti in modo
da connetterli l'uno all'altro, secondo un certo ordine". Se questa
definizione la consideriamo accettabile, il problema pratico diventa
quello di stabilire "cosa" e "come" manipolare (ad
es. infilare in una cordicella dei pezzi di legno forati, di forma sferica
e cubica, in maniera alternata). Fatto questo, ci si pone il problema
di come "misurare" un comportamento intelligente, cioè un
comportamento osservato in una situazione ben definita.
III)
A cosa serve questa misurazione? Per dimostrare che una situazione osservabile
è sempre la stessa, sia per i diversi osservatori che decidono di adattarla,
sia per i soggetti che partecipano alla prova. Questo consente di osservare
di volta in volta il comportamento in condizioni costanti, standardizzate.
Solo a queste condizioni è possibile misurare l'intelligenza. Misurare
significa quindi confrontare qualcosa di variabile (ad es. una "grandezza":
peso, lunghezza, temperatura, ecc.) con un'altra "grandezza"
definita e costante (grammo, centimetro, grado, ecc.).
IV)
Nei reattivi o test mentali i vari soggetti, in una stessa situazione,
possono impiegare un tempo più o meno lungo per eseguire la prova, oppure
commettono più o meno errori, e così via. Come criterio di osservazione
si può scegliere il rendimento del soggetto in condizioni di osservazione
definite. Questo significa che nel test non si mette a confronto un
soggetto con un altro, né le loro rispettive intelligenze, ma soltanto
il loro rendimento specifico in un compito intellettivo determinato.
Solo così si può fondare la scientificità della psicometria.
V)
Naturalmente, il confronto degli specifici rendimenti deve avvalersi
dell'osservazione di molti soggetti da sottoporre a un medesimo test.
Ottenuto un rendimento standard, che va da un minimo a un massimo di
punteggio (al disotto o al disopra del quale si hanno intelligenze ipo
o iperdotate), si è in grado di prevedere quale rendimento si verificherà
in circostanze analoghe, o si è comunque in grado di misurare obiettivamente
l'intelligenza specifica di soggetti che l'osservatore non ha mai conosciuto
prima e che vengono sottoposti per la prima volta a un determinato test.
VI)
Il limite principale di questa procedura consiste nel fatto che le condizioni
per misurare l'intelligenza (ad es. i minuti a disposizione o l'obbligo
di rispondere "vero/falso") sono piuttosto rigide, stereotipate,
cioè tendenzialmente lontane rispetto alle vicende reali della vita
quotidiana.
VII)
Un test può comprendere un solo tipo di prova (per un tipo di comportamento)
o più tipi di prove (sub-test). Ogni test può essere composto di situazioni
singole, graduate per difficoltà crescente (chiamate item).
VIII)
Intelligenza e ambiente. Se il test viene applicato in modo corretto,
si ottiene una stima attendibile del rendimento di un soggetto in rapporto
alla popolazione di appartenenza (che è quella stessa su cui è stato
commisurato il test per stabilire l'Età Mentale delle diverse prove,
per i diversi gruppi di ETA' Cronologica). Ciò significa che il materiale
di un test applicato a un vasto campione rappresentativo della popolazione
di una nazione, non può essere usato da un'altra nazione semplicemente
traducendolo: occorrerà anche adattarlo alla diversa cultura (situazioni,
costumi, valori, conoscenze, ecc.).
·
Questo perché l'influenza
delle condizioni ambientali sul Q.I. è così forte che una legge psicometrica
esige che le condizioni in cui si effettua il test siano quanto più
possibile simili o vicine a quelle proprie dell'ambiente in cui il soggetto
vive.
IX)
Eredità e intelligenza. L'intelligenza è una caratteristica innata o
acquisita? Gli psicologi tendono a considerare questo problema come
pertinente alla riflessione filosofica, non alla ricerca scientifica:
anche perché, posta in termini così radicali, la questione è ritenuta
insolubile.
X)
Oggi la migliore psicologia è giunta alla conclusione che il rendimento
intellettivo è frutto di determinanti genetiche (i geni del corredo
cromosomico) che hanno avuto la possibilità di svilupparsi in determinati
ambienti. L'eredità biologica, in altre parole, è una potenzialità che
può evolvere a seconda delle circostanze e delle situazioni. Ch'essa
esista è dimostrato ad es. dal fatto che il Q.I. dei gemelli omozigoti
(cioè geneticamente identici, essendo nati da un solo uovo fertilizzato,
aventi quindi lo stesso sesso) è molto simile, molto di più di quanto
non lo sia nei gemelli eterozigoti (cioè nati da due uova diverse e
quindi geneticamente diversi). Ma questo non impedisce che l'ambiente
possa influenzare in modo completamente diverso la coppia di gemelli.
REATTIVI PSICOLOGICI
I)
I "reattivi psicologici" (S. De Sanctis) o "mental tests"
(J. Cattel) sono il tentativo di misurare in modo obiettivo l'intelligenza,
sottraendola a valutazioni di tipo soggettivo, che potrebbero trarre
in inganno (ad es. la timidezza può portare uno studente ben preparato
a conseguire una votazione scarsa. Il test dovrebbe supplire a questa
sua difficoltà). La storia dei reattivi è relativamente recente. Alla
fine dell'800 si cominciarono a fare degli accertamenti riguardo alle
attività psicosensoriali e psicomotorie; in seguito le prove sono state
estese alla valutazione dell'intelligenza generale e specifica, delle
tendenze e attitudini, della personalità e del carattere. Il metodo
dei test viene largamente impiegato nella psicotecnica.
II)
I primi significativi test sono quelli ideati dallo psicologo francese
Alfred Binet nel 1905. Egli, con l'aiuto dell'assistente Simon, cercò
sia di misurare il grado d'intelligenza dei "deboli mentali"
nelle scuole elementari di Parigi, che di verificare se si trattava
effettivamente di insufficienza mentale o di disadattamento caratteriale.
In seguito vennero elaborati dei test anche per gli adulti.
III)
Età cronologica ed età mentale. Binet era partito da questi presupposti:
dopo aver sottoposto a identici esami molti scolari, fece una graduazione
dei risultati ottenuti, mettendola a confronto col giudizio complessivo
degli insegnanti che conoscevano a fondo quegli stessi scolari. Dopodiché,
per ottenere in modo rapido e sicuro un giudizio su determinate caratteristiche
(memoria, attenzione, ecc.) di uno scolaro che aveva visto per la prima
volta, lo sottoponeva ad una serie di prove analoghe, confrontando il
suo rendimento con quello del gruppo campione.
IV)
Il reattivo di Binet consiste in una serie di prove a difficoltà crescente
(scala); a ciascuna età cronologica (E.C.), misurabile in anni-mesi-giorni,
corrisponde un gruppo particolare di prove, che impegnano l'intelligenza
che lo studente matura a scuola. Binet non aveva messo in discussione
il concetto di "intelligenza" in uso nelle scuole francesi.
V)
Il grado di intelligenza raggiunto da uno studente, in rapporto non
solo alla sua età, ma anche al livello medio degli studenti della
stessa età cronologica, viene chiamato con un nuovo concetto psicologico:
età mentale (E.M.), anch'essa misurabile in anni-mesi-giorni.
VI)
L'idea di Binet implicava che lo sviluppo dell'intelligenza attraversa
identiche fasi nei vari individui, per cui l'E.M., tipica di una data
E.C., esprime un livello medio di efficienza, comune alla maggioranza
(cioè ad almeno il 75%) delle persone di quella età, sottoposte al test.
VII)
Il concetto di E.M. si basa su due principi fondamentali:
a)
esiste la possibilità di valutare il livello di intelligenza
di un individuo, qualunque sia il periodo della sua vita;
b)
il grado di intelligenza aumenta in una certa proporzione in
rapporto all'E.C., ma solo per un certo tempo. L'americano Lewis Terman,
che revisionò la scala di Binet, pose il limite massimo di sviluppo
mentale approssimativamente a 16 anni, nel senso che l'intelligenza
degli adulti, di regola, è pari a quella degli adolescenti normali di
16 anni, a prescindere ovviamente dall'esperienza vissuta. Ciò in pratica
significa che per gli anni seguenti il soggetto in esame va considerato
come se avesse 16 di E.C.
VIII)
L'E.M. di un soggetto si ricava dal numero di prove effettivamente superate:
possiamo cioè attribuire l'E.M. di 6 anni ad un bambino, quando ha superato
tutte le prove relative a quella età. Però può accadere che il bambino
sbagli qualche prova dei 6 anni e risolva alcune prove dei 7 anni: in
questo caso vengono applicate le norme di compenso stabilite
dal reattivo, cioè tanti mesi in meno per le prove sbagliate e tanti
mesi in più per quelle appropriate ad un'età superiore. Naturalmente
è difficile trovare una perfetta corrispondenza dell'E.M. con l'E.C.,
poiché nell'infanzia lo sviluppo dell'intelligenza è rapidissimo, meno
rapido nella fanciullezza e lento nell'adolescenza.
IX)
Il quoziente intellettivo. Nel 1912 Wilhelm Stern (tedesco esule
negli USA) aggiunse al concetto di E.M. la formula di Quoziente Intellettivo
(Q.I.), che si ricava dividendo l'E.M. per l'E.C. Con Binet ci
si era limitati alla differenza tra E.M. ed E.C. Ad es. un soggetto
di 16 anni che supera tutte le prove rispondenti all'E.M. di 10 anni,
ha un Q.I. uguale a 100 (si moltiplica il risultato della divisione
per 100, onde evitare l'uso dei decimali). [Per la differenza tra Binet
e Stern vedi § XII].
X)
L'E.M. e l'E.C. debbono esprimersi riducendo gli anni e i giorni a mesi:
i giorni non si contano se non arrivano a 16, mentre da questo numero
in poi contano sempre 1 mese. Ad es. se un E.M. di 9 anni, 5 mesi e
16 giorni corrisponde a 114 mesi; e un'E.C. di 10 anni e 5 mesi corrisponde
a 125 mesi, il Q.I. è dato dal rapporto (114:125) x 100 = 91.
XI)
Ovviamente per utilizzare un test occorre che l'E.M. sia offerta dal
medesimo test, e questo comporta che si siano fatte tantissime prove.
Ad es. un soggetto di 171 mesi ottiene un punteggio di 60 all'esame
(avendo fatto 60 risposte esatte). La tabella del test dovrà indicare
a quale E.M. corrisponde 60. Supponiamo che corrisponda a 216. Il Q.I.
non sarà altro che il risultato di questa operazione: (216:171) x 100
= 126. È importante sottolineare che il Q.I. non è la misura di ciò
che si è imparato, ma la misura della capacità d'imparare. L'intelligenza
non riguarda le cognizioni acquisite, ma la capacità che uno ha di conoscere.
XII)
La differenza del metodo di Stern da quello di Binet è
abbastanza netta. Ad es. prendiamo un bambino e un fanciullo con le
seguenti E.M. ed E.C.:
E.M.=
6
E.M.= 12
a)
------------¦ 6-5 = 1 b) -------------¦ 12-10 = 2
E.C.= 5
E.C.= 10
Secondo
Binet il bambino a) ha un anticipo sull'E.C. di 1 anno, mentre il fanciullo
b) ha un anticipo di 2 anni, cioè il fanciullo b) viene ad avere una
differenza tra E.M. ed E.C. "doppia" di quella del bambino
a). Sostituendo invece il rapporto alla differenza, si avrà lo stesso
Q.I.:
E.M.=
6
E.M.= 12
a)
---------¦ x 100 = 120 b) -----------¦x 100 = 120
E.C.= 5
E.C.= 10
L'anticipo
di 1 anno rispetto all'E.C. di 5 anni ha quindi lo stesso significato
dell'anticipo di 2 anni rispetto all'E.C. di 10 anni, per cui il fanciullo
b) non è più "intelligente" del bambino a).
XIII)
I limiti del Q.I. L'E.M. presuppone identiche fasi di evoluzione
nei soggetti normali. Forte cioè è la tentazione di considerare la mente
umana come fatalisticamente regolata nel suo sviluppo, così da non consentire
reali trasformazioni negli individui, nel corso del processo educativo
e dell'esperienza. E' ben noto, tuttavia, che il ritmo di sviluppo varia
da soggetto a soggetto, e nello stesso soggetto varia nelle diverse
tappe evolutive. In alcuni lo sviluppo è rapido e breve, in altri rapido
e a lunga durata, in altri ancora si svolge lentamente in un tempo relativamente
breve o relativamente lungo. Inoltre la differenza tra E.M. ed E.C.
è più significativa nei soggetti giovani che in quelli anziani.
XIV)
A tali difficoltà va aggiunta la situazione complessa della prova psicologica:
ovvero la tensione emotiva ch'essa può suscitare, l'influsso ambientale,
il carattere del soggetto, le conoscenze acquisite, le differenze di
educazione... Nell'impiego dei test si valuta solo il risultato finale,
e non anche il processo che ha portato il soggetto a quel risultato.
Infine, bisogna tener conto del fatto che i test si basano soprattutto
su un tipo d'intelligenza logico-razionale e matematica, espressione
tipica della cultura occidentale.
XV)
A causa di queste difficoltà si è cercato di favorire la tendenza a
utilizzare il metodo statistico del centilaggio. Tale metodo
richiede che il reattivo in questione venga prima applicato ad un numero
di soggetti quanto più grande possibile, venga cioè standardizzato,
in modo da poter distribuire i risultati da 1 a 100 (dal peggiore al
migliore), lungo una serie di valutazioni suddivise in 100 parti uguali.
La divisione centile comincia con C1, C2, C3...e finisce con C100. Al
C50 corrisponde la mediana che divide in due gruppi numericamente
uguali la serie di valutazioni (vedi figura A). Questi due gruppi vengono
ulteriormente suddivisi in quartili, di modo che il "quartile inferiore"
va da 1 a 25 e corrisponde al 25%, il "quartile superiore"
va da 75 a 100 e corrisponde a un altro 25%; infine il "termine
medio" ("gamma interquartile") va da 25 a 75 e corrisponde
al 50%. Di regola, in ogni gruppo più o meno omogeneo, i soggetti che
fanno parte del "termine medio" sono sempre più numerosi di
quelli di ciascun termine estremo. Questa tecnica può essere usata per
qualunque cosa (statura, peso, memoria, immaginazione, ecc.)
XVI)
L'entità numerica ricavata da un reattivo costituisce il "punteggio
grezzo", realizzato dal soggetto in esame. Questo punteggio acquista
un significato preciso solo quando viene messo a confronto con i risultati
ottenuti dall'applicazione del medesimo reattivo su di un vasto numero
di soggetti della stessa età. Cioè è in base al posto occupato sulla
scala completa dei valori centili, che possiamo sapere se il rendimento
del soggetto raggiunge una media elevata, normale o bassa. Ad es., se
il punteggio grezzo di uno studente viene a coincidere con C40, per
sapere il posto che gli corrisponde nella sua classe di 20 studenti
(lui compreso), va applicata la seguente formula:
P
= (40 x 20): 100 = 8. Il posto occupato dallo studente nella classe
rivela un rendimento inferiore alla media.
XVII)
Reattivi analitici e sintetici.
a)
I reattivi analitici tendono ad esaminare soltanto una
funzione psichica (percezione, pensiero, linguaggio, attenzione, memoria,
ecc.). Possono anche verificare certi aspetti della personalità o del
temperamento-carattere (sentimenti, interessi, inclinazioni, ecc.).
Il più importante test analitico è il questionario, la cui validità
poggia sull'onestà delle risposte. A volte il soggetto può falsarle
senza volerlo. Il desiderio inconscio di distinguersi, di assumere un
atteggiamento in base all'ambiente in cui si vive o che si ritiene più
accetto all'esaminatore, può far scattare un meccanismo automatico di
controllo. Ciò avviene con maggiore frequenza quando gli argomenti trattati
non sono familiari; è difficile immedesimarsi in situazioni nelle quali
il soggetto non si è mai trovato o rispondere a domande che non si è
mai posto. Il metodo del questionario è stato inventato dallo psicologo
americano Woodworth nel 1917: venne applicato per la prima volta durante
la Ia guerra mondiale per individuare i soldati eccessivamente
emotivi e quindi instabili di carattere.
b)
Viceversa, i reattivi sintetici analizzano la personalità
come una totalità indivisibile. In questo campo, la tecnica dei metodi
proiettivi è forse la più interessante. Si tratta di interpretare
spontaneamente una serie di macchie d'inchiostro, di disegni, figure,
quadri, frasi incomplete, parole o altro materiale non strutturato,
sul quale il soggetto, dandogli un qualche significato, proietta inconsciamente
la propria struttura psichica. Questo metodo, il cui impiego è consigliato
ad esperti psicologi, ha il suo diretto antecedente in quello delle
associazioni di parole dello psicanalista svizzero Jung.
XVIII)
Va detto, per concludere, che in Italia, test questionari e altri reattivi
vengono più che altro utilizzati per introdurre il soggetto al colloquio
coll'analista, cioè vengono usati in ambito strettamente psicologico,
mentre in quello lavorativo-professionale e scolastico il loro uso è
del tutto irrilevante.