La libertà d'insegnamento
Ermanno Testa,
Segr. nazionale del Cidi e
direttore di "Insegnare"*
Spesso
quando si parla di autonomia ci si dimentica un altro fattore fondamentale:
la capacità di verifica e di valutazione del sistema; non solo fotografarlo,
ma anche coglierne in senso diacronico i possibili sviluppi o le possibili
involuzioni; una buona e lungimirante gestione del personale, il personale
docente in primo luogo e quindi buone relazioni sindacali, spazio alle
associazioni professionali, disciplinari, una gestione democratica,
soprattutto la capacità di far vivere 1'autonomia scolastica per risposte
più adeguate ai bisogni dell'utenza. Buone pratiche, buoni insegnanti,
buoni interpreti del proprio ruolo.
Vorrei, però, far notare che anche questo aspetto delle
buone pratiche scolastiche, che ho indicato come fondante gella qualità
del sistema, sia esso stesso il risultato della gestione politica. Abbiamo
un esempio sotto gli occhi: due anni di politica scolastica di questo
governo, condotta secondo i tratti di un attacco al sistema pubblico
dell'istruzione, hanno portato a un ridimensionamento del fattore istruzione
come valore sociale. Mi ha colpito come immediatamente vi sia stato
un calo di tensione nelle scuole, l'aumento dell' autoreferenzialità,
l' abbassamento di tono del fare scuola. Eppure gli insegnanti sono
gli stessi di prima, quindi evidentemente questo effetto dipende dalla
gestione politica del sistema. Un abbassamento che in genere ricade
sugli insegnanti: «Ah, gli insegnanti sono quelli che non funzionano,
che non fanno funzionare la scuola».
Di qui la necessità di non scindere mai l'impegno verso
la categoria - che è connaturato alle nostre organizzazioni, sindacato
e associazione professionale -, da un impegno a favore di un modello
di scuola diverso, nuovo, significativo, democratico, proprio affinché
l' idea della corrispondenza immediata tra condizione docente e qualità
della scuola sia sempre più fatta propria dagli insegnanti. È dalla
separazione, tra questi due momenti che nascono spinte corporative,
la ricerca di soluzioni solo categoriali, come le varie proposte di
diversificazione di carriera, di diversificazione stipendiale, di specifiche
regole comportamentali ad hoc per gli insegnanti. Spesso anche
le lungaggini, nelle modalità della contrattazione, accentuano quest'immagine
della scuola come problema essenzialmente di categoria.
In tutti i passaggi difficili della storia della scuola
italiana, e questo è uno di quelli con la legge delega e l'idea di scuola
che la sottende, la questione docente è emersa come a se stante, quasi
un fattore indipendente, un vero e proprio parafulmine di quel disagio
sociale che era avvertito nei confronti della scuola, come servizio
nel suo complesso; anche ai tempi di Lettera a una professoressa,
libro che spesso rileggo, già dal titolo l'interlocutore è il docente.
La critica, però, doveva essere fatta, e in quel libro viene fatta,
verso il sistema scolastico e un tipo di scuola: in quel libro, infatti,
si parla di scuola dell'obbligo che non può bocciare; si fanno indagini,
per quanto semplici, sul sistema scolastico... eppure quel titolo era
un' accusa verso chi interpretava quel tipo di scuola, una scuola che
doveva diventare di massa, ma che restava ancora una scuola di élite.
Oggi, molti pongono il problema di regole per la categoria
separate dal fare scuola: la chiamano deontologia. L'unica deontologia
che io ritengo giusto perseguire sono le finalità e gli obiettivi che
il sistema scolastico, l'idea di scuola a cui ci si riferisce indicano
come necessari, come obbligatori.
Facciamo allora in modo che quest'idea di scuola sia
di alto valore democratico, che la gestione lo sia altrettanto, che
efficienza ed efficacia si intreccino se vogliamo migliorare nei fattna
deontologia professionale; perché in una scuola così chi insegna è
tenuto maggiormente a operare seconda scienza e coscienza, con competenza
da intellettuale, da proessionista pieno, cioè con conoscenze adeguate
delle discipline di insegnamento e delle scienze dell'educazione e
con la capacità di esercitare la propria azione con una forte dose
decisionale ed alto senso di responsabilità.
LIBERTÀ D'INSEGNAMENTO
Ciò che caratterizza un' attività professionale è la libertà e la responsabilità,
in una parola, la libertà di insegnamento. Sarebbe un disastro, a mio
parere, imbrigliare questa professione in protocolli procedurali, significherebbe
tornare alla scuola delle procedure non dei risultati, creare le precondizioni
di un contenzioso infinito con l'amministrazione, con le famiglie; un'attenzione
alla forma più che alla sostanza, purché la forma, la procedura siano
corrette, il resto vada come vada! Torneremmo, in questo modo, al più
bieco clima impiegatizio, presuntuoso, individualista, qualunquista,
e non solo ne soffrirebbe la categoria, ma purtroppo anche la scuola.
Nella Costituzione italiana è delineata un'idea molto
avanzata di scuola, soprattutto gli articoli 3, 33 e 34 sono i punti
forti di tale disegno e, tra questi, il principio della libertà di
insegnamento. "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento"
significa che la libertà della cultura, che è di tutti, si estende a
coloro cui è assegnato il compito sociale di trasmetterla. Qui gli insegnanti
sono assolutamente al centro, ma al centro di un progetto che è quello
della scuola costituzionale.
La libertà di insegnamento si giustifica proprio in quanto
si esprime nell'esercizio di una funzione docente, che non è, ovviamente,
un fare ciò che si vuole: si assegna al docente un certo grado di responsabilità
per la scelta di percorsi organizzativi e didattici più idonei a raggiungere
il fine dell' apprendimento e questo comporta un'idea di scuola inclusiva,
che non separa, che non seleziona; scuola che promuove cultura (non
che regala promozioni), che garantisce il successo scolastico nel riconoscimento
delle varie intelligenze. Questo è quanto di più avanzato si possa immaginare
in questa fase, il punto più alto, almeno in linea teorica, il senso
democratico del pensiero pedagogico che riconosce la centralità e l'unicità
della persona che apprende, il senso della progressività, della flessibilità,
della continuità dell' azione educativa, dell'utilizzo al meglio di
tutte le risorse disponibili.
Direi che, almeno in linea teorica, tale idea di curricolo
sembra realizzare al meglio finalmente un antico sogno che era già
vivo ai tempi di Comenio cioècome tradurre l'azione dell' educare, che
contiene pur sempre un elemento di costrittività, di violenza, se volete,
in un'azione di libertà interpretando l'esperienza educativa come
esperienza in sé liberatoria.
Questo significa che la libertà di insegnamento richiama
la responsabilità di chi insegna, ma è anche soprattutto una condizione
che garantisce chi apprende, diventa cioè in primo luogo interesse
dell'utente.
La libertà di insegnamento si esercita nel quadro di
un progetto educativo e, quindi, solo se esiste un progetto educativo
all'altezza di essere un progetto di scuola; e la qualità di questo
progetto condizionerà la qualità di quell' esercizio educativo.
Se l'idea di scuola non si configura solo come servizio
alla persona ma anche come servizio alla comunità, al paese, non abbiamo
una scuola a domanda, ma una scuola istituzione, allora la funzione
docente acquista una maggiore tensione etica. Insegnare in un contesto
istituzionale, e non privatamente, dà più motivazione all'azione docente,
e quindi anche più qualità.
La libertà di insegnamento garantisce il pluralismo
nella scuola, ma soprattutto permette un confronto tra eguali: io
e il mio collega, io e la mia collega, pure se abbiamo posizioni e
convinzioni diverse, di fronte a quel problema lì dobbiamo metterci
insieme e trovare la soluzione.
La libertà di insegnamento trova nell'autonomia scolastica
il suo naturale sviluppo, una sua interpretazione, non solo individualistica,
ma collegiale, cooperativa. L'attacco all'autonomia si configura perciò
anche come attacco alla libertà di insegnamento, e di conseguenza allo
sviluppo di una collegialità vera che ha origine solo da una progettualità comune
che sancisce, di per sé, la pari dignità di tutti i docenti.
Esercitare la libertà di insegnamento richiede risorse,
spazi, tempi adeguati, libertà di scelta degli strumenti didattici,
compresi i libri di testo.
La libertà di insegnamento crea le condizioni per indurre
i docenti alla riflessione sul proprio operato, spinge allo studio,
alla ricerca didattica, ad una sana sperimentazione e quindi allo sviluppo
del sistema (si veda l'articolo 6 del regolamento dell'autonomia).
La libertà di insegnamento e il suo effettivo esercizio garantiscono
contro la burocratizzazione e i rischi di gerarchizzazione. Un docente,
forte della libertà e della responsabilità che comporta la sua professione,
deve ambire a un maggiore riconoscimento sociale.
Ma su questo terreno, in questo periodo, la confusione
regna sovrana. Prendiamo ad esempio tutta la tematica del primato della
famiglia rispetto alla scuola; un problema mal posto, perché sarebbe
più importante puntare sull'integrazione e non sulla sovrapposizione
dei ruoli, non sulla sostituzione o sull'intrusione: quando c'è un tentativo
di sostituzione della scuola alla famiglia o viceversa nascono grosse
difficoltà per entrambi.
La libertà di insegnamento è la condizione preliminare
per l'acquisizione di un sapere critico. È un fattore di democrazia,
sia sul piano dell'organizzazione scolastica, sia su quello della formazione
alla cittadinanza. Oggi sindacato e associazione si trovano a contrastare,
ciascuno sul proprio terreno, l'attuale deriva privatistica, mercantilistica,
liquidatoria della scuola pubblica, affinché si possa rilanciare
un'idea diversa di scuola, un fare scuola più coerente con i bisogni
formativi del nostro paese. Oggi sindacato e associazione sono due
facce della stessa medaglia perché, non c'è dubbio, che la qualità
dell'insegnamento sia legata alla salvaguardia di certe condizioni,
condizioni materiali e condizioni, di libertà, cioè il sistema dei
diritti.
SVILUPPO CIVILE DEMOCRATICO
Scontiamo, è vero, come sindacato e come associazione,
la mancanza sul versante politico di un progetto di scuola alternativo
a quello che oggi parrebbe vincente. Né il sindacato e tanto meno l'associazione
possono sostituirsi ai politici intervenendo nella sfera di competenza
della politica. Però io credo che se ci attardassimo a impegnarci su
poco significative ricettine, su codici deontologici, su albi professionali,
cose che attecchiscono in una mentalità molto provinciale, da Italietta,
ci muoveremmo ancora nel vecchio, all'esistente, sostanzialmente guarderemmo
indietro, mentre oggi siamo di fronte, sia in Italia sia in Europa e
nel mondo, ad uno scenario di crisi profonda di prospettiva, di modello
di sviluppo di una società sempre sul piede di guerra, di guerra calda.
una crisi che sembra colpire persino cose che sembravano ampiamente
acquisite come i diritti sociali e di cittadinanza.
LE ALTERNATIVE
Ci sono alternative? Sicuramente sì, ma richiedono un
alto tasso di consapevolezza, parlo del sistema paese, non della scuola,
un alto grado di conoscenze e di capacità, di corretta valutazione
delle cose da parte di tutta la popolazione, non di una élite, di
un gruppo ristretto.
C'è bisogno di crescere, tutti, come individui e come
società; c'è perciò bisogno di un grande processo di nuova alfabetizzazione,
di una maggiore diffusione di pensiero scientifico e storico, di rilancio
della cultura, della conoscenza e non solo ai fini dello sviluppo economico,
ma soprattutto dello sviluppo civile democratico. Se vogliamo cambiare
modello di sviluppo, riconvertire i consumi, la vita delle nostre città,
serve un alto grado di consapevolezza, di conoscenza e quindi anche
di solidarietà. Siamo un popolo che legge pochi libri, che compera pochi
giornali, che non frequenta le biblioteche, che manifesta un preoccupante
analfabetismo di ritorno.
Tutto ciò richiede una scuola dinamica, propulsiva,
nuova. Dobbiamo far grandi passi in avanti, dobbiamo pensare molto più
avanti di quanto solitamente non facciamo. In coerenza con ciò, ritengo
sia tempo, oggi, di lanciare e dispiegare per gli insegnanti una forte
battaglia proprio sulla libertà di insegnamento, dichiarandone i motivL
Sia, questa della libertà di insegnamento, la vera parola d'ordine,
e non quella della deontologia, perché è anche una battaglia per la
scuola pubblica, laica, pluralista, autonoma, capace di accogliere
tutti, forte nella sua identità culturale e nazionale, difficile da
frantumareanche in caso di devoluzione.
Lavori il sindacato per garantire le condizioni del suo
esercizio, lavori l'associazione per riempire di significato culturale
e professionale tale spazio di libertà.
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*Intervento
al Covegno "Autonomia e professione docente" organizzato
da CGIL Scuola - CIDI - Proteo Fare Sapere a Villa San Giovanni (RC).
Pubblicato in VS Anno XXVI n. 17, 2003.