TEMPO


Cerca nel web, nel sito, nei siti amicicerca

Google
 

TEMPO

Rosario DRAGO

L'evoluzione del concetto

La storia dell'organizzazione scolastica dimostra che essa non ha partecipato all'evoluzione della nozione di tempo prodotta dalle scienze (Sue, 2001). II problema sembrava già definitivamente risolto con l'avvio dei sistemi sco lastici nazionali alla metà del XIX secolo. La con cezione del tempo, del ritmo di insegnamento, dell'organizzazione didattica, in particolare nella secondaria, si è definita e consolidata in un unico modello, che potremmo definire "amministrativo".

Il primo tentativo di superare la vecchia concezione ottocentesca del tempo, coincide con l'avvio dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Già nella formulazione dell'art.4 della Legge 537 del 1993, veniva affrontato il problema della "flessibilità" organizzativa. Oggi, l'art. 21 della Legge 57/1997 e soprattutto il regolamento (DPR 275/1999) aprono spiragli di riflessione e di progettazione dei tempi di insegnamento e apprendimento del tutto nuovi per la tradizione italiana.

Anche per effetto delle innovazioni legislative, il concetto di ritmo scolastico emerge sempre più come una delle questioni di maggiore importanza per la qualità della vita scolastica. È noto che la teoria dell'apprendimento adottata dall'istituzione in una certa epoca determina anche la sua concezione del tempo e cioè l'articolazione della durata dell'apprendimento, il ritmo di svolgimento delle discipline durante l'anno scolastico, il funzionamento dell'orario giornaliero e settimanale, la struttura della giornata, della settimana e dell'anno scolastico nel suo insieme.

E la concezione del tempo scolastico assume forme diverse a seconda dei vari campi dell'attività in cui si realizza la vita a scuola.

I tempi dell'insegnamento

Nella scuola secondaria (ma il fenomeno è sempre più evidente anche nel ciclo elementare, dopo la riforma dei "moduli") il docente suddivide il programma secondo i criteri e le abitudini temporali applicati alla sua disciplina. In genere, gli insegnanti utilizzano in maniera diversa il loro "patrimonio" in ore, dando, per esempio, più tempo alla spiegazione in classe o agli esercizi applicativi proposti agli allievi. Essi tengono conto, secondo obiettivi per lo più intuitivi e impliciti e secondo la "densità" del loro programma, del ritmo di apprendimento degli allievi, stabilendo una media tra i "lenti" e i "veloci". II fattore che condiziona di più il ritmo di insegnamento è la scelta delle metodologie, dato che alcune tecniche didattiche permettono allo studente di

apprendere più facilmente, più efficacemente, con più soddisfazione di altre. Ma l'insegnante medio non ha a disposizione una gamma di metodi così ricca e varia, da consentirgli di controllare e gestire le variabili dell' dello studente e il suo ritmo (v. voce "Apprendimento").

a. L'organizzazione. La lunghezza della giornata dedicata alla scuola dallo studente è riempita a tal punto dalle ore di lezione che resta poco tempo anche per le attività come l'orientamento, il lavoro di gruppo, la comunicazione con i compagni o semplicemente per le soste o per "un po' di respiro". Questo tempo particolarmente denso e carico non tiene in considerazione né lo stato biologico, né il bisogno di apprendere e di vivere secondo il proprio ritmo.

Ciò contrasta con il fatto che tutti (insegnanti, dirigente e personale) passano nell'istituzione scolastica un tempo molto inferiore a quello degli allievi. E, in gran parte, sono in grado di controllare la durata, la misura, il ritmo e la qualità del tempo impiegato.

b. L'orario. Di solito il problema del ritmo scolastico è ridotto semplicemente all'organizzazione dell'orario delle lezioni o del annuale (festività, "ponti", ecc.). Questa semplificazione del problema ignora precisamente gli aspetti propri dei ritmi dell'insegnamento, dell'apprendimento e della vita degli attori nell'istituzione scolastica. Riduce quindi la nozione di tempo, di ritmo, di organizzazione a un elemento puramente amministrativo. Oggi, la scuola ha una maggiore per elaborare il proprio ritmo di lavoro e di vita comunitaria, ma ricostruire il senso globale dell'insegnamento comporta necessariamente mettere in relazione tra loro tutti gli aspetti fondamentali (Drago, 1996).

c. La giornata scolastica: l'usura dell'uguale. Gli studenti hanno l'impressione di essere immersi nella macchina ripetitiva della vita scolastica e sentono di subire una pressione, poiché il modello di impiego del tempo è sempre quello in vigore da secoli. È l'ultimo bastione dell'insegnamento tradizionale, che non considera lo studente come soggetto dell'insegnamento, per cui la vita scolastica gli appare noiosa, oppressiva e triste.

La regola principale che governa questa organizzazione è la parcellizzazione dei contenuti e del tempo di apprendimento: lo studente cambia materia ora per ora. Ciò che non cambia è il suo ruolo gregario ("segue la lezione") e passivo.

Il principio che porta a cambiare materia ogni ora è fondato sulla constata­zione intuitiva che, verso la fine della lezione, gli studenti sono stanchi, affaticati, distratti; hanno bisogno di alzarsi, di sgranchirsi le gambe e di "svuotare" per un momento la loro mente. Ma interrompere la lezione non significa cambiare tipo di attività. Dopo ogni interruzione, si continua come si era cominciato un'ora prima.

L'insegnamento così concepito tende a gestire il ritmo biologico, e soprattutto ad evitare la stanchezza, ma non serve a modificare l'essenziale: il ruolo passivo dello studente, la noia della ripetizione di una stessa tecnica nella medesima durata. Questo "tagliare a fette" gli apprendimenti conduce innanzitutto lo studente a fare "zapping" tra i saperi, piuttosto che a impegnarsi e interessarsi a quello che fa. Il passaggio da una materia all'altra è troppo brusco. Un semplice suono della campanella non può far dimenticare immediatamente, "a comando", la lezione precedente. Infine, questo sistema di saltare "di palo in frasca" non facilita il lavoro dell'insegnante, perché all'inizio della lezione l'allievo ha ancora la mente occupata da quella precedente e alla fine dell'ora ha già in testa la materia che segue.

Lo studente che passa in cinque minuti (anche meno se l'insegnante è dili­gente e corre a raggiungere la sua aula) da una lezione all'altra, comprese le strategie di "evasione", uscendo cioè nei corridoi o rifugiandosi nei servizi, non ha alcun tempo ragionevole per gestire il cambiamento, né di "digerire" ciò che c'era prima, né di preparare ciò che verrà dopo. Tutto ciò genera facilmente una forte pressione psichica.

Lo studente quindi apprende contenuti in maniera frammentaria, dato che non è nelle condizioni di raccoglierne il senso, che si trova solo nella globalità. È difficile interrompere una riflessione, un ragionamento, la maturazione di un progetto, un complesso di idee e non è meno complicato ricominciare ciò che è si é interrotto bruscamente.

L'analisi dell'insegnamento testimonia che la "rimessa in moto" ovvero l'av­vio di una lezione è una tappa particolarmente delicata, ardua e piena di ten­sione. Allo studente si richiede molta energia e capacità inventiva per riprende­re il contenuto al punto in cui è stato abbandonato due o tre giorni prima, tra una decina di altre lezioni, senza il rischio di soluzioni meccaniche, ripetitive, e quindi mnemoniche (v. voce "Modularità").

 

d. Taylorismo intellettuale. Questioni così complesse come la stanchezza, la mancanza di concentrazione, la fatica, l'interesse, non possono essere risolte con risposte formali che consistono nel passare in cinque minuti da una lezio­ne di italiano a una di matematica. Nozioni come "frazionamento", "attività parcellizzata ed uniforme", "eccessiva divisione del lavoro", sono le stesse utilizzate nella famosa critica di Friedman all'organizzazione tayloristica del lavoro, dove sostiene e dimostra che il lavoro diviso in unità separate una dalle altre è particolarmente faticoso, poiché non è in grado di dare alcuna soddisfazione.

Durante l'attività scolastica, insegnante ed allievo sono esposti alla pressio­ne psicologica di un tempo "amministrato" che produce facilmente un senso di affaticamento. In più, lo studente deve vivere la sua lunga giornata sotto la pressione della vita del gruppo. Tutto ciò dimostra la relatività della percezio­ne del tempo: fare un'ora di lezione può essere più faticoso che lavorare a lun­go, ma con meno tensione.

A questo si aggiunga il fatto che gli insegnanti hanno spesso la sensazione di essere in ritardo rispetto alle altre classi, o in relazione all'anno precedente. E non si rendono conto che gli studenti sono al traino, che non seguono più. Non è dicendo ad ogni minuto "seguitemi", che il ritmo del lavoro può essere accelerato. Al contrario, più vengono invitati a seguire, più vanno "in folle", perdono concentrazione e slancio.

Il tutto non è uguale alla somma delle parti. La giornata scolastica è concepita come una giustapposizione meccanica di differenti materie in sei giorni e non come una entità organica di tipo cognitivo, biologico, pedagogico, sociale e culturale della vita dello studente nell'istituzione scolastica. L'implacabile ra­gionamento di Aristotele ci ha insegnato che il tutto non è uguale alla somma delle parti, per cui si può ragionevolmente ritenere che gli effetti della somma di sei - anche sette - unità di insegnamento (ore di lezione) non rispondono al vissu­to globale dello studente nella mattinata.

La concezione "aritmetica" del l'organizzazione temporale diventa forzatamente paradossale. Nessuno prende in considerazione l'effetto globale della giornata, cioè il "tutto", sugli atteggiamenti degli attori, degli studenti e dei professori. Si guarda solo alle "parti", alle unità di lezione che si susseguono ora per ora. L'abitudine irriflessa di sommare in modo meccanico "pezzi" di tempo uniforme indica che l'istituzione educativa non ha affrontato né risolto il problema dei ritmi di appren­dimento e della vita dell'adolescente nella scuola (Vertecchi, 1992, Gasparini, 2001).

L'eccessiva parcellizzazione dei contenuti produce nella giornata una frammentazione verticale degli apprendimenti, che diventa orizzontale nella set­timana.

L'incrociarsi verticale e orizzontale delle discipline, che assomiglia molto a un rebus o alle connessioni interne di una macchina, illustra bene la dispersio­ne dei sapevi che lo studente deve apprendere nell'arco di una settimana. Que­sta moltiplicazione di fili di Arianna dimostra inoltre l'aspetto causale e mecca­nico del labirinto delle conoscenze di cui l'allievo è prigioniero.

 

e. L'anno scolastico: un'ora per 1.200 volte. Il principio che tutte le settimane dell'anno scolastico debbano svolgersi nello stesso modo orienta l'orizzonte tempora le del Vi insegnamento verso la settimana, ed impedisce la diversificazione del ritmo della progressione dell'apprendimento durante l'anno: ignora un fu­turo diverso dal presente. Per esempio, se un contenuto (unità didattica) viene insegnato per dodici ore, in ragione di tre ore la settimana, l'apprendimento durerà in effetti quattro settimane. E questo criterio è applicato parallelamente a tutte le dieci o dodici discipline apprese dall'allievo. La frammentazione quindi non tiene conto degli effetti cognitivi e psicologici dell'eccessiva dispersione dei saperi sull'apprendimento dello studente (v. voce "Modularità").

L'insegnamento ignora i vantaggi di alternare il ritmo lento/veloce duran­te l'anno, di utilizzare periodi a ritmi variati in funzione dei contenuti, dei me­todi, delle attività e dei. bisogni degli studenti. Non si comprendono ancora abbastanza i vantaggi di costruire un apprendimento più coerente con i conte­nuti studiati e con gli obiettivi prefissati. Eppure, per un insegnamento efficace si impone una diversificazione temporale: non è possibile rispondere alla va­riazione e alla diversificazione, continua e inattesa, dei bisogni e degli obiettivi individuali e di gruppo, se non attraverso lo sviluppo e la costruzione di forme e strumenti organizzativi sperimentali, cioè flessibili e continuamente sottopo­sti a verifica e valutazione.

 

Il mosaico del sapere e del tempo

I programmi sono stabiliti separatamente uno dall'altro, materia per mate­ria, senza alcun nesso logico che non sia un vaga percezione dei bisogni della "cultura" e dei risultati della ricerca. Essi sono poi tagliati a pezzi in "ore di lezione". Al mosaico delle discipline corrisponde quindi un mosaico del tempo di apprendimento. La separazione delle discipline è lontana dall'ideale greco dell'educazione circolare, enkulíos paideia, cioè di un sistema unitario di saperi connessi tra di loro. Per l'insegnante, l'orario di una materia è un dato di capi­tale importanza. Terminare il programma è una preoccupazione costante, an­che se dovrebbe sapere che, finito il programma, non ha certo risolto il suo contratto educativo con lo studente (v. voci "Deontologia" e "Responsabilità profes­sionale"). L'importanza accordata alla quantità temporale non dovrebbe ridurre quella della qualità della sua utilizzazione.

Il programma delle discipline è frammentato perché si pensa che lo studen­te non sia in grado di "digerire" il sapere se non a piccoli morsi, a piccoli cuc­chiaini, un po' alla volta come fosse una amara medicina.

A questo punto sarebbe bene riflettere su alcuni obiettivi che tentiamo di schematizzare, per brevità, nella tabella seguente

 

Obiettivi e ostacoli di una nuova concezione del tempo scolastico

Obiettivi

Ostacoli

Coerenza tra tempo di insegnamento e tempo di apprendimento

Tempi non adatti ai contenuti, allo studente, alla pratica didattica

Diversificazione delle metodologie

Tempo uniforme

Risposta alla diversità degli studenti

Ritmi di apprendimento uniformi e rigidi

Progettualità

Funzionamento amministrativo dell'orario

Sfide in termini di tempo della società

Tempo scolastico rigido

 

Le contraddizioni tra l'evoluzione di numerosi aspetti dell'insegnamento e la riproduzione del modello temporale della scuola nate nel secolo scorso sono

diventate un fattore di estrema rigidità e di blocco dell'evoluzione organizzativa e didattica.

La ripetizione di una stessa durata (da trenta a quaranta unità) durante la settimana (e quante volte durante la carriera di uno studente o quella di un professore?) produce un condizionamento a una temporalità normalizzata e priva di capacità di riflessione.

Conoscere già all'inizio l'orario delle lezioni per tutto l'anno scolastico è sostanzialmente poco motivante per ogni tipo di iniziativa innovativa. Invece di essere uno strumento personale per l'insegnante e lo studente, l'insegna­mento riduce il tempo a una routine uniforme e amministrativa, a un fattore impersonale e passivo. In questo contesto, l'insegnante può facilmente sentirsi un esecutore di istruzioni ufficiali, mentre potrebbe utilizzare il suo orario se­condo il principio "budgetario" e organizzarlo in équipe, per meglio adattarlo al ritmo del suo insegnamento, alla condizione degli studenti e allo sviluppo dell'apprendimento.

Il riconoscimento dell'autonomia agli istituti potrebbe favorire la trasfor­mazione del sistema di impiego del tempo scolastico secondo una visione aperta, moderna e flessibile, cioè qualitativa (v. voci "Autonomia didattica e organizzativa").

Opportunità e riferimenti

Il sito ufficiale del Ministero dell'istruzione contiene una rubrica specifica dedicata all'au­tonomia scolastica, nei suoi diversi aspetti (cfr.). Esperienze di riorganizzazione degli assetti organizzativi possono essere reperite attraverso il sistema GOLD cui si accede tramite il sito della BDP (cfr. www.bdp.it).

RISORSE NORMATIVE

- D.P.C.M. 11/10/1994.

- Legge 15/3/1997, n. 59 (Delega per la riforma della pubblica amministrazione).

- Legge 18/12/1997, n. 440 (Finanziamenti per l'arricchimento dell'offerta formativa).

- D.P.R. 8/3/1999, n. 275 (Regolamento in materia di autonomia organizzativa e didattica).

- C.C.N.L. 26/5/1999 (Contratto Nazionale di Lavoro per il personale della scuola, 1998-2001). - C.C.N.I. 31/8/1999 (Contratto Collettivo Nazionale Integrativo 1998-2001).

- CM. 22/3/1996, n. 116 (Orientamenti per l'organizzazione didattica nella scuola elementare).

 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

- E. Damiano, Il tempo per insegnare, Irrsae Lombardia, Milano, 1992.

- R. Drago, Carta dei servizi e innovazione, Erickson, Trento, 1996.

- G. Gasparini, Tempo e vita quotidiana, Laterza, Bari, 2001. K. Pomian, L'ordine del tempo, Einaudi, Torino, 1992.

- D. Ragazzini, Tempi di scuola e tempi di vita, Bruno Mondadori, Milano, 1997. R. Sue, Il tempo in frantumi, Edizioni Dedalo, Bari, 2001. B. Vertecchi (a cura di), Il tempo dei giovani, Tecnodid, Napoli, 1990.

 

----------------------------------------------------------------------

 

Da “Le voci della scuola” a cura di G. Cerini e M. Spinosi – Tecnodid 2002

 

 

Torna a Tempo scuola       Torna all'alfabeto