TD nella scuola italiana: se ci sei, batti un colpo


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TD nella scuola italiana: se ci sei, batti un colpo
Il punto di vista semiserio, ma non troppo, di un tecnologo didattico

Prima parte
Seconda parte

 

Maria Ferraris, Istituto Tecnologie Didattiche


Nel 1972 mi accadde, per caso, di lavorare a tempo libero per un Laboratorio del CNR appena nato, sulle Tecnologie Didattiche. Che cosa fossero le TD io, allora, non sapevo e neppure mi interessava tanto. Ricordo che il mio compito era trasformare un testo a programmazione lineare sulle trasformate di Laplace in un equivalente testo di tipo ramificato. Per tale lavoro venivo pagata ben 200.000 lire, il che giustificava ampiamente ai miei occhi le ragioni della programmazione ramificata, l'esistenza di quel Laboratorio e la misteriosità delle TD.

Come spesso succede, il caso si trasformò in qualcosa di più stabile e dopo una serie di altri lavoretti, a gratis , vinsi un concorso e cominciai a lavorare ufficialmente in quell'allora Laboratorio, oggi Istituto, del CNR (1).
A quel punto che cosa fossero le TD mi interessava di sapere, non foss'altro per rispondere all'imbarazzante domanda che lavoro fai?. Ancor oggi, dopo 20 anni, c'è sempre qualcuno che al sentire tecnologie didattiche ti guarda perplesso e cambia discorso o qualcun altro che ti dice Ah, sì, il computer nella scuola. Interessante! Sei un informatico quindi!? E tu abbozzi. Che fare d'altronde? Mica puoi rispondere Si, anche il computer. Però in realtà sarei un tecnologo didattico cioé mi occuperei dell'applicazione sistematica di mezzi e metodi al raggiungimento di obiettivi didattici. Suona male.

Per giunta, ho a volte la sensazione che i miei interlocutori abbiano ragione.

Se scorro gli articoli contenuti nelle riviste specializzate, i titoli dei convegni, se considero gli interessi di quanti, sempre più numerosi in Italia, si occupano di TD, se guardo i progetti di ricerca dell'Istituto in cui lavoro, se considero le mie stesse attività devo ammettere che il computer, negli ultimi anni, fa la parte del leone. Magari nelle sue vesti più recenti di multi-ipermedialità, Intelligenza artificiale, telematica. Ma sempre computer è. Delle altre TD, che so le tecniche di progettazione di interventi formativi, i metodi per la strutturazione della materia,....non si parla quasi più, se non in associazione all'impiego di tecnologie dell'informazione.

Mi devo essere persa qualche passaggio. Chissà, forse queste altre TD hanno esaurito il loro ciclo. O forse i problemi a cui cercavano di rispondere non ci sono più.

Se però cerco nella realtà della scuola lumi per le mie perplessità il senso di disagio aumenta. Perché qui di TD ho l'impressione ce ne siano pochine, di qualsiasi genere, perfino di quelle su cui si concentra il crescente interesse di molti. O, se ci sono, il loro modo d'uso, il loro supposto effetto innovativo e la loro incidenza appaiono casuali.

Non che tutto ciò abbia grande importanza. Preoccuparsi per la sorte delle TD, in questi tempi di imbarbarimento sociale, è un po' ridicolo.

Ma, per serietà professionale, anche se mi sfugge di quale professione, proseguo, cercando di argomentare un pò meglio il mio punto di vista con dati ed osservazioni sulla presenza delle TD, prima come mezzi e poi come metodi, nella scuola di base, biennio incluso.

2. Sulle tracce delle vecchie TD

Audiovisivi e computer sono in un certo senso vecchie tecnologie visto che esistono da molti anni e da molti anni se ne studiano e se ne prospettano gli usi nella didattica. Ma non è detto che siano vecchie nella scuola, cioè che il loro uso vi si sia consolidato.

Se si parte dell'esame dei programmi scolastici, computer e AV, nel loro ruolo di strumenti didattici, sembrano quasi dei gadgets ornamentali: un po' qui e un po' là, lasciando che ogni disciplina se la sbrogli per conto suo, senza che appaia alcun riferimento comune, neppure all'interno di uno stesso programma. Così, a chi legge , rimane per esempio il dubbio del perché mai gli AV siano utili in certe discipline, metti in geografia ma non in altre, puta caso in biologia. Mistero.

Più chiara è invece è la loro collocazione come parti di nuove aree di contenuto (matematica ed informatica nel biennio, o educazione all'immagine alle elementari). Anche se è un mistero, un altro, il perché l'informatica sia associata, nei programmi delle elementari, ai temi di probabilità e statistica; e se suona un po fuori dal tempo, sempre nel programma di matematica delle elementari, il consiglio sull'uso cauto dell'elaboratore nella sua unica veste di strumento per l'esplorazione dei numeri (2)

Quanto e come queste indicazioni ufficiali corrispondono allo scenario reale?

2.1 Gli AV nella scuola: ma ci sono?

Sembra che già nel 23 una circolare ministeriale su Le proiezioni luminose, fisse e animate nella scuola media e elementare propugnasse l'uso di AV nella scuola italiana. E tutta l'epoca fascista è un fervore di iniziative sul tema (la famosa LUCE, acronimo felice di LUnione Cinematografica Educativa, creata nel 25; il Centro per la Cinematografia Scolastica del 38,...).

Per venire a tempi più recenti, nel 56 viene istituito il Centro Nazionale Sussidi AV ed una rete di Centri Provinciali dai quali i docenti possono avere in prestito mezzi e software AV, nonché consulenza sul loro uso. Ricordo per esempio il CPSA di Genova: un'enorme stanza con scaffali pieni di pizze, (da Stanlio e Onlio, ai cartoni animati ai documentari scientifici) tra i quali si aggirava l'addetto, un docente molto bravo e un po' triste, catalogando set di diapositive, film, proiettori 16 mm, che quasi nessuno richiedeva mai.

Sarà che i CPSA sono stati chiusi nel 78, sarà che le circolari del 23 non circolano più ma di fatto l'uso di mezzi AV non sembra una pratica corrente nella scuola di oggi. Entrando in una normale aula è difficile vederne la presenza: che so, trovare un insegnante che usa una lavagna luminosa, o dei ragazzi che guardano un televisore o ascoltano registrazioni. Al più l'impiego di questi strumenti è occasionale e si svolge spesso all'interno di appositi laboratori. Eppure si tratta di tecnologie di cui le nostre case sono strapiene, e che sono molto familiari a tutti, ragazzi e docenti. E' vero che sapersene servire didatticamente è altra cosa, ma è un po ingenuo pensare che la scarsità d'uso sia colpa della scarsa preparazione dei docenti. Prendiamo, per esempio, i dati sulla disponibilità di AV (quelli terra, terra, non videodischi o mezzi multimediali): le cifre della fig.1 indicano che la densità di questi mezzi nella scuola di oggi è paragonabile a quella della società degli anni 50, quando per vedere Sanremo la gente andava al bar o al cinema (3)

Figura 1. Numero medio di alcuni semplici AV per scuola nel 1989 (cfr. Nota 3)

Un uso sistematico di AV con dotazioni di questo tipo è difficile: banalmente, se in una scuola di lavagna luminose o videoregistratori ce ne sono due e di insegnanti venti, gli altri diciotto, per preparati che siano, dovranno aspettare. E quei due dovranno affrontare situazioni di puro problem-solving: Come oscurare una stanza senza tende? Come proiettare su un Crocefisso che fa da logo ad ogni immagine?. Il risultato presumibile è che anche quei due prima o poi rinunceranno, e gli AV in questione invecchieranno felici nella polvere di qualche stanzino.


Elementare Media Superiore
Lavagna Luminosa 0,6 1 2,1
TV (colore o B/N) 1,9 2,2 2,5
Videoregistratore 1,5 1,3 2,4


Figura 1. Numero medio di alcuni semplici AV per scuola nel 1989 (cfr. Nota 3)

Non che la cosa si risolva inondando di AV la scuola. E solo un aspetto del problema, così come lo è la competenza dei docenti. Poi si dovrebbero fare i conti con altri fattori, per esempio, con una organizzazione del lavoro scolastico, basato sul trinomio docente-classe-disciplina, che male si attaglia ad un uso esteso di strategie e mezzi diversi dalla lezione frontale, libro di testo, quaderno e penna.


% di Scuole che dispongono di Distribuzione dei computer nella scuola
computer per la didattica media inferiore-anno 92
con con computer
1989 1992 computer laboratori per lab.
Elementare 22,1% ? Nord 93% 81% 7
Media 47,9% 82% Centro 83% 63% 5
Superiore 69,3% 79% Sud 70% 30% 3

N.B. Le cifre in corsivo sono tratte dall'indagine COMPED; le altre sono ricavate da indagine CNR/ITD (vedi nota 4)

Figura 2. Presenza di risorse informatiche nella scuola italiana.

Sicché, ad evitare sprechi, meglio forse che la scuola continui ad essere un'oasi ecologica nella quale i rumori e l'invadenza e dei mezzi di comunicazione possano venire sostituiti da una maggiore attenzione ai rapporti umani e alla riflessione.

Ma, piccolo particolare, perché allora nei programmi scolastici si parla di AV? Così, tanto per dire?

2.2 L'avanzata del computer

Se gli AV hanno uno spazio applicativo inferiore a quello, pur modesto, previsto nei programmi scolastici, per le tecnologie informatiche la tendenza appare rovesciata. Nel biennio della superiore esistono ben due Piani Nazionali Informatica che di fatto aggiornano i curricola di questa fascia scolare, introducendovi l'uso dell'elaboratore. Nella scuola di base, alla mancanza di iniziative ufficiali fa riscontro il moltiplicarsi di progetti locali volti ad introdurre computer ed informatica nella didattica.

Il risultato è che, con o senza il supporto del Ministero, di computer, nella scuola, ce sono sempre più.

Figura 2. Presenza di risorse informatiche nella scuola italiana.

Sono distribuiti magari in maniera disomogenea (al Sud, vedi caso, meno che al Nord/Centro; le elementari fanno da fanalino di coda). E non sono ancora tanti. Ma nel raffronto tra i dati dell'89 e quelli odierni la tendenza alla crescita appare comunque inequivocabile (fig.2) (4)

Ma perché sono entrati i computer nella scuola di base ?.

Intanto perché, a partire dai primi anni 80, il computer ha una diffusione rapida nei più svariati campi di attività. E sembra che anche la scuola debba occuparsene per evitare un analfabetismo informatico che potrebbe danneggiare le future generazioni. Non si sa se questa voce sia stata messa in giro dai produttori di harwdare, giustamente interessati ad un mercato così vasto, ma essa è ripresa in molti documenti con espressioni del tipo la scuola non può più ignorare o non può sottrarsi (se potesse, sembra di capire, lo farebbe; ma non può).

Poi perché computer è bello, è nuovo, è misterioso, è il futuro, ed è oggetto di desiderio da parte della maggioranza dei ragazzi. Vuoi perdere quest'occasione rara di portare nella scuola qualcosa che interessa pure gli studenti? No, certo. E alcune anime malfide vi intravedono subito un modo non solo per ravvivare una didattica un po grigia, ma anche per limitare la falcidie di classi e cattedre dovuta al calo demografico

Infine perché il computer sembra sia anche utile nella didattica. Per carità, non come strumento per insegnare, il cosiddetto CAI. Troppo direttivo, basato su schemi che andranno bene per gli statunitensi ma non per noi. E poi questa idea di usare il computer a scatola nera è limitante e un po pericolosa.

Le ragioni per l'utilità del computer a scuola sono invece altre, almeno in partenza, e hanno il pregio di cambiare nel tempo. A grandi linee, si possano individuare tre fasi caratterizzate ciascuna da uno stereotipo particolare.


2.2.1 Computer = informatica

In origine il computer entra nelle scuole come strumento per insegnare l'informatica, o meglio i primi rudimenti di un linguaggio di programmazione. Che poi era una delle poche cose che davvero si potesse fare con le tecnologie dei primi anni '80.

Ma perché, la scuola, quella di base, avrebbe dovuto occuparsi di informatica? . Perché -si dice- l'informatica, i suoi linguaggi e i suoi metodi, oltre a costituire il nuovo alfabeto di cui ciascuno di noi avrà bisogno per vivere in una società dell'informazione, può contribuire allo sviluppo di abilità cognitive utili in molte discipline. Quest'ultimo aspetto è, per la verità, convincente: costruire algoritmi e dar loro vita su un computer non sarà il toccasana che si dice, ma è certo un'attività che fa usare cervello e mani, con immaginazione e rigore.

Ed ecco un fiorire di esperienze anarchiche, promosse da singoli docenti, enti locali, produttori di hardware, i cui temi riguardano l'introduzione di un linguaggio, di solito il BASIC, e/o l'uso di concetti, metodi e tecniche mediate dall'informatica (algoritmo, automa, flow chart,..) all'insegnamento di diversi argomenti.

C'è invero un po' di confusione su che cosa sia l'alfabeto informatico e quali approcci siano consigliabili. Ne sono prova le discussioni accese su questioni come Basic, Logo o Pascal?, Computer sì o computer no? che, a distanza di pochi anni, hanno già il sapore di antico. Lo stesso progetto IRIS (5), che rappresenta l'iniziativa più sistematica tentata in Italia nel settore, non riesce, nella varietà delle proposte, a dissipare questa confusione. L'unica cosa certa è che in questo periodo si scrive computer e si legge informatica.

2.2.2. Computer=materie scientifiche

Nel 1985 i produttori di hardware, dopo aver spiegato che i giovani non possono aspettare, riescono a convincere il Ministero a lanciare il più grande progetto di innovazione tecnologica mai tentato nella scuola italiana: il primo Piano Nazionale Informatica.

In teoria il PNI si rivolge a tutti i livelli scolari e a tutte le discipline. In pratica, la scelta si concentra sul biennio e sulla matematica e fisica, le materie che, a lume di naso, hanno maggiori legami con l'informatica e migliori chances di successo.

Pur con questa limitazione, l'impresa non è da poco. Per i numeri: 20.000 docenti da formare e 7000 e più scuole da attrezzare con laboratori informatici. E per gli obiettivi: oltre all'introduzione di un linguaggio di programmazione, lo scopo è anche innovare, attraverso l'uso esplicito dell'elaboratore, i contenuti e i metodi di insegnamento di matematica e fisica.

I dati raccolti indicano che siamo di fronte ad un processo innovativo ormai effettivamente innescato nella scuola: l'informatica è oggetto di insegnamento, i laboratori sono funzionanti,... Così inizia la presentazione dei risultati della verifica del PNI1 condotta su un campione nutrito di scuole, docenti e studenti (6)

Leggendo oltre lo stesso rapporto e parlando con gli addetti ai lavori le cose sembrano meno rosee.

E vero che l'insegnamento di un linguaggio (quasi sempre Pascal) o l'uso di software di calcolo è pratica comune nelle classi che hanno aderito al Piano. Ma questo riguarderebbe intanto un numero limitato di studenti, inferiore forse a quello che lo sforzo posto in atto poteva far sperare (7). Ma, soprattutto, questo rappresenterebbe l'unico obiettivo davvero raggiunto, mentre gli altri, peraltro ambiziosi, sembrano aver avuto meno successo. I nuovi temi di matematica introdotti accanto al PNI1, logica, probabilità e statistica,...sono, dice il rapporto, affrontati in modo incerto o del tutto trascurati. L'ipotesi poi che l'operatività richiesta dall'elaboratore avrebbe aiutato una revisione del modo di lavorare tradizionale (fatto di lezioni frontali, esercizi e valutazioni) non sembra abbia avuto grande riscontro.

Le ragioni possono essere tante. Pensare, per esempio, che ciò avvenisse senza fornire ai docenti piste e materiali didattici ad hoc, cartacei e software, era un pò illusorio. Forse parte del problema deriva anche dai bersagli del Piano: la matematica e il biennio. Bersagli perfetti per l'introduzione di concetti informatici, i peggiori che si potessero scegliere per sperare in modifiche spontanee. Ci vuol altro che un computer e tre settimane di corso, in gran parte centrate su informatica e Pascal, per innovare metodi e contenuti della disciplina più rigida e tradizionale, la matematica, nell'ambiente meno abituato al cambiamento, il biennio. In questa luce, non è mica andata poi tanto male.

2.2.3 Computer= elettrodomestico del lavoro intellettuale

Mentre il PNI fa la sua strada, la tecnologia informatica evolve e rende praticabili applicazioni prima un po ostiche. All'interno del PNI sono pochi ad accorgersene. Paradossalmente, l'ufficialità dell'iniziativa facilita l'ingresso di risorse nella scuola, ma ne fossilizza gli usi. Scrive Pierantonio Breda, 15 anni, studente di un liceo dove si attua il Piano: purtroppo a scuola non posso usare il vostro programma (Word Prof) perché non abbiamo il sistema Windows. Lo userò a casa. Comunque secondo me la scelta di Windows è giusta. E aggiunge A scuola, l'hard disk dei computer è quasi vuoto, usiamo solo (!) il Turbo Pascal e Lotus.

E invece, soprattutto, dalle esperienze autonome della scuola di base che comincia a trasformarsi il ruolo del computer: non più la sede dell'informatica o il dominio delle materie scientifiche, ma uno strumento polivalente funzionale allo sviluppo di progetti e prodotti integrati nel normale lavoro scolastico. Quindi uso di word processor ed editor grafici nella redazione di giornali e di testi, data base e foglio elettronico per la conduzione di indagini, micromondi Logo, o Prolog, per esplorare geometria e lingua, e più di recente ipertesti costruiti dai ragazzi stessi o telematica per lo scambio di idee e prodotti tra studenti di scuole diverse. Anche software didattico, certo, anche se spesso solo per ragazzi con problemi di apprendimento.

Insomma un computer che sembra una sorta di Bravo-Simac per lo studio.

Questa impostazione trova spazio anche nella seconda fase del Piano Nazionale Informatica, annunciata sul finire del 91 e che estende alle discipline linguistiche del biennio quell'uso del computer finora riservato alle materie scientifiche (8) . Il PNI2 rinuncia, non è chiaro se per scelta o per ragioni economiche, ad interventi di massa a favore di un azione graduale. La novità principale, sulla carta, è comunque un'altra: al centro del PNI2 non è più l'informatica o l'elaboratore ma sono le aree di competenza disciplinare (la composizione di testi, la lettura, la riflessione linguistica, la comunicazione) all'interno delle quali vengono indicate possibili usi delle risorse informatiche, dal software applicativo al software didattico fino alla telematica e al multimediale.

Dal computer informatico al Bravo Simac. Un cammino che sembra evolvere in una direzione di più ampia integrazione del computer nella didattica.

Tutto bene, dunque? Non sarei così certa e per una serie di ragioni.

Intanto l'evoluzione descritta non è patrimonio comune di tutte le esperienze e nello scenario attuale convivono, in maniera confusa e contraddittoria, tutte le varietà di approcci a cui si è fatto cenno (da chi vede il computer solo come oggetto di studio a chi lo considera solo come strumento da usare, a volte ossessivamente).

In secondo luogo non è detto che questa evoluzione sia in sé positiva Essa potrebbe essere una semplice conseguenza dell'evoluzione tecnologica e non il frutto di scelte didattiche più mature.

Infine, ed è il punto chiave, le esperienze indicano che l'uso del computer, qualunque esso sia, eredita ed amplifica i pregi ed i difetti preesistenti in un certo ambito. Così cè chi usa il Logo per attività di problem-solving e di scoperta, ma vè chi lo usa per sevizie informatiche (costruzione di programmi chilometrici per riprodurre cartine geografiche); c'è chi ricorre al word processor per esperienze di scrittura creativa e chi lo usa solo per far ricopiare in bella copia i pensierini scritti a mano; c'è chi introduce il Pascal facendo in realtà lezioni di Dos e chi ne cura invece gli aspetti procedurali e logici. Insomma non è il computer a trasformare la scuola; semmai è la scuola ad integrare il computer nella didattica che già pratica. Questo fenomeno è visibile perfino nella disposizione logistica dei mezzi. Basta guardare, per esempio, come è strutturata la maggioranza dei laboratori di informatica del biennio: un computer docente che, dalla cattedra, guarda tanti bei computer studenti diligentemente allineati in file, sui loro banchi.

Per innovare davvero sembra che ci voglia qualcosa di più, o di diverso, da qualche computer.


Note

1- Qualcuno potrà stupirsi che venga assunta una persona non competente per un dato lavoro. Spiegazione: a) all'epoca i giovani esperti di TD erano inesistenti in Italia e ancora oggi sono poco diffusi sul territorio; b) conoscevo il Direttore.(back)

2 - Forse gli estensori dei programmi non sapevano che già nell85/86 circa il 20% dei ragazzi tra gli 8 e i 11 anni disponeva a casa di un computer e il 50% ne aveva già esperienze duso [cfr. Ferraris M., Dalla parte dei bambini, Compuscuola, n. 16, 1987].(back)

3 - I dati sulla disponibilità di mezzi AV sono calcolati per approssimazione partendo dai dati dell'indagine MPI/IREF dell84 e da quelli riportati in AA.VV. 1° rapporto Regionale Le Tecnologie Educative nel Veneto, Cluep, 1991. Il risultato di tale elaborazione fornisce valori solo indicativi.(back)

4 - I dati sulla disponibilità di computer sono tratti, per l89, da Caputo, A. M. (1990) Primi dati emergenti dalla ricerca IEA in education, Rapporto di ricerca CEDE, Villa Falconieri, Frascati; per il 92 da Ott M., Trentin G. Scuola secondaria superiore: un'indagine sull'uso del software nella didattica, Annali P.I., n. 3, 1992, Le Monnier e dalla versione preliminare di un'analoga indagine sulla scuola media a cura degli stessi Autori, in pubblicazione sempre su Annali P.I;.(back)

5 - cfr. Caputo, A. M. and Fierli, M Il progetto IRIS: iniziative per l'introduzione dell'informatica nella scuola in Ricerca Educativa, n.1-2, 1991.(back)

6 - cfr. AA,VV La verifica del Piano Nazionale Informatica,.., Annali P.I., n. 55, Le Monnier, 1991 Da notare che è forse una delle prime volte che viene condotta una verifica così sistematica dei risultati di un progetto scolastico. (back)

7 - Nel 90/91 erano più di 22000 i docenti aggiornati dal Piano, corripondenti all89% delle scuole superiori, nel 76% delle quali si sperimenta il PNI1. In ciascuna di queste è però solo la metà delle classi ad essere coinvolta. In complesso quindi la percentuale di studenti toccati dall'iniziativa è valutabile intorno al 40%.- (back)

8 -cfr. Margiotta, U. L'estensione del Piano Nazionale per l'informatica agli apprendimenti linguististici del biennio in Annali P. I. n.52, 1991Il PNI2 prevede una partenza con 12 scuole Polo nelle quali opereranno, nel loro tempo libero (!), tre docenti tutor con compiti di prima informazione e consulenza per i colleghi di altre scuole viciniori. -



TD nella scuola italiana: se ci sei, batti un colpo

Il punto di vista semiserio, ma non troppo, di un tecnologo didattico

Prima parte
Seconda parte

Maria Ferraris, Istituto Tecnologie Didattiche


4. Le TD fantasma nel sistema educativo: i metodi

Alla conclusione precedente si potrà obiettare che una semplice infusione di tecnologie non è sufficiente e che il successo dipende anche dalla cura che un progetto di innovazione dedica ai diversi fattori che vi intervengono (docenti, materiali, studenti, organizzazione, collegamento con riforme curricolari, ...).

L'obiezione è accolta, anzi benvenuta. A vedere i fatti però non sembrano in tanti a pensarla così. Ma andiamo per gradi.

* Non compiere alcun studio di fattibilità. Potresti scoprire a) che l'innovazione non è possibile; b) che non serve; c) che è già in atto.
* Cura che il tuo progetto chiarisca alcuni punti ma sia fumoso su altri (per esempio dettagli i contenuti ma non i modi d'azione; o viceversa). Se no, dov'è la sorpresa?
* Ricorda che lo scopo fondamentale dei corsi di formazione residenziali è la socializzazione. Corollario: nei corsi non è necessario trattare i temi dell'innovazione. Potresti fra l'altro mortificare la professionalità dei docenti.
* Non definire con chiarezza come i formatori dovranno agire. Sarebbe anti democratico e toglierebbe spazio alla loro inventiva.
* Effettua un'accurata analisi dei risultati del progetto. Il ponte dovrebbe essere crollato, ma scoprire che qualche pilone è in piedi può essere una piacevole sorpresa.


Figura 3. Alcuni consigli per progettazione di interventi innovativi

Secondo un'accezione, forse obsoleta, le TD si occuperebbero oltre che di computer e AV anche di metodi. Metodi per la produzione di software didattico o per i criteri di impiego di tecnologie della comunicazione; ma anche metodi per la progettazione, realizzazione e gestione di interventi formativi, nei quali l'aspetto tecnologico non è dato dalla presenza di mezzi ma dalla sistematicità dell'approccio seguito. Così un tecnologo didattico pretenderebbe di trattare non solo di tassonomie sull'uso dei mezzi o di procedure per lo sviluppo di courseware ma anche di tecniche per l'analisi di esigenze educative, per la strutturazione dei curricola, per la validazione di corsi e così via. Non che tutto ciò sia assestato. Anzi, ad essere sotto discussione è anche la pertinenza e la legittimità dell'etichetta TD per questi studi. Ma quale che sia il nome - e la cosa non ha poi molta importanza - questi metodi sembrano, nel nostro sistema educativo, dei fantasmi, evocati a volte ma privi di segni tangibili di esistenza.

Prendiamo il tema della progettazione didattica. Negli anni 70 l'argomento è stato oggetto di trattazione diffusa in articoli, libri, convegni. Erano gli anni in cui la riforma della media inferiore (79) aveva introdotto la programmazione - non quella su computer, quella didattica - tra i compiti del docente e in cui, nei corsi di aggiornamento, andavano di moda termini come tassonomie di obiettivi, unità didattiche, obiettivi finali ed intermedi, valutazione formativa, mastery learning... Oggi di questi temi si parla meno. Del resto la programmazione nella scuola media è realtà operante, che si concreta nelle tre o quattro tonnellate di carta usate ogni anno per riscrivere le finalità educative della scuola media, i programmi delle classi e delle varie discipline (1).

In ogni caso il programmare - dall'analisi delle esigenze e dei prerequisiti alla definizione di obiettivi, dall'organizzazione dei contenuti alla scelta dei metodi, delle strategie, dei mezzi, alla valutazione - sembra riguardi solo il lavoro dei docenti nella scuola e sia invece di poca applicabilità in altri casi. Almeno questa è l'impressione che si ha quando si leggono i contenuti di corsi di aggiornamento o i progetti di riforma dei curricola. Gli stessi Piani Nazionali Informatica mostrano uno scarso interesse ad una progettazione sistematica degli interventi. Come interpretare altrimenti le incongruenze, presenti in ambedue i Piani, tra obiettivi dichiarati e processo posto in atto per raggiungerli? Per esempio, una formazione dei docenti sbilanciata verso alcuni obiettivi ed insufficiente o inesistente su altri; la non previsione di materiali e strutture a sostegno a chi attua l'innovazione; o la trascuratezza delle condizioni operative di lavoro dei formatori (o tutor) e dei docenti? Se il primo PNI aveva dalla sua la novità e lagire su grandi numeri, che dire della fase successiva, dove ciò non è più vero? Certo è difficile smuovere un corpo a grande inerzia come la scuola. Ed è anche difficile nel nostro sistema scolastico disporre delle risorse necessarie per un progetto accurato.

Resta comunque l'impressione che la qualità del progetto formativo abbia un'importanza decrescente via via che si alza il tiro, sino quasi a sparire come problema quando il riferimento è l'intero sistema. Anzi in questo caso sembrano valere regole nuove, sintetizzate nella figura 3.

Figura 3. Alcuni consigli per progettazione di interventi innovativi

3. Che cosa c'è dietro l'angolo: le nuove TD

Forse la carenza di innovazione nella scuola è dovuta, oltre che a carenze progettuali, all'uso di mezzi limitati e di strategie insufficienti. E un po quel che emerge se si considera linteresse sulle nuove tecnologie (telematica, multi e ipermedialità, Intelligenza Artificiale, realtà virtuali,..) che vengono prospettate come potenzialmente più fruttuose delle vecchie e in grado comunque di recuperarne i limiti.

Di alcune di queste TD, che proprio nuove non sono, si trova già qualche traccia nella scuola. l'uso di Bulletin Board System o di reti telematiche è attuato per esempio - e pare con successo - in alcune scuole di base per attività collaborative fra studenti anche di altre nazioni (2). Vi sono altresì esperienze, anche se limitate e poco generalizzabili, di costruzione attiva da parte dei ragazzi di ipertesti.

Delle altre nuove TD si sente soprattutto parlare.

L'attenzione si concentra in particolare sulla multimedialità che, con l'unione di codici diversi (scritti, parlato, visivi) aggiunta all'interattività del computer, appare davvero il massimo che si possa chiedere ad una tecnologia didattica. Se poi si condisce il tutto con strategie ipermediali il gioco è fatto. Ecco che lo studente può esplorare a suo piacimento un soggetto, seguendo i suoi personali fili logici e utilizzando canali diversi di comunicazione. Qualche dubbio che questa strategia sia davvero efficace per lapprendimento rimane, ma è certo quantomeno che essa consente dei begli effetti folclorici.

Futuro più duro invece per l'Intelligenza Artificiale: gli studi sulle sue applicazioni alla didattica, sistemi esperti per insegnare e Intelligent CAI, sembrano avere un momento di riflusso, anche per la difficoltà appurata di realizzare sistemi intelligenti di una certa significatività.

E poi come ha detto un ragazzino di una elementare in cui lavoro Nella scuola ci sono già i maestri. Che ci farebbe un computer che sa insegnare?

Il bimbo, lui, ha centrato un problema. Ovvero la totale sconnessione tra il modello di sistema educativo in atto e quello che le nuove TD, ancor più delle precedenti, sottendono, basato su istruzione individuale o di piccoli gruppi e, potenzialmente, a distanza. Potrebbe trattarsi di un sistema migliore e che è del tutto ragionevole perseguire. Ma, se lintento di chi studia le nuove TD è questo, esso andrebbe esplicitato e il sistema, quello nuovo, andrebbe un poco immaginato (3). E altrettanto esplicito dovrebbe essere un altro possibile intento: comprendere meglio, attraverso queste nuove tecnologie, i meccanismi di apprendimento individuali. L'esplicitazione servirebbe per evitare, in ambedue i casi, di confondere esperienze nella scuola con esperienze per la scuola

E se invece lo scopo fosse proprio sfruttare queste tecnologie per la soluzione di problemi della scuola, quella attuale? In questo caso, siamo sicuri di essere partiti con il piede giusto, cioè di occuparci davvero dei problemi della scuola? O non cè piuttosto un vago profumo di tecnocentrismo (4)?

4. L'albero della scuola

Scrivendo questo articolo mi è accaduto di sfogliare alcune nuove e vecchie riviste del settore. Sul primo numero di Digidattica del 1983 (un vero cult per gli storici delle TD del dopo 2000) ho trovato tra l'altro una foto di un'aula piena di M20. Per chi non ricordasse, M20 è un computer d'epoca che si rivelò un bel bidone per la scuola. A colpirmi è stata la vaga somiglianza di questa foto con un'altra, recente, riprodotta sulla copertina di una rivista di fine 92. In ambedue i casi i computer stanno sul banco, sul loro schermo compaiono, visti con la lente, dati di sistema e non vi sono persone. A stabilire una cronologia tra le due immagini è soprattutto la migliore qualità della seconda foto, a colori, più suggestiva. In essa i computer, in primo piano, sono solo due, IBM questa volta, e al di là dei computer, dietro una grande vetrata, si intravede un grande, nodoso, superbo e quasi spoglio albero. Forse sollecitata dal titolo della rivista, Informatica e Scuola, mi sono trovata a pensare che questo albero fosse la Scuola, una Scuola che guardava attraverso i vetri, dall'esterno, quelle tecnologie che tanti dicono essere utili concimi per rinverdirne le qualità. Ho pensato che sapevo distinguere dacchito un M20 da un IBM ma che non sapevo dire con certezza che albero fosse quello che si vedeva dietro le windows. Un platano, forse. O una quercia?

Ho sottoposto le mie due foto a qualche amico-collega: quasi hanno tutti riconosciuto M20 e IBM, alcuni hanno rilevato come me la somiglianza tra le due immagini, nessuno ha saputo dire qualcosa di certo sull'albero. Anzi qualcuno non l'ha neppure notato.

Note

1 - La cifra è per difetto: basta fare un po di calcoli sapendo che un foglio A4 pesa circa 5 gr, che le scuole medie sono circa 10.000, che le classi un po più di 100.000 e i docenti più di 250.000.

2 - vedi il progetto KidLink che collega studenti di diverse nazioni e a cui partecipano da tempo numerose scuole dellEmilia Romagna.

3 - Parisi in Ambienti di autoeducazione, Riforma della Scuola, 1989 ha impostato questo problema in termini espliciti; ma ha evitato, volutamente, di definire caratteristiche del sistema alternativo.

4 - Il termine tecnocentrismo è qui usato nell'accezione di approccio che partendo dall'esistenza di una tecnologia ne dimostra l'utilità nella didattica.

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