S T O R I A     D E L L A     S C R I T T U R A

Sintesi storica della scrittura

Franco Marinelli e contributo di Silvio Curto
Introduzione
L'uomo, dotato d'intelligenza e di raziocinio, comunica il suo pensiero, i suoi sentimenti ad altri uomini servendosi di mezzi di comunicazione, quali: il canto, la musica, il gesto, la danza, la raffigurazione, la scrittura, i sistemi grafici.

Una classificazione dei modi di espressione, è principalmente quello dell'uso degli organi fisiologici riceventi, e cioè le forme audibili, visibili e tattili.

1. Formme audibili sono:

  1. - suoni trasmessi per insiemi e variati secondo altezza e volume, quali il canto e la musica:
  2. - suoni trasmessi per singole unità staccate e variate secondo qualità; in questo caso ogni singolo concetto è assunto quale insieme di elementi primari, ossia per analisi. Ognuno degli elementi è espresso con una parola e più parole accostate formano la preposizione che esprime il concetto.
2. Forme visibili sono:
  1. - rappresentazione sintetica del concetto mediante il gesto, la danza e la raffigurazione, i quali sono mezzi universali:
  2. - rappresentazione analitica del concetto mediante la scrittura. In questo caso il concetto è scomposto in elementi primari, ognuno dei quali è rappresentato da un segno grafico; l'accostamento di questi formano l'espressione grafica, il testo, l'iscrizione che esprime il concetto.
3. Forme tattili sono possibili in una vasta gamma: attualmente in uso nelle scritture per i ciechi.
  1. Altra classificazione dei modi di espressione è quella del mezzo meccanico con cui è prodotto e trasmessa la comunicazione: questo mezzo può essere naturale o artificiale.
1. Meccanismi naturali sono:
  1. - degli organi fonitori, produttori del canto e del parlare;
  2. - del corpo umano, specie le mani, produttori del gesto e della danza, della musica con l'ausilio di strumenti, della raffigurazione e della scrittura, valendosi di strumenti.
2. Meccanismi artificiali sono:
  1. - principalmente della stampa, produttrice tanto della scrittura, quanto della raffigurazione;
  2. - altri nuovi ritrovati tecnici, i quali trasmettono la comunicazione umana; producono, su informazioni attinte dal mondo esterno, concetti che si traducono in comunicazioni visibili e audibili: telefono, telegrafo, radio, televisione, fonografo, registratore, strumenti in genere di registrazione, di segnalazione luminosa, ecc.
Una terza classificazione dei modi di espressione, comprende quelli:
  1. - utilizzabili da persona a persona, presente fisicamente nel tempo e nello spazio: il canto, la musica, il parlare, il gesto, la danza;
  2. - utilizzabile da persona a persona non presente: la raffigurazione e la scrittura.
Ma tale ultima classificazione oggi non ha più valore, consentendo i nuovi mezzi meccanici la possibilità di trasmettere a una persona lontana la musica, il parlare, il gesto, la danza.

1. Strutturazione della scrittura

Dal fatto fondamentale che la scrittura in genere traduce il concetto analiticamente in forma visibile, esaminiamo la sua strutturazione fondamentale:
  1. - simboleggiando gli elementi primari del concetto, direttamente in segni grafici;
  2. - simboleggiando in segni grafici la forma audibile, che a sua volta rappresenta il concetto.
Tuttavia si precisa che fra le scritture particolari oggi esistenti, ve ne sono di quelle che usano del primo modo, altre del secondo e altre ancora, di entrambe.

1.1. Classificazione dei segni grafici

I segni grafici, relativamente alla forma, si distinguono in figure naturalistiche e segni astratti, intrinsecamente privi di significato.

Anche in questo caso vale la considerazione relativa all'esistenza di scritture che adoperano la prima o la seconda o entrambe le forme.

1.2. Suddivisione dei segni grafici in relazione alla rappresentazione del concetto

In base ai criteri sopra accennati in relazione al modo di rappresentare il concetto, i segni grafici si suddividono in:
  1. - pittogrammi: ossia, raffigurazioni naturalistiche di uomini, animali o cose, sia isolati che raggruppati, oppure impegnati in azioni diverse. I pittogrammi rappresentano la realtà, indicando, per lo più, lo stesso oggetto rappresentato: ad esempio, i graffiti sulle rocce.
  2. - ideogrammi: segni grafici che riproducono l'idea, ossia ancora figure naturalistiche usate a rappresentare non solo il soggetto stesso raffigurato, ma anche la parola che lo designa: ad esempio i geroglifici egizi, i segni cuneiformi assiro-babilonesi.
  3. - fonogrammi: figure naturalistiche o segni astratti che possono indicare più suoni, oltreché uno solo; essi si distinguono in policonsonantici, polisillabici, monosillabici e alfabetici.

1.3. Classificazione in relazione alla forma estetica

Un'altra classificazione delle scritture particolari tiene conto della forma estetica, condizionata dalla tecnica con cui furono tracciate inizialmente, e precisamente:

- scritture e segni grafici lapidari, disegnati la prima volta per essere incisi sulla piastra con lo scalpello: scrittura geroglifica egizia, lapidario romano;

- scritture manuali e segni grafici manoscritti, tracciate con un mezzo scrittorio foggiato allo scopo: stilo, penna, calamo, ecc.;

- forme intermedie alle precedenti, ad esempio: 1. la scrittura lapidaria, quando è perfezionata nella tecnica della forma, si dice «monumentale»; quando la stessa è tracciata con i mezzi della manoscritta e cede a forme di quella, diventa «corsivizzante»; 2. la scrittura manuale, quando è tracciata con evidenti segni di rapidità, si dice «corrente»; quando invece è tracciata, insistendo sulle caratteristiche estetiche, diventa «calligrafica».

1.4. Strumento e supporto scrittorii, condizionatori del tipo di scrittura

E evidente che il tipo di scrittura è determinato, oltreché dallo strumento scrittorio, anche dal supporto, il quale può essere: rigido (pietra, legno, terracotta, argilla, ecc.) o morbido (papiro, pergamena, carta, ecc.).

2. I mezzi di comunicazione nell'evoluzione dell'uomo sin dalle origini

Tutta la vita dell'uomo può dirsi essere stata un continuo progresso; il primo momento di questo coincide con la sua comparsa sulla terra circa 600.000 anni fa o, secondo calcoli più recenti, a 300.000. Questa specie umana, chiamata «Homo Sapiens», si presentò in alcuni tipi di primitivi oggi estinti, quale fu l'«Homo Sapiens» Neanderthalensis e nel tipo perfetto, unico tuttora vivente, l'«Homo Sapiens Sapiens».

Secondo i reperti archeologici preistorici, da circa 250.000 anni fa l'uomo cominciò a valersi della natura per dominarla; si fabbricò con il legno, l'osso, la pietra degli utensili: l'ascia e il raschiatoio, poi la punta per forare, il coltello, ecc. perfezionandoli lentamente attraverso la lunghissima evoluzione.

Gli studiosi suddividono la preistoria nelle epoche del Paleolitico, definito dagli strumenti in pietra scheggiata, e dal Neolitico, in pietra levigata. Circa la durata, il Paleolitico ricopre l'ultima fase del Pleistocene, che fu glaciale in Europa e alluvionale nelle regioni tropicali, fino a 25.000 anni fa, e parte dell'epoca recente - quella in cui viviamo - fino al 6.000 a.C. Il Neolitico fu brevissimo in paragone al precedente: dal 6.000 al 3.500 a.C.; seguirono l'Età del bronzo sino al 1.000 a.C., infine quella del ferro.

Oltre alla fabbricazione degli utensili, all'uso del fuoco per riscaldare, illuminare e cuocere il cibo, verso il 50.000 a.C. l'uomo cominciò anche a credere in qualcosa di oltre-mondano o soprannaturale; lo dimostrano sepolture rituali, pitture e sculture nelle caverne dell'Europa occidentale, aventi evidenti segni propiziatori. Cominciò a fissare il ricorso di certi avvenimenti nei graffiti rupestri dell'Africa settentrionale con scene di caccia e di danza.

Nel periodo Paleolitico l'uomo visse di caccia, pesca e vegetali offerti spontaneamente dal suolo. Visse precariamente giorno per giorno: bastava un mutamento di clima, una emigrazione di animali, una inondazione perché fame e freddo seminassero la morte. In questa terribile lotta per la sopravvivenza, l'Homo Sapiens di Neanderthal si estinse; sopravvisse, invece, l'Homo Sapiens Sapiens.

Con l'età Neolitica il quadro della vita dell'uomo cambia totalmente; a partire dal 6.000 a.C. fino al 3.000 - inizio dell'Epoca del bronzo -, si ebbe una rapidissima successione di innovazioni, definita «Prima Rivoluzione industriale»: l'agricoltura, l'allevamento e, a seguito di queste, verso il 5.000, la formazione di comunità relativamente stabili, economicamente autosufficienti e la creazione dell'istituto della proprietà.

Tali comunità, prima sparse, vennero facendosi più numerose e consistenti nella Valle del Nilo e nella Mesopotamia. La stabilità comportò un perfezionamento nel sistema delle costruzioni e relativi materiali edili; il perfezionamento di strumenti per la lavorazione del legno; verso il 4.000, la filatura, la tessitura, la ceramica; verso il 3.000, la scoperta e l'uso dei metalli e relativa prima costruzione di macchine: il carro a ruotte e la ruota del vasaio; l'uso della pietra nelle costruzioni.

Questo ulteriore progresso tecnico comporta nuovi istituti sociali: le industrie rimangono in mano a specializzati, nasce la divisione del lavoro, la segmentazione verticale della società in gruppi impegnati in attività diverse. Come conseguenza nascono due fenomeni: lo scambio dei prodotti e l'istituzione di un potere centrale che organizza le attività dei gruppi.

La ricerca delle materie prime porta in regioni anche lontane, con spedizioni che presto si stabilizzano in forma di colonizzazione. Nella Valle del Nilo e nella Mesopotamia, ad esempio, lo sfruttamento più razionale delle acque per un miglior rendimento dei campi porta al fatto che comunità una volta autosufficienti, si coalizzano fra loro in distretti e poi in nazioni; ciò talvolta pacificamente, ma più spesso con azioni di guerra.

Il potere centrale deve necessariamente farsi più complesso per cui, verso il 3.500 a.C., nasce lo Stato come struttura amministrativa con Capo, Ministri e Funzionari a vari livelli. E poiché lo Stato dev'essere mantenuto, si istituisce la tassazione, sia annuale che pluriennale.

Ancora: lo Stato, con la burocrazia che presto consolida il potere politico per mezzo di quello economico, comporta una segmentazione orizzontale della società, ossia una divisione in classi, a capo delle quali vi è un'aristocrazia intesa al soddisfacimento non più delle necessità vitali, ma di bisogni voluttuari e spirituali.

Ma poiché la divisione del lavoro consente la liberazione di enormi capacità produttive, per cui la nuova grande comunità non solo può mantenere l'organizzazione statale, ma anche accontentare quei bisogni voluttuari e spirituali, ecco nascere l'architettura dei templi, delle tombe e dei palazzi, la scultura, la pittura e la metallurgia prevalentemente artistica. Nascono le scienze: la matematica al servizio dell'architettura, dell'organizzazione, del censo e della tassazione; la chimica dei colori e dei metalli al servizio delle arti; l'astronomia per l'agricoltura e il calendario dello Stato; la medicina per il benessere; la poesia per il gusto degli spiriti raffinati.

Per le nuove condizioni di vita createsi, il parlare poggiato solo sulla memoria non basta più perché mezzo di comunicazione da uomo a uomo presente; si esige ora la scrittura, metodi di calcolo e unità di misura: tutti strumenti atti a comunicare e trasmettere la conoscenza, le scienze da uomo a uomo lontano nel tempo e nello spazio.

Il problema si risolve: verso il 3.200 ecco un'invenzione che corona tutte le altre precedenti: l'adozione di una serie di figure che, tracciate su di un supporto durevole, rappresentano il concetto da comunicare, cioè la scrittura! In un secondo tempo le figure si usarono non più per indicare le «cose», ma i loro «nomi» e i suoni relativi: si ebbe la fonografia.

Successivamente le necessità sociali e soprattutto quelle commerciali comportarono la riduzione della fonografia, carica di segni, alla riduzione di essi indicanti un solo suono, ossia all'«alfabeto» che si diffuse verso il 1.000 a.C. sulla costa orientale del Mediterraneo, luogo d'incontro dei popoli più progrediti.

Concludendo: l'uomo, con la parola e la memoria è giunto al vertice evolutivo quale essere di Natura; con lo scritto ha potuto, di volta in volta, intervenire criticamente sul suo ulteriore divenire, si è fatto un essere fuori Natura e che, anziché esservi compreso, quella abbraccia e comprende, distinto da essa per la facoltà di avere una storia e di sapere di averla!

3. Le scritture particolari

3.1. Scrittura egiziana

In Egitto fu adottata come scrittura, verso il 3.500 a.C., una serie di figure o geroglifici le quali furono impiegate sia come ideogrammi, sia come fonogrammi. I segni di questa scrittura possono suddividersi in:
  1. - ideogrammi puri;
  2. - fonogrammi, usati anche come ideogrammi;
  3. - fonogrammi indicanti più consonanti;
  4. - fonogrammi indicanti una sola consonante;
  5. - determinativi, ossia ideogrammi che, accostati a parole omofone, ne specificano il significato;
  6. - complementi fonetici: ossia fonogrammi monoconsonantici che ripetono alcune o tutte le consonanti di un policonsonantico, oppure che esprimono il valore fonetico di un ideogramma.
La scrittura egiziana successivamente si sviluppò in tre tipi: geroglifica, ieratica, demotica:
  1. - geroglifica: scrittura originaria scolpita su pietra, in seguito usata anche su papiro per testi religiosi. I geroglifici sono disegnati molto chiaramente e sono disposti in colonna dall'alto in basso o in linee. Sia le colonne che le linee corrono da destra verso sinistra o vicerversa; essi guardano, ossia sono aperti verso l'inizio della linea, contrariamente a quanto succede nella nostra scrittura;
  2. - ieratica: è la forma corsiva della scrittura geroglifica, usata contemporaneamente ad essa, ma esclusivamente sul papiro. Fino al Nuovo Regno, i segni particolari sono disposti in colonna e dall'alto in basso; più tardi vennero disposti in linee. Sia le colonne che le linee, vanno da destra verso sinistra;
  3. - demotica: è un particolare corsivo che venne usato nella Bassa Epoca, senza soppiantare del tutto la scrittura ieratica. I segni sono disposti in linee da destra verso sinistra.
Dalla scrittura egizia solo la scrittura meroitica ne è derivata.

3.2. Scrittura sumerica o cuneiforme

Originariamente in Mesopotamia esistevano due scritture: la «sumerica» e la «proto-elamita», entrambe geroglifiche. La prima visse a lungo, la seconda si estinse; la prima è in parte decifrata e tradotta, la seconda a tutt'oggi è poco nota. Dalla scrittura sumerica derivò la «sumero-accadica» o «babilonese», formata da grafismi costituiti con segmenti rettilinei a cuneo, da cui il nome di «cuneiforme».

Gli Accadi, entrando in Elam, accettarono tale scrittura, successivamente adattata alla lingua locale e modificata progressivamente sino a che, sotto la dominazione persiana, divenne autonoma, pur rimanendo cuneiforme; questa scrittura risultante venne chiamata «neo-elamita» o «susiana», da Susa, capitale dell'Elam. Dalla scrittura sumero-accadica derivò anche, sotto Dario I, la scrittura «persiana» o «persepolitana», sempre cuneiforme.

In origine la scrittura era costituita da geroglifici pittografici naturalistici che in seguito, per comodità e velocità di scrittura, vennero inclinati di 905 verso sinistra. I geroglifici furono modificati in figure composte da segmenti rettilinei, graffiati sul supporto scrittorio fatto di argilla molle, mediante uno stilo; successivamente si preferì incidere tali segmenti con uno strumento scrittorio più rapido, cioè mediante un punzone, con il quale si imprimevano sull'argilla molle del supporto, segni a forma di cuneo di tipo orizzontale, obliquo, verticale e a freccia; inoltre, tali cunei potevano essere impressi in forma accorciata, a testa espansa e in forma rimpicciolita. è evidente che l'antico geroglifico ne uscì un «grafismo» dalla trasformazione operata dalla nuova tecnica.

I segni pittorici originari furono moltiplicati mediante quattro espedienti:

  1. - l'uso del «gunu», ossia tratto che rinforza il concetto;
  2. - l'aggregazione logica di più segni;
  3. - l'uso di segni, detti motivi, che specificano un particolare del pittogramma;
  4. - l'uso dei pittogrammi per indicare una parola omofona; ciò fu alla base della creazione della scrittura fonetica.
In seguito a questi mutamenti, la scrittura divenne un sistema misto ideografico e fonografico. Successivamente, per la necessità di esprimere la lingua accadica con la propria scrittura, i Sumeri complicarono notevolmente la loro scrittura con l'aggiunta di altri segni, tanto da dover ammettere l'uso di «complementi fonetici» e di «determinativi». Ossia: all'ideogramma spesso si aggiungeva un fonogramma, chiamato complemento fonetico, al fine di precisare il significato voluto fra i molti indicanti l'ideogramma; all'espressione grafica (sia ideografica che fonografica), si faceva precedere, raramente seguire, un pittogramma al fine di precisare la lettura, anche se questo non veniva letto. Questo sistema pur complesso e confuso, ebbe enorme successo e venne adottato in tutto l'Oriente, compreso l'Egitto.

Il sistema venne semplificato nella scrittura susiana, nella quale i segni vennero ridotti a 113 e usati esclusivamente come segni fonografici sillabici. Ulteriormente ridotto nella scrittura persepolitana, conservando solo 36 sillabici e 4 ideogrammi, più un segno di separazione delle parole; questa scrittura si spense nel IV secolo a.C.

In Siria il cuneiforme venne adottato adattandolo alla lingua neo-semitica locale, riducendolo a 32 grafismi alfabetici consonantici; così pure venne adottato dagli Armeni fra il 850 e il 640 a.C., per scrivere la loro lingua detta «vannica». Il cuneiforme venne ancora usato per scrivere la lingua dei Proto-Ittiti asiani, abitanti l'Anatolia; indi la lingua degli Ittiti, indoeuropei entrati in Anatolia verso il 1800 a.C.

Si può concludere constatando che, mentre il sistema di scrittura egiziano fu consonantico, quello accadico fu sillabico e vocalico.

3.3. Scrittura ittita

Gli Ittiti, Indoeuropei entrati in Anatolia verso il 1800 a.C., usarono due sistemi di scrittura: il cuneiforme e un sistema di geroglifici indigeni.

Questi geroglifici ittiti, il cui deciframento non è terminato, sono costituiti da una trentina di caratteri alfabetici, un centinaio di caratteri sillabici, altri per parole, usati sia come ideogrammi, sia come fonogrammi.

Interessante è il «cartello ittita» o «edicola» per i nomi reali, formato da due colonne sormontate da un disco solare alato. La scrittura ittita è bustrofedica.

3.4. Scrittura meroitica

La scrittura meroitica, affine a quella etiopica, fu scritta con geroglifici, egizi nella forma, ma di valore fonetico diverso e con scrittura corsiva alfabetica, probabilmente derivata dal demotico egizio, da destra verso sinistra.

L'antico meroitico è stato decifrato dall'inglese Griffith, ma non tradotto. Il neo-meroitico è praticamente greco, salvo qualche variante.

3.5. La scrittura in India

A Mohenio Daro e ad Harappa, nella Valle dell'Indo, si sono trovate delle tracce di una civiltà pre-indoeuropea, fiorita attorno al 2500 a.C. Tra i reperti, sigilli e amuleti con geroglifici, dei quali, forse, alcuni fonetici. è ancora una scrittura ignota come lingua, di 400 segni e di sistema probabilmente misto ideografico-fonetico.

Nel III secolo a.C. fu adottata una scrittura sillabica, derivata dall'aramaico, suddivisa in due tipi:

  1. - Kharosti, derivato dall'aramaico attraverso la Persia; è un lapidario e manoscritto su legno, pietra, pelle, carta. Essa durò sino al V secolo d.C., cadendo poi in disuso;
  2. - Brahmi, anche del III secolo a.C. e tuttora in uso. è di origine ignota con 32 caratteri consonantici più «a», che è la vocale più ricorrente; si scrive da destra verso sinistra ed è molto semplice. Nel I secolo d.C. si è suddivisa in numerose scritture regionali, tra le più importanti: il nagari o devanagari del sud, scritta da sinistra a destra.
Le scrittura indiane si sono diffuse nel Tibet, Turkestan, Siam, Giava, Balì.

3.6. La scrittura a Creta

Delle scrittura a Creta se ne sono scoperte di quattro tipi, che probabilmente saranno stadi successivi, tracciati su tavolette di argilla. Essi sono:
  1. - geroglifico arcaico, detto A, attorno al 2100 a.C.;
  2. - geroglifico recente, detto B, attorno al 1600 a.C. di 135 caratteri e forma di scrittura in bustrofedico; fu abbandonato verso il 1400 a.C.;
  3. - lineare arcaico o A, attorno al 1700-1600 a.C.;
  4. - lineare recente o B, di 80 caratteri fonetici quasi di certo sillabici e con scrittura da sinistra a destra. Delle quattro scritture, è l'unica decifrata.

3.7. La scrittura a Cipro

Nel V e VI secolo a.C., Cipro ebbe una scrittura sillabica perfetta, inventata prima dell'arrivo dei Greci, e di probabile derivazione dal cretese lineare. Tale scrittura, che corre da destra a sinistra, consta di 54 segni, di cui 5 segni vocalici e 49 segni sillabici.

La scrittura fu usata per scrivere una lingua indigena e il greco, prima che essi avessero una loro scrittura.

3.8. La scrittura in Cina

I primi documenti, risalenti al 1800 a.C., sono incisi con scalpello o stilo su ossi di tartaruga, bronzo, pietra; nel II secolo a.C., con pennello e inchiostro; nel I secolo d.C., sulla carta. Nel III secolo a.C. le figure naturalistiche vennero ridotte in figure a tratti rettilinei; il complesso di tali figure, essenzialmente pittogrammi, venne definito in un sistema di 40.000 caratteri nel IV secolo a.C. e ancor oggi usati. La scrittura è scritta in colonne dall'alto verso il basso e da destra verso sinistra. Tale complesso venne creato aggiungendo ai pittogrammi originali: aggregati logici, pittogrammi capovolti e determinativi.

Con l'uso di tali accorgimenti, la scrittura divenne per un certo tempo ideografica-fonetica, ma mai potè essere ridotta a sillabica o consonantica, perché i vocaboli sono monosillabici, mancano flessioni del sostantivo e del verbo e il vocabolario conta solo 900 voci. Tale scrittura, regredita in epoca recente, è puramente pittografica, perché la lingua cinese è differenziata in dialetti divenuti autonomi, con il risultato che, per capirsi da un distretto all'altro, devono ricorrere alla scrittura.

Accanto a questa scrittura classica vive un'altra corsiva, usata per documenti commerciali. La scrittura classica non fu mai epigrafica.

La scrittura cinese venne adottata dalla Corea nel IV secolo d.C. e dal Giappone; dall'Annam nel VII secolo. Di questi stati, solo il Giappone la usa tuttora, ma come ideografica-fonetica.

3.9. La scrittura a Festo

Unica testimonianza della scrittura a Festo è il «disco di Festo», probabilmente del 1700 a.C., con 45 caratteri stampati in argilla. La presenza fra i caratteri di una testa con copricapo di penne, noto da rilievi egiziani come proprio dei filistei, lascia supporre che tale scrittura sia originaria del Sud-Ovest dell'Anatolia.

3.10. La scrittura in America

Nel II secolo d.C., Maya e Aztechi adottarono una scrittura puramente pittografica, ad eccezione dei nomi propri; tale scrittura non ebbe evoluzione, per il fatto che quei popoli vennero annientati dagli Spagnoli nel XVI secolo.

Mentre i Maya lasciarono iscrizioni su pietra e manoscritti su fibre di agave, in forma puramente pittografica, gli Aztechi ne hanno lasciate su agave e cuoio in forma di pittogrammi con aggregati logici e rebus per i nomi propri.

Sono stati decifrati i soli calendari.

4. Alfabeti

L'idea dell'alfabeto nacque certamente in Egitto e si precisò fra i Semiti occidentali, sul Mar Rosso e sul Mar Mediterraneo. Non si è certi, però, se fu una invenzione oppure un'idea perfezionata attraverso alcune scritture dette «protoalfabetiche».

4.1 Protoalfabeti

Sono scritture «protoalfabetiche» le seguenti scritture:
  1. - Protosinaitica: di questa, alcuni hanno voluto farne un ponte tra l'Egizio e il Fenicio;
  2. - Cananaica o Fenicia: in Palestina, nel XIV secolo a.C.;
  3. - di Byblos: del XIV secolo a.C., detta pseudogeroglifica: si suppone faccia da ponte tra il Protosinaitico e il Fenicio;
  4. - di Ugarit: dal XIV al XII secolo a.C., la città di Ugarit adotta il cuneiforme, riducendolo a un alfabeto di 32 consonanti. Si estinse assieme alla città;
  5. - Cuneiforme persiano: nel VII secolo i Persiani, adottando il cuneiforme, lo modificarono sensibilmente, riducendolo a 4 ideogrammi e 36 sillabici.

4.2. Alfabeto semitico settentrionale

L'alfabeto semitico settentrionale è più antico del meridionale: i primi documenti risalgono al XVII secolo a.C. nella città di Byblos, in lingua fenicia nel XIII-XI secolo a.C., in lingua ebraica nell'XI-X secolo a.C., in lingua moabitica dell'850 a.C. è formato da 22 caratteri lineari consonantici, con probabile derivazione dell'egizio geroglifico o dallo ieratico o dal cuneiforme o da altri protoalfabeti, ma non esistono prove.

L'alfabeto semitico settentrionale è conosciuto in varietà diverse, quali:

  1. - forma fenicia arcaica: è la più antica e nata sembra a Byblos: perfezionata in una forma classica, Tiro la diffuse a Cartagine, ove venne usata sino al II secolo a.C. Gli Ebrei adottarono il fenicio arcaico nel VI secolo, con alcune modifiche, costituendo così il Paleoebraico;
  2. - forma aramaica: deriva direttamente dal fenicio arcaico per modificazione nel corsivo; questa forma fu soppiantata dal greco nell'uso ufficiale dopo Alessandro Magno. Più tardi fu adottato da Arsacidi e Sassanidi in Persia, dai Nabatei, dai Mongoli e da Palmira;
  3. - scrittura pahlavi o pehlevi: creata in Persia nel II secolo d.C. e formata da caratteri aramaici e indigeni;
  4. - alfabeto ebraico recente o quadrato: derivato dall'aramaico, con influenze del paleoebraico.

4.3. Alfabeti semitici Meridionali

L'alfabeto semitico meridionale è conosciuto nella forma Sabeico o Himarita dell'Arabia meridionale e dello Yemen, nel 1000 a.C.; da esso ne deriva l'alfabeto etiopico, regredito e sillabico.

Altra forma è l'alfabeto arabo, d'ignota origine; il primo documento è una iscrizione trilingue del 512 d.C. in greco, siriaco e arabo. Si suddivide in due tipi:

  1. - Cufico, epigrafico, dal quale ne è uscita la scrittura «magrebina» usata nell'Africa del Nord, in Spagna e nel Sudan;
  2. - Yaskhi, corsivo, tracciato con calamo sul papiro; ne è scaturito l'alfabeto di Avicenna, ossia l'arabo attuale. Ha direzione sinistrorsa con molte legature e 28 lettere consonanti. è stato adottato da tutti i musulmani non parlanti l'arabo.

4.4. Alfabeti in India

Dopo il geroglifico si ritrova una scrittura solo nel III secolo a.C., in due tipi:
  1. - Kharosti, derivato dall'aramaico attraverso la Persia; fu lapidario e manoscritto su legno, pelle, carta. Cadde in disuso nel V secolo d.C.;
  2. - Brahmi, di origine ignota, con 32 consonanti. Si scrive da destra verso sinistra. Differenziatasi in numerose scritte regionali nel I secolo d.C.; spicca fra esse il nagari o devanagari, usata tuttora per lo hindi, lingua corrente.

4.5. Alfabeto in Libia

Nel II secolo a.C.. fu usata una scrittura «libica» dai predecessori dei Berberi, composta da 24 consonanti; si scrive in colonna o in linea da destra verso sinistra. Di origine in parte semitica e in parte indigena, è tuttora viva, sebbene modificata, nella lingua Tuareg.

4.6. Alfabeto in Spagna

Nel V secolo a.C., per notare le diverse lingue locali, furono usati l'alfabeto fenicio, il greco e un alfabeto tartessoiberico, particolarmente nella valle dell'Ebro; si scriveva da sinistra verso destra. Ha forme geometriche, probabilmente di origine cretese; non è del tutto decifrato.

4.7. Alfabeto greco

L'alfabeto greco è l'intermediario diretto - storicamente e graficamente nella sua strutturazione - tra l'alfabeto semitico e quello latino. L'origine è sicuramente fenicia; il prestito e l'adattamento avvennero verso il 1000 a.C. Sugli inizi si ebbero diverse scritture greche arcaiche a seconda delle regioni che assimilarono il fenicio, unificate poi nel 403 a.C., quando l'alfabeto orientale di Mileto, detto «Ionico», venne adottato ufficialmente da Atene in sostituzione di quello locale. Le prime iscrizioni sono spesso da destra verso sinistra, oppure bustrofediche; dal 500 a.C., da sinistra verso destra.

Appena creata, la scrittura greca si differenziò in:

  1. - monumentale, rimasta sempre uguale;
  2. - corrente, fedele alle forme lapidarie fino al IV secolo a.C. e poi suddivisa in tre tipi nell'epoca ellenista: a) scrittura libraria, di tipo lapidario, ornamentale, senza legature; b) scrittura di cancelleria, su papiro con lettere grandi e leggere: c) scrittura dei documenti privati, leggera, semplificata, con caratteri legati, molto rapida;
  3. - minuscola, nata nell'VIII-IX secolo, prima per documenti privati, poi sostituita alla libraria. Non nacque dalla «scrittura dei documenti privati», ma fu creata ex novo per ragioni ignote; è l'odierna scrittura minuscola di stampa, mentre il maiuscolo è oggi formato dai caratteri lapidari antichi.
Tutti gli alfabeti che seguiranno poi deriveranno dal greco e verranno propagati per via delle colonie greche sparse dovunque.

4.8. Alfabeto copto

Questo alfabeto - così detto dal nome «Kuft» dato dagli arabi ai cristiani di Egitto e alla loro lingua - è composto da 24 lettere tolte dal greco e da 7 tolte dal demotico.

4.9. Alfabeto gotico

Fu inventato nel IV secolo dal vescovo Wulfila per scrivere la lingua germanica dei Goti, gente allora stanziata sul Mar Nero, e diffondere fra loro il Vangelo. è composto da 20 lettere tolte dal greco e 6 dal latino.

4.10. Alfabeto armeno

Compare nel V secolo: è costituito in parte da derivazione greca e in parte da derivazione pahlevi persiano.

4.11. Alfabeti slavi

Alfabeto glagolitico formato da 40 segni, alfabetici e sillabici, inventato da san Cirillo nel IX secolo per evangelizzare i Bulgari; di probabile derivazione greca, è oggi pressoché estinta.

Un'altro più recente, il cirillico, cosiddetto perché nella tradizione attribuito anch'esso a san Cirillo, mentre in realtà sembra che il merito vada ascritto a san Clemente, ebbe origine nel X secolo. Consta di 43 segni quasi tutti alfabetici, dei quali 24 caratteri greci più 19 per i suoni slavi; da esso deriva l'attuale alfabeto sovietico, semplificato una prima volta da Pietro il Grande e una seconda volta dal regime sovietico e ridotto a 30 lettere. è usato in Russia, Bulgaria e Serbia, mentre la Croazia usa l'alfabeto latino.

4.12. Alfabeto runico

Antica scrittura germanica, nata nel III-IV secolo con 24 lettere molto semplici e angolose, forse ispirate ai caratteri greci. Scomparve quando i Sassoni si convertirono al cristianesimo nell'VIII secolo. Sopravvisse in Scandinavia con i Vichinghi. è ignota l'origine.

4.13. Alfabeto ogamico

Dal nome del mitico inventore Ogam; è un'alfabeto celtico d'Irlanda e Galles, del V-VII secolo.

4.14. Alfabeto etrusco

Si evolse attraverso tre fasi, nel solo significato e non nella forma:

1. Attorno al 700 è adottato un alfabeto greco occidentale, non identificato con precisione, comunque molto arcaico, poiché ancora formato per la gran parte di segni fenici. Con esso, modificando il significato di pochi segni, si costituisce l'alfabeto etrusco arcaico, di 26 segni. A questo si affiancano alcuni altri alfabeti lievementi diversi per la forma e l'assenza di alcuni segni, cosiddetti nord-etruschi, ossia il subalpino dei territori oggi di Lugano, Sondrio, Bolzano, il felsineo di Felsina o Bologna, il veneto di Este.

2. Attorno al 650 alcune lettere della serie arcaica decadono, evidentemente perché inutili alla lingua; compare un segno nuovo indicante la consonante f nasce l'alfabeto etrusco classico, di 23 segni, chiamato anche comune, perché tale a tutta l'area culturale etrusca.

3. Attorno al 100 gli Etruschi preferiscono scrivere la loro lingua nell'alfabeto latino; negli anni di Augusto rinunciano anche alla lingua stessa, che cade completamente nell'oblio.

Durante le fasi 1. e 2. descritte, la grafia è lineare, in genere sinistrorsa, talora bustrofedica: nella fase 3. è destrorsa. Non di rado la linea sinistrorsa reca qua e là segni destrorsi e viceversa. Durante la fase 1. di frequente e durante la 2. più di rado, le parole sono separate con uno o più punti sovrapposti, inoltre dentro le parole sono collocati punti, forse diacritici.

4.15. Alfabeti italici

Compaiono fra il VI e V secolo, e parallelamente ai dialetti, presentano parecchie varianti che si definiscono più che altro per lievi diversità nell'alfabeto e si classificano in tre gruppi:

1. Alfabeto messapico, ossia dalla Puglia o dalla Calabria, e siculo, derivato dal greco occidentale. L'andamento dei testi è generalmente per linee sinistrorse, in Sicilia anche a serpentina. Le parole non sono mai separate.

2. Alfabeto piceno ossia della regione fra Rimini e il Gargano, anche esso derivato dal greco occidentale, ma forse in parte tramite l'etrusco. L'andamento è a serpentina; fanno eccezione parecchi testi di Novilara (Pesaro), lineari sinistrorsi. La grafia è completata con punti come l'etrusco.

3. Alfabeti osco (Campania), umbro, falisco (a nord di Roma, stretto predecessore del latino) e latino, derivati dall'etrusco. L'andamento è lineare sinistrorso; le parole sono separate con punti. L'osco fu usato anche dai Sanniti, parlanti dialetto diverso. Il documento più importante dell'umbro e di tutte le grafie italiche, è un rituale contenuto nelle tavole eugubine o di Gubbio. Il falisco è molto simile al latino, unico sopravvissuto fra gli italici nella scrittura romana.

La documentazione di questi alfabeti è meno numerosa dell'etrusca, ma più interessante per testi storici e religiosi.

4.16. Alfabeto latino

I più antichi documenti risalgono al VII-VI secolo a.C., in scrittura bustrofedica e sinistrorsa; seguono successivi testi nei quali si afferma la grafia destrorsa. Si discute ancora circa l'origine: se esso derivi dall'alfabeto greco occidentale, dall'etrusco o da entrambi.

L'alfabeto latino si evolse per diverso corso nel significato e nello stile. Nel significato seguì tre fasi, dette arcaica, intermedia e classica, con perdite, ricuperi e acquisizioni di lettere, risultandone poi effettivamente 23; nello stile mutò per due fasi dette arcaica e classica, quest'ultima con grafia lapidaria (quadrata o capitale o monumentale e attuaria) e un'altra manuale (capitale quadrata, capitale rustica, onciale, semionciale, corsiva).

5. La scrittura nei centri di cultura romana

5.1. Scrittura epigrafica romana

La capitale quadrata lapidaria del periodo 97-98 d.C. sono lettere dalla forma impeccabile, geometrica, chiaroscurata e solenne, espressione del severo spirito romano, che sembrava essere stato creato proprio per dominare il mondo allora conosciuto. Essa s'intona bene alla tipica architettura dei maestosi archi di trionfo e dei monumenti celebrativi, soprattutto dell'epoca imperiale.

La lettera capitale lapidaria romana presenta alcune caratteristiche inconfondibili: regolare proporzione tra altezza e larghezza, armonia delle aperture, flessuosità delle grazie, perfetta rotondità in alcune lettere e vigorosa quadratura in altre, sobrietà di chiaroscuri, grandiosità nell'insieme.

5.2. Scritture romane manoscritte

1. Capitale libraria rustica o attuaria (IV-V secolo). Entrò nell'uso quotidiano dal I secolo d.C. e vi rimase fino al V, usata per gli atti quotidiani, graffita su tavolette cerate o su papiro. Essa denota un movimento svelto, sciolto e rapido dello stilo o del calamo, senza eccessiva preoccupazione calligrafica. Il suo aspetto rimane tuttavia elegante e vivo perché, essendo la scrittura di uso corrente, si veniva man mano modificando secondo l'evolversi del gusto e delle necessità.

2. Capitale libraria elegante (IV secolo). La libraria elegante, in uso durante i secoli III e IV d.C., è una scrittura derivata dalla capitale quadrata lapidaria. Si contraddistingue dalla rustica per un rapporto tendente all'uguaglianza tra altezza e larghezza, rapporto che si basa sul quadrato, ed inoltre per la posizione dei tratti terminali delle aste, tracciati su di esse rigorosamente verticali.

3. Capitale libraria onciale (VIII secolo). è una scrittura libraria maiuscola dalle forme rotonde, regolari e perfette, che sviluppano quelle della elegante. Venne in uso nel IV secolo d.C. e fu espressione del gusto raffinato che i Romani avevano appreso dalla cultura e dalla civiltà ellenica. Rimase in auge fino al IX secolo e rappresentò la continuazione delle forme solenni delle classiche capitali romane.

4. Capitale libraria semionciale (VI secolo). Con questo nome si indica una particolare scrittura libraria che si trova usata nei codici dal V al IX secolo e che rappresenta il tipo intermedio tra le forme solenni della capitale onciale e quelle più modeste della minuscola corsiva. Infatti essa è una evoluzione naturale della onciale verso forme più spontanee e, nello stesso tempo, della minuscola corsiva verso forme più calligrafiche. Il suo aspetto generale è alquanto pesante e l'accentuazione del prolungamento delle aste ascendenti e discendenti di alcune lettere la fa delimitare nettamente da quattro linee, anziché da due come le precedenti scritture librarie.

5.3. Scritture romane corsive

1. Capitale corsiva (I secolo). Sin dal I secolo d.C., antecedente e contemporanea alle primissime lapidarie e librarie, la scrittura capitale corsiva veniva usata per i documenti, la corrispondenza, l'insegnamento e gli affari. Si tratta di una scrittura libera, spiccia, filiforme, nervosa, ineguale nei tratti e negli allineamenti, che veniva tracciata con lo stilo sulle tavolette cerate o con il calamo sui papiri. Le singole lettere, tendendo a collegarsi le une alle altre, portarono al graduale formarsi del carattere minuscolo.

2. Minuscola corsiva (IV secolo). Sebbene sorta dalla naturale evoluzione della capitale corsiva, comparve nel IV secolo d.C. e con caratteristiche ben distinte da questa. Infatti i forti prolungamenti delle aste, i tratti di unione, la spontaneità della vergatura ne fanno chiaramente attribuire la diversità alla sostituzione del calamo con una penna di volatile, quale strumento scrittorio. Questa scrittura ebbe un ruolo principale nella formazione delle scritture nazionali e, attraverso queste, influenzò tutto il successivo corso storico della scrittura.

6. La scrittura nel periodo monastico (secoli VII-XII)

6. 1. Formazione delle scritture nazionali

La decadenza dell'impero romano e le successive invasioni barbariche, avvenute tra il V e l'VIII secolo, avevano infranto l'unità politica e quella culturale del mondo romano. Su territori una volta appartenenti all'Impero, si stabilirono popolazioni di origine germaniche, slave e orientali, inserendosi prima nelle strutture romane e poi formando propri regni: Vandali e Visigoti nel Sud della Gallia, nella Spagna, spingendosi fino all'Africa; i Franchi nella Gallia settentrionale; Visigoti e Ostrogoti e poi i Longobardi in Italia; Rugi, Avari e Unni nell'èuropa centro-orientale.

Il predominio di queste popolazioni barbariche, non favoriva lo sviluppo delle lettere, le quali vennero prevalentemente coltivate nei monasteri e nelle principali sedi vescovili, continuando così la tradizione romana.

La scrittura minuscola corsiva, allora adoperata per i libri - la quale aveva già sostituito le scritture capitali onciale e semionciale -, andò assumendo forme anche assai diverse tra loro, differenziandosi da regione a regione, iniziando così quel fenomeno del formarsi delle scritture nazionali.

6.2. L'opera dei monaci

Durante il Medioevo nei maggiori monasteri gruppi di monaci si radunavano nello «scriptorium» ad attendere alla trascrizione dei codici; essi furono quasi i soli a continuare «l'opera immortale del copista» (Dante), sino all'invenzione della stampa.

E se talvolta, dato il costo proibitivo della pergamena, raschiarono qualche più antico codice per trascrivere un altro più recente, - come qualcuno loro rimprovera -, sono tanti e tali quelli da essi composti, trascritti e sovente ornati di preziose miniature, per le quali i codici «ridono» (Dante) - ossia per le miniature, le antiche pergamene splendono -, che non esiste biblioteca d'una certa importanza al mondo che non ne conservi qualcuno gelosamente!

6.3. Scritture nazionali

1. Le «precaroline» dell'Italia settentrionale e centrale. Presso le scuole vescovili - chiamate anche Capitolari - di Ivrea, Novara, Vercelli, Verona, Lucca e presso le scuole monastiche di Bobbio. Nonantola e Novalesa, si venne sviluppando, tra il VII e l'VIII secolo, la «precarolina italiana»: una particolare scrittura minuscola libraria che tendeva soprattutto a rendere calligrafica la minuscola corsiva romana. Si presenta con un aspetto regolare, rotondo e ricco di legature tra le lettere e le parole.

2. La «beneventana» o «cassinese» dell'Italia meridionale. Questa scrittura si sviluppò nel VII secolo presso il monastero di Montecassino; derivante dalla minuscola corsiva romana, si presenta ordinata, regolarissima, con molte legature che davano l'impressione di una linea continua e con aste verticali brevi e spezzate. Rimase nell'uso fino al XIII secolo.

3. La «visigota» in Spagna. Fu una scrittura minuscola libraria usata in Spagna dal secolo VIII al XIII. Anch'essa deriva dalla minuscola corsiva romana e presenta influenze evidenti dalla onciale e dalla semionciale.

4. La «merovingica» della Francia. La scrittura minuscola merovingica fu, più che altro, una scrittura documentaria e solo più tardi divenne anche libraria. Essa presenta parecchie varianti; il suo impiego in Francia durò dal VI all'VIII secolo, cioè fino alla riforma di Carlo Magno, con la quale s'inserì nella scrittura carolina.

5. La «precarolina» in Germania. Fu una scrittura libraria derivante dalla minuscola corsiva, curata nei manoscritti tedeschi nel corso dell'VIII secolo, quando essi ebbero frequenti contatti con la cultura latina. Si presenta molto legata e risente l'influenza della scrittura merovingica e della precarolina italiana.

6. La «insulare» dell'Inghilterra e dell'Irlanda. Questa scrittura presenta caratteristiche diverse di quelle del continente europeo per la minore influenza esercitata su quei popoli dalla cultura latina; si modellò sulla onciale e sulla semionciale; essa si distingue in maiuscola e minuscola. La maiuscola rotondeggiante e bilineare (secoli VII-VIII), si avvicina alla semionciale; la minuscola, di uso corrente (secoli VIII-X) fu quella che più di tutte influenzò la scrittura dell'Europa, portata dai monaci nei loro pellegrinaggi per l'Europa.

7. La Riforma carolina (VIII secolo)

La scrittura carolina prese nome dall'editto del 789, con il quale Carlo Magno la impose ai popoli sottostanti al suo dominio. Questa scrittura venne promossa dalla Scuola Palatina di Aquisgrana, dove si raccolsero i più grandi eruditi del tempo, i quali, fra l'altro, promossero il rinnovamento della scrittura libraria. Essa era la sintesi felice delle più valide esperienze scrittorie: semionciale, corsiva romana, i vari tipi di precaroline, alcune scritture nazionali, quali la merovingica e la insulare.

Da questo confluire di esperienze, la carolina risultò una lettera ben proporzionata nel contrasto delle forme e dei toni e facilmente leggibile. Essa conferiva alla parola la giusta preminenza sulla forma estetica delle singole lettere e della pagina; riportò la scrittura alla vera funzione di trasmettere fedelmente il pensiero e non quello di abbellirlo.

Nel XII secolo la carolina cominciò a differenziarsi da regione a regione: in Italia, con le sue forme arrotondate e aggraziate, venne imitata e tramandata con l'uso della rotonda nella stampa; in Germania la forma delle lettere divenne sempre più grossa, pesante, angolosa; in Francia, alte, strette, angolose, fino a diventare acute e tipicamente gotiche.

8. La scrittura al tempo delle grandi università (secoli XIII-XIV)

8.1. Evoluzione storica

In Francia, in questo periodo, qualcosa di nuovo stava sorgendo sulle basi delle conquiste dell'arte romanica: un nuovo linguaggio espressivo di forme architettoniche intimamente aderenti allo sviluppo del pensiero medioevale, anzitutto in campo religioso.

In opposizione al misticismo ascetico di S. Bernardo di Chiaravalle (1091-1153) che predicava il lavoro e l'appartato raccoglimento meditativo, l'Abate Suger de Saint-Denis (1081-1151), consigliere dei re di Francia, affermava il valore dell'esperienza del mondo creato come mezzo per raggiungere l'unico fine che è Dio: poiché tutte le cose procedono da Dio per emanazione, noi dobbiamo, attraverso le cose, ritornare a Dio per elevazione. Mentre S. Bernardo condannava la ricchezza decorativa delle opere d'arte, che distoglieva dalla preghiera e dalla meditazione, l'Abate Suger ne esaltava la bellezza e la perfezione, considerandola come stimolo per raggiugere Dio.

Tale concezione ascetica, intesa appunto come elevazione progressiva dal terreno al divino, si trasferì puntualmente in campo artistico, promuovendo la nascita dello stile gotico. In architettura essa è fedelmente riflessa nella costruzione del coro dell'Abbazia di Saint-Denis presso Parigi: un canto radioso di luce e di pietra, tese verso il cielo!

Il XIII secolo vide l'affermarsi delle prime Università: Bologna, 1158; Oxford, 1214; Parigi, 1215; Padova, 1222, al posto delle Scuole ecclesiastiche che, nei secoli che precedettero, facevano capo alle principali sedi vescovili e a molti monasteri.

Con il sorgere di queste e con il progresso della civiltà contemporanea, la funzione del libro venne a mutare radicalmente, assumendo un ruolo sempre più importante e portando con sé delle conseguenze importantissime: maggiori progressi tecnici nella manifattura della pergamena; il formato del libro che si riduce, divenendo più maneggevole; la lettera gotica minuscola, più rapida che si sostituisce all'antica scrittura carolina, assumendo varianti da Università ad Università: «littera parisiensis», «littera bonomiensis», ed altre; l'abbandono del calamo per la penna d'uccello, generalmente d'oca, che consentiva una scrittura più agevole e più rapida.

Una prima evoluzione era stata compiuta: il libro, che aveva rappresentato fino allora un oggetto di lusso, era divenuto uno strumento di studio e la larga richiesta e diffusione di questo che ne derivò, stimolò l'invenzione della stampa a caratteri mobili.

La scrittura libraria cessò di essere spontanea, divenendo sempre più dura, rigida e fortemente angolosa, differenziandosi, secondo l'ordinazione del libro, in «solenne», «media» e «corsiva» o corrente. Tale scrittura, dallo stile al quale si ispirava, fu chiamata anch'essa «gotica».

La trasformazione della scrittura carolina in gotica avvenne per gradi e fu adottata in tutto il mondo latino - dalla fine del XII secolo fino al XIV - realizzando quella unità che Carlo Magno inutilmente aveva cercato di conseguire con la riforma e l'imposizione della scrittura carolina.

8.2. La scrittura gotica minuscola libraria e corsiva

La scrittura gotica minuscola libraria fu il tipo più comune; essa presenta, oltre all'angolosità caratteristica, le aste molto pesanti che cambiano bruscamente direzione e i trattini delle lettere d'inizio o di unione, molto sottili che creano un forte contrasto con le aste.

Sviluppo calligrafico ebbe invece nei manoscritti liturgici e nei codici solenni con lettere molto grandi, massicce, rigide, di una regolarità quasi geometrica, con abbondanti legature e un tratteggio assai pesante; questo tipo di scrittura venne chiamata «lettera da messale» o «textur».

In Italia, tra le forme librarie più eleganti, vi fu la «lettera bonomiensis», una gotica minuscola rotonda ben proporzionata, nata nelle officine scrittorie dell'Università di Bologna, e la «littera rotunda», usata per i libri di maggior impegno. In Germania, la minuscola gotica si presentò invece con forme più rigide e angolose e fu la prima lettera che Guten (MANCA TESTO NELL'ORIGINALE!!)

La minuscola gotica corsiva è di tipo più corrente e meno curata, vergata con tratteggi facili e spontanei. Venne impiegata prevalentemente nella corrispondenza epistolare, nei registri, nelle cancellerie sovrane - per questo chiamata anche «cancelleresca» - e nei codici di poca pretesa.

La molteplicità di tipi esistenti di minuscola gotica corsiva, è dovuta alla libertà di mano consentita ai copisti.