Sintesi
storica della scrittura
Franco Marinelli e contributo di Silvio Curto
L'uomo, dotato d'intelligenza e di raziocinio, comunica il suo pensiero,
i suoi sentimenti ad altri uomini servendosi di mezzi di comunicazione,
quali: il canto, la musica, il gesto, la danza, la raffigurazione,
la scrittura, i sistemi grafici.
Una classificazione dei modi di espressione, è principalmente quello
dell'uso degli organi fisiologici riceventi, e cioè le forme audibili,
visibili e tattili.
1. Formme audibili sono:
- - suoni trasmessi per insiemi e variati secondo altezza e volume,
quali il canto e la musica:
- - suoni trasmessi per singole unità staccate e variate secondo
qualità; in questo caso ogni singolo concetto è assunto quale
insieme di elementi primari, ossia per analisi. Ognuno degli elementi
è espresso con una parola e più parole accostate formano la preposizione
che esprime il concetto.
2. Forme visibili sono:
- - rappresentazione sintetica del concetto mediante il gesto,
la danza e la raffigurazione, i quali sono mezzi universali:
- - rappresentazione analitica del concetto mediante la scrittura.
In questo caso il concetto è scomposto in elementi primari, ognuno
dei quali è rappresentato da un segno grafico; l'accostamento
di questi formano l'espressione grafica, il testo, l'iscrizione
che esprime il concetto.
3. Forme tattili sono possibili in una vasta gamma: attualmente in
uso nelle scritture per i ciechi.
- Altra classificazione dei modi di espressione è quella del mezzo
meccanico con cui è prodotto e trasmessa la comunicazione: questo
mezzo può essere naturale o artificiale.
1. Meccanismi naturali sono:
- - degli organi fonitori, produttori del canto e del parlare;
- - del corpo umano, specie le mani, produttori del gesto e della
danza, della musica con l'ausilio di strumenti, della raffigurazione
e della scrittura, valendosi di strumenti.
2. Meccanismi artificiali sono:
- - principalmente della stampa, produttrice tanto della scrittura,
quanto della raffigurazione;
- - altri nuovi ritrovati tecnici, i quali trasmettono la comunicazione
umana; producono, su informazioni attinte dal mondo esterno, concetti
che si traducono in comunicazioni visibili e audibili: telefono,
telegrafo, radio, televisione, fonografo, registratore, strumenti
in genere di registrazione, di segnalazione luminosa, ecc.
Una terza classificazione dei modi di espressione, comprende quelli:
- - utilizzabili da persona a persona, presente fisicamente nel
tempo e nello spazio: il canto, la musica, il parlare, il gesto,
la danza;
- - utilizzabile da persona a persona non presente: la raffigurazione
e la scrittura.
Ma tale ultima classificazione oggi non ha più valore, consentendo
i nuovi mezzi meccanici la possibilità di trasmettere a una persona
lontana la musica, il parlare, il gesto, la danza.
1.
Strutturazione della scrittura
Dal fatto fondamentale che la scrittura in genere traduce il concetto
analiticamente in forma visibile, esaminiamo la sua strutturazione
fondamentale:
- - simboleggiando gli elementi primari del concetto, direttamente
in segni grafici;
- - simboleggiando in segni grafici la forma audibile, che a sua
volta rappresenta il concetto.
Tuttavia si precisa che fra le scritture particolari oggi esistenti,
ve ne sono di quelle che usano del primo modo, altre del secondo e
altre ancora, di entrambe.
1.1.
Classificazione dei segni grafici
I segni grafici, relativamente alla forma, si distinguono in figure
naturalistiche e segni astratti, intrinsecamente privi di significato.
Anche in questo caso vale la considerazione relativa all'esistenza
di scritture che adoperano la prima o la seconda o entrambe le forme.
1.2.
Suddivisione dei segni grafici in relazione alla rappresentazione
del concetto
In base ai criteri sopra accennati in relazione al modo di rappresentare
il concetto, i segni grafici si suddividono in:
- - pittogrammi: ossia, raffigurazioni naturalistiche di uomini,
animali o cose, sia isolati che raggruppati, oppure impegnati
in azioni diverse. I pittogrammi rappresentano la realtà, indicando,
per lo più, lo stesso oggetto rappresentato: ad esempio, i graffiti
sulle rocce.
- - ideogrammi: segni grafici che riproducono l'idea, ossia ancora
figure naturalistiche usate a rappresentare non solo il soggetto
stesso raffigurato, ma anche la parola che lo designa: ad esempio
i geroglifici egizi, i segni cuneiformi assiro-babilonesi.
- - fonogrammi: figure naturalistiche o segni astratti che possono
indicare più suoni, oltreché uno solo; essi si distinguono in
policonsonantici, polisillabici, monosillabici e alfabetici.
1.3.
Classificazione in relazione alla forma estetica
Un'altra classificazione delle scritture particolari tiene conto della
forma estetica, condizionata dalla tecnica con cui furono tracciate
inizialmente, e precisamente:
- scritture e segni grafici lapidari, disegnati la prima
volta per essere incisi sulla piastra con lo scalpello: scrittura
geroglifica egizia, lapidario romano;
- scritture manuali e segni grafici manoscritti, tracciate
con un mezzo scrittorio foggiato allo scopo: stilo, penna, calamo,
ecc.;
- forme intermedie alle precedenti, ad esempio: 1. la scrittura
lapidaria, quando è perfezionata nella tecnica della forma, si dice
«monumentale»; quando la stessa è tracciata con i mezzi della manoscritta
e cede a forme di quella, diventa «corsivizzante»; 2. la scrittura
manuale, quando è tracciata con evidenti segni di rapidità, si dice
«corrente»; quando invece è tracciata, insistendo sulle caratteristiche
estetiche, diventa «calligrafica».
1.4.
Strumento e supporto scrittorii, condizionatori del tipo di scrittura
E evidente che il tipo di scrittura è determinato, oltreché dallo
strumento scrittorio, anche dal supporto, il quale può essere: rigido
(pietra, legno, terracotta, argilla, ecc.) o morbido (papiro, pergamena,
carta, ecc.).
2.
I mezzi di comunicazione nell'evoluzione dell'uomo sin dalle origini
Tutta la vita dell'uomo può dirsi essere stata un continuo progresso;
il primo momento di questo coincide con la sua comparsa sulla terra
circa 600.000 anni fa o, secondo calcoli più recenti, a 300.000. Questa
specie umana, chiamata «Homo Sapiens», si presentò in alcuni tipi
di primitivi oggi estinti, quale fu l'«Homo Sapiens» Neanderthalensis
e nel tipo perfetto, unico tuttora vivente, l'«Homo Sapiens Sapiens».
Secondo i reperti archeologici preistorici, da circa 250.000 anni
fa l'uomo cominciò a valersi della natura per dominarla; si fabbricò
con il legno, l'osso, la pietra degli utensili: l'ascia e il raschiatoio,
poi la punta per forare, il coltello, ecc. perfezionandoli lentamente
attraverso la lunghissima evoluzione.
Gli studiosi suddividono la preistoria nelle epoche del Paleolitico,
definito dagli strumenti in pietra scheggiata, e dal Neolitico,
in pietra levigata. Circa la durata, il Paleolitico ricopre l'ultima
fase del Pleistocene, che fu glaciale in Europa e alluvionale nelle
regioni tropicali, fino a 25.000 anni fa, e parte dell'epoca recente
- quella in cui viviamo - fino al 6.000 a.C. Il Neolitico fu brevissimo
in paragone al precedente: dal 6.000 al 3.500 a.C.; seguirono l'Età
del bronzo sino al 1.000 a.C., infine quella del ferro.
Oltre alla fabbricazione degli utensili, all'uso del fuoco per
riscaldare, illuminare e cuocere il cibo, verso il 50.000 a.C. l'uomo
cominciò anche a credere in qualcosa di oltre-mondano o soprannaturale;
lo dimostrano sepolture rituali, pitture e sculture nelle caverne
dell'Europa occidentale, aventi evidenti segni propiziatori. Cominciò
a fissare il ricorso di certi avvenimenti nei graffiti rupestri
dell'Africa settentrionale con scene di caccia e di danza.
Nel periodo Paleolitico l'uomo visse di caccia, pesca e vegetali
offerti spontaneamente dal suolo. Visse precariamente giorno per
giorno: bastava un mutamento di clima, una emigrazione di animali,
una inondazione perché fame e freddo seminassero la morte. In questa
terribile lotta per la sopravvivenza, l'Homo Sapiens di Neanderthal
si estinse; sopravvisse, invece, l'Homo Sapiens Sapiens.
Con l'età Neolitica il quadro della vita dell'uomo cambia totalmente;
a partire dal 6.000 a.C. fino al 3.000 - inizio dell'Epoca del bronzo
-, si ebbe una rapidissima successione di innovazioni, definita
«Prima Rivoluzione industriale»: l'agricoltura, l'allevamento e,
a seguito di queste, verso il 5.000, la formazione di comunità relativamente
stabili, economicamente autosufficienti e la creazione dell'istituto
della proprietà.
Tali comunità, prima sparse, vennero facendosi più numerose e consistenti
nella Valle del Nilo e nella Mesopotamia. La stabilità comportò
un perfezionamento nel sistema delle costruzioni e relativi materiali
edili; il perfezionamento di strumenti per la lavorazione del legno;
verso il 4.000, la filatura, la tessitura, la ceramica; verso il
3.000, la scoperta e l'uso dei metalli e relativa prima costruzione
di macchine: il carro a ruotte e la ruota del vasaio; l'uso della
pietra nelle costruzioni.
Questo ulteriore progresso tecnico comporta nuovi istituti sociali:
le industrie rimangono in mano a specializzati, nasce la divisione
del lavoro, la segmentazione verticale della società in gruppi impegnati
in attività diverse. Come conseguenza nascono due fenomeni: lo scambio
dei prodotti e l'istituzione di un potere centrale che organizza
le attività dei gruppi.
La ricerca delle materie prime porta in regioni anche lontane,
con spedizioni che presto si stabilizzano in forma di colonizzazione.
Nella Valle del Nilo e nella Mesopotamia, ad esempio, lo sfruttamento
più razionale delle acque per un miglior rendimento dei campi porta
al fatto che comunità una volta autosufficienti, si coalizzano fra
loro in distretti e poi in nazioni; ciò talvolta pacificamente,
ma più spesso con azioni di guerra.
Il potere centrale deve necessariamente farsi più complesso per
cui, verso il 3.500 a.C., nasce lo Stato come struttura amministrativa
con Capo, Ministri e Funzionari a vari livelli. E poiché lo Stato
dev'essere mantenuto, si istituisce la tassazione, sia annuale che
pluriennale.
Ancora: lo Stato, con la burocrazia che presto consolida il potere
politico per mezzo di quello economico, comporta una segmentazione
orizzontale della società, ossia una divisione in classi, a capo
delle quali vi è un'aristocrazia intesa al soddisfacimento non più
delle necessità vitali, ma di bisogni voluttuari e spirituali.
Ma poiché la divisione del lavoro consente la liberazione di enormi
capacità produttive, per cui la nuova grande comunità non solo può
mantenere l'organizzazione statale, ma anche accontentare quei bisogni
voluttuari e spirituali, ecco nascere l'architettura dei templi,
delle tombe e dei palazzi, la scultura, la pittura e la metallurgia
prevalentemente artistica. Nascono le scienze: la matematica al
servizio dell'architettura, dell'organizzazione, del censo e della
tassazione; la chimica dei colori e dei metalli al servizio delle
arti; l'astronomia per l'agricoltura e il calendario dello Stato;
la medicina per il benessere; la poesia per il gusto degli spiriti
raffinati.
Per le nuove condizioni di vita createsi, il parlare poggiato solo
sulla memoria non basta più perché mezzo di comunicazione da uomo
a uomo presente; si esige ora la scrittura, metodi di calcolo e
unità di misura: tutti strumenti atti a comunicare e trasmettere
la conoscenza, le scienze da uomo a uomo lontano nel tempo e nello
spazio.
Il problema si risolve: verso il 3.200 ecco un'invenzione che corona
tutte le altre precedenti: l'adozione di una serie di figure che,
tracciate su di un supporto durevole, rappresentano il concetto
da comunicare, cioè la scrittura! In un secondo tempo le figure
si usarono non più per indicare le «cose», ma i loro «nomi» e i
suoni relativi: si ebbe la fonografia.
Successivamente le necessità sociali e soprattutto quelle commerciali
comportarono la riduzione della fonografia, carica di segni, alla
riduzione di essi indicanti un solo suono, ossia all'«alfabeto»
che si diffuse verso il 1.000 a.C. sulla costa orientale del Mediterraneo,
luogo d'incontro dei popoli più progrediti.
Concludendo: l'uomo, con la parola e la memoria è giunto al vertice
evolutivo quale essere di Natura; con lo scritto ha potuto, di volta
in volta, intervenire criticamente sul suo ulteriore divenire, si
è fatto un essere fuori Natura e che, anziché esservi compreso,
quella abbraccia e comprende, distinto da essa per la facoltà di
avere una storia e di sapere di averla!
3.
Le scritture particolari
3.1.
Scrittura egiziana
In Egitto fu adottata come scrittura, verso il 3.500 a.C., una serie
di figure o geroglifici le quali furono impiegate sia come
ideogrammi, sia come fonogrammi. I segni di questa scrittura possono
suddividersi in:
- - ideogrammi puri;
- - fonogrammi, usati anche come ideogrammi;
- - fonogrammi indicanti più consonanti;
- - fonogrammi indicanti una sola consonante;
- - determinativi, ossia ideogrammi che, accostati a parole omofone,
ne specificano il significato;
- - complementi fonetici: ossia fonogrammi monoconsonantici che
ripetono alcune o tutte le consonanti di un policonsonantico,
oppure che esprimono il valore fonetico di un ideogramma.
La scrittura egiziana successivamente si sviluppò in tre tipi: geroglifica,
ieratica, demotica:
- - geroglifica: scrittura originaria scolpita su
pietra, in seguito usata anche su papiro per testi religiosi.
I geroglifici sono disegnati molto chiaramente e sono disposti
in colonna dall'alto in basso o in linee. Sia le colonne che le
linee corrono da destra verso sinistra o vicerversa; essi guardano,
ossia sono aperti verso l'inizio della linea, contrariamente a
quanto succede nella nostra scrittura;
- - ieratica: è la forma corsiva della scrittura geroglifica,
usata contemporaneamente ad essa, ma esclusivamente sul papiro.
Fino al Nuovo Regno, i segni particolari sono disposti in colonna
e dall'alto in basso; più tardi vennero disposti in linee. Sia
le colonne che le linee, vanno da destra verso sinistra;
- - demotica: è un particolare corsivo che venne usato
nella Bassa Epoca, senza soppiantare del tutto la scrittura ieratica.
I segni sono disposti in linee da destra verso sinistra.
Dalla scrittura egizia solo la scrittura meroitica ne è derivata.
3.2.
Scrittura sumerica o cuneiforme
Originariamente in Mesopotamia esistevano due scritture: la «sumerica»
e la «proto-elamita», entrambe geroglifiche. La prima visse a lungo,
la seconda si estinse; la prima è in parte decifrata e tradotta, la
seconda a tutt'oggi è poco nota. Dalla scrittura sumerica derivò la
«sumero-accadica» o «babilonese», formata da grafismi costituiti con
segmenti rettilinei a cuneo, da cui il nome di «cuneiforme».
Gli Accadi, entrando in Elam, accettarono tale scrittura, successivamente
adattata alla lingua locale e modificata progressivamente sino a
che, sotto la dominazione persiana, divenne autonoma, pur rimanendo
cuneiforme; questa scrittura risultante venne chiamata «neo-elamita»
o «susiana», da Susa, capitale dell'Elam. Dalla scrittura sumero-accadica
derivò anche, sotto Dario I, la scrittura «persiana» o «persepolitana»,
sempre cuneiforme.
In origine la scrittura era costituita da geroglifici pittografici
naturalistici che in seguito, per comodità e velocità di scrittura,
vennero inclinati di 905 verso sinistra. I geroglifici furono modificati
in figure composte da segmenti rettilinei, graffiati sul supporto
scrittorio fatto di argilla molle, mediante uno stilo; successivamente
si preferì incidere tali segmenti con uno strumento scrittorio più
rapido, cioè mediante un punzone, con il quale si imprimevano sull'argilla
molle del supporto, segni a forma di cuneo di tipo orizzontale,
obliquo, verticale e a freccia; inoltre, tali cunei potevano essere
impressi in forma accorciata, a testa espansa e in forma rimpicciolita.
è evidente che l'antico geroglifico ne uscì un «grafismo» dalla
trasformazione operata dalla nuova tecnica.
I segni pittorici originari furono moltiplicati mediante quattro
espedienti:
- - l'uso del «gunu», ossia tratto che rinforza il concetto;
- - l'aggregazione logica di più segni;
- - l'uso di segni, detti motivi, che specificano un particolare
del pittogramma;
- - l'uso dei pittogrammi per indicare una parola omofona; ciò
fu alla base della creazione della scrittura fonetica.
In seguito a questi mutamenti, la scrittura divenne un sistema misto
ideografico e fonografico. Successivamente, per la necessità di esprimere
la lingua accadica con la propria scrittura, i Sumeri complicarono
notevolmente la loro scrittura con l'aggiunta di altri segni, tanto
da dover ammettere l'uso di «complementi fonetici» e di «determinativi».
Ossia: all'ideogramma spesso si aggiungeva un fonogramma, chiamato
complemento fonetico, al fine di precisare il significato voluto fra
i molti indicanti l'ideogramma; all'espressione grafica (sia ideografica
che fonografica), si faceva precedere, raramente seguire, un pittogramma
al fine di precisare la lettura, anche se questo non veniva letto.
Questo sistema pur complesso e confuso, ebbe enorme successo e venne
adottato in tutto l'Oriente, compreso l'Egitto.
Il sistema venne semplificato nella scrittura susiana, nella quale
i segni vennero ridotti a 113 e usati esclusivamente come segni
fonografici sillabici. Ulteriormente ridotto nella scrittura persepolitana,
conservando solo 36 sillabici e 4 ideogrammi, più un segno di separazione
delle parole; questa scrittura si spense nel IV secolo a.C.
In Siria il cuneiforme venne adottato adattandolo alla lingua neo-semitica
locale, riducendolo a 32 grafismi alfabetici consonantici; così
pure venne adottato dagli Armeni fra il 850 e il 640 a.C., per scrivere
la loro lingua detta «vannica». Il cuneiforme venne ancora usato
per scrivere la lingua dei Proto-Ittiti asiani, abitanti l'Anatolia;
indi la lingua degli Ittiti, indoeuropei entrati in Anatolia verso
il 1800 a.C.
Si può concludere constatando che, mentre il sistema di scrittura
egiziano fu consonantico, quello accadico fu sillabico e vocalico.
3.3.
Scrittura ittita
Gli Ittiti, Indoeuropei entrati in Anatolia verso il 1800 a.C., usarono
due sistemi di scrittura: il cuneiforme e un sistema di geroglifici
indigeni.
Questi geroglifici ittiti, il cui deciframento non è terminato,
sono costituiti da una trentina di caratteri alfabetici, un centinaio
di caratteri sillabici, altri per parole, usati sia come ideogrammi,
sia come fonogrammi.
Interessante è il «cartello ittita» o «edicola» per i nomi reali,
formato da due colonne sormontate da un disco solare alato. La scrittura
ittita è bustrofedica.
3.4. Scrittura meroitica
La scrittura meroitica, affine a quella etiopica, fu scritta con
geroglifici, egizi nella forma, ma di valore fonetico diverso e
con scrittura corsiva alfabetica, probabilmente derivata dal demotico
egizio, da destra verso sinistra.
L'antico meroitico è stato decifrato dall'inglese Griffith, ma
non tradotto. Il neo-meroitico è praticamente greco, salvo qualche
variante.
3.5.
La scrittura in India
A Mohenio Daro e ad Harappa, nella Valle dell'Indo, si sono trovate
delle tracce di una civiltà pre-indoeuropea, fiorita attorno al 2500
a.C. Tra i reperti, sigilli e amuleti con geroglifici, dei quali,
forse, alcuni fonetici. è ancora una scrittura ignota come lingua,
di 400 segni e di sistema probabilmente misto ideografico-fonetico.
Nel III secolo a.C. fu adottata una scrittura sillabica, derivata
dall'aramaico, suddivisa in due tipi:
- - Kharosti, derivato dall'aramaico attraverso la Persia;
è un lapidario e manoscritto su legno, pietra, pelle, carta. Essa
durò sino al V secolo d.C., cadendo poi in disuso;
- - Brahmi, anche del III secolo a.C. e tuttora in uso.
è di origine ignota con 32 caratteri consonantici più «a», che
è la vocale più ricorrente; si scrive da destra verso sinistra
ed è molto semplice. Nel I secolo d.C. si è suddivisa in numerose
scritture regionali, tra le più importanti: il nagari o devanagari
del sud, scritta da sinistra a destra.
Le scrittura indiane si sono diffuse nel Tibet, Turkestan, Siam, Giava,
Balì.
3.6.
La scrittura a Creta
Delle scrittura a Creta se ne sono scoperte di quattro tipi, che probabilmente
saranno stadi successivi, tracciati su tavolette di argilla. Essi
sono:
- - geroglifico arcaico, detto A, attorno al 2100 a.C.;
- - geroglifico recente, detto B, attorno al 1600 a.C. di 135
caratteri e forma di scrittura in bustrofedico; fu abbandonato
verso il 1400 a.C.;
- - lineare arcaico o A, attorno al 1700-1600 a.C.;
- - lineare recente o B, di 80 caratteri fonetici quasi di certo
sillabici e con scrittura da sinistra a destra. Delle quattro
scritture, è l'unica decifrata.
3.7.
La scrittura a Cipro
Nel V e VI secolo a.C., Cipro ebbe una scrittura sillabica perfetta,
inventata prima dell'arrivo dei Greci, e di probabile derivazione
dal cretese lineare. Tale scrittura, che corre da destra a sinistra,
consta di 54 segni, di cui 5 segni vocalici e 49 segni sillabici.
La scrittura fu usata per scrivere una lingua indigena e il greco,
prima che essi avessero una loro scrittura.
3.8.
La scrittura in Cina
I primi documenti, risalenti al 1800 a.C., sono incisi con scalpello
o stilo su ossi di tartaruga, bronzo, pietra; nel II secolo a.C.,
con pennello e inchiostro; nel I secolo d.C., sulla carta. Nel III
secolo a.C. le figure naturalistiche vennero ridotte in figure a tratti
rettilinei; il complesso di tali figure, essenzialmente pittogrammi,
venne definito in un sistema di 40.000 caratteri nel IV secolo a.C.
e ancor oggi usati. La scrittura è scritta in colonne dall'alto verso
il basso e da destra verso sinistra. Tale complesso venne creato aggiungendo
ai pittogrammi originali: aggregati logici, pittogrammi capovolti
e determinativi.
Con l'uso di tali accorgimenti, la scrittura divenne per un certo
tempo ideografica-fonetica, ma mai potè essere ridotta a sillabica
o consonantica, perché i vocaboli sono monosillabici, mancano flessioni
del sostantivo e del verbo e il vocabolario conta solo 900 voci.
Tale scrittura, regredita in epoca recente, è puramente pittografica,
perché la lingua cinese è differenziata in dialetti divenuti autonomi,
con il risultato che, per capirsi da un distretto all'altro, devono
ricorrere alla scrittura.
Accanto a questa scrittura classica vive un'altra corsiva, usata
per documenti commerciali. La scrittura classica non fu mai
epigrafica.
La scrittura cinese venne adottata dalla Corea nel IV secolo d.C.
e dal Giappone; dall'Annam nel VII secolo. Di questi stati, solo
il Giappone la usa tuttora, ma come ideografica-fonetica.
3.9.
La scrittura a Festo
Unica testimonianza della scrittura a Festo è il «disco di Festo»,
probabilmente del 1700 a.C., con 45 caratteri stampati in argilla.
La presenza fra i caratteri di una testa con copricapo di penne, noto
da rilievi egiziani come proprio dei filistei, lascia supporre che
tale scrittura sia originaria del Sud-Ovest dell'Anatolia.
3.10.
La scrittura in America
Nel II secolo d.C., Maya e Aztechi adottarono una scrittura puramente
pittografica, ad eccezione dei nomi propri; tale scrittura non ebbe
evoluzione, per il fatto che quei popoli vennero annientati dagli
Spagnoli nel XVI secolo.
Mentre i Maya lasciarono iscrizioni su pietra e manoscritti su
fibre di agave, in forma puramente pittografica, gli Aztechi ne
hanno lasciate su agave e cuoio in forma di pittogrammi con aggregati
logici e rebus per i nomi propri.
Sono stati decifrati i soli calendari.
4.
Alfabeti
L'idea dell'alfabeto nacque certamente in Egitto e si precisò fra
i Semiti occidentali, sul Mar Rosso e sul Mar Mediterraneo. Non si
è certi, però, se fu una invenzione oppure un'idea perfezionata attraverso
alcune scritture dette «protoalfabetiche».
4.1
Protoalfabeti
Sono scritture «protoalfabetiche» le seguenti scritture:
- - Protosinaitica: di questa, alcuni hanno voluto farne
un ponte tra l'Egizio e il Fenicio;
- - Cananaica o Fenicia: in Palestina, nel XIV secolo a.C.;
- - di Byblos: del XIV secolo a.C., detta pseudogeroglifica: si
suppone faccia da ponte tra il Protosinaitico e il Fenicio;
- - di Ugarit: dal XIV al XII secolo a.C., la città di Ugarit
adotta il cuneiforme, riducendolo a un alfabeto di 32 consonanti.
Si estinse assieme alla città;
- - Cuneiforme persiano: nel VII secolo i Persiani, adottando
il cuneiforme, lo modificarono sensibilmente, riducendolo a 4
ideogrammi e 36 sillabici.
4.2.
Alfabeto semitico settentrionale
L'alfabeto semitico settentrionale è più antico del meridionale: i
primi documenti risalgono al XVII secolo a.C. nella città di Byblos,
in lingua fenicia nel XIII-XI secolo a.C., in lingua ebraica nell'XI-X
secolo a.C., in lingua moabitica dell'850 a.C. è formato da 22 caratteri
lineari consonantici, con probabile derivazione dell'egizio geroglifico
o dallo ieratico o dal cuneiforme o da altri protoalfabeti, ma non
esistono prove.
L'alfabeto semitico settentrionale è conosciuto in varietà diverse,
quali:
- - forma fenicia arcaica: è la più antica e nata sembra a
Byblos: perfezionata in una forma classica, Tiro la diffuse
a Cartagine, ove venne usata sino al II secolo a.C. Gli Ebrei
adottarono il fenicio arcaico nel VI secolo, con alcune modifiche,
costituendo così il Paleoebraico;
- - forma aramaica: deriva direttamente dal fenicio arcaico per
modificazione nel corsivo; questa forma fu soppiantata dal greco
nell'uso ufficiale dopo Alessandro Magno. Più tardi fu adottato
da Arsacidi e Sassanidi in Persia, dai Nabatei, dai Mongoli e
da Palmira;
- - scrittura pahlavi o pehlevi: creata in Persia nel II secolo
d.C. e formata da caratteri aramaici e indigeni;
- - alfabeto ebraico recente o quadrato: derivato dall'aramaico,
con influenze del paleoebraico.
4.3. Alfabeti
semitici Meridionali
L'alfabeto semitico meridionale è conosciuto nella forma Sabeico o
Himarita dell'Arabia meridionale e dello Yemen, nel 1000 a.C.;
da esso ne deriva l'alfabeto etiopico, regredito e sillabico.
Altra forma è l'alfabeto arabo, d'ignota origine; il primo documento
è una iscrizione trilingue del 512 d.C. in greco, siriaco e arabo.
Si suddivide in due tipi:
- - Cufico, epigrafico, dal quale ne è uscita la scrittura
«magrebina» usata nell'Africa del Nord, in Spagna e nel Sudan;
- - Yaskhi, corsivo, tracciato con calamo sul papiro; ne
è scaturito l'alfabeto di Avicenna, ossia l'arabo attuale. Ha
direzione sinistrorsa con molte legature e 28 lettere consonanti.
è stato adottato da tutti i musulmani non parlanti l'arabo.
4.4. Alfabeti
in India
Dopo il geroglifico si ritrova una scrittura solo nel III secolo a.C.,
in due tipi:
- - Kharosti, derivato dall'aramaico attraverso la Persia;
fu lapidario e manoscritto su legno, pelle, carta. Cadde in disuso
nel V secolo d.C.;
- - Brahmi, di origine ignota, con 32 consonanti. Si scrive
da destra verso sinistra. Differenziatasi in numerose scritte
regionali nel I secolo d.C.; spicca fra esse il nagari o devanagari,
usata tuttora per lo hindi, lingua corrente.
4.5. Alfabeto
in Libia
Nel II secolo a.C.. fu usata una scrittura «libica» dai predecessori
dei Berberi, composta da 24 consonanti; si scrive in colonna o in
linea da destra verso sinistra. Di origine in parte semitica e in
parte indigena, è tuttora viva, sebbene modificata, nella lingua Tuareg.
4.6. Alfabeto
in Spagna
Nel V secolo a.C., per notare le diverse lingue locali, furono usati
l'alfabeto fenicio, il greco e un alfabeto tartessoiberico, particolarmente
nella valle dell'Ebro; si scriveva da sinistra verso destra. Ha forme
geometriche, probabilmente di origine cretese; non è del tutto decifrato.
4.7. Alfabeto
greco
L'alfabeto greco è l'intermediario diretto - storicamente e graficamente
nella sua strutturazione - tra l'alfabeto semitico e quello latino.
L'origine è sicuramente fenicia; il prestito e l'adattamento avvennero
verso il 1000 a.C. Sugli inizi si ebbero diverse scritture greche
arcaiche a seconda delle regioni che assimilarono il fenicio, unificate
poi nel 403 a.C., quando l'alfabeto orientale di Mileto, detto «Ionico»,
venne adottato ufficialmente da Atene in sostituzione di quello locale.
Le prime iscrizioni sono spesso da destra verso sinistra, oppure bustrofediche;
dal 500 a.C., da sinistra verso destra.
Appena creata, la scrittura greca si differenziò in:
- - monumentale, rimasta sempre uguale;
- - corrente, fedele alle forme lapidarie fino al IV secolo
a.C. e poi suddivisa in tre tipi nell'epoca ellenista: a) scrittura
libraria, di tipo lapidario, ornamentale, senza legature; b) scrittura
di cancelleria, su papiro con lettere grandi e leggere: c) scrittura
dei documenti privati, leggera, semplificata, con caratteri legati,
molto rapida;
- - minuscola, nata nell'VIII-IX secolo, prima per documenti
privati, poi sostituita alla libraria. Non nacque dalla «scrittura
dei documenti privati», ma fu creata ex novo per ragioni ignote;
è l'odierna scrittura minuscola di stampa, mentre il maiuscolo
è oggi formato dai caratteri lapidari antichi.
Tutti gli alfabeti che seguiranno poi deriveranno dal greco e verranno
propagati per via delle colonie greche sparse dovunque.
4.8. Alfabeto
copto
Questo alfabeto - così detto dal nome «Kuft» dato dagli arabi ai cristiani
di Egitto e alla loro lingua - è composto da 24 lettere tolte dal
greco e da 7 tolte dal demotico.
4.9. Alfabeto
gotico
Fu inventato nel IV secolo dal vescovo Wulfila per scrivere la lingua
germanica dei Goti, gente allora stanziata sul Mar Nero, e diffondere
fra loro il Vangelo. è composto da 20 lettere tolte dal greco e 6
dal latino.
4.10. Alfabeto
armeno
Compare nel V secolo: è costituito in parte da derivazione greca e
in parte da derivazione pahlevi persiano.
4.11. Alfabeti
slavi
Alfabeto glagolitico formato da 40 segni, alfabetici e sillabici,
inventato da san Cirillo nel IX secolo per evangelizzare i Bulgari;
di probabile derivazione greca, è oggi pressoché estinta.
Un'altro più recente, il cirillico, cosiddetto perché nella
tradizione attribuito anch'esso a san Cirillo, mentre in realtà
sembra che il merito vada ascritto a san Clemente, ebbe origine
nel X secolo. Consta di 43 segni quasi tutti alfabetici, dei quali
24 caratteri greci più 19 per i suoni slavi; da esso deriva l'attuale
alfabeto sovietico, semplificato una prima volta da Pietro il Grande
e una seconda volta dal regime sovietico e ridotto a 30 lettere.
è usato in Russia, Bulgaria e Serbia, mentre la Croazia usa l'alfabeto
latino.
4.12. Alfabeto
runico
Antica scrittura germanica, nata nel III-IV secolo con 24 lettere
molto semplici e angolose, forse ispirate ai caratteri greci. Scomparve
quando i Sassoni si convertirono al cristianesimo nell'VIII secolo.
Sopravvisse in Scandinavia con i Vichinghi. è ignota l'origine.
4.13. Alfabeto
ogamico
Dal nome del mitico inventore Ogam; è un'alfabeto celtico d'Irlanda
e Galles, del V-VII secolo.
4.14. Alfabeto
etrusco
Si evolse attraverso tre fasi, nel solo significato e non nella forma:
1. Attorno al 700 è adottato un alfabeto greco occidentale, non
identificato con precisione, comunque molto arcaico, poiché ancora
formato per la gran parte di segni fenici. Con esso, modificando
il significato di pochi segni, si costituisce l'alfabeto etrusco
arcaico, di 26 segni. A questo si affiancano alcuni altri alfabeti
lievementi diversi per la forma e l'assenza di alcuni segni, cosiddetti
nord-etruschi, ossia il subalpino dei territori oggi
di Lugano, Sondrio, Bolzano, il felsineo di Felsina o Bologna,
il veneto di Este.
2. Attorno al 650 alcune lettere della serie arcaica decadono,
evidentemente perché inutili alla lingua; compare un segno nuovo
indicante la consonante f nasce l'alfabeto etrusco classico,
di 23 segni, chiamato anche comune, perché tale a tutta
l'area culturale etrusca.
3. Attorno al 100 gli Etruschi preferiscono scrivere la loro lingua
nell'alfabeto latino; negli anni di Augusto rinunciano anche alla
lingua stessa, che cade completamente nell'oblio.
Durante le fasi 1. e 2. descritte, la grafia è lineare, in genere
sinistrorsa, talora bustrofedica: nella fase 3. è destrorsa. Non
di rado la linea sinistrorsa reca qua e là segni destrorsi e viceversa.
Durante la fase 1. di frequente e durante la 2. più di rado, le
parole sono separate con uno o più punti sovrapposti, inoltre dentro
le parole sono collocati punti, forse diacritici.
4.15. Alfabeti
italici
Compaiono fra il VI e V secolo, e parallelamente ai dialetti, presentano
parecchie varianti che si definiscono più che altro per lievi diversità
nell'alfabeto e si classificano in tre gruppi:
1. Alfabeto messapico, ossia dalla Puglia o dalla Calabria,
e siculo, derivato dal greco occidentale. L'andamento dei
testi è generalmente per linee sinistrorse, in Sicilia anche a serpentina.
Le parole non sono mai separate.
2. Alfabeto piceno ossia della regione fra Rimini e il Gargano,
anche esso derivato dal greco occidentale, ma forse in parte tramite
l'etrusco. L'andamento è a serpentina; fanno eccezione parecchi
testi di Novilara (Pesaro), lineari sinistrorsi. La grafia è completata
con punti come l'etrusco.
3. Alfabeti osco (Campania), umbro, falisco (a nord
di Roma, stretto predecessore del latino) e latino, derivati
dall'etrusco. L'andamento è lineare sinistrorso; le parole sono
separate con punti. L'osco fu usato anche dai Sanniti, parlanti
dialetto diverso. Il documento più importante dell'umbro e di tutte
le grafie italiche, è un rituale contenuto nelle tavole eugubine
o di Gubbio. Il falisco è molto simile al latino, unico sopravvissuto
fra gli italici nella scrittura romana.
La documentazione di questi alfabeti è meno numerosa dell'etrusca,
ma più interessante per testi storici e religiosi.
4.16. Alfabeto
latino
I più antichi documenti risalgono al VII-VI secolo a.C., in scrittura
bustrofedica e sinistrorsa; seguono successivi testi nei quali si
afferma la grafia destrorsa. Si discute ancora circa l'origine: se
esso derivi dall'alfabeto greco occidentale, dall'etrusco o da entrambi.
L'alfabeto latino si evolse per diverso corso nel significato e
nello stile. Nel significato seguì tre fasi, dette arcaica, intermedia
e classica, con perdite, ricuperi e acquisizioni di lettere,
risultandone poi effettivamente 23; nello stile mutò per due fasi
dette arcaica e classica, quest'ultima con grafia
lapidaria (quadrata o capitale o monumentale e attuaria) e un'altra
manuale (capitale quadrata, capitale rustica, onciale, semionciale,
corsiva).
5. La scrittura
nei centri di cultura romana
5.1. Scrittura
epigrafica romana
La capitale quadrata lapidaria del periodo 97-98 d.C. sono
lettere dalla forma impeccabile, geometrica, chiaroscurata e solenne,
espressione del severo spirito romano, che sembrava essere stato creato
proprio per dominare il mondo allora conosciuto. Essa s'intona bene
alla tipica architettura dei maestosi archi di trionfo e dei monumenti
celebrativi, soprattutto dell'epoca imperiale.
La lettera capitale lapidaria romana presenta alcune caratteristiche
inconfondibili: regolare proporzione tra altezza e larghezza, armonia
delle aperture, flessuosità delle grazie, perfetta rotondità in
alcune lettere e vigorosa quadratura in altre, sobrietà di chiaroscuri,
grandiosità nell'insieme.
5.2. Scritture
romane manoscritte
1. Capitale libraria rustica o attuaria (IV-V secolo). Entrò
nell'uso quotidiano dal I secolo d.C. e vi rimase fino al V,
usata per gli atti quotidiani, graffita su tavolette cerate o su papiro.
Essa denota un movimento svelto, sciolto e rapido dello stilo o del
calamo, senza eccessiva preoccupazione calligrafica. Il suo aspetto
rimane tuttavia elegante e vivo perché, essendo la scrittura di uso
corrente, si veniva man mano modificando secondo l'evolversi del gusto
e delle necessità.
2. Capitale libraria elegante (IV secolo). La libraria elegante,
in uso durante i secoli III e IV d.C., è una scrittura derivata
dalla capitale quadrata lapidaria. Si contraddistingue dalla rustica
per un rapporto tendente all'uguaglianza tra altezza e larghezza,
rapporto che si basa sul quadrato, ed inoltre per la posizione dei
tratti terminali delle aste, tracciati su di esse rigorosamente
verticali.
3. Capitale libraria onciale (VIII secolo). è una scrittura
libraria maiuscola dalle forme rotonde, regolari e perfette, che
sviluppano quelle della elegante. Venne in uso nel IV secolo d.C.
e fu espressione del gusto raffinato che i Romani avevano appreso
dalla cultura e dalla civiltà ellenica. Rimase in auge fino al IX
secolo e rappresentò la continuazione delle forme solenni delle
classiche capitali romane.
4. Capitale libraria semionciale (VI secolo). Con questo nome
si indica una particolare scrittura libraria che si trova usata
nei codici dal V al IX secolo e che rappresenta il tipo intermedio
tra le forme solenni della capitale onciale e quelle più modeste
della minuscola corsiva. Infatti essa è una evoluzione naturale
della onciale verso forme più spontanee e, nello stesso tempo, della
minuscola corsiva verso forme più calligrafiche. Il suo aspetto
generale è alquanto pesante e l'accentuazione del prolungamento
delle aste ascendenti e discendenti di alcune lettere la fa delimitare
nettamente da quattro linee, anziché da due come le precedenti scritture
librarie.
5.3. Scritture
romane corsive
1. Capitale corsiva (I secolo). Sin dal I secolo d.C., antecedente
e contemporanea alle primissime lapidarie e librarie, la scrittura
capitale corsiva veniva usata per i documenti, la corrispondenza,
l'insegnamento e gli affari. Si tratta di una scrittura libera, spiccia,
filiforme, nervosa, ineguale nei tratti e negli allineamenti, che
veniva tracciata con lo stilo sulle tavolette cerate o con il calamo
sui papiri. Le singole lettere, tendendo a collegarsi le une alle
altre, portarono al graduale formarsi del carattere minuscolo.
2. Minuscola corsiva (IV secolo). Sebbene sorta dalla naturale
evoluzione della capitale corsiva, comparve nel IV secolo d.C. e
con caratteristiche ben distinte da questa. Infatti i forti prolungamenti
delle aste, i tratti di unione, la spontaneità della vergatura ne
fanno chiaramente attribuire la diversità alla sostituzione del
calamo con una penna di volatile, quale strumento scrittorio. Questa
scrittura ebbe un ruolo principale nella formazione delle scritture
nazionali e, attraverso queste, influenzò tutto il successivo corso
storico della scrittura.
6. La scrittura
nel periodo monastico (secoli VII-XII)
6. 1. Formazione
delle scritture nazionali
La decadenza dell'impero romano e le successive invasioni barbariche,
avvenute tra il V e l'VIII secolo, avevano infranto l'unità politica
e quella culturale del mondo romano. Su territori una volta appartenenti
all'Impero, si stabilirono popolazioni di origine germaniche, slave
e orientali, inserendosi prima nelle strutture romane e poi formando
propri regni: Vandali e Visigoti nel Sud della Gallia, nella Spagna,
spingendosi fino all'Africa; i Franchi nella Gallia settentrionale;
Visigoti e Ostrogoti e poi i Longobardi in Italia; Rugi, Avari e Unni
nell'èuropa centro-orientale.
Il predominio di queste popolazioni barbariche, non favoriva lo
sviluppo delle lettere, le quali vennero prevalentemente coltivate
nei monasteri e nelle principali sedi vescovili, continuando così
la tradizione romana.
La scrittura minuscola corsiva, allora adoperata per i libri -
la quale aveva già sostituito le scritture capitali onciale e semionciale
-, andò assumendo forme anche assai diverse tra loro, differenziandosi
da regione a regione, iniziando così quel fenomeno del formarsi
delle scritture nazionali.
6.2. L'opera
dei monaci
Durante il Medioevo nei maggiori monasteri gruppi di monaci si radunavano
nello «scriptorium» ad attendere alla trascrizione dei codici; essi
furono quasi i soli a continuare «l'opera immortale del copista» (Dante),
sino all'invenzione della stampa.
E se talvolta, dato il costo proibitivo della pergamena, raschiarono
qualche più antico codice per trascrivere un altro più recente,
- come qualcuno loro rimprovera -, sono tanti e tali quelli da essi
composti, trascritti e sovente ornati di preziose miniature, per
le quali i codici «ridono» (Dante) - ossia per le miniature, le
antiche pergamene splendono -, che non esiste biblioteca d'una certa
importanza al mondo che non ne conservi qualcuno gelosamente!
6.3. Scritture
nazionali
1. Le «precaroline» dell'Italia settentrionale e centrale. Presso
le scuole vescovili - chiamate anche Capitolari - di Ivrea, Novara,
Vercelli, Verona, Lucca e presso le scuole monastiche di Bobbio. Nonantola
e Novalesa, si venne sviluppando, tra il VII e l'VIII secolo, la «precarolina
italiana»: una particolare scrittura minuscola libraria che tendeva
soprattutto a rendere calligrafica la minuscola corsiva romana. Si
presenta con un aspetto regolare, rotondo e ricco di legature tra
le lettere e le parole.
2. La «beneventana» o «cassinese» dell'Italia meridionale. Questa
scrittura si sviluppò nel VII secolo presso il monastero di Montecassino;
derivante dalla minuscola corsiva romana, si presenta ordinata,
regolarissima, con molte legature che davano l'impressione di una
linea continua e con aste verticali brevi e spezzate. Rimase nell'uso
fino al XIII secolo.
3. La «visigota» in Spagna. Fu una scrittura minuscola libraria
usata in Spagna dal secolo VIII al XIII. Anch'essa deriva dalla
minuscola corsiva romana e presenta influenze evidenti dalla onciale
e dalla semionciale.
4. La «merovingica» della Francia. La scrittura minuscola merovingica
fu, più che altro, una scrittura documentaria e solo più tardi divenne
anche libraria. Essa presenta parecchie varianti; il suo impiego
in Francia durò dal VI all'VIII secolo, cioè fino alla riforma di
Carlo Magno, con la quale s'inserì nella scrittura carolina.
5. La «precarolina» in Germania. Fu una scrittura libraria derivante
dalla minuscola corsiva, curata nei manoscritti tedeschi nel corso
dell'VIII secolo, quando essi ebbero frequenti contatti con la cultura
latina. Si presenta molto legata e risente l'influenza della scrittura
merovingica e della precarolina italiana.
6. La «insulare» dell'Inghilterra e dell'Irlanda. Questa scrittura
presenta caratteristiche diverse di quelle del continente europeo
per la minore influenza esercitata su quei popoli dalla cultura
latina; si modellò sulla onciale e sulla semionciale; essa si distingue
in maiuscola e minuscola. La maiuscola rotondeggiante e bilineare
(secoli VII-VIII), si avvicina alla semionciale; la minuscola, di
uso corrente (secoli VIII-X) fu quella che più di tutte influenzò
la scrittura dell'Europa, portata dai monaci nei loro pellegrinaggi
per l'Europa.
7. La
Riforma carolina (VIII secolo)
La scrittura carolina prese nome dall'editto del 789, con il quale
Carlo Magno la impose ai popoli sottostanti al suo dominio. Questa
scrittura venne promossa dalla Scuola Palatina di Aquisgrana, dove
si raccolsero i più grandi eruditi del tempo, i quali, fra l'altro,
promossero il rinnovamento della scrittura libraria. Essa era la sintesi
felice delle più valide esperienze scrittorie: semionciale, corsiva
romana, i vari tipi di precaroline, alcune scritture nazionali, quali
la merovingica e la insulare.
Da questo confluire di esperienze, la carolina risultò una lettera
ben proporzionata nel contrasto delle forme e dei toni e facilmente
leggibile. Essa conferiva alla parola la giusta preminenza sulla
forma estetica delle singole lettere e della pagina; riportò la
scrittura alla vera funzione di trasmettere fedelmente il pensiero
e non quello di abbellirlo.
Nel XII secolo la carolina cominciò a differenziarsi da
regione a regione: in Italia, con le sue forme arrotondate e aggraziate,
venne imitata e tramandata con l'uso della rotonda nella stampa;
in Germania la forma delle lettere divenne sempre più grossa, pesante,
angolosa; in Francia, alte, strette, angolose, fino a diventare
acute e tipicamente gotiche.
8. La
scrittura al tempo delle grandi università (secoli XIII-XIV)
8.1. Evoluzione
storica
In Francia, in questo periodo, qualcosa di nuovo stava sorgendo sulle
basi delle conquiste dell'arte romanica: un nuovo linguaggio espressivo
di forme architettoniche intimamente aderenti allo sviluppo del pensiero
medioevale, anzitutto in campo religioso.
In opposizione al misticismo ascetico di S. Bernardo di Chiaravalle
(1091-1153) che predicava il lavoro e l'appartato raccoglimento
meditativo, l'Abate Suger de Saint-Denis (1081-1151), consigliere
dei re di Francia, affermava il valore dell'esperienza del mondo
creato come mezzo per raggiungere l'unico fine che è Dio: poiché
tutte le cose procedono da Dio per emanazione, noi dobbiamo, attraverso
le cose, ritornare a Dio per elevazione. Mentre S. Bernardo condannava
la ricchezza decorativa delle opere d'arte, che distoglieva dalla
preghiera e dalla meditazione, l'Abate Suger ne esaltava la bellezza
e la perfezione, considerandola come stimolo per raggiugere Dio.
Tale concezione ascetica, intesa appunto come elevazione progressiva
dal terreno al divino, si trasferì puntualmente in campo artistico,
promuovendo la nascita dello stile gotico. In architettura essa
è fedelmente riflessa nella costruzione del coro dell'Abbazia di
Saint-Denis presso Parigi: un canto radioso di luce e di pietra,
tese verso il cielo!
Il XIII secolo vide l'affermarsi delle prime Università: Bologna,
1158; Oxford, 1214; Parigi, 1215; Padova, 1222, al posto
delle Scuole ecclesiastiche che, nei secoli che precedettero, facevano
capo alle principali sedi vescovili e a molti monasteri.
Con il sorgere di queste e con il progresso della civiltà contemporanea,
la funzione del libro venne a mutare radicalmente, assumendo un
ruolo sempre più importante e portando con sé delle conseguenze
importantissime: maggiori progressi tecnici nella manifattura della
pergamena; il formato del libro che si riduce, divenendo più maneggevole;
la lettera gotica minuscola, più rapida che si sostituisce all'antica
scrittura carolina, assumendo varianti da Università ad Università:
«littera parisiensis», «littera bonomiensis», ed altre; l'abbandono
del calamo per la penna d'uccello, generalmente d'oca, che consentiva
una scrittura più agevole e più rapida.
Una prima evoluzione era stata compiuta: il libro, che aveva rappresentato
fino allora un oggetto di lusso, era divenuto uno strumento di studio
e la larga richiesta e diffusione di questo che ne derivò, stimolò
l'invenzione della stampa a caratteri mobili.
La scrittura libraria cessò di essere spontanea, divenendo sempre
più dura, rigida e fortemente angolosa, differenziandosi, secondo
l'ordinazione del libro, in «solenne», «media» e «corsiva» o corrente.
Tale scrittura, dallo stile al quale si ispirava, fu chiamata anch'essa
«gotica».
La trasformazione della scrittura carolina in gotica avvenne per
gradi e fu adottata in tutto il mondo latino - dalla fine del XII
secolo fino al XIV - realizzando quella unità che Carlo Magno inutilmente
aveva cercato di conseguire con la riforma e l'imposizione della
scrittura carolina.
8.2. La scrittura
gotica minuscola libraria e corsiva
La scrittura gotica minuscola libraria fu il tipo più comune; essa
presenta, oltre all'angolosità caratteristica, le aste molto pesanti
che cambiano bruscamente direzione e i trattini delle lettere d'inizio
o di unione, molto sottili che creano un forte contrasto con le aste.
Sviluppo calligrafico ebbe invece nei manoscritti
liturgici e nei codici solenni con lettere molto grandi, massicce,
rigide, di una regolarità quasi geometrica, con abbondanti legature
e un tratteggio assai pesante; questo tipo di scrittura venne chiamata
«lettera da messale» o «textur».
In Italia, tra le forme librarie più eleganti,
vi fu la «lettera bonomiensis», una gotica minuscola rotonda ben
proporzionata, nata nelle officine scrittorie dell'Università di
Bologna, e la «littera rotunda», usata per i libri di maggior impegno.
In Germania, la minuscola gotica si presentò invece con forme più
rigide e angolose e fu la prima lettera che Guten (MANCA TESTO NELL'ORIGINALE!!)
La minuscola gotica corsiva è di tipo più corrente
e meno curata, vergata con tratteggi facili e spontanei. Venne impiegata
prevalentemente nella corrispondenza epistolare, nei registri, nelle
cancellerie sovrane - per questo chiamata anche «cancelleresca»
- e nei codici di poca pretesa.
La molteplicità di tipi esistenti di minuscola
gotica corsiva, è dovuta alla libertà di mano consentita ai copisti.
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