Il dialogo pedagogico in classe


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Il dialogo pedagogico in classe

Sulle tracce degli stili di apprendimento

Pietro Sacchelli

(Scuola primaria "R. Fucini", 2° Circolo - Massa)

La più recente ricerca psicopedagogica ha preso in esame le variabili affettive, psicologiche, cognitive, motivazionali e socio-culturali che influiscono nel processo d'apprendimento. Generalmente i docenti sono portati ad attribuire le difficoltà nello studio a fattori esterni al soggetto (complessità dei concetti presentati, testi scolastici troppo elaborati e diffi­ cili, deprivazione culturale dell'ambiente socio-familiare dell'alunno, scar­ so interesse da parte della famiglia nei confronti delle attività svolte a scuola) o a cause di tipo non cognitivo (scarso impegno dell'alunno nello studio, demotivazione, difficoltà di attenzione e concentrazione, codice linguistico ristretto).

Accanto a questi fattori, sicuramente rilevanti, ce ne sono però altri che spostano l'attenzione sugli aspetti prettamente mentali del soggetto in apprendimento. Al riguardo la didattica metacognitiva conta un'ampia produzione scientifica (Ashman e Conway, 1991; Cornoldi, 1993; 1995; 1998; Albanese et al., 1995; La Marca , 1999).

All'interno di questo interessante filone di ricerca si colloca una pratica pedagogica elaborate da Antoine de La Garanderie , già direttore della ricerca psicopedagogia presso l'Università di Lione II. Gli studi condotti dallo studioso transalpino hanno dato vita alla teoria della “Gestione Mentale” che si pone come alternativa all'insegnamento tradizionale (Sacchelli 2001). Questa metodica metacognitiva non è ancora sufficientemente conosciuta in Italia anche se in Francia è molto diffusa ed è applicata in molte scuole di ogni ordine e grado per prevenire o rimuovere le difficoltà di apprendimento.

La Gestione Mentale analizza i processi mentali implicati nello studio spostando l'interesse dai contenuti programmatici al soggetto che diventa protagonista attivo e consapevole del proprio sapere. Alla sua base vi è la concezione di una scuola intesa come luogo di "narrazione" e di sinceri rapporti interpersonali diretti a comprendere l'altro da noi in un clima sociale coinvolgente e in grado di accogliere il cambiamento didattico ed il rinno­ vamento metodologico (Meazzini, Bellinazzi e De Nardi, 1996).

Un punto fondamentale nella prassi della Gestione Mentale è rappresentato dal dialogo pedagogico utilizzato dall'insegnante per condurre l'alunno alla presa di coscienza delle proprie modalità di apprendimento (de La Garanderie , 1984).

Il dialogo pedagogico consente al soggetto di operare "un'introspezione regressiva", cioè un'analisi mentale rivolta al compito affrontato per far emergere alla coscienza le procedure cognitive utilizzate nello studio. Al riguardo Bruner sostiene: «Molti dei presupposti taciti che guidano le transazioni intersoggettive appaiono sorprendentemente difficili da correggere, e anche sorprendentemente inaccessibili alla riflessione cosciente. Questo però non implica che siano basati su adattamenti biologici fortemente predeterminati o innati. E' risaputo infatti che i presupposti culturali acquisiti precocemente diventano automatici e inaccessibili alla riflessione e all'introspezione. [...1 Sviluppiamo perfino delle idee convenzionali sulla natura dei nostri stati mentali e sul modo in cui vengono recepiti dagli altri. Diamo per scontato, ad esempio, che pensare richieda uno sforzo e che quindi chi non mostra segni di sforzo non stia pensando» (Bruner, 1997, p. 119).

Occuparsi scientificamente della presa di coscienza significa far rientrare questo settore di studi nell'ambito dell'epistemologia che si estende così anche alle facoltà mentali dell'uomo (de La Garanderie, 1991). Piaget aveva spesso denunciato come illusorio il tentativo di distinguere il momento dell'azione del soggetto da quello della sua presa di coscienza: «Il soggetto conosce se stesso veramente male, giacché per spiegare le proprie operazioni e anche per scorgere l'esistenza delle strutture che esse comportano, gli occorrerebbe ricostruire tutto un passato di cui non ha mai preso coscienza neanche nei momenti in cui viveva le tappe: malgrado tutto ciò che ha scoperto Freud dell'inconscio affettivo, il passato intellettuale di un individuo gli è ancora più sconosciuto del suo passato sentimentale, poiché le strutture del primo sono da cercare in una coordinazione delle azioni che sfugge nel suo meccanismo ad ogni visione diretta» (Piaget, 1967, p. 120).

Per de La Garanderie , invece, è possibile pervenire ad una consapevolezza delle proprie azioni mentali perché esse si trovano nella parte immediata­ mente sottostante la coscienza, ossia nel preconscio. Se infatti trovassero posto nella profondità dell'Io sarebbe probabilmente molto più difficile recuperarle, così come la psicoanalisi ha messo in evidenza a proposito delle fobie o dei traumi non rimossi. Attraverso "l'introspezione pedagogica", l'individuo evita il rischio di adottare procedure cognitive meccaniche e modalità mentali poco funzionali all'apprendimento. Infatti una persona tende a privilegiare in modo automatico gli stessi percorsi mentali senza avere la capacità di analizzare le cause degli errori compiuti e dei propri insuccessi scolastici.

Il dialogo pedagogico viene proposto da de La Garanderie secondo la procedura dell'ascolto attivo, già utilizzato in ambito psicoterapeutico da Carl Rogers (1970).

Secondo l'impostazione rogersiana, il docente deve stabilire all'interno della classe un clima di comprensione partecipata ed essere in grado di riformulare i problemi emersi nella discussione finché il gruppo non ne prenda consapevolezza e li affronti in modo adeguato. Deve inoltre creare un rapporto "empatico" tra i soggetti senza tuttavia far percepire i suoi sentimenti come giudizi di valore. Questi principi sono, in buona parte, validi anche nella comunicazione assertiva (Meazzini, 1998-1999; 2000).

La modalità dialogica rogersiana è stata ripresa da Thomas Gordon in una più ampia azione di prevenzione e di recupero in ambito sociale e scolastico. Questo studioso ha infatti applicato l'ascolto attivo per rimuovere le incom­prensioni e i conflitti fra i membri della comunità scolastica e familiare.

«Questa filosofia si esprime in una pedagogia che considera l'educazione come un processo essenzialmente autogestito. L'alunno si apre all'intera­ zione con gli insegnanti e i compagni tanto più quanto sente garantita e rispettata la sua personale modalità di crescita e autorealizzazione [...].

La condizione educativa ideale è allora quella in cui rispetto, empatia e congruenza facilitano il conseguimento di quel livello di autoconsapevolez­za che permette all'alunno di cogliere dall'interno il suo processo formativo e di sintonizzarsi su di esso per tendere in modo efficace verso l' autorealiz­ zazione» (Gordon, 1991, p. 11).

 

Alcuni aspetti dell'ascolto attivo sono utilizzati anche nella conversazione clinica elaborata da Piaget per indagare le strategie di pensiero ed attualmente applicata, con alcune modifiche, dai cultori della didattica per concetti all'interno del gruppo-classe per evidenziare le conoscenze pregresse possedute dagli alunni in riferimento a specifici argomenti di studio. La conversazione, detta anche intervista o colloquio clinico, consente al docente di redigere la "matrice cognitiva" della classe in riferimento all'argomento esaminato (Sacchelli, 1996).

Questa “mappatura” permette all'insegnante di rendersi conto dei concetti spontanei degli alunni e di impostare conseguentemente un'azione didattica mirata a promuovere una concettualizzazione corretta delle conoscenze scientifiche. In questa accezione la conversazione clinica ha prevalentemente una finalità di indagine concettuale.

Spetta però ad un cibernetico puro, Gordon Pask, il merito di aver indicato per primo un nuovo e più rispondente rapporto fra l'insegnamento e l'apprendimento. Pask, dotato di una geniale intuizione psicopedagogica, fin dagli anni Sessanta ha colto l'impossibilità di una distinzione netta tra chi insegna e chi apprende. Secondo la sua tesi chi vuole insegnare deve essere disposto ad apprendere dalla persona che gli è di fronte e questo è possibile se tra l'educatore e l'educando si stabilisce una comunicazione convergente ed attiva che favorisce la loro comprensione (Pask, 1975; 1976a; 1976b).

Per Pask, infatti, esistono due categorie di individui: gli "stringer" e i "lumper". Essi utilizzano due strategie di apprendimento diverse: gli strin­ ger scompongono un problema in piccole parti e proce

dono in modo lineare e progressivo verso la risoluzione; i lumper, invece, preferiscono elaborare collegamenti fra i dati, fare congetture ed ipotesi, effettuare analogie e similitudini anche attraverso transfer cognitivi fino a quando l'intuizione risolutiva balza improvvisamente alla loro mente. Questi due tipi di soggetti, che potremmo definire rispettivamente anche con il termine di "seriali" ed "olistici", trovano difficoltà di comprensione quando l'insegnante spiega la lezione secondo modalità e procedure metodologiche non a loro congeniali (Berlini e Canevaro, 1996).

«La scuola, in questo senso, non è cambiata molto da quando noi sedevamo sui banchi: o un bambino regola il proprio modo di apprendere alla strategia che utilizza l'insegnante e a quella più adatta all'argomento stesso, o rischia di non apprendere» (Perticari, 1996, p. 300).

Il docente quindi non favorisce la comprensione dell'argomento quando utilizza un procedimento non conforme alle modalità di elaborazione mentale dell'alunno. Tra chi spiega e chi apprende si interpone una specie di barriera invisibile che pone i soggetti su piani di trasmissione e di ricezione differenti con un risultato di incomunicabilità e di incompren­ sione.

La figura 1 riassume le modalità di utilizzo del dialogo attivo in ambito scientifico

Figura 1

 

 

Le caratteristiche del dialogo pedagogico

Anche de La Garanderie applica i principi dell'ascolto attivo, ma non in senso psicoterapeutico o concettuale, bensì pedagogico. Con il dialogo l'insegnante si propone di indagare le modalità con cui gli alunni elaborano le conoscenze semplici e complesse in riferimento ad un argomento di studio o ad uno specifico interesse extrascolastico. Infatti vi sono studenti che incontrano difficoltà nell'analisi dei percorsi mentali utilizzati nell'appren­ dimento (evocazione di nozioni, di parole, di numeri, di concetti, ecc.), ma non hanno alcun problema se devono ricordare la formazione della squadra di calcio preferita, la trama dell'ultimo film visto o le regole dello sport normalmente praticato. In genere tutti i discenti mostrano di avere almeno un interesse in qualche settore della vita sociale, sta all'insegnante indivi­ duarlo ed attivare intorno ad esso il dialogo pedagogico sottolineando in modo pacato e sereno che non ci sono risposte corrette e sbagliate, ma soltanto modi diversi di interpretare la realtà.

Le spiegazioni fornite dall'alunno durante il dialogo devono essere incalzate dall'insegnante con "domande di specificazione" per far emergere completamente le procedure mentali utilizzate (ad esempio: «In che modo pensi a questa cosa? Quando ti capita di ricorrere a questo procedimento?»). Al termine della risposta, l'insegnante riformula le spiegazioni fornite dal discente secondo il principio del "rispecchiamento" per essere certo di aver compreso bene tutti i passaggi mentali investigati (Lumbelli, 1982).

La cosa essenziale è che il docente non anticipi la risposta e non aiuti l'alunno durante la fase dell'esposizione anche se questi incontra difficoltà nella comunicazione. Infatti il suggerimento o l'anticipazione della risposta rischierebbe di disorientare l'intervistato vanificando, in ultima analisi, la validità complessiva del dialogo. Sarebbe consigliabile che l'intervista venisse registrata o verbalizzata da un secondo insegnante per poterne trarre, anche a posteriori, tutte le informazioni utili alla stesura del profilo pedago­ gico dell'alunno. Il dialogo, registrato o trascritto, dovrebbe anche riportare la data, il nome e l'età del soggetto esaminato per arricchirne la documen­ tazione personale. Al riguardo Petter sostiene che «è essenziale che la registrazione sia completa e molto precisa; solo a queste condizioni essa risulterà davvero utile al momento dell'analisi complessiva dei risultati. Per questo è importante che chi guida la prova parli lentamente, introducendo delle pause. [...] Chi si trova a condurre la prova da solo (e senza registratore) può prendere degli appunti schematici e integrarli per iscritto subito dopo la conclusione dell'incontro, evitando di rinviare questa integrazione al termi­ne di una serie di incontri» (Petter, 1996, p. 33).

Generalmente gli alunni mostrano interesse e motivata partecipazione al dialogo pedagogico perché questa attività, esulando dai tradizionali schemi scolastici, valorizza il soggetto come persona. Per maggiore chiarezza appare utile sintetizzare, in ordine alfabetico, le caratteristiche e le funzioni principali del dialogo pedagogico.

Aiutare l'autoanalisi. La guida del docente serve ad aiutare l'alunno nell'autoanalisi e nella comprensione delle proprie idee, dei concetti elabo­rati e delle procedure mentali attivate, altrimenti destinate a restare sotto la soglia della consapevolezza.

Astinenza. Il termine, mutuato dalla psicoanalisi, sta ad indicare, durante il dialogo pedagogico, il ruolo neutrale dell'insegnante che deve astenersi dal fornire suggerimenti o indicazioni. Resistere alla tentazione dell'inter­pretazionismo immediato può essere difficile, ma appare un'operazione necessaria per la corretta conduzione del dialogo pedagogico in classe.

Attesa paziente. Il dialogo pedagogico deve snodarsi in modo calmo senza fretta perché, come sosteneva Rousseau, «in educazione occorre perdere tempo per guadagnarlo». L'insegnante deve saper attendere, evitando comportamenti egocentrici ed affrettati che ostacolano la relazione e la comunicazione con l'alunno. La capacità di saper rimandare il giudizio, di rimanere in attesa di esplicazioni e di informazioni più dettagliate, è condizione indispensabile per cogliere le dinamiche mentali e contempora­ neamente imparare dagli altri.

Avalutabilità immediata . E forse la regola più importante, ma anche la più difficile da rispettare perché impone al docente di modificare completamen­te il suo corrente sistema valutativo, astenendosi da confronti e valutazioni. Si tratta infatti di assumere un atteggiamento rispettoso delle diverse procedure mentali degli alunni. Molti soggetti si aprono ad una rivelazione di sé soltanto dopo aver ricevuto dall'ambiente circostante rassicuranti segnali di accettazione. In questa diversa veste il docente assolve alla sua più genuina funzione di educatore che sa far emergere le modalità espressive di ciascun alunno valorizzandone le attitudini e le modalità cognitive.

Baby-talk . Consiste nell'adottare un linguaggio semplice ma non infantile e banale. La comunicazione deve avvenire con toni calmi e rilassanti, con frequenti ridondanze e riformulazioni. Questo tipo di linguaggio "metacomu­ nica" disponibilità, serenità, sicurezza ed incoraggiamento da parte dell'in­segnante.

Conoscenza degli scopi. È importante che gli alunni siano resi consapevoli delle finalità del dialogo pedagogico e degli obiettivi che l'insegnante si prefigge di raggiungere attraverso di esso. Generalmente i soggetti intavolano volentieri una discussione in classe perché parlano dei problemi e del loro modo di essere e di pensare.

 

LEZIONE TRADIZIONALE

GESTIONE MENTALE:

DIALOGO PEDAGOGICO

L'insegnante:

L'insegnante:

- guida (dirige, orienta, decide, stabilisce);

- guida e si fa guidare;

- si occupa dei contenuti disciplinari;

- si occupa degli stili d'apprendimento

- si occupa della dimensione reale;

degli alunni su cui impostare l'azione

didattica;

- si occupa della dimensione reale e

- agisce e reagisce;

immaginifica;

- propone, accetta, aiuta a pensare,

- vede scolari;

facilita;

- vede persone;

- è responsabile del percorso didattico;

- è corresponsabile del percorso didattico;

- interroga, richiama, sollecita, parla,

- ascolta, pensa, rispecchia, propone,

spiega;

condivide;

- guida il gruppo classe;

- serve il gruppo classe;

- è concentrato sul compito;

- è centrato su di sé, sugli interlocutori e

- persegue obiettivi didattici in relazione

sul compito;

- persegue obiettivi formativi in relazione

ai contenuti disciplinari;

agli alunni;

- programma in modo uniforme i conte-

- programma in modo flessibile tenendo

nuti;

conto degli stili d'apprendimento degli

- verifica per valutare conoscenze e

alunni;

- verifica l'acquisizione di abilità mentali

abilità disciplinari.

per programmare specifici percorsi di

 

recupero o di sviluppo.

 

Durante lo svolgimento del dialogo, l'atmosfera si arricchisce di componenti affettive a forte valenza relazionale che induco­ no gli alunni ad aprirsi ad un fecondo rapporto con l'insegnante. La caratteristica dinamica del dialogo pedagogico consente di superare i limiti delle tradizionali metodologie di indagine che richiedono al soggetto presta­ zioni statiche per la definizione dei concetti e che non sono in grado di fornire uno screening profondo dei processi logici attivati nella conoscenza.

Dare corpo alle immagini e alle fantasie. Col dialogo pedagogico l'inse­ gnante non verifica se l'allievo ha studiato o sa ripetere l'ultima lezione svolta in classe, ma misura il livello delle operazioni logiche semplici e di quelle complesse relative alla creatività, alla fantasia, all'attività generativa della mente e alla produzione metaforica ed allusiva.

Questo momento "fantasmagorico" viene frequentemente trascurato o ignorato dall'insegnamento tradizionale che privilegia il "logos" ed il "cogito".

Discrezione. Significa non deridere né giudicare l'alunno ed è un aspetto importante nella costruzione del rapporto di fiducia tra l'adulto ed il minore.

Facilitare la riflessione e l'espressione. L'insegnante dovrebbe aiutare i soggetti più timidi ed impacciati nell'analisi introspettiva e incoraggiarli direttamente (ad esempio: «So che non mi deluderai perché sei molto bravo quando ti impegni...» oppure «Sono contento di te quando ti sforzi di farmi capire...») e indirettamente (ad esempio guardare con aria interessata, sorridere in termini di incoraggiamento e fiducia, mostrarsi attenti e parte­ cipi a quello che dice l'allievo).

Fornire stimoli. Il docente stimola gli alunni ad esplicitare le loro modalità di elaborare la conoscenza.

Rispecchiamento. L'insegnante riformula con parole proprie i procedi­ menti mentali espressi dall'alunno (ad esempio: «Mi sembra di capire che tu...» oppure «Non so se ho capito bene, ma tu affermi che...»). Questa funzione aiuta il soggetto intervistato a pensare il suo pensiero e a cogliere il processo cognitivo "in fieri".

Lo schema riportato nella tabella 1 riassume, in una sintesi comparativa, le principali caratteristiche della lezione frontale di tipo tradizionale e quelle del dialogo pedagogico nella Gestione Mentale.

 

Analisi di un caso

Si riporta il caso di Andrea, alunno simpatico ed estroverso di quarta elementare. I suoi interventi durante le lezioni sono frequentemente carat­terizzati da elementi fantastici, privi di senso o di una logica causale e comunque sempre poco pertinenti all'argomento trattato. Le prestazioni scolastiche di Andrea sono mediocri in tutte le discipline soprattutto in riferimento alla correttezza ortografica. Fin dalla prima elementare i suoi elaborati spontanei e sotto dettatura sono stati caratterizzati da numerosi errori ortografici, soprattutto nell'uso della C e della G, della V e della F e delle doppie. L'insegnante di lingua ha utilizzato molti espedienti tradizio­ nali per fargli acquisire un'adeguata correttezza ortografica: dettati indivi­ dualizzati sui digrammi e le doppie, giochi grafici di rinforzo specifico, schede di potenziamento ortografico, esercizi orali di spelling delle parole, giochi di affinamento acustico per discriminare parole con le doppie e senza. I risultati ottenuti nel corso di tre anni di scuola però sono stati molto scarsi, con forte delusione dell'insegnante di lingua e rinforzo negativo dell' autostima da parte dell'alunno. La madre di Andrea decide di farlo seguire privatamente da una giovane insegnante che ripropone al bambino gli stessi esercizi di rinforzo svolti a scuola. Dopo un paio di mesi i risultati sono a dir poco fallimentari. Nonostante gli innumerevoli esercizi svolti e l'impegno profuso, Andrea continua imperterrito a compiere moltissimi errori ortografici. Gli interventi non sono riusciti a scalfire minimamente la sua gravissima disortografia. Gli insegnanti di modulo decidono allora di sottoporre Andrea al dialogo pedagogico per evidenziare il suo stile di apprendimento al fine di agire non più sugli effetti del problema, ma sulle cause che lo provocano.

Insegnante - Andrea, che cosa ti piace fare nel tempo libero? Andrea - Prima faccio i compiti e poi gioco...

Insegnante - Volevo dire se c'è un'attività che ti piace fare più delle altre.

Andrea - Fare i compiti... (breve pausa) mi piace studiare astronomia.

Insegnante - Ti piace l'astronomia?

Andrea - Sì. Mi piace studiare l'astronomia, la storia, le scienze... Soprattutto la Terra e la geografia...

Insegnante - Tra queste materie qual è quella che preferisci? Andrea - Quando si parla dei pianeti, della Terra, del Sole... Insegnante - Quindi l'astronomia è proprio una tua passione! Andrea - Sì.

Insegnante - In che modo ti occupi di astronomia? Cosa fai?

Andrea - Faccio delle ricerche, leggo i libri, ho scritto anche delle cose sul sole.

Insegnante - Hai scritto delle cose sul sole?

Andrea - Sì. Ho scritto che il sole è come una bomba atomica, quando c'è

molto caldo scoppia, ci sono come delle esplosioni.

Insegnante - Come sei venuto a conoscenza delle esplosioni solari? Andrea - Le ho lette sul libro e alcune cose me le ha dette anche mia

mamma per fare la ricerca.

Insegnante - Te le ha spiegate la mamma e tu le hai scritte sul quaderno? Andrea - Sì.

Insegnante - Quindi hai studiato che sul sole avvengono come delle esplosioni fortissime...

Andrea - Sì c'è un gas che non mi ricordo come si chiama che poi si trasforma in elio e brucia...

Insegnante - Beh sei proprio bravo Andrea. Sai molte cose interessanti sul sole, ma come hai fatto a ricordare queste notizie?

Andrea - Leggendole e tenendole nella testa!

Insegnante - Ecco, mi spieghi come fai a tenerle nella testa? Andrea - Come le tengo?

Insegnante - Sì, in che modo le ricordi? Ti basta la spiegazione della mamma o riesci anche ad immaginarle?

È questa una delle sfide pedagogiche che attendono la scuola del terzo millennio per fronteggiare con maggior successo la piaga dell'abbandono

scolastico e le molteplici difficoltà di apprendimento che si manifestano con preoccupante aumento in tutti i paesi a forte tasso di sviluppo tecnologico ed economico .

 

Bibliografia

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Art. pubblicato in Psicologia e Scuola, n. 124 - Anno venticinquesimo. Aprile - maggio 2005

 

 

 

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