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Davide Faraone ... l'ascolto, il passato, il presente e il futuro
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Girando sempre su se stessi, vedendo e facendo sempre le stesse cose, si perde l'abitudine e la possibilità di esercitare la propria intelligenza. Lentamente tutto si chiude, si indurisce e si atrofizza come un muscolo. (Albert Camus)
Oggetti, desideri, bugie
L'ambiente di apprendimento sempre più non è un luogo fisico, bensì uno spazio di persone che insieme si confrontano su oggetti desideri e bugie. Se gli oggetti stanno qui per oggetti delle discipline, i desideri come proiezioni di ognuno/a delle possibilità di realizzarsi ed essere soddisfatti di sé, intendo invece per bugie ciò che si è indotti a percepire con i sensi privati della ragione per molteplici ragioni tra le quali, non ultima, quella dei media che spingono all'omologazione dei desideri, degli oggetti e delle opinioni indirizzandole e depistandole spesso con luoghi comuni. Bugie che rendono importantissimo il ruolo di vigili decondizionatori degli insegnanti nella realtà. Il lavoro dell'"insegnante" è una professione/non professione, di una persona tra persone, che in tale contesto andrebbe esaminato, contestualizzato in modo più riflessivo di quanto non si sia fatto in passato. Lasciare il segno o un segno o dei segni. cosa significa in realtà, oltretutto oggi, in ambienti fisici scolastici sempre più angusti a causa della carenza di risorse? Cosa significa in ambienti che non possono certo reggere la concorrenza con la modernità delle luminarie, della tecnologia, del respiro, del confort di bar, alberghi, uffici di rappresentanza bancari, ministeriali, aziendali.?
Insegnare nella società "liquida"
La docenza cos'è? è ancora e soltanto fornire informazioni? arricchire saperi? trasmettere saperi? interrogare? verificare? dare voti? programmare? progettare?
L'avventura del sapere in un ambiente "lento"
Allora chi insegna comprende quanto le categorie del dubbio, dell'ascolto reciproco, del dialogo, dell'autostima, di un fare in direzione di un futuro tutto da inventare, da ricostruire, da portare in classe affinchè rallenti la sua corsa e divenga pensoso e pensante nel presente, siano determinanti. Il presente deve farsi lento, riflessivo, deve saper utilizzare le discipline al servizio delle contraddizioni, dei conflitti relazionali, dei diversi stili di apprendimento recuperando la potenza dell'errore nel suo essere stato fin dagli albori delle civiltà il punto di partenza per qualsiasi scoperta, progresso, soluzione, evoluzione. Tentare di eliminare la paura dell'errore non è poca cosa: è liberare la mente per l'avventura del sapere con fiducia negli adulti e nei pari. E' poter sperimentare, autocorreggersi e superarsi per mezzo delle prove e dei tentativi messi in comune e verificati. Non è poco! Non si può e non si deve entrare in classe con la certezza del già fatto e del già risolto. Pena gli allontanamenti delle persone in apprendimento. In tale prospettiva diviene irrinunciabile una riflessione approfondita di ogni componente scolastica sulle modalità del valutare e del non ridurre la complessità alla sola certificazione delle competenze, le quali del resto non sono mai acquisite se non in un lungo percorso di vita ed esperienze lavorative e di studio. La valutazione dovrà farsi puntuale nel posarsi sui processi in campo per rielaborarli e spronare le ripartenze di altri processi, in un modo che sia per nulla invadente e che non avvilisca e svilisca le fatiche dell'apprendimento. Soltanto così l'ambiente scuola potrà essere sereno e motivante.
Come fiori a primavera
Il binomio affettivo/cognitivo nell'azione didattica ora più che mai va scritto a chiare lettere sulle pareti delle aule, ma non nel senso di un insegnamento buono e accogliente, comprensivo, permissivo da parte del docente nel suo rapporto quotidiano con giovani provenienti dalle più disparate realtà, bensì nel senso di una disposizione dell'animo e della ragione a mettersi dalla parte dell'altro che fatica, a rivedere le proprie convinzioni, a considerarle in divenire e in trasformazione, a essere disponibili a ragionare insieme su ogni errore con la consapevolezza che esso è la spia che ci permette di conoscere sia la validità della nostra opera di insegnanti sia le modalità interpretative e operative degli studenti. Mi piace pensare alle persone che compongono le classi come alle diversissime tipologie di piante e fiori spontanei che nascono nei terreni. Nessuno di noi saprebbe all'impronta definirne il nome e le modalità di crescita, sopravvivenza, in certe condizioni ambientali. Allora l'occhio non basta e non basta neppure l'annusarli o toccarli. Per definirne anche soltanto qualcuno bisogna pazientemente porsi in una disposizione di studio e analizzarne i petali e il loro numero, la grandezza, la forma, il colore.alcuni fiori non hanno neppure i petali! Poi si devono osservare i sepali che a volte sono del medesimo colore dei petali. Ma non è finita: si deve prestare attenzione agli stami che crescono all'interno del fiore stesso. Allo stimma, la parte femminile. E infine si deve aver cura di esaminare le foglie, la loro forma ma anche la disposizione! Lavoro lento, sempre piuttosto incerto, che stanca e inquieta chi non è paziente e passa oltre affermando di aver riconosciuto una specie senza accorgersi di averla confusa con un'altra quasi identica. E in questo "quasi" risiede lo sbaglio del non riconoscimento. Ecco, le persone sono un po' come i fiori spontanei. Di spontaneo in realtà c'è poco, se non il fatto che non sono stati piantati. Infatti essi nascono e crescono se ci sono le condizioni del terreno adatto. A volte non crescono perché cambiano le condizioni nello stesso territorio dove erano sbocciati l'anno prima.
Costruire ambienti "positivi"
Siamo così anche noi docenti e i nostri studenti. Siamo estremamente diversi, seppure con tante caratteristiche simili. Non tanto spontanei perché condizionati dal vissuto sociale e personale in cui siamo immersi. Allora l'ambiente in cui vogliamo e dobbiamo crescere andrà attentamente creato e ricreato ogni volta che noi e loro saremo a rischio di non crescere. Va detto che non ci sono ricette, guide, schede, eserciziari che possano aiutarci a fare scuola insieme e in modo produttivo. Esiste invece una modalità di fare che può aprire la possibilità di riuscire quando ogni atto dell'insegnare si fa attento a ogni persona che si approccia allo studio, al lavoro, alla comunicazione di quanto ha appreso sia scrivendo sia parlando o esprimendosi nei diversi linguaggi che fanno parte della scuola: musicale, motorio, iconico, ecc. E questo farsi attento presuppone anche la non invadenza e la non sovrapposizione del proprio sapere di insegnante al lento farsi strada di ogni apprendimento. L'insegnante propone, prepara materiali, illustra teorie, sue modalità personali di studio, offre opportunità di metodologie e tant'altro ma sa anche ricevere proposte, materiali, modalità diverse dagli stessi studenti. L'insegnante costruisce un ambiente in cui sia possibile che gli studenti si confrontino fra loro nei lavori di coppia di aiuto reciproco o di gruppi. L'ambiente deve essere un luogo di scambio, di confronto di procedimenti, idee, opinioni, soluzioni condivise e anche alternative, in cui tutti possano esprimere difficoltà incontrate, sensazioni di inadeguatezza e di successo. Se "affettivo" e "cognitivo" si dessero una mano
Piacerebbe a tutti avere a disposizione "ambienti" fisici di apprendimento adeguati al numero degli studenti delle classi, scuole con grandi biblioteche rifornite delle ultime novità editoriali e dei classici, spazi adatti al silenzio, all'ascolto, alla conversazione, al relax, a laboratori dei linguaggi con ricche strumentazioni e materiali di facile consumo, un pc per ogni banco e la possibilità di accedere a Internet in modo critico e mediato, palestre, campi sportivi.ma così ancora non è, perciò quello che abbiamo è il nostro pensiero e quello degli studenti, sono le nostre menti e le nostre vite che si incontrano e che dovrebbero imparare a rispettarsi nei luoghi che abbiamo per renderli spazi senza barriere di immaginazione, di critica e rielaborazione dei pensieri condivisi.
Affettivo e cognitivo vedono sicuramente la priorità del primo sul secondo, altrimenti il secondo si sgretolerebbe, appassirebbe, si incancrenirebbe in sterili esercizi di applicazioni prostrate al volere dell'adulto per non inventare più nulla di bello e anche di utile alla ricerca, la quale dovrebbe invece essere la cifra della scuola quotidiana che sta sì nel presente ma protesa a un futuro di cittadini critici e capaci di rinnovamento, cambiamento, cittadini produttori di idee, di bene collettivo, di interazione con il globale, cittadini che temano l'individualismo, la competizione e il consumo per il consumo. Cittadini, ognuno/a, capaci di vedere il bello oltre che l'utile, cittadini che dell'utile sanno cosa farsene senza diventare schiavi o far schiavo l'altro. ----------------------------------------- C. Fanti, Della funzione docente.con occhi di maestra , in G. Boselli e N. Serio (a cura di), Fondazioni culturali delle riforme scolastiche , Armando, Roma, 2005. C. Fanti, Una possibile bussola per il futuro, in "Rivista dell'istruzione", n. 4, luglio-agosto 2006, Maggioli, Rimini. ------------------------------------------------------------------------------------------ *Articolo pubblicato in "Passa...parole" (Chiave di lettura delle Indicazioni 2012 ) A cura di G. Cerini e altre sessanta voci della scuola, Homeles Book, Faenza
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