La storia della masseria è stata molto complessa e sempre in stretta
relazione con i grandi fatti storici del passato.
Si può fare una rapida carrellata dalla nascita ad oggi sullo sfondo
degli avvenimenti più salienti che hanno caratterizzato i secoli
restringendo il campo d’esame al Sud e soprattutto al nostro territorio.
La storia della masseria è indissolubilmente legata alla storia
dell’Italia meridionale che è storia travagliata, storia di miseria
, di violenza, di sopraffazione, di ignoranza, di diritti negati,
storia che affonda le sue radici nell’antichità, addirittura nei
primi secoli dell’Impero romano, quando, Plinio il Vecchio per spiegare
la crisi dell’agricoltura affermò che "i latifondi avevano
rovinato l’Italia"
La masseria ha origini antichissime; i primi esempi, infatti, risalgono
al tempo della colonizzazione greca nel meridione (VIII-VI secolo
a.C.). Essa era intesa come organizzazione sistematica del territorio
ed era finalizzata ad attività agricole.
A partire dal V secolo a.C. i Romani concentrarono le proprietà
in poche aziende latifondistiche, dando origine alle "massericiae",
entità rurali che sfociarono poi in insediamenti residenziali e
produttivi, detti "villae" o "massae" (blocchi
immobili rurali).
La "villa romana" con le invasioni barbariche (V secolo
d.C.) fu abitata dal nuovo signore barbaro che la fortificò per
la difesa e per l’offesa.
La "massa" subì una profonda trasformazione nel IX secolo
ad opera di Carlo Magno che creò una nuova entità rurale chiamata
"feudo".
Nel XI secolo arrivarono nell’Italia meridionale i Normanni che
trasformarono i feudi in "masserie villaggio" (tipologia
non presente in agro mesagnese).
Con l’arrivo degli Svevi, sempre nel meridione, nacquero le "masserie
regie" (tipologia non presente in agro mesagnese) dedite alla
coltura di cereali e all’allevamento di cavalli.
Nel XV secolo l’Italia meridionale passò agli Aragonesi che eliminarono
tutti i privilegi concessi precedentemente ai contadini. Gli unici
a conservare qualche beneficio furono gli addetti alla transumanza
che ebbero il permesso di costruire fabbricati su terreni adibiti
a pascolo, destinati all’abitazione, al ricovero per gli animali
e alla lavorazione di prodotti caseari. Sorsero, così, le "masserie
di pecore" dette anche "iazzi",
distinte da quelle in cui si praticava la coltivazione, dette "posta",
perché erano postazioni fisse a cui si ritornava al termine della
giornata.
La tipologia della masseria del sec. XV, che era rimasta invariata
nei secoli XVI e XVII, subì sostanziali trasformazioni con l’arrivo
dei Barbari nel meridione (sec XVIII). Essi espropriarono i feudi
ecclesiastici dei quali si impadronì la borghesia rurale che organizzò
il latifondo in masseria, nella quale emerse la figura del massaro
che coordinava il lavoro dei contadini e dei braccianti.
Nel XIX secolo, con l’applicazione in Italia del codice napoleonico,
furono assegnati ai contadini poveri terre demaniali per uso semina,
pascolo o legna, ma le quote furono così piccole che i contadini
si videro costretti a venderle per poter sopravvivere. La borghesia
rurale continuò ad essere, nel meridione, dominante facendo perdurare
il latifondo che nel resto d’Italia si era ormai da tempo disgregato.
Decollarono anche con la coltura dell’ulivo e della vite, le "masserie
di campagna" che diedero lavoro ad un alto numero di salariati:
massari di campo, gualani, bovari, massari
di vacche e di pecore.
Subito dopo l’unità d’Italia (XIVsec.) i contadini delusi (briganti)
devastarono molte di queste masserie.
Verso la fine del XIX secolo i signori scelsero le masserie come
loro residenza per controllare l’andamento delle attività. A tale
scopo nacquero le "masserie palazzo" che segnarono un
periodo di massima efficienza. Era enorme il numero di dipendenti:
dal fattore al massaro, ai salariati fissi, gualani e lavoratori
occasionali nei periodi di raccolta delle olive e nei periodi di
semina e mietitura.
Nel XX secolo, dopo i conflitti mondiali, le condizioni dei contadini
peggiorarono.
Con la parola d’ordine "la terra a chi lavora" si emanò
la "riforma agraria"
che espropriò e frazionò i latifondi. La vita delle masserie subì
notevoli ridimensionamenti e molte furono abbandonate o utilizzate
modificando abitudini e bisogni.
In agro mesagnese abbiamo individuate più di cinquanta masserie
e abbiamo verificato che esse sono veri musei della nostra civiltà
pastorale e contadina.
Solo alcune continuano a vivere, ma non come una volta, altre sono
dei ruderi, altre ancora sono state ristrutturate per essere adibite
ad agriturismo.
La storia della masseria è indissolubilmente legata alla storia
dell’Italia meridionale che è storia travagliata, storia di miseria
, di violenza, di sopraffazione, di ignoranza, di diritti negati,
storia che affonda le sue radici nell’antichità, addirittura nei
primi secoli dell’Impero romano, quando, Plinio il Vecchio per spiegare
la crisi dell’agricoltura affermò che "i latifondi avevano
rovinato l’Italia".
E proprio il latifondismo, consolidatosi
al Sud nelle forme feudali della grande proprietà indivisa, scarsamente
produttiva possedute prima dai signori feudali ed ecclesiastici
ed accaparrate poi dalla borghesia meridionale, ha favorito la nascita
della masseria, così diffusa nel nostro territorio. Luoghi di sfruttamento
quindi, di povertà, di emarginazione, in tutto il Sud, oggetto ancora
oggi di dibattito politico-economico, povertà che poi sfocerà nella
emigrazione come forma di definitiva perdita di speranza, per molti,
che lo Stato si accorgesse della gente del Sud, eppure... si respira
all’interno della masseria uno spirito di adattamento che è ancora
tensione, attesa , speranza di cambiamento che spinge alla condivisione,
all’aiuto vicendevole.
Nata quindi da eventi storici negativi, la masseria diventa luogo
di valori positivi, a testimonianza del carattere dell’uomo del
Sud, che non lasciandosi prostrare dagli oppressori, nasconde sotto
l’apparente rassegnazione e sottomissione, la potenza del povero
contro la prepotenza del ricco sfruttatore.
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