La tipologia
della masseria del sec. XV, che era rimasta invariata nei secoli
XVI e XVII, subì sostanziali cambiamenti con l’arrivo dei Borboni
nel meridione (sec XVIII).
Essi espropriarono
i feudi ecclesiastici dei quali si impadronì la borghesia rurale
che organizzò il latifondo in masseria, nella quale emerse la figura
del massaro che coordinava il lavoro
dei contadini
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Nel
XIX secolo, con l’applicazione in Italia del codice napoleonico,
furono assegnati ai contadini poveri terre demaniali per uso semina,
pascolo o legna, ma le quote furono così piccole che i contadini
si videro costretti a venderle per poter sopravvivere. La borghesia
rurale continuò ad essere, nel meridione, dominante facendo perdurare
il latifondo che nel resto d’Italia si era ormai da tempo disgregato.
Decollarono
anche con la coltura dell’ulivo e della vite, le "masserie
di campagna" che diedero lavoro ad un alto numero di salariati:
massari di campo, gualani,
bovari, massari di vacche e di pecore.
Subito
dopo l’unità d’Italia (XIXsec.) i contadini delusi
(briganti) devastarono molte di queste masserie.
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