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Da maestra convinta in massimo grado del valore dello studio e della lettura come arricchimento e sostegno dei vissuti personali, ringrazio Cosimo per la sua profonda e sensibile riflessione che condivido appieno e che mi stimola ad ulteriori considerazioni.Il dibattito in attoSu quotidiani e riviste è intenso il dibattito su questi temi, tuttavia mi pare manchi in molti articoli il passo che va oltre a una presa di constatazione della realtà, manca il che fare per dare ai giovani e alle loro famiglie la certezza che l'impegno allo studio e il sacrificio, lo sforzo dell'applicazione sono ineludibili se si vogliono costruire personalità in grado di "sopportare" il disagio, il senso di morte che accompagna ogni persona, la morte concreta quanto tocca da vicino.La scuola, noi docenti, possiamo fare molto, moltissimo, a patto che non accettiamo passivamente la constatazione del degrado culturale. Non mi riferisco a un fare basato soltanto sulle strategie, sulle metodologie, sulla didattica della lettura, dello studio che sono oggi all'avanguardia e sono tante e accattivanti. Mi riferisco all'opportunità "unica" nel suo genere che abbiamo di "farci carico" del tenere costantemente il contatto con le problematiche dell'umanità con cui veniamo a rapportarci nelle classi, nelle assemblee con le famiglie, nei colloqui individuali formali e informali, attraverso il dialogo, per mezzo di un'esplicitazione verbale costante e senza veli dei problemi a cui i giovani rischiano di andare incontro senza l'ausilio di una cultura della riflessione, del ripensamento, della rielaborazione del vissuto.Un'occasione unicaOgni volta che ci capita l'occasione preziosa, "unica" nel suo genere, di parlare, sosteniamo liberamente le nostre convinzioni senza mascherarle, ma con infinita partecipazione umana, perché chi ci ascolta possa capire che la sua lotta è la nostra identica lotta.Nella esperienza quotidiana del nostro lavoro, capita (se si vuole cogliere) costantemente che le famiglie ci palesino la loro difficoltà educativa dinanzi alle crescenti "richieste" dei figli.è in quei momenti che alta deve essere la nostra disponibilità all'accoglimento dell'altrui "sofferenza", la quale, anche se può sembrare "piccola", è sempre rivelatrice di profondi squilibri nella capacità di vivere, di affrontare le emergenze e le relazioni con gli altri.Spesso, ci paiono cose di assoluta "facilità", invece sono la spia di un abbandono alla responsabilità educativa.La "colpa" dell'abbandono della responsabilità è prima di tutto nostra: quando noi docenti scuotiamo la testa, disapproviamo, ma non siamo propositivi e non ci assumiamo la responsabilità di costruttori del sapere, falliamo miseramente e falliscono i nostri alunni. Quando affermiamo che la società è quella che è e la critichiamo ferocemente senza "aiutarla" con determinazione nel nostro quotidiano, diventiamo complici del degrado ed è finita per i Piero, i Giovanni, le Marie, le Carle di tutto il mondo.Non che il dialogo salvi, ma aiuta quando è persistente e duraturo, guai a chi molla!L'ineludibilità della dimensione della "fatica" va spiegata e rivalutataE bisogna stare attenti a non falsificare la dimensione della fatica del sapere! Troppo è il ricorso della nostra scuola al fare di tutto e di più per divertire, per rilassare, per "non pensare" al sé e all'altro.Troppo è il ricorso alla confusione, al "rumore" di attività "belle senz'anima" per far ridere e intrattenere.La risata serve, ma bisogna cominciare ad avere il coraggio di sostenere che servono anche i silenzi, il silenzio, la preoccupazione, una certa dose di ansia, il sano "sudore della fronte", la presa in carico delle responsabilità delle azioni (per grandi e piccini)! Ce la facciamo a sostenerlo di nuovo pubblicamente senza moine, ma con convinzione?Troppo è il ricorso nel contatto ravvicinato con le famiglie al "non vi preoccupate", al vi diamo "balli, canti e ricchi premi", al si impara divertendosi (che pure è vero, ma non basta): noi sappiamo bene quanto sia vero che l'interiorizzazione dell'attitudine allo studio autonomo e personale si costruisce nel momento stesso in cui ho raggiunto una conoscenza con il rovello della mente, magari dopo un tempo lungo e a volte sofferto; noi sappiamo che è in quel momento che si prova il piacere dello studio, non prima! Il prima è quello su cui si deve lavorare, è quello che la scuola ti deve permettere di intravedere come premessa a un dopo di grande soddisfazione e successo personale.Il successoUn successo che va, allora sì, stimato e sostenuto dall'adulto, mai dato per scontato, mai dimenticato, sempre colto, sempre fotografato mentre avviene, sempre acclamato se frutto di una fatica individuale. E quel successo culturale va amato (proprio amato come un dono di inestimabile utilità per la comunità insegnante e imparante) e colto dall'adulto attento ogni volta che appare per regalare autostima a ogni ragazza/o. Le famiglie giovani che sono accanto ai figli nel percorso di crescita sono meravigliose quando notano che avevamo tutte le ragioni di "spingere l'acceleratore" sui loro figli, a voler incanalare le "ribellioni" con forza e determinazione verso un'appropriazione di consapevolezza del proprio valore di costruttori di sapere. Le famiglie a quel punto ci affiancano, cominciano a dire dei no oltre che dei sì a loro rubati per sfinimento.Farsi granito che si scioglieMa noi docenti dobbiamo saper farci granito che sa sciogliersi al compimento dell'impresa (anche la più piccola!), dobbiamo (ed è la fatica più snervante del nostro lavoro che nessuno potrà mai classificare o premiare con carriere improbabili!) "sapere" e "sentire"" con sicurezza che il nostro è un ruolo scomodo ma fondamentale per la costruzione di personalità che sappiano autovalutarsi, stimarsi ed entrare in relazione con l'altro senza sete di dominio, bensì con la consapevolezza che senza l'altro, il quale stimola il nostro pensiero a decentrarsi, non si costruisce sapere, non si crea, non si fa ricerca, non si supera il dolore, non si accetta la morte, non si sa "vedere" e accogliere neppure la felicità che la vita rarissime volte dona, non si sa amare e neppure soffrire per amore, non si imparano la pazienza, la costanza, la volontà di reggere gli impatti dell'esistenza.Claudia Fantivenerdì 29 ottobre 2004 |
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