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Dei genitori e della scuola
Io fatico a capire quale sia il problema che state dibattendo. Forse perché credo che nessuno sia completamente genitore o insegnante. Ritengo che siamo persone. Quello che mi stupisce è la contrapposizione. Ognuno di noi è portatore di esperienza, gioia, sofferenza.e quando si vive la scuola, da una parte e dall'altra, ciò che è estremamente necessario è l'ascolto profondo. Difficilissimo, d'accordo, ma fondamentale per crescere senza rancore, nella consapevolezza della problematicità degli incontri. Non c'è persona brava o non brava (c'è chi si crede bravo!! Ma di questi personaggi è pieno il mondo in qualsiasi categoria!! Per cui anche fra docenti e genitori!!), non c'è "facilità"nei campi (tutti, non solo la scuola) in cui imperano le relazioni. Ci sono sensibilità più o meno spiccate, ci sono fremiti di paura, di dolore, di fatica, di orgoglio, di professionalità ferite o riconosciute.Il ruolo della famiglia tutta è insostituibile, perché l'amore di cui essa è portatrice sta alla base dell'approccio sereno con il mondo esterno di ogni bambina/o; i genitori sono le persone più importanti per sviluppare nelle/nei figlie/i il desiderio di conoscenza, l'autostima, la sete di solidarietà con il prossimo, la curiosità per il sapere, la forza di non arrendersi di fronte alle difficoltà.Poi ci sono le/i docenti che devono avere la grande umiltà di ricordarsi che (spesso) sono anche genitori e quanta fatica sia esserlo. Esse/i non sono né buone/i né cattive/i, sono lavoratrici e lavoratori che cercano con le forze, l'intelligenza, la professionalità e la disponibilità umana che hanno di andare incontro agli esseri umani che si trovano di fronte, cercano di lavorare con un occhio alla voglia di insegnare e di conoscere le persone, con un altro (quello più disattento) alla burocrazia della carta, delle relazioni, dei sistemi di valutazione imposti, ecc. Una delle cause più subdole delle incomprensioni fra genitori e docenti è la valutazione fatta a colpi di scalette di giudizi arcaici!! Una delle buffonate più grandi della scuola è il famigerato giudizio o voto, pagamento per la prestazione. Io sostengo che non ci dovrebbe essere e che la valutazione andrebbe fatta parlando, scambiandosi idee sulle variabili intervenute a indurre in difficoltà una/un alunna/o. Quando si sceglie questa strada, immediatamente si collabora, ci si guarda negli occhi, si aggiusta il tiro dei propri comportamenti (genitori e docenti), si guarda la/il ragazza/o in modo più "umano". Immediatamente scompaiono l'ansia e la diffidenza. Si costruisce qualcosa di duraturo: un rapporto fra persone che vogliono risolvere le questioni, le difficoltà, le incomprensioni.Non c'è famiglia che non venga coinvolta nel rapporto educativo quando alla base di tutto c'è la speranza (di genitori, docenti e alunne/i) di apprendimenti consapevoli, conquistati, ragionati.Non ci sono feste, accoglienze, rappresentazioni o altro che possano sostituire ciò. Anzi non si vede più la necessità di atti esteriori. Spesso la nostra è la società del "facciamo vedere".d'altra parte la vista è il senso più sviluppato di noi occidentali! Quello che mi preoccupa come persona, invece, è la difficoltà con cui in Italia si interviene da parte delle famiglie sul disagio quando è presente in maniera evidente.Sembra che l'avere una/un figlia/o dislessica/o, disgrafica/o o altro (non parlo di handicap) sia una vergogna, qualcosa da sopportare, da eludere, di fronte a cui rassegnarsi.Questo sì che è un problema tipico della famiglia italiana.Neppure di fronte a comprovate diagnosi funzionali, si vuole fare qualcosa! Così si vedono bambine/i trascinarsi per anni senza un appoggio, neppure morale. E non parlo di famiglie con scarso livello di conoscenza. Anzi, è vero il contrario: più "saliamo" nella "scala sociale", più scendiamo nella voglia di lottare per rendere la vita più facile e vivibile alle/ai figli! Si preferisce ancora fare finta che tutto funzioni, così si perde tanto tempo prezioso per aiutare una bambina o un bambino a compensare un disagio anche minimo. Mah! Non lo capisco né come docente, né come mamma. Eppure così è ancora. Su questo avrei voluto già da tempo che fosse data più mano libera alle/ai docenti (con le opportune verifiche) di intervenire in sincronia con le AUSL nel momento in cui il disagio viene identificato. Per il resto, le famiglie con cui ho a che fare, e sono tante, generalmente sono piene di fiducia e si appassionano alle "scoperte" delle figlie e dei figli. Hanno molto poco tempo per fermarsi a scuola, sono in continua corsa per la vita come me e non le posso biasimare per questo. Anzi, io penso che perfino i compiti a casa, per lo meno scritti, andrebbero ridimensionati o non assegnati, perché conosciamo bene cosa sia la vita oggi. Ci sono genitori angosciati perché vedono la fatica dell'apprendimento, si sentono in colpa, diventano perfino tristi di fronte ai compiti.Io eviterei queste situazioni. Anche perché sono anni che tocco con mano che i compiti fatti a casa sono sempre peggiori di quelli eseguiti in una scuola stimolante (una volta era il contrario!), quindi si consolidano le difficoltà invece di superarle! In quanto agli organi collegiali e alla partecipazione diretta dei rappresentanti dei genitori alla vita scolastica penso che siano stati importanti e utili a stabilire contatti e non li vorrei perdere per tutto l'oro del mondo. Tuttavia credo che i rapporti più belli con le famiglie si costruiscano attraverso le/gli alunne/i che "portano" a casa un' esperienza positiva, una risata per ciò che è successo a scuola nella giornata, il resoconto di una tavola rotonda su un argomento affrontato con le/i compagni, il racconto di una difficoltà superata insieme con l'insegnante e i le/i compagne/i. Quale miglior passaporto per una convivenza serena fra persone?! Non so se mi sono spiegata, anche perché, come ogni giorno, ho appena finito di correggere 48 lavori delle/dei mie/miei alunne/i e la freschezza non è il mio forte in questi momenti! Un abbraccio forte a tutte e tutti, genitori e docenti. Claudia a.s. 2000/2001 |
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