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Dopo gli Stati Generali


Materiali didattici


Sulla valutazione


Valutare gli insegnanti


 

 

Valutare gli insegnanti?

 

Può capitare che sostenendo con decisione la via di una valutazione formativa, senza verifiche standard, si ricevano insulti, risposte alquanto arroganti e impertinenti (del tipo: hai paura della valutazione esterna?!). A me è successo.

Dico con grande tranquillità e in tutta coscienza che non ho mai fatto partecipare le bambine e i bambini a prove di verifica e valutazione "suggerite" dall'alto, semplicemente perché non credo possano incidere in alcun modo sul modo di insegnare e di apprendere. Inoltre non vedo quale ricaduta potrebbero avere sul lavoro quotidiano dentro la classe con i bambini in difficoltà, non soltanto i diversamente abili (la considero una perdita di tempo per gli studenti in ogni ordine di scuola, ma alle elementari, un affronto alla pedagogia della relazione e a quella conversazionale). Nel mio team sono anni che pratichiamo la "valutazione" formativa, tralasciando la sommativa (ciò grazie alla possibilità di far ricorso alla cosiddetta "Innovazione educativa", ma ora forse, così ci è stato ventilato, dovremo terminare ( cambio di tempi e clima in vista della riforma) l'esperienza molto positiva e di grandi risultati in riferimento alla crescita dell' autostima di bambine e bambini e dei loro risultati nell'apprendimento!

 

Ovviamente, nessuno dall'esterno è mai venuto a chiederci come avessimo fatto a portare avanti in modo positivo l'esperienza, nessuno ha mai chiesto alle famiglie che cosa apprezzassero di tale sistema, così tutto si chiuderà senza infamia e senza gloria come tutte le belle esperienze che ognuna di noi fa con tanta fatica e tanta professionalità. Sembra proprio non interessare particolarmente il vero lavoro da certosino che tutte noi svolgiamo per combattere la dispersione e valorizzare le diversità, i punti di forza delle bambine e dei bambini.

 

In realtà interessa alle famiglie e ai bambini che si sono trovati a loro agio in un modo- mondo che valorizzava i punti forti e affrontava i punti deboli facendo leva sui forti che venivano riconosciuti a ognuno.

 

Probabilmente, in una tal valutazione, si corre il rischio di essere più artigiani, più professionisti affettivi (assicuro non buonisti, semplicemente attenti osservatori coinvolti emotivamente di punti di debolezza e di forza) che non tecnici organizzatori di griglie e schemi, ma che cosa deve essere la scuola di base se non fucina di cambiamento e di rispetto reciproco fra adulti e "piccoli"?

Cosa deve volere la scuola se non un'attenzione accogliente per tutte le intelligenze in via di fioritura?

 

Perché questa mania di etichettare, di mettere nero su bianco ogni respiro, puntando il dito sulle difficoltà, sulle mancanze, sulle lacune?

 

Non ci sono forse i lavori quotidiani a rendere già conto dei risultati raggiunti da ognuno in base alle proprie risorse e ai percorsi intrapresi?

 

Si è sicuri che propinando prove strutturate in tempi e modalità decise da altri che non siano gli insegnanti si possano conoscere effettivamente i livelli della scuola? Se non si é sicuri, non ci si deve muovere! E' una perdita di tempo prezioso.

 

La scuola dovrebbe avere il coraggio di ribaltare il problema della valutazione, muovendosi in direzione dell'osservazione coinvolta nei processi di apprendimento, iniziando a riflettere su come sia importante per ogni persona in crescita trovare autostima in un apprendimento cooperativo fra pari, in un continuo aiuto reciproco per la risoluzione dei problemi.

 

Non mi piace fare citazioni, ma questa volta non mi voglio astenere: rileggersi (ascoltandoli veramente, come fossero un canto libero) i libri di De La Granderie , oppure, per restare nel nazionale, di Paolo Perticari (abbiamo dei veri tesori in Italia, ma li snobbiamo!), potrebbe mettere positivamente in crisi i modi che finora si sono scelti per valutare.

 

D'altra parte si potrebbe anche non citare, perché i primi esperti, del disastro a cui possono portare le prove strutturate, le verifiche, sono gli insegnanti attenti alle sfumature e ai cambi repentini di atteggiamento dei loro studenti!

 

La stanchezza che ci pervade nel constatare di come non si riesca a capire che la scuola non forma proprio quando è fatta della triade "studio individuale, interrogazione, prova di verifica di quanto ho imparato" è pari alla consapevolezza di quanto la triade sia utile soltanto al fine di far rientrare in schemi che dovrebbero esplicitare i livelli di prestazione.

 

Personalmente, come insegnante, penso sia molto più proficuo rendermi conto di un problema attraverso l'osservazione diretta in situazione di apprendimento (studiarmi la situazione e gli studenti in situazione di apprendimento), rimboccarmi le maniche , applicare una strategia per risolvere il problema insieme con gli studenti portandoli a costruire autonomamente un percorso vincente per quel segmento di apprendimento o di approccio relazionale con gli altri che non ha dato frutti soddisfacenti per la persona- studente e per il gruppo in cui vive.

 

Mi si dirà che è un modo non scientifico, ma io ritengo che non esista scientificità che tenga di fronte alle persone in apprendimento!

Lo sappiamo tutti intimamente se ripercorriamo la nostra stessa storia di studenti- essere umani condizionati da molteplici fattori.

 

Per cambiare veramente, la scuola avrebbe semplicemente bisogno di persone in grado di ascoltare e rispondere nella stessa lingua: quella del rispetto per l'intelligenza altrui, dell'apprendimento conquistato con la continua messa in discussione e rielaborazione dei propri percorsi mentali a confronto con gli altrui. Non è facile, non sempre ci si riesce, ma è l'unico sistema. Io parlo per la scuola di base, mi intendo di quella, ma so che alcuni colleghi delle medie e delle superiori la pensano come me.

Se stare in situazione di apprendimento cooperativo coi bambini, stare dentro, non fuori, porta al successo se pur differenziato per gradi di acquisizione e interiorizzazione, perché non lavorare sempre e comunque sulle modalità di affronto dei problemi didattici e metodologici, relazionali.senza perdere tempo in prove standard?

 

Certo, in giro si sente tutto e il contrario di tutto e dagli stessi pedagogisti (anche da quelli insospettabili che si lasciano contagiare a turno dalla mania "valutativa"!): attenzione agli stili di apprendimento, ai tempi distesi, all'affettività ed emotività e nello stesso momento... zacchette. ci inondano di prove avulse dal contesto e in modo "ben" organizzato: tempi decisi a tavolino, mancanza quasi totale di flessibilità, esclusioni!

 

 

Leggendo le prove standard somministrate negli anni da vari organismi, leggendo i documenti di accompagnamento, non ho mai capito a quale scuola si rivolgessero, a quali bambini, a quali percorsi didattici o metodologici.

 

Anzi, prove e documenti mi "hanno parlato" del "groviglio tecnico di strutture e sovrastrutture" che probabilmente c'é sotto tutta l'operazione, la quale, probabilmente, dà modo di esprimersi a tanti esperti.

 

Molte/i di noi che partecipano a incontri entusiasmanti di confronto su esperienze didattiche nelle classi (dalle elementari alle superiori) si chiedono, viste le bellissime esperienze che ci si scambiano, per risolvere problemi reali dei bambini e dei ragazzi, come mai come insegnanti non si riesca a illustrare, a far vedere, a rendere trasparente, a far neppure intuire all'esterno e su vasta scala, ciò che si può fare e si fa per le classi in cui "abitano" concretamente le persone con i loro vissuti; invece, al contrario, siamo ancora nella posizione di dovere applicare le direttive estranee alla nostra realtà di coloro i quali di scuola sanno quello che credono di sapere o per pregiudizio o per "lontananza" dalla preparazione in campo metodologico- didattico applicato nel presente vivo delle situazioni contingenti di una classe.

 

Il nostro lavoro é "caldo", si fonda sul modo indicativo presente, il loro é "studiato" a tavolino e si anima del modo condizionale delle presupposizioni su ciò che lo studente "medio" dovrebbe sapere e dovrebbe essere in grado di...,uno studente modello di una scuola che essi (esperti) "studiano".

Il nostro studente invece é lì coi suoi "acciacchi" presenti, con le sue richieste inespresse che noi dobbiamo interpretare minuto dopo minuto, anche se i suoi modi "non ci piacciono" e conducono il nostro lavoro didattico verso direzioni che noi non avevamo "pensato" e ci fanno riflettere sul significato, sulle modalità e sul senso del "valutare" oggi.

 

Anche la partecipazione a corsi di aggiornamento, a scambi di esperienze concrete, per noi insegnanti, é spesso spinta dalle difficoltà che sorgono, sempre diverse, così come sono diversi i ragazzi che affrontiamo; invece il sapere di chi parla di scuola e costruisce su basi "scientifiche" prove di "valutazione per" o, peggio, riforme di sistema, diviene subito vecchio e inapplicabile alla realtà pulsante delle classi soggetta alle modificazioni della "storia" sociale che "vive" e cambia repentinamente.

E poi, ci si domanda, ma queste prove di valutazione a che cosa e a chi realmente porteranno benefici? Tutta questa spesa di energie intellettuali e di denaro non potrebbe essere impiegata altrimenti, magari in

un'operazione di ascolto (dei vari tecnici ed esperti) a tappeto, nelle scuole, dei bisogni e delle risorse formative e materiali necessari per poter migliorare la vivibilità del clima scolastico e per poter sostenere il cuore della scuola: lo "scontato" rapporto insegnamento/apprendimento.

Noi ringrazieremmo gli esperti se si mettessero al servizio della nostra scuola reale, veramente al servizio, non per giudicarla, bensì per conoscerla e rispettarla nelle sue problematicità quotidiane, nel suo sforzo immane di far fronte alle sfide dell'apprendimento/insegnamento nella società che muta coi suoi giovani mai riconducibili ad alcun modello ideale.

Non potrebbero i tanti esperti presenti sul territorio nei vari uffici scolastici regionali farsi attenti ascoltatori di chi lavora sul campo? Qualcuno c'é, lo so, ma non basta. Forse, la cultura burocratica borbonica dell' io penso e tu esegui, dell'apparato di stato che mostra l'efficienza attraverso i muscoli dei moduli e dei test prestampati é ancora lontana dal morire.

Ho visitato un Centro Documentazione Apprendimenti (diretto da persone di sopraffina sensibilità pedagogica e didattica oltre che culturale, animate da fiducia verso gli insegnanti: i risultati di questa fiducia si possono toccare con mano), là ho potuto visionare con una certa calma numerose esperienze documentate da altri insegnanti di elementari, infanzia, media e superiori: sono lavori bellissimi e pieni di passione per alunne e alunni. Il centro ha messo a disposizione un'intera stanza per la mostra con tanto di computer e materiali anche multimediali, ma non c'era nessuno a visitare il tutto.
C'eravamo io e una giovane laureata in scienze della formazione (stupefatta per la mancata affluenza: mi chiedeva come mai non ci fosse nessuno, visto il ben di dio esposto!). Che peccato! Forse le "maestranze", abbassando lo sguardo, avrebbero modo di acquisire fiducia per questa scuola che ogni giorno prova umilmente a risorgere, ma le "maestranze" chi sono se non esseri umani anch'essi stritolati dalla macchina dei mille impegni collaterali?

 

Gli "addetti al giudizio" percorrono le loro strade di rappresentanza ...

 

Il problema della scuola é che chi non la fa disquisisce con "cura" scientifica e scientificamente su di essa per contratto e chi la fa non ha tempo o non considera importante il disquisirne, ma soprattutto tende a considerarsi, a torto, esecutore delle direttive di altri!



Claudia Fanti

a.s. 2000/2001

 

 


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