A proposito delle prove INVALSI e della presunta paura che molte/i di noi avrebbero di esse, dico subito che non c'è alcuna paura, ma una decisa avversione a sottoporre, per l'ennesima volta, chicchessia, piccoli inclusi, a test, a questionari, a prove che dovrebbero definire la qualità.
Scusate tanto, ma a che sono serviti fino a ora?
A dimostrare che la scuola è a un qualche posto in graduatoria nel mondo?
A cambiare le strategie didattiche e gli atteggiamenti mentali?
A rivoluzionare il modo di far scuola?
Siamo obiettivi, la scuola non cambia per mezzo di attestazioni di qualità, di prove strutturate avulse da un contesto di apprendimento/insegnamento. Non cambia di una virgola. Non lo si è ancora intuito forse?
Invalsi o altro servono allo scopo di formare, istruire, coinvolgere le alunne e gli alunni affinché divengano parte attiva di una cittadinanza consapevole e preparata?
Suvvia, chi ancora può credere che serva monitorare a tappeto schiere di alunne e alunni?
Perché, ci si chiede spesso, non si convogliano risorse economiche nella direzione di favorire una organizzazione scolastica rivolta a mettere nelle mani dei docenti lo studio e la ricerca in materia di metodologia e didattica, piuttosto che indirizzarli a perdere tempo nella lettura di documenti ministeriali dentro commissioni costituite a tal scopo dai Collegi Docenti ormai sbalorditi dalla quantità di decreti, circolari? Perché? Perché differentemente da pochi anni fa, le/i docenti delle elementari e dell'infanzia partecipano meno numerosi a corsi d'aggiornamento e seminari di studio?
Non sarà che ormai si sia tolta loro la motivazione a essere protagonisti della propria formazione in servizio, preferendo istruirli sul come e il cosa fare per applicare le novità ministeriali? Il tempo infinito dedicato a fare acrobazie per interpretare il nuovo lessico pedagogico ovviamente non può poi venire impiegato per riflettere sul come e sul come fare meglio per organizzare la quotidianità scolastica di apprendimento/insegnamento. Il primo diventa un tempo per realizzare e confezionare gli "oggetti" della riforma, il secondo ritorna ad essere un cammino individuale di docenti di buona volontà che si ritagliano spazi fuori dalla scuola per "divertirsi" ancora in ambiti di studio e ricerca esterni all'istituzione di appartenenza.
Invece di insistere da parte di molti sulla valutazione di sistema che lascia il tempo che trova, non sarebbe meglio porsi qualche interrogativo su ciò che vale oggi per entrare "in contatto" con alunne e alunni affinché possano diventare protagonisti attivi del loro apprendimento? affinché possano trovare nella scuola una vera palestra di ragionamento e vita, di metacognizione e costruzione lenta del proprio sapere, senza dovere essere "monitorati" a ogni piè sospinto?
Anzi, ci sarebbe bisogno che dirigenti, esperti di valutazione, esperti a vario titolo, insieme con i docenti, non senza di loro o, peggio, contro di loro, cominciassero a interrogarsi sulla positività o negatività, sull'utilità o inutilità, di un sistema di valutazione ormai stantio basato su trasmissione, atteggiamento attentivo del discente (l'atteggiamento attentivo è altra cosa dall'attenzione come primo atto fortemente voluto), sua produzione, verifica, punteggi, riproposizione di un'attività nel caso la verifica sia andata male e di nuovo verifica e punteggi (che poi solitamente finiscono col discostarsi di poco da quelli che li hanno preceduti).
E' possibile sperare che si vada oltre il passato e il presente di soluzioni che non hanno dato frutti? E' possibile che tutti insieme, persone di scuola ancora motivate, si possano trovare strade alternative per far fronte alla demotivazione e alla lontananza di tanti giovani dalla "loro" scuola? Per far fronte agli abbandoni?
Siamo sicuri che indurre la scuola alle solite prove di valutazione porti a un rivoluzionamento dei modi di insegnare? Non sarà piuttosto che la scuola venga indotta a conformarsi alle richieste della valutazione nazionale?
Non si potrebbe tutti insieme "studiare" qualcosa di assolutamente diverso per "crescere" veramente come cittadini responsabili della formazione-istruzione di ragazze e ragazzi?
Sarebbe proprio motivante per tutte/i che si tornasse a parlare ogni istante del come insegnare, del cosa e del come valutare, partendo dalle problematiche attuali di schiere di alunne e alunni, senza arroccarsi su posizioni valutative che di "moderno" e "razionale" non paiono avere più niente, in quanto non sembrano poter più "leggere" la realtà pulsante della fatica dell'imparare ad apprendere e ad insegnare riflettendo più sui processi che sui risultati.
Forse, se insieme si cominciasse, di nuovo e sempre, a studiare una futura strada possibile, i risultati verrebbero eccome.
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