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Invalsi? Le paure sono ben altre


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Bisogno di senso


Invalsi? Le paure sono ben altre


Portfolio: linee guida


 


 


 

 

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Claudia Fanti - 14-03-2005


A proposito delle prove INVALSI e della presunta paura che molte/i di noi avrebbero di esse, dico subito che non c'è alcuna paura, ma una decisa avversione a sottoporre, per l'ennesima volta, chicchessia, piccoli inclusi, a test, a questionari, a prove che dovrebbero definire la qualità.

Scusate tanto, ma a che sono serviti fino a ora?
A dimostrare che la scuola è a un qualche posto in graduatoria nel mondo?
A cambiare le strategie didattiche e gli atteggiamenti mentali?
A rivoluzionare il modo di far scuola?

Siamo obiettivi, la scuola non cambia per mezzo di attestazioni di qualità, di prove strutturate avulse da un contesto di apprendimento/insegnamento. Non cambia di una virgola. Non lo si è ancora intuito forse?
Invalsi o altro servono allo scopo di formare, istruire, coinvolgere le alunne e gli alunni affinché divengano parte attiva di una cittadinanza consapevole e preparata?
Suvvia, chi ancora può credere che serva monitorare a tappeto schiere di alunne e alunni?

Perché, ci si chiede spesso, non si convogliano risorse economiche nella direzione di favorire una organizzazione scolastica rivolta a mettere nelle mani dei docenti lo studio e la ricerca in materia di metodologia e didattica, piuttosto che indirizzarli a perdere tempo nella lettura di documenti ministeriali dentro commissioni costituite a tal scopo dai Collegi Docenti ormai sbalorditi dalla quantità di decreti, circolari? Perché? Perché differentemente da pochi anni fa, le/i docenti delle elementari e dell'infanzia partecipano meno numerosi a corsi d'aggiornamento e seminari di studio?

Non sarà che ormai si sia tolta loro la motivazione a essere protagonisti della propria formazione in servizio, preferendo istruirli sul come e il cosa fare per applicare le novità ministeriali? Il tempo infinito dedicato a fare acrobazie per interpretare il nuovo lessico pedagogico ovviamente non può poi venire impiegato per riflettere sul come e sul come fare meglio per organizzare la quotidianità scolastica di apprendimento/insegnamento. Il primo diventa un tempo per realizzare e confezionare gli "oggetti" della riforma, il secondo ritorna ad essere un cammino individuale di docenti di buona volontà che si ritagliano spazi fuori dalla scuola per "divertirsi" ancora in ambiti di studio e ricerca esterni all'istituzione di appartenenza.

Invece di insistere da parte di molti sulla valutazione di sistema che lascia il tempo che trova, non sarebbe meglio porsi qualche interrogativo su ciò che vale oggi per entrare "in contatto" con alunne e alunni affinché possano diventare protagonisti attivi del loro apprendimento? affinché possano trovare nella scuola una vera palestra di ragionamento e vita, di metacognizione e costruzione lenta del proprio sapere, senza dovere essere "monitorati" a ogni piè sospinto?

Anzi, ci sarebbe bisogno che dirigenti, esperti di valutazione, esperti a vario titolo, insieme con i docenti, non senza di loro o, peggio, contro di loro, cominciassero a interrogarsi sulla positività o negatività, sull'utilità o inutilità, di un sistema di valutazione ormai stantio basato su trasmissione, atteggiamento attentivo del discente (l'atteggiamento attentivo è altra cosa dall'attenzione come primo atto fortemente voluto), sua produzione, verifica, punteggi, riproposizione di un'attività nel caso la verifica sia andata male e di nuovo verifica e punteggi (che poi solitamente finiscono col discostarsi di poco da quelli che li hanno preceduti).

E' possibile sperare che si vada oltre il passato e il presente di soluzioni che non hanno dato frutti? E' possibile che tutti insieme, persone di scuola ancora motivate, si possano trovare strade alternative per far fronte alla demotivazione e alla lontananza di tanti giovani dalla "loro" scuola? Per far fronte agli abbandoni?

Siamo sicuri che indurre la scuola alle solite prove di valutazione porti a un rivoluzionamento dei modi di insegnare? Non sarà piuttosto che la scuola venga indotta a conformarsi alle richieste della valutazione nazionale?

Non si potrebbe tutti insieme "studiare" qualcosa di assolutamente diverso per "crescere" veramente come cittadini responsabili della formazione-istruzione di ragazze e ragazzi?

Sarebbe proprio motivante per tutte/i che si tornasse a parlare ogni istante del come insegnare, del cosa e del come valutare, partendo dalle problematiche attuali di schiere di alunne e alunni, senza arroccarsi su posizioni valutative che di "moderno" e "razionale" non paiono avere più niente, in quanto non sembrano poter più "leggere" la realtà pulsante della fatica dell'imparare ad apprendere e ad insegnare riflettendo più sui processi che sui risultati.

Forse, se insieme si cominciasse, di nuovo e sempre, a studiare una futura strada possibile, i risultati verrebbero eccome.




 Cosimo De Nitto    - 17-03-2005
Ci nutriamo di luoghi comuni. Uno di questi, e pittosto trasversale, è la cosiddetta paura della valutazione da parte degli insegnanti.
Viene detto con tono rassicurante: che cosa c'entra la valutazione del "sistema" con la valutazione degli insegnanti? Come se il sistema fosse un iperuranio avulso dai soggetti e dai processi in cui questi sono immersi.
Siccome chi insegna nel quotidiano sperimenta la complessità, precarietà, fallibilità della valutazione mi sembra naturale che davanti alle certezze, alla retorica sociologica basata tutta su logiche quantitative e matematiche, essi si allarmino e cerchino di sapere chi, che cosa, come, perché si vuole "valutare". Soprattutto, mi sembra voglia suggerire Claudia Fanti, fateci sapere come e cosa può produrre questa pratica ai fini del processo primario di cui la scuola si occupa, che è quello dell'apprendimento/insegnamento.
La valutazione che conoscono gli insegnanti è quella non basata unicamente sul possesso della singola conoscenza, che può essere anche solo mnemonica, intuitiva, priva di basi concettuali e comunque slegata da reti e mappe mentali, quale può venire fuori dalla risposta ad una domanda di un questionario somministrato (sic!).
Gli insegnanti sanno che anche quando i ragazzi danno le stesse risposte ciò non garantisce in maniera più assoluta che siano frutto di un apprendimento significativo. Il fatto potrebbe soddisfare il sociologo, l'elaboratore di statistiche che potrebbero annunciare verità assolute su ciò, ma non l'insegnante che conosce troppo bene l'artificiosità degli "standard". Lui che quotidianamente è chiamato a rilevare e valutare i progressi degli allievi in relazione non a standard, ma ad obiettivi che hanno senso solo se commisurati alle conoscenze dell'alunno, quelle di partenza e quelle che faticosamente ed imperfettamente acquisisce in un percorso di lavoro didattico. Un percorso in cui valutatore e valutati sono tutti interni, ed in cui la valutazione stessa è "interna" e parte inseparabile che contribuisce al successo del processo stesso.
Si può dire qualcosa di lontanamente paragonabile a ciò a proposito delle prove dell'INVALSI? C'è qualcuno che ha spiegato a quei testoni degli insegnanti, gelosi dei loro privilegi e della loro zona franca che vogliono difendere a tutti i costi, quali coerenze metodologiche, quali presupposti teorici, quali relazioni passano tra la raccolta (vendemmia forse) di dati ed il loro lavoro?. Essi sono abituati alla valutazione "interna", per così dire. E soprattutto chiedono, qualche volta gridano, anche giustamente, come fa Claudia Fanti, che si fornisca un minimo di decente giustificazione, che non può essere semplicente quella di un ordine di servizio calato dall'alto. E che soprattutto ci sia più rispetto per chi, nonostante tutto, si dibatte quotidianamente per mantenere la rotta sull'obiettivo principale della scuola che altrimenti tra monitoraggi, monitoraggi dei monitoraggi, somministrazione di questionari, data entry, complesse procedure informatiche di registrazione ed ingresso in sistemi che spesso fanno acqua da tutte le parti, e così via, che, se aggiunti a progetti e progettini vari, ci fanno porre la più semplice domanda del mondo: scusi ma quando e cosa si impara in questa scuola?
Magari sapremo "truccare" i risultati e risaliremo di qualche punticino le "graduatorie" internazionali; magari il ministro di turno ci farà un po' di pubblicità e di campagna elettorale. Ma il dramma della conoscenza e della formazione oggi con questo sistema scolastico resterà quasi interamente solo sulle spalle degli insegnanti. Altro che paura di essere valutati.
Se Claudia Fanti a modo suo, e col suo stile espositivo (che, quanto meno per buona educazione, non può essere preso a pretesto per attaccare il suo punto di vista) voleva dire questo, io sono d'accordo con lei. Condivido le sue preoccupazioni, i suoi sentimenti, che sono molto più avvertiti di quanto si creda.
E poi basta con il prendere sempre a pretesto i cattivi pensieri di quella parte cattiva della categoria per non confrontarsi col merito dei problemi che solleva quella parte degli insegnanti che ogni giorno si dibatte tra mille difficoltà e lavora duro per dare un senso alla propria professione ed alla scuola, malgrado le sciagurate politiche di questo o quel ministro di turno che ci si augura passi il più presto possibile.

 Stefano Borgarelli    - 18-03-2005
D'accordissimo su: "Sarebbe proprio motivante per tutte/i che si tornasse a parlare ogni istante del come insegnare, del cosa e del come valutare, partendo dalle problematiche attuali di schiere di alunne e alunni, senza arroccarsi su posizioni valutative che di "moderno" e "razionale" non paiono avere più niente". Per confortare tutte le condivisibili (e militanti, e fondatissime) perplessità critiche della collega Fanti, suggerisco un cfr. alle voci "VALUTAZIONE" (in partic. quella redatta da Guido Armellini), qui: http://www.cespbo.it/testi/controlessico/controlessico.htm

 Patrizia    - 20-03-2005
Io sono un'insegnante che deve valutare continuamente i propri alunni, ma anche le proprie scelte didattiche. Ritengo che valutare e autovalutarsi siano competenze indispensabili per un insegnante.
Credo di possedere in modo adeguato queste due competenze, per questo non ho paura delle prove dell'Invalsi. Sono anzi curiosa di valutare se queste prove siano in grado o meno di effettuare una valutazione significativa.

 

 


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