Il passato ai giovani
Cosa si potrebbe lasciare come eredità alla scuola futura, per un Italia futura, nel trascorrere del tempo che incalza al cambiamento?
Si fanno enunciazioni, pronunciamenti, catilinarie di vario tipo, lo sappiamo; leggiamo su quotidiani e riviste ogni giorno, ascoltiamo discorsi di personalità, politici, ministri che si susseguono, varie raffinatezze di colore e gusto diversi.
A sentire uno e a seguire l'altro ci si perde nel bosco di sentenze, percentuali, indagini sui risultati di test e sondaggi, ma.ciò che non si vede mai è l'intenzione di capire la realtà scolastica alquanto diversificata sul territorio italiano. Non si comprende come mai nei vari discorsi delle persone che stanno al comando della baracca non ci sia mai un riferimento alla ricerca scientifica, pedagogica, all'esperienza di ispettori scolastici quali Cerini, Boselli, Tiriticco, ecc., oppure alle parole dei dirigenti scolastici che lavorano quotidianamente a contatto con scuole di qualità, o a docenti che si misurano con le organizzazioni interne e riescono a produrre insegnamenti di grande rilevanza coordinando e conducendo gruppi di alunne e alunni in porti protetti sia sul versante del cognitivo sia del relazionale.
Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini per la loro prevalente natura di politici provenienti da settori lontani dalla scuola elementare hanno saputo e/o voluto annusare un'aria qualunquista di ipotesi e di affermazioni provenienti da bar e negozi di paese; sicuramente alcuni di loro non hanno preso visione direttamente dei programmi dell'85 (accusati spesso ingiustamente di cognitivismo esasperato, altro che '68!), dei moduli e dei tempo pieno migliori, certamente non hanno tarato le loro politiche scolastiche su ciò che funzionava. Hanno semplicemente tagliato. E se Berlinguer aveva un'idea abbozzata, forse troppo affrettatamente- semplicisticamente (da molti criticata), di continuità fra gli ordini, la Moratti un pedagogista di riferimento in Bertagna, Fioroni una capacità attendista per non distruggere ciò che restava dalle devastazioni precedenti, la Gelmini ha ora, fin dall'inizio del suo insediamento, un ruolo passatista, un orecchio rivolto al buon sensismo di strada. Maestro unico o prevalente che dir si voglia, orari ridotti per le materie e per gli insegnamenti, voti, ecc.hanno azzerato del tutto il rimanente del rimanente.Ora salta fuori "Italia Futura" a cercare le cause di ciò che non va, e le trova in un concetto di autonomia che sarebbe stato soltanto devastante, in un periodo di perdurante riformismo, nell'incapacità delle Indicazioni di far fare apprendimento-insegnamento unitario nel Paese, in una non adeguata preparazione universitaria dei futuri maestri.
Bene, ritengo che si sia perduta la bussola, insieme con il ministro Castelli che risponde alle problematiche dei precari con il suo "c'era una volta una scuola che funzionava con 44 alunni per classe!" Se è per questo anche con 56 (la mia mamma maestra si destreggiava in un paesino del faentino con tanti alunni, in una pluriclasse! Personalmente frequentavo una classe silenziosissima di 36, tutti in fila e abbondantemente "picchiati"!).
Altro che saperi del nuovo millennio!
Ora, richiamando il Prof. Israel, si potrebbe affermare piangenti che la colpa delle disgrafie sono le mancate aste, sono le incompetenze dei maestri.bene bene, con buona pace dei malpensanti, si può dire tutto e il contrario di tutto per avvalorare politiche antiquate e insipienti, ma la qualità della scuola, di cui non si conosce più il significato, o per lo meno, se ne danno talmente infiniti significati, da confondere anche il più agguerrito tra maestre e maestri, si fa soltanto studiando, facendo ricerca sulle più avanzate teorie coniugandole con l'artigianato, la maestria di chi scopre quotidianamente sfumature, cambiamenti sociali minimi e tuttavia costanti; coniugandole con la maestria relazionale di persone-insegnanti che si mettono in gioco in team, si confrontano e assorbono dell'altro differenti strategie aggiustando il proprio tiro didattico- umano.
Ecco la "riforma" che vorremmo: quella che ci permettesse, anzi ci "costringesse", stimati e ascoltati, di fare squadra ancor più, di aggiornarci sul campo (altro che le sole aule universitarie!), che ci desse la possibilità di specializzarci in un ambito lasciando ai compagni di squadra di farlo in un altro e di programmare ancora insieme, quella che valutasse non le nostre "bravure" di singoli, ma la nostra disponibilità, dopo lo studio, a condividerlo con altri studi.Insomma, una "riforma" che partendo dal già visto di moduli e tempo pieno, ci portasse alla raffinatezza pedagogica della costruzione di laboratori di idee, immagini di un futuro in cui maestre e maestri insieme, sempre di più, diano le fondamenta di un vivere civile di conoscenza e umanesimo solidali, istruzione senza coercizione, educazione senza pregiudizi e sbarramenti contro le difficoltà, le quali, ovunque, in ogni tempo, presenti sui banchi di scuola, tra bambini e bambine (italiani e non!), dovrebbero divenire trampolini di lancio per approfondire di nuovo teorie e ricerca; altro che i voti! I voti hanno selezionato, ma non hanno insegnato alle insegnanti come si insegna, quando ce ne sia bisogno, per combattere la dispersione e l'abbandono.
Maestro/a unico (prevalente?), tagli e limitazioni di spazi o tempo non fanno riforme, bensì cadaveri di potenzialità, morte della passione-ragione, uccisione della motivazione, isterilimento di metodi, didattica, pedagogia.Nascono invece gli individualismi dei primi della classe fra alunni e alunne, fra docenti e docenti, fra dirigenti e dirigenti.Rinasce quella cosa antica del fare e rifare le stesse cose rassicuranti di un tempo, portandosi i vecchi quaderni degli anni precedenti da casa per timore di non portare a termine il "programma", il quale, tra l'altro, non è neppure più un programma, esso rimane il fantasma di ciò che eravamo a cui si corre costantemente ad aggrapparsi nei periodi di oscurantismo, perché si sa, l'essere umano, in genere, se non stimolato da politiche avanzate, tende a essere conservatore.per sopravvivere con meno problemi possibili!
Si tenga presente che la scuola non è un carrozzone sgangherato; essa è invece una fragile struttura abitata da sensibilità delicate, da intelligenze, esperienze, competenze di estremo valore, artigianato di preziosa fattura e come tale andrebbe trattata, rispettata, ascoltata, valorizzata in ogni sua componente.
E poi si dia spazio a giovani insegnanti, donne e uomini, al loro tempo, al loro essere immersi e inondati di attualità, nuovo/i linguaggio/i, nel senso di studiare un sistema che consenta ai docenti anziani di divenire risorse per loro, compagne/i iniziali di viaggio, per poi riposare nell'epoca che li vede colmi di esperienza e sapere concreto da condividere e da cui altre/i possano ripartire consapevoli.
Le classi ai giovani, le aule di studio e tutorato agli anziani.
Claudia Fanti
20 gennaio 2010