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E' nato prima l'uovo o la gallina?
La domanda amletica me la pongo ogni giorno: mi spiegherò meglio. E' la società che ha condizionato la scuola a scegliere generalmente sistemi di insegnamento-apprendimento il più possibile individualistici e competitivi, formando così esseri estremamente soli e rampanti, disposti a tutto pur di salire economicamente e in immagine, oppure è stata la scuola, nel tempo, ad aver prodotto sperequazioni fra gli esseri umani appartenenti a un territorio, incentivando sempre più la salita dei meno fragili e dei più disposti ad adattarsi? Sinceramente non so. Pensando alle esperienze di quando ero una bambina, o a quelle di insegnante, mi sembra che effettivamente una, la società, riproduca l'altra, la scuola, e viceversa. Nel senso che, anche nel migliore dei casi, la scuola ha faticato a sganciarsi dall'idea che soltanto i contenuti erano quelli che contavano e che ci avrebbe dovuto pensare l'individuo, bambina/bambino, a capire, a consolidare, a.imparare: noi, indubbiamente siamo cresciute/i in una scuola siffatta. E a chi è stato "bravino" sembra oggi inutile che si perda tanto tempo a parlare di strategie per favorire l'apprendimento. Ecco che salta fuori l'elite dei "bravi"! Indubbiamente ce ne sono ancora di "bravi" al primo colpo, ma molto pochi, viste le nostre lamentele sul livello d'attenzione, sulla difficoltà a comprendere, ad ascoltare, ad amare la lettura, a consolidare apprendimenti appena riusciti, ecc. Allora come mai c'è tanta resistenza a rivolgersi a strategie che aiutano a superare i problemi? C'è, anche giustamente, molta diffidenza a prendere in toto strategie inventate da altri, per esempio, la "didattica breve", il cooperative learning, perché spesso sono presentate in un modo artificioso e "scientifico"(freddo), infatti nella maggior parte dei casi, nella foga espositiva, gli autori o gli sperimentatori hanno un rigore e una sistematicità nel presentare le varie fasi del lavoro che allontanano anche i più curiosi. Spesso poi, non c'è neppure l'ombra dell'insuccesso nelle loro narrazioni, così essi sembrano insinceri: anche a questo proposito quanto gioca l'affettività!! Anche le/gli insegnanti hanno bisogno di verificare insieme quasi "giocando" per poter credere e cambiare: non basta leggere e studiare per convincersi della validità di una scelta fatta da altri! Io credo, infatti, che il prestare attenzione all'affettivo sia già una prerogativa della scuola elementare, ma anche in questo ordine di scuola ci vorrà tempo per ribaltare una impostazione abbastanza "insegnantecentrica". Lo si dovrà fare per gradi, preservando spazi di libertà individuale nella sperimentazione di possibili strade che vedranno un fiorire di attività volte al cambiamento di rotta: saranno le bambine/i stesse/i che ce lo imporranno mettendoci davanti sempre più al loro rifiuto e ai loro no "testardi e incoscienti". Non che la scuola debba, possa cambiare il mondo, ma essa non può neanche incaponirsi ad autoriprodursi sempre nello stesso modo. Ciò non significa che non sia stato un bel modo, ma non va già più bene per molte/i bambine/i! La scuola elementare, che più volte si è aggiornata e ha cambiato volto in materia di strategie e metodologie, lo sta facendo ancora e lo farà, perché si accorge per prima dei cambiamenti radicali fra una generazione di bambine/i e l'altra. Velocemente adatta e modifica, anche per prove ed errori, il proprio assetto didattico, forse in modo non scientifico, in quanto crea, sperimenta sul nascere le problematiche, imbocca le possibili strade e le aggiusta e le arricchisce via via, perché altrimenti non sopravviverebbe alle richieste spontanee di aiuto che vengono dall'infanzia. Richieste di vario tipo, non sempre esplicite, spesso urlate, gridate in modo duro e non "convenzionale", perché l'età delle/dei bambine/i della scuola elementare non ha ancora infingimenti. Questa è la nostra "tortura", ma è anche la nostra "fortuna". Io sono arrivata così, piano piano, alla determinazione di modificare in parte il mio modo di far scuola, proprio perché, nonostante avessi avuto dalla mia la possibilità di approfondire sempre la didattica delle materie che insegno, anche per mezzo dell'incontro con validi insegnanti, o per la frequenza di bellissimi corsi e per aver compiuto studi adatti al lavoro, le classi non rispondevano più nello stesso modo. L'era del cognitivismo è veramente passata, pur avendo lasciato la traccia in modo indelebile e spesso positivo, pur infarcendo e arricchendo di strategie fondamentali il nostro bagaglio di abilità didattiche (guai a non esserne a conoscenza!), ma ora è veramente giunto il momento di far crescere le bambine/i con spirito di condivisione degli apprendimenti, con la libertà di provare e riprovare insieme, a "carte scoperte", cioè con la consapevolezza di quello che si va a imparare e perché, con l'attenzione ai propri processi d'apprendimento, con un controllo sul sé che impara e ricerca strade possibili, con la volontà di divenire l'artefice del proprio percorso.
Claudia Fanti Gennaio 2002 (Eliminato e non pubblicato in "AFFETTIVO E COGNITIVO" per il convegno di Cesena) |
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