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Certo qui è tutto più facile, più tranquillo e ce ne stiamo pacifici a lasciar che tutto scorra. Anzi, ci sembra quasi senza senso il recriminare su riforme e decreti di probabile applicazione mentre altrove infuriano i combattimenti e le lotte per la sopravvivenza. D'altra parte qui si vede la morte in faccia generalmente per cause naturali, quando proprio il diavolo non ci mette lo zampino, quindi perché non sorridere filosoficamente e prendere le cose con calma?... Se si prova a rilevare qualcosa che non si condivide di ciò che viene architettato magistralmente da "chi più sa" nei soliti ambienti altolocati, si viene ritenuti un po' fanatici, magari schierati, perché già, si sa, è disdicevole, politicamente non corretto, esprimere senza mezzi termini quello che si pensa indipendentemente dall'ideologia.oppure si può anche lasciar dire, ma poi è meglio non raccogliere.non ne vale la pena.accontentiamoci, non brontoliamo sempre, perché c'è di peggio in giro. Ma poi così le cose non cambiano mai veramente e tutti si va avanti sperando che gli anni passino senza troppi scossoni.dopo, chi vivrà vedrà. In fondo qui non si muore di fame, non c'è la guerra, si può dire ciò che si pensa, anche se poi non si è minimamente ascoltati, ma fa lo stesso: d'altra parte siamo in tanti, come si fa ad ascoltare? Meglio non cominciare neppure. Si vive per consumare? Così va il mondo. Si vive per organizzare le proprie vacanze? Per forza, è lì che ci si sente al sicuro e forse un po' ascoltati, magari dal personale dell'hotel, o del villaggio turistico, o dello stabilimento termale.Lì ci si può, avendo i soldi, ricaricare per poter affrontare l'ambiente lavorativo del quale si è sempre meno protagonisti e vien anche voglia di esserlo sempre meno. Invece bisognerebbe alzare la guardia,
Non vegliare è un lusso che si potrebbe pagar caro: il rischio potrebbe essere quello di veder rientrare dalla finestra ciò che si è cacciato dalla porta in tanti anni di conquiste sul piano del diritto. La scuola ha faticato a trovare spazi per la collaborazione, la programmazione, l'ascolto, la solidarietà, l'eliminazione delle differenze.ha faticato anni per rendere consapevoli della bellezza della collaborazione e della condivisione di percorsi e ancora non del tutto è arrivata a soluzioni, a pratiche di scambio di vedute e ricerche didattiche.Allora sarebbe inutile e dannoso oltre che deresponsabilizzante per la categoria chiedere ai docenti di farsi da parte, di applicare pedissequamente ciò che viene deciso dall'alto e chiedere un dietro front di azioni volte alla realizzazione dell'integrazione tra insegnanti di diverso indirizzo e pensiero. La scuola del tempo pieno ( l'istituzione della quale non fu una soluzione a esigenze sociali di "badantaggio", visto che già in precedenza c'erano stati in tale senso il doposcuola e le attività integrative) e quella dei moduli, gestite in piena con titolarità, sono state e sono una risposta di alto profilo culturale alle esigenze di un insegnamento democratico, riflessivo e meditato, calibrato e autocritico. Chi parla di insegnante tutor non fa riferimento all'insegnante prevalente che in alcune realtà è stato adottato. Anzi, ci profila un "maestrone" che, pieno delle proprie convinzioni didattiche, relazionali e metodologiche, condite dalla propria cultura scolastica ed esistenziale, sarà investito di molteplici responsabilità che riguarderanno a tutto campo i vari settori della vita di alunni, famiglie, colleghi dei laboratori, valutazione, legami con l'amministrazione . Ma forse sarà un "maestrone" molto più solo nella sua vita professionale e, oserei dire, anche umana (visto il tempo che dovrà dedicare alla scuola senza l'aiuto dei colleghi che tenderebbero a scaricare su di "lui" tutto il peso della responsabilità educativa: non si dica che ciò non accadrebbe perché sarebbe pura utopia quella di pretendere un pari coinvolgimento senza pari dignità, e non sarebbe neppure giusto) anche a causa della probabile sua "elevazione" economica che potrebbe renderlo un diverso fra pari. Chi se la sentirebbe di rispondere alla schiera di docenti delusi e sbalorditi nel vedersi portar via da sotto il naso, in un battibaleno, tutte le fatiche e le conquiste sul piano della preparazione disciplinare, della relazione e del confronto con i colleghi? Non mi sembra che qualcuno stia fornendo valide risposte ai quesiti, ai timori, ai dubbi espressi sull'anticipo, sul disfacimento dei moduli, sul tempo pieno con pari titolarità dei docenti.le risposte, "che tanto esisteva già il docente prevalente", "che i bambini contemporanei sono più svegli e stimolati", "che il tempo pieno non sarà eliminato", e via dicendo, non paiono francamente sufficienti a chi attendeva da anni una verifica seria di ciò che si è andato attuando nelle scuole, delle problematiche dell'infanzia attuale e nemmeno del gradimento dell' ultimo contratto della scuola. D'accordo tutti sulle enunciazioni di principio filosofiche e pedagogiche sull'infanzia e sul rispetto della persona che fanno sempre da corollario e da richiamo per qualsiasi riforma della scuola, ma poi il problema immenso quanto e più del mare è quello di definire l'organizzazione, il modo di far scuola, le risorse, i tempi e gli spazi necessari per consentire che le enunciazioni diventino pratica. Allora, se democraticamente si volesse aprire un dibattito con la società e con i docenti, forse si scoprirebbero i bisogni e le aspettative delle parti. Cosa si sarebbe dovuto toccare e cosa lasciar fiorire nelle pratiche scolastiche? Quali i modi, quali le organizzazioni, quali i tempi della didattica che avevano dato già buoni frutti nel sostenere l'infanzia nel difficile compito dell'alfabetizzazione, della crescita umana e relazionale? Forse indagando veramente a fondo nella realtà si sarebbe scoperto che le esperienze più significative e produttive sono state quelle in cui l'istituzione ha consentito, per quanto possibile, alle scuole di darsi i tempi, la distribuzione delle risorse umane e materiali, la condivisione di percorsi alla pari fra docenti, li ha stimolati all'ascolto reciproco, ad un'equa ripartizione oraria e disciplinare fra di essi, al coinvolgimento delle famiglie nell'azione educativa senza sovrapposizione di ruoli, a un ripensamento della pretesa dei compiti a casa, nel rispetto della vita quotidiana delle famiglie contemporanee oberate dagli impegni, ha trasmesso ai genitori più tesi di fronte alle problematiche dell'apprendimento dei figli la capacità di attendere senza angosce, valorizzando ogni passo.insomma, quelle in cui essa ha creato un clima sereno ed equilibrato nell'ambiente scolastico. La collaborazione è un valore così come il confronto, ma è di fragile fattura, e ha bisogno dell' uguaglianza di trattamento e di considerazione tra chi è coinvolto nel gioco della programmazione, della progettazione e della valutazione, quindi si dovrebbe prestare molta attenzione a non scardinare l'equilibrio costruito negli anni all'interno dei team e dei collegi dei docenti. Poi c'è tutta la questione dell'anticipo che, come sostengo da tempo, tiene conto soltanto della frenesia degli adulti, non certo dei bambini e delle loro sacrosante esigenze di calma e relax, sì, proprio di rilassamento, distensione, mancanza di impegni pressanti, spazio per trastullarsi oziosamente dando libero sfogo alla "bambinità"! Anche nel caso di fanciulli super e iper, lasciamoli riposare, scontrarsi e incontrarsi nel gioco libero dall'orologio, dai consigli di adulti ammalati di rigore ed efficientismo.Vado a ruota libera nell' espressione di ciò che penso, tanto ho notato e imparato con molta sofferenza iniziale (trasformatasi in rassegnata accettazione di un dato di fatto) che si può dire qualsiasi cosa senza essere minimamente ascoltati. Allora continuo e dico io, a chi serve che un piccolo inconsapevole sia destinato a entrare prima (di che cosa? di quale punto di riferimento?) nel mondo degli adulti? A chi serve che impari un po' prima a riflettere su come si scrive la parola "acqua" o che si arrovelli sulla soluzione di un problemino di logica o che legga in seconda elementare tutto il libro di Pinocchio o che impari a classificare, a catalogare, a snocciolare le tabelline prima degli altri bambinoni "non anticipati"?! Non mi si risponda che serve a lui, perché non ci crederei nella maniera più assoluta, anche in base (lo dico anche se so che non è considerata un valore) all'esperienza diretta di molteplici e differenziati incontri ravvicinati con bambini e bambine di ogni tipo. A chi serve sottoporre a rischio di "rimbambimento" precoce il bambino super? Alla società? Non credo proprio: forse, anzi, essa correrebbe il rischio di ritrovarsi cittadinelli un po' mummificati nel bravo ruolo di bravi studentelli addestrati a far vedere quanto sono precoci a differenza di altri molto meno svegli, quelli bloccati alla scuola dell'infanzia da una "sottostima" genitoriale o professorale! E non è finita: come la mettiamo con lo "spezzatino di attimi" di cui già altrove avevo parlato? Alludo al probabile decadimento dell'idea di classe come un tutto unito grazie ai contesti d'apprendimento, alle sollecitazioni costanti e coese nel tempo di insegnanti che senza soluzione di continuità arricchiscono la classe di proposte legate dal filo impalpabile ma resistente delle esperienze vissute in comune. E non mi riferisco soltanto a uscite, gite, mensa, dopomensa, ricreazioni.che sono momenti di conoscenza reciproca molto importanti, bensì alle esperienze linguistiche, di studio, riflessione sul linguaggio, letture, poesia, vissuti e loro rappresentazione (grafica, teatrale, o altro), condivisi da tutti gli appartenenti alla classe, la quale matura insieme atteggiamenti e risposte diversificati ma contestualizzati.forse questo potrebbe essere il punto più dolente: lo scippo, a causa di una dissennata applicazione della riforma con la sua proposta di laboratori e gruppi differenziati di alunne/i, del tempo lungo e disteso che serve per ottenere risultati consolidati, ai danni degli insegnanti e delle/degli alunne/i che si conoscono, nella classe, tutti insieme riuniti a ragionare, argomentare, arrabbiarsi, rappacificarsi, trovare soluzioni e aggiustamenti alle difficoltà! Aggiungiamo poi la presenza di bambine e bambini di diversa maturazione cronologica e il risultato rischia di essere uno zibaldone in cui anche i migliori e con le migliori intenzioni annasperebbero. E poi ancora: perché la scuola elementare italiana è andata ottenendo successi e riconoscimenti nel mondo anche in quest'ultimo periodo, ma di ciò non si tiene conto prima di sconvolgerla? Le affermazioni su una presunta aspirazione all'anticipo da parte dell'infanzia e su ciò che la scuola potrebbe offrirle non mi sembrano rispondere al desiderio di bambine e bambini di giocare e misurarsi con la propria corporeità, ma suppongo che dovremo adattarci e dire, una volta che avremo le creature più o meno piccole dentro le aule, che esse sono ben adattate e prive di qualsiasi tentennamento. sì, credo proprio che andrà così, anche perché forse potremmo essere valutati in base alla bravura dei nostri alunni (qualcuno vorrebbe così), o perché nessuno se la sentirebbe di darsi la zappa sui piedi, davanti all'opinione pubblica, affermando che i bambini e le bambine della propria scuola non sono sereni e non stanno imparando come dovrebbero. Forlì, 30 aprile '03 Claudia Fanti |
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